Sentenza n.268 del 1984

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SENTENZA N. 268

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 17 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (disciplina delle imposte sul bollo), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 luglio 1976 dal Pretore di Abbiategrasso nel procedimento per sequestro conservativo promosso da Benaglia S.p.a. contro la Cassa Conguaglio Zucchero, iscritta al n. 299 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 230 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa l'11 luglio 1982 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Burin Paola e Mauscieri Giovanni, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 232 dell'anno 1983

Visti gli atti di costituzione della S.p.a. Benaglia nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1984 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Abbiategrasso con ordinanza del 15 luglio 1976 (r.o. n. 299/1977) ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 17 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (disciplina delle imposte sul bollo) nella parte in cui "assoggettano all'imposta di bollo gli atti formati dai privati in procedimenti giurisdizionali nei confronti dello Stato o di altri enti pubblici e relativi a rapporti tributari".

Dubita il giudice a quo che tali disposizioni ledano il principio di uguaglianza tra le parti del processo e il diritto di difesa e violino altresì i diritti inviolabili dell'uomo garantiti dalle convenzioni internazionali che lo Stato italiano ha sottoscritto.

2. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha rilevato innanzitutto l'inammissibilità della questione per manifesta irrilevanza, essendo stata sollevata in un ordinario procedimento di sequestro conservativo che non si collega affatto ad una controversia tributaria. Inoltre nel caso di specie non esiste - secondo l'Avvocatura - alcuna disparità di posizioni processuali giacché alla parte privata (Società Benaglia) si contrappone la Cassa Conguaglio Zucchero, che é tenuta all'osservanza della Legge sul bollo allo stesso modo del privato.

Nel merito, comunque, secondo la difesa dello Stato, la questione sarebbe infondata. Innanzitutto l'imposizione del bollo non é certamente una manifestazione del solve et repete, essendo completamente distinta da quella di cui si domanda il rimborso (nella specie contributo di conguaglio dovuto ai sensi della normativa comunitaria in materia agricola, la cui natura tributaria é assai dubbia).

In secondo luogo la condizione di parità delle parti nel processo non sarebbe mai pregiudicata dall'imposta di bollo, che non limita il diritto di tutela giurisdizionale in condizioni di uguaglianza, come questa Corte ha avuto occasione di affermare (sentenza n. 41/1972).

Introdurre eccezioni, al contrario, si risolverebbe in un ingiustificato privilegio, quando fosse parte convenuta un'Amministrazione dello Stato o di enti ad essa parificati.

3. - Con ordinanza dell'11 luglio 1982 (r.o. n. 165/1983) il Pretore di Torino ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale - in relazione agli artt. 53, 24, primo e secondo comma, e 3 della Costituzione - dell'art. 2, commi primo e secondo, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (già impugnato sotto altro profilo nella questione di cui al par. 1), nella parte in cui assoggetta all'imposta di bollo i documenti che vengono prodotti in un ordinario procedimento giurisdizionale.

Secondo il giudice a quo tale disposizione violerebbe il principio della capacità contributiva, non rapportando il valore dell'imposta all'entità del servizio reso dallo Stato; lederebbe altresì i principi di difesa, disincentivando il ricorso alla giustizia, e di uguaglianza, prescindendo dal valore della controversia e discriminando arbitrariamente i procedimenti ordinari rispetto a quelli di lavoro, che sono esenti dall'imposta.

4. - Anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo in primis che gli atti siano rimessi al giudice a quo per un nuovo giudizio sulla rilevanza alla luce dello jus superveniens, rappresentato dal d.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955, che - sostituendo integralmente la norma impugnata (art. 2) - ha sottratto gli atti da produrre in un giudizio dalla soggezione all'imposta di bollo, limitando il caso d'uso dei documenti, cui é collegato l'obbligo del tributo, unicamente alla loro presentazione all'Ufficio del registro per la registrazione.

Nel merito la questione sarebbe comunque infondata, essendosi più volte la Corte costituzionale pronunciata su questioni analoghe, riconoscendo la legittimità di norme che impongono oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui confronti si eserciti una attività di giudizio (ved. sent. n. 41/1972).

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 53, il principio della capacità contributiva non esclude che singole imposte possano essere dovute in misura fissa, quando si verifichi il presupposto dell'imposizione.

Né la mancata limitazione dell'imposta - prosegue la difesa dello Stato - in rapporto al valore della causa violerebbe il principio di uguaglianza, in quanto l'imposizione tributaria in misura proporzionale al valore della causa (o meglio a quello delle domande accolte) avviene in sede di registrazione della sentenza.

