Sentenza n.249 del 1984

 

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SENTENZA N. 249

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Testo unico delle leggi sul credito fondiario), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 aprile 1976 dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Lecce nella procedura esecutiva contro Lombardo Anna, iscritta al n. 562 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1978; .

2) ordinanza emessa il 7 ottobre 1982 dal Tribunale di Lecco nella procedura esecutiva contro la Cooperativa EdiliziaVega, iscritta al n. 873 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 142 dell'anno 1983.

Visti gli atti di costituzione della Sezione autonoma di Credito fondiario della Banca Nazionale del Lavoro e del Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1984 il Giudice relatore Giovanni Conso;

uditi l'avv. Franco Cosenza per la Sezione Autonoma di Credito fondiario della Banca Nazionale del Lavoro e gli avvocati Franco Vitale e Domenico Guidi per il Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Sezione autonoma di Credito fondiario della Banca Nazionale del Lavoro concedeva ai fratelli Montinari un mutuo ipotecario: l'operazione veniva formalizzata in due rogiti rispettivamente del 16 aprile 1968 e dell'8 luglio 1969.

L'8 settembre 1969 i Montinari alienavano a Lombardo Anna una porzione dell'immobile. Il 12 ottobre 1969 l'acquirente decedeva.

Due mesi dopo veniva notificata alla Sezione autonoma, ad istanza della Lombardo, una dichiarazione di subingresso nel possesso e nel godimento di una quota dell'immobile ipotecario. Tale dichiarazione conteneva anche elezione di domicilio presso la segreteria della casa comunale di Lecce, ai sensi dell'art. 20 del testo unico delle leggi sul credito fondiario.

Il 20 maggio 1970, il 29 maggio 1970 e il 4 giugno 1970 nei pubblici registri immobiliari venivano trascritti, su richiesta degli eredi della Lombardo, tre separati atti di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario.

Il 15 maggio 1971, a seguito della morosità nel pagamento delle rate di mutuo, l'istituto di credito notificava alla Lombardo Anna, nel domicilio eletto, atto di precetto. Circa due mesi dopo veniva redatta, in calce all'atto di pignoramento, una relazione di omessa notificazione alla debitrice nel suo ex domicilio di Lecce, risultando la stessa deceduta da circa un anno". L'atto di pignoramento veniva poi notificato, a norma dell'art. 141 c.p.c., presso la casa comunale di Lecce, "suo domicilio suppletivo eletto". Con analoghe modalità si procedeva alla notifica dell'avviso di cui all'art. 485 c.p.c. relativamente al decreto in data 4 ottobre 1973, con il quale il giudice dell'esecuzione aveva disposto, ai sensi dell'art. 569 c.p.c., l'udienza per l'audizione delle parti. Accertato il decesso della debitrice, veniva, quindi, nominato, in sua sostituzione, un nuovo custode giudiziario. Sempre nei confronti della Lombardo si procedeva alla notifica, presso la casa comunale di Lecce, dell'avviso riguardante l'ora e il giorno in cui si sarebbe proceduto alla immissione in possesso del nuovo custode.

Pervenuta a tal punto la procedura esecutiva, il Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce, con ordinanza dell'8 aprile 1976, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 20, quarto e quinto comma, del testo unico delle leggi sul credito fondiario, approvato con regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, per il quale - anche secondo la lettera e l'interpretazione fatta propria da questa Corte con la sentenza n. 61 del 1968 - gli atti del procedimento esecutivo possono essere diretti unicamente contro e in nome del de cuius, con sostanziale assenza dal giudizio tanto di quest'ultimo, perché non più in vita, quanto dei successori, perché non evocati in giudizio (salvo l'eventuale loro spontaneo intervento), non essendo l'istituto obbligato a "citarli in causa", stante l'espressa esenzione risultante dall'ultimo comma della disposizione censurata.

La rilevanza della proposta questione risulterebbe evidente nel procedimento esecutivo in corso, non potendo tale "giudizio" essere definito senza la soluzione della proposta questione. E ciò per l'originario difetto di contraddittorio derivante dall'assenza sia del soggetto passivo della pretesa (essendo questo deceduto) sia di chiamati in causa e di ogni altro soggetto passivamente legittimato (successori, chiamati in causa in sua vece). A tale difetto non potrebbe, peraltro, ovviarsi mediante l'integrazione, d'ufficio, del contraddittorio (prevista per il solo processo di cognizione), ai sensi dell'art. 102 c.p.c., né imponendo all'istituto l'obbligo di compiere un'attività giudiziaria non dovuta (la notifica del precetto e del pignoramento agli eredi).

Evidenziate "alcune insormontabili complicazioni del già lacunoso e disorganico sistema esistente", deduce il giudice a quo che le disposizioni impugnate vulnerano il principio di eguaglianza sia per gli ingiustificati privilegi attribuiti agli enti esercenti il credito fondiario rispetto alla generaltà dei creditori ipotecari, sia per la situazione di particolare soggezione in cui si troverebbero gli aventi causa da un debitore di tali enti rispetto agli aventi causa da qualunque altro debitore ipotecario.

Sotto il primo profilo la norma impugnata, lungi dal riconoscere solo uno specifico diritto "speciale", manterrebbe in vita un assurdo sistema processuale, del tutto svincolato dalle "norme generali del codice di procedura civile, applicabili alla generalità dei soggetti di diritto": i privilegi ingiustificati che caratterizzano tale disciplina contrasterebbero con le esigenze proprie del processo esecutivo, con la logica del vigente sistema, oltre che con il senso di giustizia quale emerge dai principi costituzionali; e ciò in quanto si consente l'instaurazione di un "giudizio" nei confronti di un soggetto di diritto non più esistente (viene richiamata la sentenza n. 61 del 1968) con la creazione di un rapporto processuale "abnorme" "anzi, unilaterale e pertanto non più tale" - posto che i diritti e le obbligazioni facenti capo al de cuius sono stati trasferiti agli eredi o, al più, sono stati convogliati in un altro centro di interessi (l'eredità giacente). Il vigente sistema processuale prevede, del resto, espressamente agli artt. 602 e seguenti c.p.c., modi e termini dell'espropriazione contro il proprietario di un bene ipotecato per debito altrui.

