Sentenza n.278 del 1984

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SENTENZA N. 278

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

          Prof. Giuseppe BORZELLINO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 13, primo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) e 26, legge 30 aprile 1969, n. 153 promosso con l'ordinanza emessa il 31 gennaio 1978 dal Pretore di Salerno nel procedimento civile vertente tra Avallone Maria e Ministero degli Interni iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 dell'anno 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 maggio 1984 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari.

Ritenuto in fatto

1. - Nel procedimento civile promosso da Avallone Maria nei confronti del Ministero dell'Interno al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alla concessione dell'assegno mensile previsto per gli invalidi civili, il Pretore di Salerno, ritenuto che la domanda avrebbe dovuto essere rigettata per il solo fatto che, secondo quanto rilevato nella seduta del 21 agosto 1973 dal comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica presso la Prefettura di Salerno, il marito dell'interessata era "titolare di reddito complessivo netto di L. 1.389.297 ai fini dell'imposta complementare", ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 13, primo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118, e 26, legge 30 aprile 1969, n. 153, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost..

Parzialmente accogliendo le tesi della difesa della ricorrente, il Pretore ritiene irragionevole che, ai fini dell'attribuzione dell'assegno mensile, il quale in ogni caso mira a tutelare persone fisicamente menomate in considerazione del loro stato di bisogno, nel caso dei ciechi si prendano in considerazione le sole condizioni economiche dell'interessato (art. 5, legge 27 maggio 1970, n. 382), mentre per gli altri invalidi civili la concessione dell'assegno é subordinata alla sussistenza di una condizione economica negativa afferente anche il coniuge dell'invalido. Osserva in particolare il giudice a quo che "pur nella possibile legittimità di una speciale disciplina che tenga in particolare conto le caratteristiche e le conseguenze specifiche della cecità rispetto alle altre forme di invalidità", la disparità di trattamento non trova tuttavia giustificazione sotto il profilo del riferimento anche alle condizioni economiche del coniuge per il riconoscimento della sussistenza dello stato di bisogno dell'invalido e non anche del cieco.

2. - L'ordinanza é stata ritualmente notificata e pubblicata. Nessuna delle parti nell'originario procedimento si é costituita innanzi alla Corte costituzionale.

3. - É invece, intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha instato per la declaratoria di infondatezza della questione.

In atto di intervento si pone in rilievo che a norma del combinato disposto degli artt. 12 e 13 della legge n. 118 del 1971 agli invalidi civili la cui capacità lavorativa risulti ridotta - come nel caso di specie - in misura superiore ai due terzi, é concesso, a carico dello Stato e a cura del Ministero dell'interno, per il periodo in cui non sono collocati al lavoro, un assegno mensile, purché versino nelle condizioni economiche previste dall'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153: non risultino cioé iscritti, essi stessi, nei ruoli dell'imposta di r.m. e il coniuge in quelli dell'imposta complementare sui redditi (ora IRPEF). L'ultima condizione - continua l'Avvocatura - non é invece richiesta per le provvidenze in favore dei ciechi civili, la cui concessione é subordinata esclusivamente alle condizioni economiche degli interessati.

La diversità di disciplina troverebbe giustificazione nella eccezionale gravità della minorazione costituita dalla cecità, che é quella di grado più alto, secondo quanto riconosciuto anche dall'organizzazione mondiale della sanità. Ciò avrebbe indotto il legislatore alla concessione di benefici particolarissimi, talora prescindendo anche dalla considerazione delle condizioni economiche del non vedente, come per l'indennità di accompagnamento, prevista dalla legge 16 aprile 1974, n. 114; ovvero privilegiando in ogni caso il cieco, al quale, in materia di pensioni di guerra, la lettera A-bis della tabella E) annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313, attribuisce un assegno di superinvalidità.

