Sentenza n.269 del 1984

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SENTENZA N. 269

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

          Prof. Giuseppe BORZELLINO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 88, primo e terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con l'ordinanza emessa il 27 settembre 1983 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Trinchera Luciano, iscritta al n. 919 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 81 dell'anno 1984.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 ottobre 1984 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso dell'istruttoria formale a carico di Trinchera Luciano, imputato del delitto di omicidio volontario pluriaggravato, il Giudice istruttore del Tribunale di Perugia, ordinato il ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario ai sensi dell'art. 206 cod. pen., disponeva perizia psichiatrica per accertare il suo stato di mente tanto al momento del fatto che durante il procedimento.

Dalla perizia emergeva che il Trinchera, pur risultando al momento del fatto in condizioni di mente tali da scemare, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, versava al momento dell'accertamento in stato di totale incapacità, e che in entrambi i momenti doveva considerarsi socialmente pericoloso.

Il Giudice istruttore, premesso che, in conseguenza delle risultanze peritali, il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso "ai sensi del dettato di cui all'art. 88, primo comma, cod. proc. pen." in attesa che il Trinchera riacquistasse, almeno in parte, la capacità di intendere e di volere, con ordinanza del 27 settembre 1983 ha sollevato, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 88, primo e terzo comma, cod. proc. pen. "nella parte in cui" (così si esprime il dispositivo dell'ordinanza di rimessione) "estende ai procedimenti contro imputati in stato di detenzione l'obbligo di sospensione del processo per soppravvenuta infermità di mente".

Rileva il giudice a quo che il ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario costituisce un vero e proprio stato di detenzione preventiva (perché ordinato nel corso dell'istruzione ed in assenza di una sentenza irrevocabile), caratterizzato, però, dall'assenza di ogni limite massimo di durata: é, pertanto, possibile che l'imputato, ove non riacquisti (almeno in parte) la capacità di intendere e di volere, debba trascorrere, durante la sospensione del procedimento penale a suo carico, un lunghissimo periodo di tempo in ospedale psichiatrico giudiziario.

L'obiezione, secondo cui, "trattandosi nel caso in esame di una misura di sicurezza (detentiva), la sua durata sarebbe necessariamente indeterminata, dovendosi rapportare al protrarsi della pericolosità sociale del soggetto", non consentirebbe di "superare il problema, ravvisandosi profonde diversità rispetto alla previsione della norma generale di cui all'art. 222 cod. pen.".

Infatti, mentre nel caso che l'imputato venga prosciolto per difetto di imputabilità (situazione attualmente non ipotizzabile alla stregua delle risultanze della perizia psichiatrica) la sua liberazione é condizionata unicamente alla cessazione dello stato di pericolosità sociale derivante dalle sue condizioni mentali (sentenza n. 139 del 1982), in caso di sospensione del processo ex art. 88, primo comma, cod. proc. pen., mancando appunto una sentenza di proscioglimento, l'imputato é sottratto alla valutazione del giudice circa la sua pericolosità, dato che la ripresa del procedimento penale é possibile solo ove cessi lo stato di infermità mentale.

Se l'imputato non riacquista la capacità di intendere e di volere, conclude il giudice a quo, non é da escludere che il suo stato di detenzione in un manicomio giudiziario possa protrarsi, se la pericolosità persiste, anche per tutta la vita; nel caso in cui la pericolosità venga meno, l'imputato sarà trasferito in un carcere ordinario con conseguente inizio da questo momento della decorrenza dei termini di carcerazione preventiva.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 21 marzo 1984.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

Rileva l'Avvocatura che la sospensione prevista dall'art. 88 cod. proc. pen. tende a realizzare (sentenza n. 23 del 1979) il diritto all'autodifesa garantito dall'art. 24 Cost., perché solo la persona capace é in grado di difendersi adeguatamente.

La misura prevista dalla norma censurata risponde, poi, "a finalità insieme di cura e di custodia" (sentenza n. 141 del 1982): i principi propri della carcerazione preventiva e, in particolare, quello fissato dall'art. 13, ultimo comma, Cost. non possono, quindi, trovare applicazione.

In tema di misure di sicurezza, infatti, le finalità di cura prevalgono su quelle della custodia; la cura "deve continuare fin che permane lo stato di infermità, e la custodia attiene, in sostanza, al soggetto in quanto infermo di mente socialmente pericoloso più che non in quanto autore di un reato, che ne comporta la restrizione della libertà personale, in attesa di giudizio".