La disciplina contenuta nella norma impugnata consente così la permanenza, nel sistema, di un vero e proprio privilegio che si traduce nel sovvertimento dei principi generali in tema di notifiche, principi i quali presuppongono che destinatario di esse sia persona che, concretamente o astrattamente, possa prendere conoscenza del contenuto dell'atto notificato (il compito del domiciliatario, nel caso di elezione di domicilio, cessa con la morte della persona che ha eletto il domicilio).

Sotto il secondo profilo si osserva, da un lato, che gli eredi - proprietari del bene e soggetti effettivamente espropriati - "non hanno diritto a ricevere, in proprio, per effetto della denunciata norma, la notifica (del titolo esecutivo), del precetto, del pignoramento, né ad essere evocati nel processo che li vedrà privati del loro diritto di proprietà": situazione assolutamente inspiegabile perché molte volte il titolo derivativo della proprietà é stato - come nella specie - regolarmente trascritto e, quindi, l'istituto può, con la "normale" diligenza, conoscere il nome dei proprietari al momento della notifica dell'atto di precetto, conseguentemente dirigendo contro di essi gli atti esecutivi; si rileva, dall'altro, che nella speciale procedura consentita dall'art. 20 del testo unico n. 646 del 1905 vengono vanificate tutte le norme del codice di procedura civile che prevedono l'audizione del debitore proprietario o l'esercizio di prerogative, diritti o difese spettanti allo stesso.

La disciplina impugnata sarebbe anche violativa - ma per ragioni parzialmente diverse da quelle esaminate dalla sentenza n. 61 del 1968 - dell'art. 24 Cost.

Premesso che il diritto di difesa presuppone, nella materia civile, l'effettiva e concreta possibilità del suo esercizio senza oneri e condizioni o, comunque, senza modalità di fruizione tali da poterlo comprimere o addirittura sopprimere, il giudice a quo sostiene che la notificazione giudiziale all'istituto, da parte dei successori, di un atto di subingresso nel "possesso" e nel "godimento" del bene ipotecato (che nulla avrebbe a che fare col diritto di proprietà contro cui l'esecuzione forzata si dirige) costituisce un onere tale che, se non adempiuto, comporta la completa privazione del diritto di difesa degli onerati, tanto da condizionarne l'assolutezza e la priorità.

Il giudice a quo sottopone a critica alcune delle argomentazioni contenute nella più volte citata sentenza n. 61 del 1968 di questa Corte. In primo luogo, quella secondo cui la subordinazione della diretta e immediata conoscenza del processo esecutivo all'adempimento dell'onere di cui all'art. 20, ultimo comma, del testo unico n. 646 del 1905, rientrerebbe nell'ambito di un complesso di disposizioni volte ad assicurare il buon funzionamento del credito e, quindi, non sarebbe lesiva dell'art. 24 Cost.: l'indicata finalità verrebbe ugualmente salvaguardata col sostituire al vigente un diverso regime normativo, postulante l'obbligo a carico degli istituti di credito fondiario di osservare, come ogni comune cittadino, tutti i principi generali di diritto, agendo in executivis contro gli aventi causa del debitore defunto, "quanto meno nella misura in cui i relativi nominativi fossero rilevabili", come nel presente giudizio, dai pubblici registri immobiliari. In secondo luogo, quella da cui si trae la conseguenza che, avvenendo la notificazione nel domicilio eletto nell'istrumento di mutuo, "non é escluso" che gli interessati abbiano diretta conoscenza del processo esecutivo che li riguarda: per il giudice a quo l'art. 24 non appare rispettato nei confronti degli eredi, in quanto conferisce loro la mera possibilità di conoscenza di una procedura esecutiva che, se pur formalmente resa inter alios, li riguarda direttamente sul piano sostanziale, essendo essi, anche nel caso di accettazione con beneficio di inventario, gli attuali debitori iure successionis. Quella, infine, per la quale i successori del defunto debitore esecutato hanno "larghe possibilità di venire a conoscenza" del processo esecutivo: l'enorme difficoltà concreta per gli aventi causa (specie quando - come nella specie - risiedano lontano dal luogo ove é posto l'immobile) di effettuare periodiche visite ipotecarie per accertare se siano o meno intervenute trascrizioni (di pignoramenti) contro il loro dante causa ed in favore dell'istituto e di richiedere periodiche informazioni presso il domiciliatario per conoscere se vi sia stata, a nome del loro dante causa, notifica di precetto, pignoramento o avviso ex art. 485, in relazione all'art. 569 c.p.c. - cui fa da riscontro l'impossibilità dei sistemi di pubblicità ordinaria e straordinaria di assolvere, sul piano pratico, la funzione di notiziare dell'esistenza del processo chi non risiede nel circondario dell'ufficio giudiziario innanzi al quale si procede - rende, secondo il giudice a quo, del tutto ipotetico il rispetto delle garanzie difensive.

In conclusione, l'integrale attuazione del precetto di cui all'art. 24, secondo comma, Cost. richiede "la piena e formale conoscenza della esistenza del processo", cui non é equiparabile la mera "agevole conoscibilità" dello stesso, giacché, se il diritto di difesa é inviolabile, esso deve essere "pienamente" e non solo "sufficientemente" garantito.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 46 del 1978.

