Sentenza n 223 del 1984

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SENTENZA N. 223

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti promossi con ricorsi dei Presidenti delle Regioni Veneto, Toscana, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, notificati il 24 marzo e il 16 aprile 1976; il 16-17 ottobre 1980 e il 6-7 luglio 1981; il 16 ottobre 1980; il 18 dicembre 1980; depositati in cancelleria il 9 e 27 aprile 1976; il 28 ottobre 1980 e il 13 luglio 1981; il 24 ottobre 1980; il 27 dicembre 1980; ed iscritti ai nn. 16, 17, 18, 19, 20, 24 e 25 del registro 1976; ai nn. 29 e 30 del registro 1980 e al n. 29 del registro 1981; al n. 28 del registro 1980; al n. 35 del registro 1980: ricorsi per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei decreti ministeriali con i quali sono state costituite le riserve naturali di "Valle Imperina", "Monti del Sole", "Monte Pavione", "Schiara occidentale", "Valle Scura", "Piani Eterni-Errera-Val Falcina" e "Vette Feltrine" (Regione Veneto); "Oasi della Laguna di Orbetello di Ponente", "Lago di Burano", "Laguna di Ponente di Orbetello (parte) "(Regione Toscana); " Bosco WWF di Vanzago " (Regione Lombardia); "Foresta di Tarvisio" (Regione Friuli-Venezia Giulia).

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 febbraio 1984 il Giudice relatore Giovanni Conso;

uditi gli avv.ti Guido Viola per la Regione Veneto, Enzo Cheli per la Regione Toscana, Gaspare Pacia per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con sette ricorsi di identico contenuto, notificati cinque il 24 marzo 1976 e due il 16 aprile 1976, la Regione Veneto ha sollevato conflitto nei confronti dello Stato, chiedendo "dichiararsi di esclusiva competenza della Regione la attribuzione costituzionale di istituire riserve naturali nelle foreste già ricomprese nel patrimonio forestale dello Stato e ricadenti nell'ambito del territorio della Regione Veneto" ed il conseguente annullamento dei decreti del Ministro per la agricoltura e le foreste 20 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 31 gennaio 1976), 29 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 27 gennaio 1976), 20 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 28 gennaio 1976), 29 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 10 febbraio 1976), 20 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 27 gennaio 1976), 29 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 26 febbraio 1976) e 29 dicembre 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 56 del 2 marzo 1976), decreti costitutivi, rispettivatnente, delle riserve naturali "Valle Imperina 5" in comune di Rivamonte, "Monti del Sole" nei comuni di Sedico e Sospirolo, "Monte Pavione" in comune di Sovramonte, "Schiara Occidentale" in comune di Sédico, "Valle Scura" in comune di S. Giustina Bellunese, "Piani Eterni-Errera- Val Falcina" nei comuni di Cesiomaggiore, S. Giustina, Gosaldo e Sospirolo e "Vette Feltrine" nei comuni di Sovramonte, Cesiomaggiore, Feltre e Pedavena.

Premette la ricorrente che il Ministero delle finanze, con nota del 28 aprile 1972, aveva inviato uno schema di decreto, predisposto di concerto col Ministero per l'agricoltura e le foreste, ed un elenco di beni forestali appartenenti allo Stato da trasferirsi alla Regione ai sensi dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, richiedendo al Consiglio regionale di far conoscere le proprie osservazioni in merito; che, con deliberazione del 22 settembre 1972, il Consiglio, lamentando, fra l'altro, che lo schema di decreto non facesse cenno alcuno alle riserve naturali e alle stazioni forestali, aveva espresso parere contrario in quanto, senza alcuna motivazione, si intendeva trasferire al patrimonio regionale solo parte del patrimonio forestale della Regione: aveva perciò richiesto il trasferimento delle aree di spettanza della ricorrente non comprese in tale schema di decreto; che, con nota del 13 novembre 1973, il Ministero per l'agricoltura e le foreste aveva giustificato le limitazioni proposte con l'intrasferibilità alla Regione, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 281 del 1970, di quei beni che non avessero caratteristiche colturali e produttive forestali, quali, fra gli altri, i terreni - boscati o non - classificati in riserve naturali: e ciò non soltanto perché si tratterebbe di "beni strumentali connessi all'attuazione di compiti statali" ma anche perché le riserve naturali - al pari dei parchi nazionali - "vengono sottratte per i loro valori estetici, scientifici ed ecologici di raro pregio alla utilizzazione produttiva propria dei beni forestali".

