Sentenza n.37 del 1985

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SENTENZA N. 37

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 marzo 1977 dal Pretore di Bolzano nel procedimento esecutivo promosso da Del Monego Assunta contro la Provincia autonoma di Bolzano, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa il 4 giugno 1981 dal Pretore di Roma nel procedimento esecutivo promosso da Dini Elda ed altra contro Pia Marisa ed altro, iscritta al n. 550 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1981.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1984 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento esecutivo promosso dalla creditrice Del Monego Maria Assunta, in proprio e quale rappresentante della figlia minore, nei confronti del debitore Mair Adolfo, il Pretore di Bolzano, con ordinanza del 16 marzo 1977 (in G. U. n. 148 del 1 giugno 1977; reg. ord. n. 211 del 1977) sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 2, n. 1 d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, il quale - facendo eccezione alla regola della impignorabilità degli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti spettanti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, contenuta nel precedente art. 1 - stabilisce la sottoponibilità a sequestro ovvero a pignoramento dei crediti suddetti "fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge".

Il Pretore premetteva che nella specie il credito per cui si procedeva esecutivamente aveva per oggetto il risarcimento del danno da omicidio colposo, commesso dal Mair a danno del marito della Del Monego e che la norma denunciata impediva di sottoporre a pignoramento lo stipendio del debitore, dipendente della Provincia di Bolzano.

Ciò premesso, il giudice rimettente osservava che le ragioni a favore della intangibilità delle retribuzioni dei pubblici dipendenti non sembravano giustificare la disparità di trattamento, consistente nell'avere il legislatore disposto un'eccezione a favore dei creditori per alimenti dovuti ex lege e nel non averla disposta anche a favore dei creditori per danno da reato, i quali, al pari degli alimentandi, versassero in stato di bisogno. Ad avviso del Pretore, anzi, tale seconda obbligazione, con sostanziale finalità alimentare, avrebbe dovuto essere maggiormente tutelata qualora avesse tratto causa da un’altrui condotta illecita invece che dalla legge.

La stessa questione, ma in riferimento al solo art. 3 Cost., veniva sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza 4 giugno 1981 (in G. U. n. 325 del 25 novembre 1981; reg. ord. n. 550 del 1981), emessa nel corso del procedimento esecutivo promosso dalla creditrice Dini Elda contro la debitrice Pia Marisa, dipendente dello Stato e responsabile del reato di omicidio colposo di Profili Loris, marito della Dini.

Il Pretore rilevava che la finalità perseguita dall'ordinanza di rimessione del Pretore di Bolzano non contrastava con l'interesse dello Stato, tutelato già dagli artt. 1 e 2 d.P.R. n. 180 del 1950, a che i suoi dipendenti espletassero le loro mansioni in modo sereno e con tutta tranquillità.

2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri é intervenuta in entrambe le cause sostenendo la non fondatezza della questione. Essa afferma la non equiparabilità del credito per alimenti a quello per risarcimento del danno, essendo soltanto il primo legato allo stato di bisogno del creditore, nonché alla sussistenza di un vincolo di parentela tra i due soggetti del rapporto obbligatorio, tutelato anche dall'art. 30 Cost.

L'interveniente osserva poi che la dichiarazione di fondatezza della questione porterebbe ad estendere la pignorabilità delle somme spettanti ai dipendenti pubblici a favore di qualsiasi credito, con la conseguente obliterazione delle finalità perseguite dal legislatore del 1950.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze in epigrafe prospettano sostanzialmente la medesima questione di costituzionalità: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Precisamente i Pretori di Bolzano e di Roma impugnano, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'art. 2, n. 1, d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, il quale - ponendo un'eccezione alla regola, contenuta nel precedente art. 1, dell'impignorabilità degli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti spettanti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni - stabilisce, tra l'altro, che sono soggetti a sequestro ed a pignoramento i crediti suindicati, fino alla concorrenza di un terzo, per causa di alimenti dovuti per legge. Secondo i predetti giudici l'eccezione ora ricordata, limitata agli alimenti ex lege, non sarebbe razionale perché dovrebbe essere estesa anche alle ipotesi di crediti per il risarcimento del danno da reato, ove il creditore versi in istato di bisogno: rispetto a tali crediti, la limitazione, così come attualmente prevista, risulterebbe quindi in contrasto, a loro avviso, con l'art. 3 Cost.; il Pretore di Bolzano aggiunge inoltre, senza però addurre alcun elemento a sostegno, che la norma suddetta violerebbe anche l'art. 24 Cost.