Si é costituita la Sezione autonoma di Credito fondiario della Banca Nazionale del Lavoro, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe e Franco Cosenza, con atto di deduzioni depositato nella cancelleria di questa Corte, chiedendo che venga dichiarata l'inammissibilità o, comunque, l'infondatezza della proposta questione.

L'inammissibilità deriverebbe dalla assenza di poteri decisori nel giudice dell'esecuzione.

Secondo l'Istituto, poiché la sede esecutiva propriamente detta non può essere qualificata sede contenziosa, il giudice dell'esecuzione non é chiamato a jus dicere, ma, essendo investito della sola funzione di dirigere e condurre a termine il procedimento esecutivo, può compiere meri "atti strumentali, o finali di esso" (tanto che in caso di opposizione deve rimettere le parti avanti al tribunale cui é addetto). Non é legittimato, quindi, a promuovere (come non lo é il giudice istruttore civile), ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, una questione di legittimità costituzionale (viene citata la sentenza n. 112 del 1964).

Quanto al merito, la difesa, richiamate la giurisprudenza di questa Corte sul principio di eguaglianza e le sentenze n. 166 del 1963 e n. 61 del 1968, rileva come debba escludersi che la norma impugnata dia vita ad un privilegio esoso, giacché la speciale posizione in cui, in virtù della detta norma, vengono a trovarsi i mutuatari degli istituti di credito rispetto a coloro che contraggono mutui in genere, avendo una sua precisa e concreta giustificazione, non dà luogo ad alcuna arbitraria discriminazione. La differenza di disciplina tra mutui ipotecari comuni e mutui fondiari deriva dal fatto che nei secondi, a differenza che nei primi, non é l'ente mutuante che deve preoccuparsi di conoscere il nome dello o degli eredi, "ma compete all'erede o agli eredi... farsi conoscere mediante la giudiziale notifica del passaggio di proprietà". Una tale inversione dell'onere "del conoscere" o "farsi conoscere" non crea, però, una disparità di trattamento e, se la crea, é insindacabile dalla Corte, "poiché diretta dal legislatore, con i suoi poteri insindacabili, non ad personam ma ad una categoria, di mutuatari per mutui fondiari".

La pretesa disuguaglianza non potrebbe mai essere ricercata nelle argomentazioni proposte dal giudice a quo sia perché le formalità indicate dall'ordinanza di rimessione non possono essere esercitate contro persona che più non esiste; sia perché per l'istituto di credito fondiario non assume rilievo "il debitore ipotecato" ma la "ditta iscritta" (e questa conserva immutata la figura di "ditta iscritta" fino a che altra "ditta iscritta", succeduta nel possesso e godimento del bene ipotecato, non abbia giudizialmente notificato "la verificatasi variazione"); sia, infine, perché l'avente causa da un mutuatario "per mutuo fondiario" può evitare le presunte anormali conseguenze e vanificazioni di norme con l'osservanza di altra norma posta a suo carico (notificazione del passaggio di proprietà), che non può ritenersi esosa e vessatoria, essendo di facilissima e semplicissima attuazione, e può, in ogni caso, fermare "conseguenze e vanificazioni" intervenendo (art. 20, ultimo comma) nel processo. Del resto, la norma censurata é stata mantenuta integra dall'art. 5 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7.

Quanto alla prospettata violazione dell'art. 24 Cost., l'Istituto deduce che analoga censura é stata già ritenuta insussistente da questa Corte con la sentenza n. 61 del 1968, la quale, "con una ricca ed esauriente elencazione delle innumerevoli formalità e pubblicità che devono precedere la vendita", ha chiarito "come l'erede abbia larghe possibilità di venire a conoscenza direttamente o attraverso incaricati dell'amministrazione dei suoi beni... dell'iniziato procedimento esecutivo e abbia possibilità (sol che lo voglia) di provvedere alla sua difesa".

La necessità - prospettata nell'ordinanza di rimessione - che gli istituti di credito fondiario siano tenuti ad osservare, come ogni comune cittadino, tutti i principi generali di diritto, agendo esecutivamente contro gli aventi causa del debitore defunto, quanto meno nella misura in cui i nominativi siano rilevabili dai pubblici registri immobiliari, non appare, secondo la difesa, argomento rilevante sul piano della legittimità costituzionale, posto che, di fronte al "comune cittadino", sta una categoria di "altri cittadini": allorché determinate norme sono dirette a una categoria di destinatari, le norme stesse non sono sindacabili.

Nel giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Analoghe a quelle dedotte dalla difesa dell'istituto di credito sono le argomentazioni svolte dall'Avvocatura sia con riguardo alla denunciata carenza di legittimazione del giudice a quo a sollevare questione di legittimità costituzionale sia con riguardo al merito.

Sotto il secondo aspetto, viene puntualizzato - relativamente all'assunta violazione dell'art. 24 Cost. - che i principi enunciati nella sentenza n. 61 del 1968 appaiono riferibili soprattutto al caso di specie, nel quale gli credi ben per tempo si erano fatti vivi per accettare l'eredità, ancorché con beneficio d'inventario, e bene, quindi, sapevano o dovevano sapere che quella parte del compendio ereditario era gravata da mutuo ipotecario.