Secondo la ricorrente, quindi, lo Stato, pur non avendo provveduto ad emanare i decreti di individuazione dei beni forestali trasferiti, aveva costituito le predette riserve su beni forestali da trasferire adottando decreti ministeriali "evidentemente preordinati" all'esclusione dal trasferimento dei beni forestali costituiti in riserva naturale: tutto ciò sarebbe avvenuto in base ad un'errata interpretazione della legge 16 maggio 1970, n. 281, e del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, con conseguente invasione della sfera di competenza attribuita alla Regione Veneto "a norma dell'art. 117 in relazione all'art. 119 della Costituzione medesima, dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e degli artt. 1, 4 e 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11".

Tutti i beni oggetto dei decreti impugnati dovrebbero essere qualificati come foreste ai sensi delle norme vigenti in materia e conseguentemente trasferiti alle regioni "perché le norme sul trasferimento non contengono, al riguardo, alcuna distinzione": nessun rilievo rivestirebbe il fatto che tali beni siano preordinati a fini di pubblica utilità di portata nazionale, dato che questi fini non sarebbero in contrasto con quelle utilità che i beni procurano alla collettività in quanto foreste appartenenti alle regioni. D'altro canto, la Corte costituzionale avrebbe escluso, con le sentenze n. 79 del 1972 e n. 219 del 1972, che la istituzione di riserve naturali su beni forestali da parte dello Stato sia compatibile con il disposto del quinto comma dell'art. 11 della legge n. 281 del 1970.

Rileva, infine, la Regione che il d.P.R. n. 11 del 1972 sul trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste stabilisce che il decreto stesso ha effetti, per quanto riguarda il trasferimento delle funzioni amministrative, dalla data fissata nel decreto legge 28 dicembre 1971, n. 1121, convertito nella legge 25 febbraio 1972, n. 15, e cioé dal 1 aprile 1972: i decreti ministeriali che hanno costituito le riserve naturali oggetto dei sette ricorsi sono stati invece emanati dopo la scadenza di detto termine " invadendo la sfera di competenza della Regione".

In tutti i sette giudizi si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Deduce preliminarmente l'Avvocatura che nulla dispongono i decreti impugnati in ordine alla proprietà dei terreni inclusi nelle riserve naturali (l'art. 3 di ognuno di tali provvedimenti si limiterebbe ad accennare solo alla loro " tutela " e " gestione " che vengono attribuite all'Azienda di Stato per le foreste demaniali in relazione ai prevalenti interessi nazionali coinvolti); pertanto, ogni questione relativa al trasferimento delle foreste al patrimonio regionale (quali che possano essere gli intendimenti manifestati dal Ministero per la agricoltura e le foreste con la nota 13 novembre 1973, che non é l'atto impugnato) non può essere sollevata in questa sede (cioé in sede di impugnazione dei provvedimenti aventi per oggetto la costituzione di riserve naturali) ma dovrà essere affrontata soltanto in sede di eventuale ricorso avverso il decreto di trasferimento delle foreste in relazione ad eventuali esclusioni.

Il vero dispositivo dei decreti impugnati sarebbe contenuto nell'art. 2 di ciascuno di essi, che permette l'accesso nei terreni costituiti in riserve solo per studio, fini educativi, escursioni naturalistiche, compiti amministrativi e di vigilanza, ricostruzione di equilibri naturali. Un tale potere del Ministero non verrebbe contestato né rivendicato dalla Regione la cui impugnativa si limiterebbe ad affermare il diritto al proprio patrimonio delle foreste incluse nelle riserve.

Inoltre, l'appartenenza allo Stato del potere in effetti esercitato con i decreti impugnati sarebbe stata riconosciuta dalla Corte con la sentenza n. 142 del 1972, la quale, respingendo le censure mosse all'art. 4, lettere s e h, del d.P.R. n. 11 del 1972, ritenne essere legittimamente conservata allo Stato la competenza in materia di interventi in difesa dell'ambiente a prevenzione di ogni specie di danni provenienti da eventi naturali o da opera dell'uomo.

Comunque, ove fosse possibile controllare l'esattezza di quanto osservato nella nota del 13 aprile 1973 circa la non trasferibilità alle regioni di terreni compresi in riserve naturali, il controllo darebbe esito positivo.

Se gli interventi per la protezione della natura, ai quali é diretto l'istituto della riserva naturale, rientrano nella competenza statale e non in quella regionale, dovrebbe escludersi il trasferimento alle regioni dei terreni relativi. Il trasferimento delle foreste previsto dall'art. 11 della legge n. 281 del 1970, comportandone l'appartenenza al patrimonio indisponibile, dimostra che il trasferimento si spiega in quanto si tratta di beni strumentali ai fini dello svolgimento delle funzioni proprie delle regioni. Ma quando una foresta sia legittimamente sottratta alla utilizzazione produttiva propria dei beni forestali, della quale é titolare la regione a norma dell'art. 118 Cost., e destinata invece al conseguimento di fini che rientrano nelle funzioni proprie dello Stato, ciò sarebbe sufficiente ad escludere la sua appartenenza al patrimonio indisponibile regionale.