Attesa dunque la peculiarità delle esigenze dei ciechi civili rispetto a quelle degli invalidi civili, non sarebbe incongrua la diversa valutazione dello stato di bisogno operata dal legislatore per far luogo alla concessione dei benefici per ciascuna categoria previsti, "anche sotto il profilo della considerazione nell'un caso della sola condizione economica personale e nell'altro della condizione complessiva dei coniugi". Né potrebbe, da ultimo, ritenersi irrazionale che il legislatore, nell'ambito delle proprie scelte discrezionali, si sia mosso "per gli invalidi civili nella stessa ottica che ha ispirato la pensione sociale", facendo "riferimento ai requisiti (salva l'età) di questa, ed invece si sia diversamente regolato per quella più grave menomazione che é la cecità".

Considerato in diritto

1. - La normazione intesa ad instaurare in materia di sicurezza sociale un sistema quanto più possibile conforme a Costituzione si caratterizza per la copiosità degli atti che la compongono, per l'incessante loro sequenza, per la varietà e mutevolezza delle ipotesi ivi previste. Si rende allora preliminarmente necessario cogliere in questa disciplina piuttosto complessa, disorganica e non priva di contraddizioni, solo quei punti che rilevano ai fini del decidere la presente questione. Tali punti si lasciano così compendiare: a) nell'ambito della categoria generale degli invalidi é statuito che, non solo per quelli "per cause di guerra, di lavoro, di servizio", ma anche per i ciechi e i sordomuti provvedono" altre "leggi (art. 2, ultimo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del decreto legge 30 gennaio 1971, n. 5), le quali danno perciò vita a discipline differenziate per ognuna delle indicate subcategorie; b) nell'ambito delle provvidenze disposte a favore dei mutilati ed invalidi civili é fatta distinzione tra pensione (spettante ai maggiorenni, in caso di totale inabilità lavorativa: art. 12, legge n. 118 del 1971), assegno mensile (spettante ai maggiorenni incollocati al lavoro, ma sino al 64 anno, in caso di inabilità parziale: art. 13, legge n. 118 del 1971), assegno di accompagnamento (spettante ai minori di anni 18, riconosciuti non deambulanti e che frequentino la scuola dell'obbligo o corsi di perfezionamento o centri ambulatoriali: art. 17, legge n. 118 del 1971; c) negli artt. 12, secondo comma, 13, primo comma, 17, ultimo comma, della menzionata legge n. 118 del 1971, che fanno rinvio all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e nell'art. 8 della successiva legge 16 aprile 1974, n. 114 di conversione del decreto legge 2 marzo 1974, n. 30, la concessione delle suddette provvidenze risulta subordinata al possesso di un determinato requisito reddituale, da calcolarsi, quanto ai coniugati, mediante il cumulo del reddito personale con quello del coniuge; d) a partire, tuttavia, dal 1 luglio 1980, avendo l'art. 14 septies, quinto comma, della legge 29 febbraio 1980, n. 33 di conversione del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663 ("finanziamento del servizio sanitario nazionale") stabilito che "il limite di reddito per il diritto all'assegno mensile" si calcola "con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare", é abrogata, almeno per quanto riguarda la spettanza dell'assegno mensile, la norma che disponeva il cumulo e rileva, quindi, solo il reddito personale del minorato.

2. - La controversia che ha occasionato la questione di cui all'ordinanza in epigrafe ha per oggetto appunto un assegno mensile ed é stata promossa il 17 febbraio 1977. E poiché la suddetta legge abrogativa del cumulo (n. 33 del 1980), in quanto dispone esplicitamente la propria decorrenza dal 1 luglio 1980, non spiega efficacia retroattiva, ne consegue che il giudizio di questa Corte deve vertere esclusivamente sulla legittimità costituzionale della statuizione di cui alla precedente lettera c), la quale appunto disciplinava l'istituto dell'assegno mensile nel periodo che va dal mese successivo a quello della presentazione della domanda per l'accertamento della invalidità sino al 30 giugno 1980. E pertanto, benché la pensione d'inabilità e l'indennità d'accompagnamento abbiano la stessa natura dell'assegno mensile, cioé quella di prestazioni assistenziali - ne offre conferma positiva l'art. 14 septies, primo comma, del decreto legge n. 663 del 1979, convertito nella legge n. 33 del 1980, quando, sia pur a riguardo dei sordomuti, riferendosi all'assegno mensile di assistenza, chiarisce che tale assegno é quello che viene definito "pensione non reversibile" -, giova precisare che il presente giudizio non coinvolge, né la pensione, né l'indennità d'accompagnamento, né le relative norme, né il periodo successivo al 30 giugno 1980, bensì esclusivamente l'assegno mensile, per inabilità parziale, nei cui confronti soltanto risulta espressamente eliminato, a decorrere dalla predetta data, il cumulo del reddito dell'invalido con quello del coniuge.