2. - Nel corso della espropriazione immobiliare promossa dal Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde contro la Cooperativa edilizia "Vega", il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Lecco - premesso che l'istituto procedente aveva iniziato e proseguito l'espropriazione immobiliare nei confronti del mutuatario, originario debitore, ai sensi dell'art. 20, quarto comma, del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, pur se, ancor prima dell'inizio dell'espropriazione forzata, l'immobile, gravato da ipoteca a garanzia del mutuo fondiario, era stato venduto a terzi i quali avevano provveduto, tempestivamente (e sempre prima dell'inizio dell'espropriazione), a trascrivere presso la conservatoria dei registri immobiliari di Lecco il loro titolo d'acquisto, e che l'istituto mutuante, su rilievo del giudice dell'esecuzione in ordine alla necessità d'informare dell'esistenza del procedimento gli attuali proprietari, non aveva ritenuto di attivarsi in tal senso in quanto l'art. 20 del regio decreto n. 646 del 1905 non impone alcun onere di estensione del contraddittorio all'attuale proprietario del bene ipotecato - con ordinanza del 7 ottobre 1982, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3 Cost., questione di legittimità dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, articolo che consente all'istituto mutuante di espropriare l'immobile gravato da garanzia ipotecaria e di compiere tutti gli atti inerenti nei confronti del "debitore inscritto", cioé del debitore che ha beneficiato del mutuo, anche se, nel frattempo, questi abbia venduto il bene.

Con riguardo alle censure in cui viene assunto come parametro l'art. 24, secondo comma, Cost., anche il giudice a quo deduce che non sembrano persuasivi gli argomenti svolti dalla sentenza n. 61 del 1968 di questa Corte. Tra l'altro, l'onere imposto dall'art. 20, primo comma, del testo unico delle leggi sul credito fondiario, potrebbe essere stato adempiuto dall'acquirente, ma quest'ultimo, non essendo notiziato del procedimento, non sarebbe in grado né di dichiarare di averlo adempiuto, né di far valere le proprie difese, né di scegliere di pagare i ratei scaduti del mutuo. Il regime di pubblicità cui sono soggetti il pignoramento, l'istanza di vendita e l'ordinanza di vendita (ex art. 490 c.p.c.) costituiscono.- secondo il giudice a quo - un valido e logico supporto ove si intenda "notiziare" del corso della procedura persone indeterminate o non individuate: appare, invece, inadeguato nel caso in cui vi siano persone ben individuate che abbiano un interesse immediato e diretto ad intervenire nel procedimento. Altrettanto insufficiente si rivela a riequilibrare il sistema la possibilità per il proprietario dell'immobile di proporre "opposizione di terzo" ex art. 619 c.p.c. (possibilità richiamata nella sentenza n. 61 del 1968), in quanto, nel caso di specie, non vi é contestazione sul diritto di proprietà, pacificamente appartenente al terzo, il quale, al più, ove conoscesse l'esistenza della procedura, potrebbe intervenirvi ma non sarebbe legittimato a proporre opposizione alcuna (l'istituto mutuante non agisce, infatti, contro l'originario debitore perché erroneamente lo ritiene proprietario, ma in quanto l'art. 20 del regio decreto n. 646 del 1905 gli consente di espropriare quel bene come se proprietario fosse ancora il mutuatario).

L'art. 3 risulterebbe violato perché non sarebbe ravvisabile un'adeguata motivazione idonea a giustificare le ragioni per cui il regime di "pubblicità-notizia", cui sono sottoposti i beni immobili, non esplichi i suoi effetti anche nei confronti dell'istituto di credito fondiario, benché i registri immobiliari siano facilmente consultabili.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 1983.

Si é costituito il Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Vella, Franco Vitale e Domenico Guidi, con atto di deduzioni depositato nella cancelleria di questa Corte.

In via preliminare la difesa dell'istituto di credito ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile in quanto fondata sul presupposto dell'omesso avviso della procedura esecutiva ai terzi acquirenti, presupposto da ritenersi erroneo sulla base della documentazione prodotta contestualmente all'atto della costituzione nel presente giudizio (una tale produzione si era resa impossibile nel giudizio a quo perché fra l'udienza in cui il giudice si era riservato di provvedere sull'istanza tendente a far disporre la vendita - momento in cui non sembrava sussistere alcun dubbio di costituzionalità - e l'emanazione dell'ordinanza con la quale é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale non intercorsero altre udienze).

Nel merito si afferma che, in relazione all'art. 24, secondo comma, Cost., la questione dovrebbe essere dichiarata manifestamente infondata in quanto già decisa dalla Corte con la sentenza n. 61 del 1968 e, in relazione all'art. 3 Cost., non fondata.

Scendendo all'esame delle argomentazioni prospettate nell'ordinanza di rimessione, deduce la difesa dell'Istituto che privo di consistenza si rivela l'assunto secondo cui - qualora il terzo acquirente avesse provveduto a notificare il proprio acquisto in applicazione dell'art. 20 del regio decreto n. 646 del 1905, e ciò nonostante l'ente creditore avesse, contravvenendo al disposto del terzo comma, proceduto contro il debitore mutuatario anziché contro il terzo acquirente e notificante - quest'ultimo, in quanto non notiziato della esecuzione, non avrebbe potuto eccepire la violazione commessa dal creditore pignorante. E ciò in quanto, mentre, da un lato, non potrebbe fondarsi una questione di legittimità costituzionale sul mancato rispetto dei precetti contenuti nella norma impugnata, dall'altro, secondo il diritto processuale comune, se l'esecuzione immobiliare risulti promossa e proseguita contro un soggetto diverso dal proprietario che ha trascritto il proprio titolo di acquisto, la vendita forzata non comporta il trasferimento del diritto di proprietà.

L'ulteriore argomento dedotto dal giudice a quo, secondo cui il regime di pubblicità ad incertam personam - previsto dal codice di rito per il pignoramento, per l'istanza di vendita e per l'ordinanza che la dispone - non sarebbe sufficiente a tutelare i creditori iscritti, i quali, nell'espropriazione di rito comune debbono essere avvisati personalmente ai sensi degli artt. 498 e 569, ultimo comma, c.p.c., oltre a rivelarsi del tutto inconferente al caso di specie per non essersi la situazione descritta assolutamente realizzata, sarebbe anche inconsistente, giacché l'art. 20 del testo unico n. 646 del 1905 mai é stato interpretato nel senso che esso esima gli istituti di credito fondiario dall'obbligo di avvisare, con le forme imposte dall'art. 498, secondo comma, c.p.c., i creditori ipotecari iscritti.