La Regione Veneto ha successivamente depositato nella cancelleria di questa Corte una memoria con la quale ha preliminarmente contestato i dubbi, avanzati dall'Avvocatura Generale dello Stato, circa l'ammissibilità dei ricorsi, deducendo che con tali ricorsi non é stata prospettata una vindicatio rerumma, esplicitamente, una invasione della sfera di competenza regionale.

Quanto al merito, ha ribadito le considerazioni svolte nel ricorso introduttivo rilevando che, secondo la giurisprudenza della Corte (sentenze n. 79 del 1972 e n. 219 del 1972), la legittimazione a provvedere all'imposizione di vincoli forestali di destinazione permaneva nello Stato solo fino all'effettivo trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative.

Se - conclude la ricorrente - "risulta pacifico che non esistono eccezioni al trasferimento delle foreste, comprese quelle sulle quali lo Stato ha esercitato, prima del trasferimento delle funzioni amministrative, la facoltà di imposizione di tutela di riserva naturale (art. 1, lett. n, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11)" e se "il trasferimento delle funzioni amministrative nella materia di cui alla lettera n dell'art. 1 é avvenuto, in forza di quanto dispone l'art. 21 del citato d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, dalla data fissata nel decreto legge 28 dicembre 1971 n. 1121 (e cioé dal 1 aprile 1972)", é certo che i decreti impugnati, essendo stati emanati dopo la scadenza del detto termine, hanno invaso la competenza della Regione Veneto.

  1. - Con due ricorsi, notificati il 16 e il 17 ottobre 1980, la Regione Toscana ha sollevato conflitto nei confronti dello Stato in relazione ai due decreti emanati dal Ministro per la agricoltura e le foreste l'8 agosto 1980 e il 13 agosto 1980 (pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 20 agosto 1980), aventi ad oggetto, il primo l'"Istituzione della riserva naturale dell'Oasi della Laguna di Orbetello di Ponente" ed il secondo l'"Istituzione della riserva naturale Lago di Burano", provvedimenti entrambi motivati con riferimento al d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448 (concernente l'esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971), ai decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste in data 9 maggio 1977 (che hanno dichiarato tali aree zone umide di valore internazionale) e all'importanza naturalistica del biotopo. La Regione deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 117 Cost. e degli artt. 66, primo comma, e 83, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", e, "in ipotesi... dell'art. 3, primo comma, legge 22 luglio 1975, n. 382, e dell'art. 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616".

Con la censura prospettata in via principale la ricorrente rileva che l'art. 117 Cost. e il d.P.R. n. 616 del. 1977 hanno riservato alle regioni (art. 66, primo comma), nell'ambito della materia "agricoltura e foreste", le competenze amministrative concernenti "gli interventi di protezione della natura comprese l'istituzione di parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide" e che tali attribuzioni risulterebbero confermate anche con riferimento alla materia "urbanistica", in relazione alla quale lo stesso d.P.R. n. 616 del 1977 ha stabilito il trasferimento alle regioni ordinarie delle funzioni amministrative concernenti " gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali". In forza di tali previsioni, la disciplina fissata in precedenza dall'art. 4, lettera h, del d.P.R. n. 11 del 1972, che riservava allo Stato " gli interventi per la protezione della natura, salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato", risulterebbe ormai superata, spettando esclusivamente alle regioni ordinarie, secondo la legislazione ora vigente, l'"istituzione" di riserve naturali.

Né avrebbe alcun rilievo il fatto che l'istituzione delle riserve di cui ai ricorsi sarebbe venuta ad involgere l'esercizio di una competenza suscettibile d'impegnare internazionalmente lo Stato. Anche al fine di evidenziare la differenza sostanziale del caso in esame rispetto alla fattispecie oggetto della sentenza n. 123 del 1980 di questa Corte, la ricorrente sottolinea, anzi tutto, che entra in gioco la competenza di una regione a statuto ordinario (non a statuto speciale, come nel caso deciso dalla ora indicata decisione), competenza specificamente prevista e disciplinata dal d.P.R. n. 616 del 1977; in secondo luogo, l'attività riconosciuta dalla Corte come internazionalmente rilevante ai fini dell'esecuzione della Convenzione di Ramsar risulterebbe essersi esaurita e completata attraverso le precedenti dichiarazioni del valore internazionale delle zone umide della Laguna di Orbetello e del Lago di Burano operata con i decreti ministeriali del 6 agosto 1977; infine, la istituzione di una riserva naturale nell'ambito della zona umida già "designata" dallo Stato in attuazione dell'art. 2 della Convenzione non rappresenterebbe l'esecuzione diretta di un obbligo internazionale, ma solo un elemento aggiuntivo di " tutela " della zona umida, rispetto a cui permarrebbe la distribuzione interna delle competenze fissata dall'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977.

