Ordinanza n.26 del 1985

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ORDINANZA N. 26

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 e segg. della legge 27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929-VII) promosso con ordinanza emessa il 29 aprile 1977 dal Pretore di Roma in una procedura relativa a lavori edilizi non autorizzati, iscritta al n. 283 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 218 dell'anno 1977.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1984 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto che il Pretore di Roma - con ordinanza emessa il 29 aprile 1977 - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 e seguenti della legge 27 maggio 1929, n. 810, "nella parte in cui ha dato esecuzione nello Stato all'art. 16 capoverso del Trattato fra Santa Sede e l'Italia, relativamente alla facoltà concessa alla Santa Sede di dare agli immobili, menzionati nel Trattato stesso e negli allegati, l'assetto che creda senza autorizzazione o consensi da parte di autorità governative, provinciali o comunali italiane";

che, infatti, secondo il giudice a quo la disciplina predetta si porrebbe in contrasto con una serie di "principi accolti dalla Costituzione" e sopra ordinati alle stesse norme dei Patti Lateranensi, come quelli sanciti dagli artt. 3, 9, 117 e 128 Cost.: così determinando un "pregiudizio irreversibile per il patrimonio ambientale, naturale, sociale, economico e politico del Paese", una disparità di trattamento quanto al rispetto delle leggi urbanistiche, nonché una lesione dei "poteri conferiti in materia di disciplina del territorio alle regioni ed ai comuni";

e che l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri - dopo aver adombrato l'irrilevanza della impugnativa ai fini del giudizio a quo, dati i "principi generali vigenti in tema di non retroattività delle norme penali più sfavorevoli al reo" - ha invece concluso nel senso della non fondatezza: sia perché l'ordinanza di rinvio non identificherebbe alcun principio supremo dell'ordinamento costituzionale, sia perché la norma impugnata non avrebbe "natura sostanziale" e dunque non esonererebbe la Santa Sede dalla osservanza di tutte le prescrizioni "che disciplinano concretamente l'attività edilizia".

Considerato che la fattispecie all'esame del giudice a quo si risolve "presumibilmente" - secondo la stessa ordinanza di rinvio - "in opere di ampliamento e di modificazione dell'immobile" sede di Propaganda Fide, concretanti un "eventuale reato", sicché si potrebbe dubitare dell'ammissibilità di una questione sollevata prima ancora che fosse stato instaurato un vero e proprio procedimento penale, sebbene il Pretore di Roma prenda appunto le mosse dall'assunto che sia la stessa norma impugnata a privarlo in tal campo di giurisdizione;

considerato, per altro, che per costante giurisprudenza della Corte (cfr., da ultimo, la sentenza n. 18 del 1982) il sindacato sulle norme dei Patti Lateranensi, cui sia stata data esecuzione da parte dell'Italia, "resta limitato e circoscritto all'accertamento della loro conformità o meno ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale"; che gli invocati parametri costituzionali non rientrano agli effetti in questione fra i "principi supremi", mentre il cosiddetto "privilegio di extraterritorialità", previsto dal Trattato fra la Santa Sede e l'Italia, non offende - di per sé - "il patrimonio storico e artistico della Nazione".

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 ss. della legge 27 maggio 1929. n. 810, sollevata dal Pretore di Roma - in riferimento agli artt. 3, 9, 117 e 128 della Costituzione - nella parte concernente l'art. 16, secondo comma, del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1985.

Leopoldo ELIA - Livio PALADIN

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1985.