L'ultima argomentazione addotta dal giudice a quo per contestare la legittimità della norma impugnata alla stregua dell'art. 24, secondo comma, Cost., e cioé quella secondo cui la possibilità per il proprietario di proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. non apparirebbe adeguata a "riequilibrare il sistema", non essendovi contestazione sul diritto di proprietà, sarebbe anch'essa priva di fondamento, in quanto basata su una disattenta lettura della sentenza n. 61 del 1968, nella quale non venne ipotizzata la proposizione della opposizione di terzo da parte del proprietario contro il quale non fosse stata diretta l'esecuzione, per non aver egli notificato l'avviso previsto dall'art. 20 del testo unico, ma "di altro terzo " che avesse avanzato pretese sul bene oggetto di espropriazione.

Con riferimento alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost., deduce in primo luogo la difesa dell'Istituto procedente che, non essendo concepibile l'acquisto di un bene immobile senza il previo accertamento dei gravami ipotecari a cui lo stesso immobile sia stato assoggettato, ben lieve é l'onere imposto all'acquirente che abbia accertato l'esistenza di un'ipoteca concessa a favore di un istituto di credito, onere che si esaurisce nella mera notificazione al credito fondiario iscritto di un avviso contenente l'elezione di domicilio. A fronte dell'adempimento di tale onere così poco gravoso, stanno le notevoli agevolazioni procedurali consentite al credito fondiario, in caso d'inadempienza da parte del mutuatario o dei suoi successori: non soltanto sono evitati il costo e le lungaggini di visure ipotecarie e catastali, ma - agevolazione ancor più importante - anche la ricerca (che può essere spesso tutt'altro che agevole e immediata) della sede o residenza o domicilio attuale del proprietario, in quanto la norma impugnata impone l'elezione di un domicilio presso il quale poter notificare gli atti esecutivi. Tutto ciò per consentire il più rapido realizzo della garanzia ipotecaria in caso d'inadempienza, in armonia con altre numerose norme contenute nel testo unico n. 646 del 1905 (artt. 18, 19, 43, 40, 41, 42, primo e secondo comma), come del resto questa Corte ebbe a statuire con la sentenza n. 211 del 1976.

La sollecita riscossione delle rate di ammortamento non pagate é, prosegue la difesa, esigenza imprescindibile per la sopravvivenza dell'istituzione, in quanto quella riscossione consente agli istituti di credito di far fronte, verso i portatori dei titoli emessi per la provvista, all'obbligo del "non riscosso per riscosso" loro imposto dall'art. 32, ottavo comma, del regio decreto n. 646 del 1905. L'esistenza di un tale obbligo di carattere eccezionale riscontrabile, peraltro, oltre che a carico degli istituti di credito fondiario, solo nei confronti dell'esattore delle imposte dirette, esige ed abbondantemente giustifica norme speciali, peraltro contenenti lievi deviazioni dalla norma comune e confermate dal successivo legislatore (art. 5 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7).

La difesa dell'istituto procedente indica, infine, un'altra norma, che consente di non dirigere l'azione esecutiva nei confronti degli attuali titolari di diritti reali di godimento: si tratta dell'art. 2812 c.c., ai sensi del quale il creditore ipotecario può far subastare la cosa ignorando le servitù e i diritti di usufrutto, di uso e di abitazione trascritti successivamente all'iscrizione dell'ipoteca: anche i titolari di tali diritti non ricevono alcun avviso dal creditore ipotecario generico, mentre ove si tratti di un istituto di credito fondiario potranno costringerlo ad agire anche nei loro confronti, semplicemente provvedendo alla notificazione prevista dall'art. 20.

Pure in questo giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Riprodotte, sostanzialmente, le deduzioni sub 1 (anche con riguardo alla carenza di legittimazione del giudice a quo), rileva l'Avvocatura che gli argomenti precedentemente sviluppati valgono a maggior ragione per il caso di specie, nel quale si é in presenza di trasferimento inter vivos.

In particolare, con riguardo alle specifiche censure, si deduce: che la semplice costatazione che all'onere di notificazione all'istituto mutuante dell'avvenuta cessione ci si riferisce come ad una mera eventualità, consente di non tenerne alcun conto, non essendo possibile ricollegare una questione di legittimità costituzionale a mere ipotesi astratte ed ipotetiche; che l'affermazione secondo cui il regime di pubblicità sarebbe inadeguato e non garantirebbe la conoscenza del procedimento da parte del proprietario dell'immobile espropriato s'incontra in una mera rappresentazione subiettiva del giudice a quo, ampiamente confutata dalla sentenza n. 61 del 1968; che le speciali garanzie apprestate dalla legge per gli istituti di credito fondiario contro le inadempienze dei mutuatari sono dirette al fine di assicurare, attraverso la più rapida e agevole realizzazione del credito, il buon funzionamento del meccanismo creditizio, nell'interesse non soltanto degli istituti ma anche di coloro che del credito fondiario e agrario hanno necessità di servirsi.

In prossimità dell'udienza la difesa del Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde ha depositato una breve memoria, nella quale sostanzialmente si ribadiscono le argomentazioni esposte nell'atto di costituzione.

Considerato in diritto

1. - L'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Testo unico delle leggi sul credito fondiario), già oggetto di verifica da parte di questa Corte (v. la sentenza n. 61 del 1968, che ha dichiarato non fondata una questione di legittimità dei suoi commi quarto e quinto in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.), si trova sottoposto a nuovo vaglio di legittimità costituzionale su iniziativa sia del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce sia del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco.