3. - La questione non é fondata sotto nessuno dei due profili indicati.

Rispetto al primo, già questa Corte ha avuto modo di osservare che la disposizione della generale impignorabilità, posta dall'art. 1, l. cit., é in realtà giustificata, più che dalla natura del rapporto, dall'intento di tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione, espressamente considerato nell'art. 97 della Costituzione, che potrebbe essere turbato dalla mancanza di tranquillità economica del pubblico dipendente, conseguente alla decurtazione della sua retribuzione (cfr. sentt. n. 88 del 1963, 49 del 1976 e 105 del 1977). A tale disciplina il legislatore ha ritenuto di porre tre deroghe, di cui due, che qui non interessano, riguardano, rispettivamente, i debiti derivanti dal danno cagionato all'ente da cui il debitore dipende e quelli in materia tributaria (art. 2, nn. 2 e 3), per i quali é ammesso il pignoramento fino alla concorrenza di un quinto; l'altra (art. 2, n. 1) - ricorrente nella specie - concerne le obbligazioni aventi ad oggetto alimenti dovuti per legge, per le quali é consentita l'esecuzione forzata nella misura di un terzo degli emolumenti spettanti al pubblico dipendente. Al riguardo é evidente come, nel dettare la disciplina suddetta, il legislatore abbia discrezionalmente valutato, secondo valori etici e criteri socio-economici, le varie situazioni prese in considerazione, procedendo al bilanciamento dei contrastanti interessi ad esse inerenti. In particolare, la previsione delle obbligazioni alimentari, limitata agli alimenti ex lege e non estesa perciò a quelle convenzionali (vitalizio alimentare, legato di alimenti), é diretta alla tutela dei beni essenziali della vita e della dignità dell'uomo: tutela dovuta, per ragioni di solidarietà, ai soggetti della comunità familiare i quali si trovino in istato di bisogno (artt. 30 Cost., 438 cod. civ. e vedi anche sent. 209 del 1984).

Ora, appunto in relazione a tale precipua funzione dell'istituto il relativo diritto, per certi aspetti, non é stato ricompreso da autorevole dottrina ed (indirettamente) dalla giurisprudenza ordinaria nella categoria dei diritti di credito, ma é stato considerato come inerente allo status familiare del soggetto e pertanto avvicinato ai diritti della personalità. Da ciò la più energica tutela che l'ordinamento ha tradizionalmente accordato all'alimentando per assicurargli la concreta soddisfazione del suo diritto, tutela di cui la disposizione in esame costituisce chiaramente un profilo particolare.

4. - Con l'obbligazione alimentare, che le ordinanze di rimessione utilizzano come tertium comparationis, non può intuitivamente considerarsi omogenea, in linea generale (salvo quanto verrà precisato nel paragrafo successivo), quella concernente il risarcimento del danno cagionato da atto illecito, e cioé il risarcimento diretto ad eliminare il pregiudizio sofferto ed a reintegrare perciò il patrimonio del creditore nella medesima situazione in cui si trovava prima della commissione dell'illecito stesso. Né in proposito potrebbe rilevare la moderna tendenza a modificare i tratti caratteristici della tradizionale figura del risarcimento da illecito, sostituendola con quella di riparazione, che meglio sembra giustificare sia la sussistenza dell'obbligo sancito dalla legge in alcuni casi di assenza di colpa del debitore, sia il contenuto dell'obbligo stesso, allorquando questo é esteso oltre la rigorosa reintegrazione della diminuzione patrimoniale subita (ciò che, ad esempio, si verifica, per i c.d. danni morali).