Alcun raffronto può infine essere fatto con i procedimenti di lavoro, trattandosi di materia del tutto particolare che la stessa Costituzione (art. 1) ha fatto oggetto di uno speciale interesse, collegato al valore sociale di tali controversie.

Considerato in diritto

1. - Il d.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955, intervenuto successivamente alle due ordinanze di rimessione, ha innovato la disciplina sull'imposta di bollo, quale era prevista dagli impugnati artt. 2, 17 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642.

Non ha modificato, invece, la norma contenuta nell'art. 1 del predetto decreto, ugualmente impugnato nell'ordinanza del Pretore di Abbiategrasso, che afferma il principio generale della soggezione all'imposta di bollo degli atti, documenti e registri indicati nella tariffa annessa alla legge, con esclusione degli atti legislativi ed anche degli atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e dei loro consorzi, se non espressamente previsti nella tariffa.

2. - La prima questione, pertanto, che la Corte é chiamata a decidere é se il predetto art. 1, rimasto immutato dopo la novellazione, contrasti o meno con l'art. 24 della Costituzione nella parte in cui assoggetta all'imposta di bollo gli atti che si formano nei procedimenti giurisdizionali (ordinanza n. 299 r.o. 1977 del Pretore d Abbiategrasso), con particolare riguardo agli atti formati dai privati in procedimenti giurisdizionali nei confronti dello Stato o di altri Enti pubblici e relativi a rapporti tributari.

Ritiene il giudice a quo che l'assoggettamento a detta imposta sarebbe in via analogica una applicazione della regola del solve et ripete (codificata a suo tempo dall'art. 6, secondo comma, Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E) che questa Corte ha dichiarato incostituzionale (sentenza n. 21/1961).

3. - La questione non é fondata.

Nessuna analogia é riscontrabile tra l'assoggettamento all'imposta di bollo e l'antica regola del solve et repete, in quanto mentre il primo costituisce un onere patrimoniale di carattere generale - che non ha alcun rapporto con l'oggetto della controversia - imposto alla generalità dei soggetti quando questi vogliano agire in sede giurisdizionale, la seconda rappresentava invece un onere particolare imposto a chi agisse in giudizio contro il fisco per negare una propria obbligazione tributaria e - con il prescrivere il previo adempimento di detta obbligazione - era strettamente connessa con l'oggetto della lite, invertendo così il principio giuridico generale per cui qualsiasi prestazione pretesa dalla controparte, in tanto é dovuta, nel caso di contestazione, in quanto ne sia stata accertata l'esistenza in sede giurisdizionale.

Supporre detta analogia - come argomenta il giudice a quo - per farne discendere il dubbio che l'assoggettamento all'imposta violi l'art. 24 della Costituzione, equivale sostanzialmente a contestare la legittimità costituzionale, in relazione a detto parametro, di qualsiasi onere patrimoniale a carico di chi intenda agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi.

Questa Corte ha già avuto più volte occasione di affermare che la giurisdizione é sì una funzione fondamentale dello Stato, ma da ciò non si può dedurre che la Costituzione imponga, in via generale, una garanzia di gratuità della protezione giudiziaria. Al contrario, proprio il terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, nel prevedere che ai non abbienti siano assicurati i mezzi per agire e difendersi in giudizio, muove ovviamente dal presupposto che sia costituzionalmente legittimo imporre oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui riguardi é esercitata un'attività di giustizia. Cosicché quando leggi ordinarie gravano di oneri patrimoniali chi agisce in giudizio non violano solo per questo norme della Costituzione (sentenza n. 41/1972).

4. - Per quanto attiene invece alle censure relative agli artt. 2 (collegato all'art. 17), 17 e 19 del d.P.R. n. 642/1972 sollevate in entrambe le ordinanze di rimessione, le modificazioni apportate a detti articoli dalla nuova normativa introdotta dal d.P.R. n. 955/1982 rendono necessaria la restituzione degli atti ai giudici a quibus per un riesame della rilevanza delle questioni proposte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione dal Pretore di Abbiategrasso (ord. n. 299 r.o. 1977), nella parte in cui assoggetta all'imposta di bollo gli atti formati da privati in procedimenti giurisdizionali;

ordina la restituzione degli atti ai giudici remittenti per un riesame della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 17 e 19 del medesimo d.P.R. n. 642/1972, da essi sollevate (ordinanze n. 299 r.o. 1977 e 165 r.o. 1983), alla luce della normativa sopravvenuta con il d.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1984.

 

 Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1984.