Più precisamente, la prima delle ordinanze in epigrafe denuncia gli stessi due commi al centro dell'intervento precedente, mettendone in discussione i rapporti con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., mentre quella successiva coinvolge l'intero art. 20 del decreto n. 646 del 1905, richiamandosi anch'essa agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.

Poiché l'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, pone ai "successori a titolo universale o particolare del debitore e agli aventi causa" l'onere di notificare giudizialmente all'istituto di credito fondiario "come essi sono sottentrati nel possesso e godimento del fondo ipotecario" (primo comma), con la precisazione che per la prova del trasferimento basterà l'esibizione dei relativi documenti autentici "(secondo comma), aggiungendo subito dopo che" in virtù di siffatta notificazione "l'istituto procederà contro" essi successori o aventi causa... nel modo stesso come avrebbe proceduto contro l'originario debitore "(terzo comma), mentre "in mancanza di tale notificazione" tutti gli atti giudiziali "possono essere diretti contro il debitore inscritto" (quarto comma), salva per i successori, gli aventi causa o i terzi la possibilità di "intervenire nel giudizio", peraltro "senza obbligo nell'Istituto di citare in causa gli altri interessati e non intervenuti" (quinto comma), un rilievo emerge con immediatezza: i cinque commi di cui si compone l'articolo in esame appaiono così strettamente collegati tra loro che le sorti di questo o di quel comma non possono non riverberarsi sulle sorti di tutti gli altri. Pertanto, le questioni poste dalle due ordinanze di rimessione risultano sostanzialmente coincidenti, donde la riunione dei relativi giudizi al fine di deciderli con un'unica sentenza.

2. - In entrambi i casi, é stata eccepita in via preliminare l'inammissibilità delle questioni.

Nel giudizio relativo alla questione di legittimità sollevata dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce, tanto la parte privata costituita (Sezione autonoma di Credito fondiario della Banca Nazionale del Lavoro) quanto l'Avvocatura dello Stato hanno posto in dubbio la legittimazione del giudice dell'esecuzione civile a promuovere questioni davanti a questa Corte. Nel giudizio relativo alla questione di legittimità sollevata dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco, l'Avvocatura dello Stato ha reiterato le perplessità sulla legittimazione del giudice dell'esecuzione civile, mentre la parte privata costituita (Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde), allegando una serie di documenti ignoti al giudice a quo, ha parlato di inammissibilità "in quanto il giudizio medesimo non sarebbe stato promosso qualora il giudice a quo avesse potuto prendere atto" di essi.

Nessuna delle due eccezioni così prospettate appare suscettibile di accoglimento.

Non lo é la prima, perché, alla stregua di ciò che questa Corte ha ampiamente precisato con la sentenza n. 211 del 1976, i due giudici a quibus erano certamente legittimati a sollevare nella specie questione di costituzionalità, trattandosi entrambe le volte dell'applicazione di una normativa avente diretta incidenza sul corso dell'espropriazione, durante una fase di esclusiva spettanza del giudice dell'esecuzione, data l'assenza di ogni presupposto atto a provocare l'intervento decisorio del tribunale.

Tanto meno può essere accolta la seconda eccezione, perché, a parte qualsiasi altra considerazione sul tipo di pronuncia ricollegabile al suo eventuale accoglimento, la documentazione allegata, avendo per oggetto alcune informative intercorse tra i soggetti interessati, non riguarda in alcun modo il giudizio sulla norma. La produzione di documenti é sì consentita nel giudizio di legittimità costituzionale, a condizione, però, che si tratti di documenti "relativi al giudizio di legittimità costituzionale" (art. 3 norme integrative): attinenti, quindi, al significato ed alla portata della norma sottoposta a giudizio, non alle circostanze fattuali della controversia oggetto del procedimento instaurato dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria.

3. - Quanto al merito, l'esistenza del già ricordato precedente sui rapporti tra l'art. 20, quarto e quinto comma, del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, e l'art. 24, secondo comma, Cost., induce a prendere anzitutto in esame la questione che, con riferimento a questo parametro costituzionale, viene riproposta da entrambe le ordinanze.

A tale proposito la parte costituita nel giudizio originato dall'ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco (Credito fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde) ha richiesto espressamente una declaratoria di manifesta infondatezza, dal momento che le motivazioni dell'ordinanza non sarebbero "tali da esigere un riesame della questione".

Detto assunto si rivela, però, troppo sbrigativo, non appena si consideri che i due giudici a quibus, avendo ben presente la sentenza n. 61 del 1968, si sono dati apertamente e largamente carico di contrapporre alle argomentazioni addotte a sostegno di quella declaratoria di non fondatezza osservazioni critiche sulle quali non ci si può non soffermare.

Si aggiunga che, mentre la fattispecie all'origine del precedente intervento di questa Corte, riguardando una successione mortis causa, aveva polarizzato l'indagine sulle parti dell'art. 20 del decreto n. 646 del 1905 relative a tale tipo di successione, questa volta alla base delle ordinanze di rimessione vi sono, da un lato, una fattispecie di successione mortis causa e dall'altro, una fattispecie di successione inter vivos.

4. - Pur così sottoposta a nuovo esame, la questione deve dirsi egualmente non fondata.

Le osservazioni dei giudici a quibus si appuntano in prevalenza sui passaggi della motivazione della sentenza n. 61 del 1968 dedicati ad argomenti di mero contorno a quello - cruciale - secondo cui "la norma che condiziona la possibilità di diretta ed immediata conoscenza del processo esecutivo, da parte dei detti successori ed aventi causa, all'adempimento dell'indicato onere, non può dirsi posta in violazione dell'art. 24, comma secondo, Cost.".