Rimane, invero, pur sempre tra le due obbligazioni (alimentare, da un lato, e risarcitoria, dall'altro) un'intrinseca diversità, che non consente di porle in linea di principio sullo stesso piano: e di ciò si rendono, in verità, conto i giudici a quibus, che peraltro vorrebbero elevare ad elemento comune caratterizzante lo stato di bisogno del creditore, e pervenire così all'applicabilità della disciplina prevista nell'art. 2, n. 1, d.P.R. n. 180 del 1950 attraverso una pronuncia additiva di questa Corte.

Ma, posto il problema in tali termini, deve escludersi sicuramente il preteso contrasto con il principio di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dato che l'invocato stato di bisogno del creditore, il quale può ricorrere rispetto a tutte le obbligazioni in relazione alle più disparate fattispecie concrete, ha rilievo, secondo una valutazione discrezionale del legislatore, soltanto nei casi stabiliti dalla legge e con gli effetti da essa previsti; esso non é quindi idoneo a incidere sostanzialmente sul contenuto delle ricordate obbligazioni ed a conferire ad esse quel carattere di omogeneità che intrinsecamente non hanno.

5. - Ciò che é stato rilevato in via generale non esclude però che una particolare considerazione meriti l'ipotesi in cui l'atto illecito abbia direttamente leso il credito agli alimenti (lato sensu e comprensivo anche del diritto al mantenimento), ciò che, tra l'altro, si verifica nel caso di omicidio della persona tenuta a prestarli: e le ordinanze di rimessione si riferiscono appunto a due processi per risarcimento del danno cagionato dall'omicidio colposo dei rispettivi marito e padre delle attrici. La Corte non si nasconde che qualche ostacolo di natura teorica potrebbe essere addotto contro l'ammissibilità del risarcimento per lesione del diritto agli alimenti: ma, tenuta principalmente presente la sopra ricordata natura giuridica di esso, ritiene, seguendo il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, che possa propendersi per la soluzione positiva. Se così é, il diritto al risarcimento del danno, anche se disposto per equivalente (e non in forma specifica), deve porsi sul medesimo piano dell'originario diritto agli alimenti, leso dall'atto illecito, ed assumere così una funzione sostitutiva di esso.

L'ipotesi in discorso ben può rientrare quindi nella previsione del cit. art. 2, n. 1, essendo chiaramente riconducibile alla sua ratio e compatibile con la sua formulazione letterale, in quanto anche le obbligazioni da atto illecito non hanno carattere volontario ma trovano nella legge il loro fondamento.

É appena il caso di aggiungere che rientra nei compiti del giudice del processo principale accertare la correlazione tra il danno subito, a cui si riferisce il risarcimento, e la perdita del diritto agli alimenti (o al mantenimento); e, una volta che tale correlazione sia stata stabilita (il che può avvenire anche interpretando la sentenza di condanna nel processo esecutivo) e nei limiti di essa, spetta ancora al giudice a quo stabilire se non sia contrario ad esigenze di logica giuridica e di equità escludere l'ipotesi considerata dalla previsione della norma in oggetto.

Naturalmente, se la qui indicata interpretazione della norma impugnata non venisse accolta, il problema di costituzionalità, limitato, ben s'intende, alla lesione del diritto agli alimenti, si porrebbe in una prospettiva diversa da quella ora formulata dalle ordinanze di rimessione.

6. - Palesemente non conferente é infine il richiamo all'art. 24 Cost., genericamente contenuto nell'ordinanza del Pretore di Bolzano senza neppure un cenno di specificazione delle varie previsioni di tale norma.

L'impugnativa si esaurisce infatti nella dedotta disparità di trattamento sopra esaminata e quindi risulta all'evidenza fuor di proposito il richiamo al parametro ora indicato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, n. 1, d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. dai Pretori di Bolzano e di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1985.

Leopoldo ELIA - Francesco SAJA

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1985.