L'atto d'intervento deduce, infine, una incoerenza tra il dispositivo e la motivazione dell'ordinanza di rimessione: l'eventuale fissazione di un termine massimo per il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, indipendentemente dalla cessazione dell'infermità di mente del ricoverato, non escluderebbe la sospensione del procedimento, "aspetto, questo, richiamato nel dispositivo, ma che non appare essere il punctum saliens della proposta questione di legittimità".

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di cui in narrativa il Giudice istruttore del Tribunale di Perugia sottopone a vaglio di legittimità costituzionale l'art. 88, primo comma, cod. proc. pen.. Stando al dispositivo, la questione di legittimità avrebbe ad oggetto l'"art. 88 cod. proc. pen. - primo e terzo comma - nella parte in cui estende ai procedimenti contro imputati in stato di detenzione l'obbligo di sospensione del processo per sopravvenuta infermità di mente, perché in contrasto con l'art. 13, ultimo comma, della Costituzione". Stando alla motivazione (ed all'invocato parametro costituzionale), i dubbi del giudice a quo sembrerebbero aver riguardo non tanto alla sospensione del processo, quanto alle conseguenze da essa derivanti nel caso di imputato in stato di detenzione ("alla durata di tale stato... l'art. 88, primo comma, cod. proc. pen. non pone alcun limite massimo... e dunque... la detenzione potrebbe protrarsi, anche per tutta la vita, in un manicomio giudiziario").

2. - La questione, così come prospettata, é inammissibile.

Osserva esattamente l'Avvocatura dello Stato, nell'atto di intervento, che la questione "proposta nel dispositivo... non appare in coerenza con il ragionamento condotto nella motivazione". Ma tale incoerenza, anziché tradursi, come conclude l'Avvocatura, nella non fondatezza della questione, impedisce di scendere nel merito, non consentendo di identificare con la necessaria precisione il thema decidendum, e ciò a causa dell'insufficiente individuazione della norma ordinaria effettivamente sottoposta a controllo.

3. - A rendere non rimediabile la suddetta carenza contribuisce il fatto che il denunciato art. 88, primo comma, cod. proc. pen. consta di tre parti dai contenuti nettamente differenziati, essendo la prima dedicata ai presupposti per la sospensione del processo, la seconda al ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario, la terza agli accertamenti esperibili nell'una e nell'altra direzione.

Già di per sé il mettere in discussione il precetto che impone al giudice di sospendere il processo appare cosa ben diversa dal mettere in discussione il precetto che prevede il ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario, anche se nulla vieterebbe di mettere congiuntamente in discussione sia il primo sia il secondo precetto (come, del resto, nel suo continuo oscillare tra l'aspetto della sospensione e l'aspetto del ricovero, la stessa ordinanza di rimessione sembra adombrare al termine della motivazione, allorché, con riguardo alla rilevanza della questione, indica quale "situazione di cui si sostiene la sospetta incostituzionalità la quiescenza del processo con correlativa carcerazione dell'imputato indeterminata nel tempo", peraltro omettendo, subito dopo, di richiamare quest'ultimo aspetto nel dispositivo).

Ma l'ambiguità, per non dire la contraddittorietà, di un'ordinanza formulata in termini così perplessi risulta ancora maggiore, sino a diventare insuperabile, non appena si tenga presente l'ulteriore differenza che intercorre tra i precetti menzionati: mentre la parte iniziale del primo comma dell'art. 88 cod. proc. pen. impone al giudice - salvo, ovviamente, che non si debba pronunciare sentenza di proscioglimento - la sospensione del processo ogni qualvolta "l'imputato viene a trovarsi in tale stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere o di volere" (e, con perfetta corrispondenza, il terzo comma prevede la ripresa del processo "qualora l'imputato riacquisti la predetta capacità"), la seconda parte del primo comma dell'art. 88 ne prescrive il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario solo "ove occorra". Da tale differenza discende chiaramente come la "correlazione" tra "quiescenza del processo" e "carcerazione dell'imputato" sotto forma di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario non si presenti affatto con carattere di automatismo e, quindi, di ineluttabilità, ben potendo il primo dei due fenomeni andar disgiunto dal secondo.

Di fronte ad una situazione normativa tanto articolata e non priva di alternative, l'individuazione del thema decidendum avrebbe richiesto una prospettazione non equivoca, incentrata o sulla sospensione del processo o sul ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o sull'una e sull'altro congiuntamente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 88, primo e terzo comma, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Perugia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO

 

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1984.