Così si dica per le critiche rivolte ad affermazioni quali: a) "la notificazione degli atti... al domicilio eletto nell'instrumento di mutuo... rende possibile e comunque non esclude che gli interessati abbiano diretta conoscenza del processo esecutivo che li riguardi"; b) "é attraverso il compimento degli atti (anche se sono stati diretti ai sensi del testo unico) della procedura esecutiva che i successori ed aventi causa vengono ad essere adeguatamente posti in grado di aver conoscenza della procedura esecutiva stessa e di proporre nel processo esecutivo, o in quello di opposizione, le loro ragioni e difese. Per convincersene, basti pensare al fatto che il pignoramento va trascritto ...; che dell'istanza di vendita deve essere data pubblica notizia a norma dell'art. 490 c.p.c.;... e che alla pubblicità prevista dal citato art. 490 é soggetta l'ordinanza di vendita"; c) "secondo le norme di diritto comune, é assicurata la partecipazione al processo di codesti soggetti qualora venga proposta opposizione di terzo, attesa l'esistenza di un litisconsorzio necessario tra l'opponente, il creditore procedente ed il debitore esecutato (e, a seguito della morte di questo, i suoi successori ed aventi causa)".

Più precisamente, i giudici a quibus obiettano: all'affermazione sub a) che "la inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento - costituzionalmente garantita - non pare integralmente tutelata per gli eredi dalla mera possibilità ('non é escluso che...') di conoscenza dell'esistenza in atto di un processo - formalmente inter alios - ma che sostanzialmente li riguarda" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce); all'affermazione sub b) che "la pubblicità ordinaria... e quella straordinaria... non assolvono per niente, sul piano pratico, a rendere nota l'esistenza del processo a chi non risieda nel circondario dell'ufficio giudiziario innanzi al quale si procede" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce) e che, comunque, "il regime di pubblicità 'ad incertam personam ' di cui sopra non sembra adeguato a garantire la conoscenza del procedimento da parte del proprietario dell'immobile espropriato" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco); all'affermazione sub c) che la possibilità per il proprietario dell'immobile di avvalersi dell'opposizione di terzo appare insufficiente allo scopo "in quanto, nel caso di specie, non vi é contestazione sul diritto di proprietà" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco).

Ciò, tuttavia, non viene ad inficiare l'argomento centrale della sentenza n. 61 del 1968, come non lo inficia il rilievo che l'onere imposto dal decreto n. 646 del 1905 "potrebbe essere stato adempiuto dall'acquirente il quale, non essendo notiziato del procedimento, neppure potrà dichiararlo" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco): inopinate deviazioni nell'applicazione concreta di una norma non valgono ad incrinare l'eventuale aderenza ai principi costituzionali dei suoi contenuti. Non può, infine, essere condivisa nella sua drastica assolutezza l'asserzione che "il concetto di inviolabilità del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. comporta che l'effettiva e concreta possibilità di esercizio della stessa non tolleri, in materia civile, oneri e condizioni o, comunque, modalità di fruizione tali da poterla comprimere o addirittura eliminare" (v. ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce): l'importante é che l'onere. la condizione o la modalità di fruizione si ricolleghi ad una situazione di agevole rilevazione (come lo é, nel caso, l'esistenza di un'ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo fondiario) e risulti di facile adempimento (come lo é, nel caso, la notificazione giudiziale richiesta dal primo comma dell'art. 20 del decreto n. 646 del 1905).

Basta assolvere tempestivamente questo non pesante onere per veder prevenuti in partenza gli inconvenienti ai quali, specie nel caso di morte del debitore originario, un processo esecutivo svolgentesi con la sola partecipazione del creditore andrebbe sicuramente incontro nei vari momenti del suo iter. Con il che perdono di rilievo ai fini della presente decisione tutte le difficoltà che l'ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce minuziosamente elenca nelle premesse della sua ordinanza, citando la lunga serie di disposizioni del codice di procedura civile che risulterebbero praticamente svuotate di significato nell'assenza continuata dell'attuale proprietario dell'immobile ipotecato dal processo esecutivo. Del resto, proprio perché richiamate tutte soltanto in via di premessa, nessuna di tali disposizioni é stata resa oggetto d'incidente di legittimità, rimanendo così al di fuori del thema decidendum.

5. - Nuova del tutto é, invece, la questione che involge i rapporti dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, primo comma, Cost.

Anche tale questione non é fondata.

Il Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce la prospetta sotto un duplice profilo, chiamando in causa con il primo gli "ingiustificati privilegi di cui godono gli enti esercenti il Credito fondiario rispetto alla generalità dei creditori ipotecari" e con il secondo "la situazione di particolare soggezione in cui si trovano gli aventi causa da un debitore dei richiamati enti rispetto agli aventi causa da un qualunque altro debitore ipotecario".

In realtà, volti come sono a denunciare disparità di trattamento nell'ambito dei rapporti nascenti da contratti di mutuo, i due profili altro non sono che il diritto ed il rovescio di un medesimo problema, a seconda, cioé, che lo si prenda in considerazione dal punto di vista dei creditori (come preferisce fare il Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco) o dal punto di vista di coloro che subentrano nella posizione di debitore.

Sintetizzando, la differenza che l'art. 20 del decreto n. 646 del 1905 determina tra gli istituti di credito fondiario e gli altri creditori ipotecari (così come, dal lato passivo, tra i debitori dei primi ed i debitori dei secondi) non troverebbe, per usare le sintetiche espressioni dell'ordinanza emessa dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco, "un'adeguata motivazione idonea a giustificar(la)", data la facilità di consultazione dei registri immobiliari anche per gli istituti di credito fondiario, non meno che per gli altri creditori ipotecari.