3. - Il giudice a quo reputa non manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge n. 118 del 1971, in relazione agli artt. 12, secondo comma, stessa legge e 26 della legge n. 153 del 1969, assumendo come parametro l'art. 3, primo comma, Cost., e come tertium comparationis l'art. 5 della legge 27 maggio 1970, n. 382 ("disposizioni in materia di assistenza ai ciechi civili"). Egli non lamenta già che i ciechi civili siano trattati diversamente dai mutilati ed invalidi civili ed, anzi, a premessa del suo ragionamento, ammette la "possibile legittimità di una speciale disciplina che tenga in particolare conto le caratteristiche e le conseguenze specifiche della cecità rispetto alle altre forme di invalidità". Rileva, invece, che, poiché, tanto per i ciechi civili, quanto per gli invalidi civili, il conseguimento del diritto alla prestazione assistenziale ha il medesimo presupposto, cioé lo stato di bisogno, "non trova ragionevole giustificazione" - onde il contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost. - "il fatto che... per i ciechi si prendano in considerazione le sole condizioni economiche dell'interessato" e "per gli altri invalidi civili anche le condizioni economiche del coniuge". Ed all'uopo fa richiamo all'art. 5 legge n. 382 del 1970, che effettivamente, per quanto riguarda i ciechi civili, subordina la concessione della pensione (e dell'indennità d'accompagnamento) alle condizioni economiche del solo interessato, come, del resto, alle condizioni economiche, dei soli interessati l'art. 6 subordina la concessione dell'assegno a vita, e l'art. 7 subordina la concessione dell'indennità d'accompagnamento ai non aventi diritto alla pensione.

4. - La questione non é fondata.

Il cumulo del reddito dell'interessato con quello del coniuge, disposto solo per gli inabili civili, ma non anche per i ciechi (e per i sordomuti) costituiva indubbiamente un più gravoso requisito reddituale a carico dei primi, ma non può, tuttavia, dirsi irrazionale. E ciò, non certo per la ragione che la cecità sia sempre la minorazione più grave, come eccepisce la difesa dello Stato, ma in quanto essa forma - come é stato in precedenza rilevato - l'oggetto di una disciplina apposita e diversificata. Deve, dunque, affermarsi che le situazioni messe a raffronto non sono del tutto omogenee in rapporto al principio d'eguaglianza, sicché ben poteva il legislatore, nella sua valutazione discrezionale, non estendere a tutte le altre minorazioni il particolare regime della pensione per cecità.

Vero é che successivamente la menzionata legge n. 33 del 1980 (art. 14 septies, quinto comma) ha eliminato il denunciato cumulo, ma tale innovazione non acquista il valore di riconoscimento, da parte dello stesso legislatore, dell'irrazionalità della disciplina impugnata, potendosi, viceversa, ritenere che rientri nella progressiva evoluzione della legislazione in materia di sicurezza sociale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, in relazione agli artt. 12 della stessa legge n. 118 del 1971 e 26, comma primo, della legge 30 aprile 1969, n. 153, sollevata dal Pretore di Salerno, con ordinanza in data 31 gennaio 1978 (r.o. n. 211/1978), in riferimento all'art. 3, comma primo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO

 

Depositata in cancelleria il 12 dicembre 1984.