Come questa Corte (v. sentenza n. 166 del 1963, poi ribadita, sia pure su un diverso piano, dalla più volte richiamata sentenza n. 61 del 1968) ha già avuto modo di sottolineare in ordine ai rapporti con l'art. 3 Cost. di un'altra norma contenuta nello stesso regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 - si trattava, allora, dell'art. 39 e della condizione risolutiva dei contratti di credito fondiario ivi automaticamente prevista per il caso di ritardato pagamento anche solo parziale del credito scaduto - "le speciali garanzie assicurate agli istituti di credito fondiario e agrario dalla norma impugnata rispondono a particolari esigenze di questo settore". Il fine, si precisava, é quello "di assicurare, attraverso la più rapida e agevole realizzazione, il buon funzionamento del meccanismo del credito, nell'interesse non soltanto degli istituti ma anche di coloro che del credito fondiario e agrario hanno necessità di servirsi". Il che può senz'altro ripetersi nei confronti dell'art. 20, sostanzialmente meno gravoso per il debitore ed ugualmente preordinato a semplificare al massimo le iniziative degli istituti di credito fondiario: si pensi a tutti gli atti, compresi quelli di rinnovazione di ipoteche, di interruzione della loro prescrizione, di sequestro, d'ingiunzione di pagamento, d'immissione dell'Istituto in possesso, di subastazione e di aggiudicazione, che - come espressamente specificato nel quarto comma dell'articolo in esame, anche ai fini del comma successivo (esclusione di qualsiasi obbligo per l'Istituto di citare in causa gli altri interessati in caso di volontario intervento del successore o avente causa) - possono essere diretti contro il debitore originario quando manchi la notificazione dell'avvenuto subentro nel possesso da parte del successore o avente causa.

6. - Benché non esplicitato nella parte che l'ordinanza del Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce dedica all'enunciazione dei dubbi sulla legittimità dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, "con riferimento al principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 Cost." - dubbi polarizzati, come si é visto, su profili attinenti a disparità di trattamento "rispetto" alla generalità dei creditori ipotecari o, rovesciando le posizioni, "rispetto" alla generalità di quanti succedono in un debito ipotecario - dal contesto delle argomentazioni relative a detti profili un altro emerge con tale chiarezza che la Corte non può esimersi dall'occuparsene.

Ne é oggetto pur sempre la tematica dei rapporti tra l'art. 20 del decreto n. 646 del 1905 e l'art. 3 Cost., affrontata, però, non tanto sotto la prospettiva di una ingiustificata disparità di trattamento con situazioni analoghe, quanto sotto la prospettiva dell'irrazionalità intrinseca del trattamento delineato dalla norma ordinaria in questione.

Fortemente sintomatico si dimostra al riguardo l'insistere dell'ordinanza sul mantenimento in vita di "un assurdo sistema processuale completamente svincolato dalle norme generali", sul suo contrastare "con la logica del vigente sistema", sull'"abnormità" di un rapporto processuale "unilaterale", sul "sovvertimento di numerosi e pacifici principi elementari di diritto", su "una finzione giuridica che va oltre i limiti del concepibile" essendo "diretta ad instaurare un simulacro di processo". Ma una precisazione si impone subito: queste valutazioni tanto drastiche sono formulate con esplicito riferimento alla fattispecie della successione mortis causa, quale verificatasi nel caso concreto, caratterizzato da un'accettazione dell'eredità con il beneficio d'inventario, ed all'avvenuta instaurazione della procedura esecutiva contro il debitore defunto. Il che comporterebbe, anzitutto, una delimitazione della lamentata irrazionalità alla parte o, meglio, alle parti dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, relative agli eredi e ai legatari del debitore iscritto.

Ma, anche così delimitato, il discorso non può essere condiviso. Non va, infatti, dimenticato che ad avere motivo di dolersi dell'anomala incompletezza del rapporto processuale esecutivo così instaurato nei confronti del debitore originario defunto dovrebbe essere proprio chi gli é succeduto nel rapporto di debito. Orbene, anomalia ed incompletezza si ricollegano strettamente al suo mancato attivarsi nel notificare all'istituto di credito l'evento successorio. Senza contare che il quinto comma dell'art. 20 dà ai successori la possibilità di intervenire in qualunque momento nel processo esecutivo instaurato contro il de cuius.

7. - Tutto questo non significa che la norma di favore per gli istituti di credito fondiario non possa venire cancellata dall'ordinamento, con la conseguenza di vincolare anche tali istituti ad agire esecutivamente contro chi sia subentrato nella posizione del debitore originario. Ciò specialmente in presenza delle ipotesi, senza dubbio più delicate, di successione mortis causa e, comunque, in relazione ai nominativi rilevabili dai pubblici registri immobiliari. Si tratta, peraltro, di scelte di opportunità rimesse all'esclusiva valutazione del legislatore. Ancora di recente, come vale forse la pena di rimarcare, nell'esercizio della delega conferita al Governo dall'art. 2, ultima parte, della legge 16 ottobre 1975, n. 492 ("armonizzare le disposizioni del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, con le norme stabilite dall'art. 11 del decreto-legge 13 agosto 1975, n. 376, come modificato dalla presente legge di conversione, per assicurare alle emissioni di obbligazioni da parte degli istituti e sezioni di credito fondiario ed edilizio e delle sezioni autonome per il finanziamento di opere pubbliche e di impianti di pubblica utilità le stesse caratteristiche e modalità delle altre emissioni obbligazionarie degli enti esercenti il credito a medio e lungo termine e per adeguare il regime giuridico dell'organizzazione e dell'attività degli istituti e sezioni medesime"), il d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, ha precisato all'art. 5 che "rimangono immutate le disposizioni di cui all'art. 20" del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, nel mentre ha abrogato altre disposizioni dello stesso testo unico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 20 del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecce e dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Lecco con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1984.

 

 Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 14 novembre 1984.