Nessun rilievo potrebbe essere assegnato, prosegue la ricorrente, al richiamo al quarto comma dell'art. 83 dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977, che conferma la potestà del Governo, nell'ambito della funzione di indirizzo e coordinamento, "di individuare nuovi territori nei quali istituire riserve naturali e parchi di carattere interregionale", giacché tale potestà non potrebbe concernere parchi o riserve "nuove di livello infraregionale", riguardando soltanto i parchi e le riserve che possono assumere una dimensione sovraregionale. L'interpretazione che volesse distinguere nell'art. 83 le "riserve naturali" dai "parchi" al fine di riferire soltanto a questi ultimi il requisito dell'"interregionalità", condurrebbe, infatti, secondo la Regione, a determinare un'insanabile antinomia con l'art. 66, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977, dal momento che l'"istituzione" delle riserve naturali infraregionali verrebbe, in questo caso, contestualmente a spettare sia alle regioni sia al Governo centrale.

Con riguardo alle violazioni prospettate in via subordinata, la Regione osserva che, ove la Corte ritenesse di affermare che i decreti ministeriali istitutivi delle indicate riserve naturali siano stati adottati nell'ambito delle funzioni di indirizzo e coordinamento spettanti al Governo come esercizio della competenza prevista dall'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, ai fini della individuazione dei "nuovi territori nei quali istituire riserve naturali", ne discenderebbe comunque la violazione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, essendo stato emesso, nella specie, l'atto di indirizzo e di coordinamento non con le forme prescritte da tale disposizione (e cioé, nei casi in cui non si intenda provvedere con legge od atto equivalente, mediante una delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con il ministro o i ministri competenti) ma avvalendosi di un semplice decreto ministeriale.

Si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo la reiezione dei ricorsi.

Deduce l'Avvocatura che l'art. 4, lettera h, del d.P.R. n. 11 del 1972, il quale riservava allo Stato la competenza in materia di interventi per la protezione della natura (salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato), non sarebbe stato sul punto sostanzialmente modificato dal d.P.R. n. 616 del 1977, che ha incluso tra le funzioni amministrative trasferite alle regioni in materia di agricoltura e foreste anche gli interventi di protezione della natura, compresa l'istituzione di parchi e riserve naturali; la Corte costituzionale, con la sentenza n. 123 del 1980, avrebbe confermato tale interpretazione, stabilendo che l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 rimette la disciplina delle riserve naturali dello Stato già esistenti ad una legge statale e fa altresì salva, al terzo comma, la potestà per il Governo, "nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, di individuare i nuovi territori nei quali istituire riserve naturali": il legislatore avrebbe voluto, cioé, secondo la Corte, lasciar ferma la competenza dello Stato, delimitando correlativamente le funzioni trasferite alle regioni in ordine a quella prima e delicata fase dell'intervento degli organi pubblici per la protezione della natura che consiste nell'individuare le aree da proteggere, tenendo conto degli interessi e delle esigenze ecologiche da tutelare. Quando, poi, il provvedimento sia posto in funzione di un vincolo internazionale, la competenza statale sarebbe, comunque, piena ed esclusiva. Ed un tale tipo di competenza sarebbe stata esercitata dallo Stato con i due provvedimenti impugnati giacché i terreni da essi individuati erano già stati dichiarati di valore internazionale, ai sensi della Convenzione di Ramsar, con i precedenti decreti ministeriali del 9 maggio 1977, venendo così (sin d'allora) esclusa ogni competenza regionale nella disciplina del vincolo imposto in esecuzione di una convenzione internazionale: i due decreti costituirebbero niente altro che prosecuzione e specificazione del vincolo imposto nel 1977 e tenderebbero a rendere omogenea la disciplina delle zone umide vincolate in esecuzione della Convenzione di Ramsar con quella delle altre riserve naturali dello Stato ed a permettere gli interventi, anche finanziari, previsti dalle leggi interne.

Il vincolo imposto con tali ultimi decreti sarebbe, del resto, secondo l'Avvocatura, "conforme alla destinazione già precedentemente impressa alle medesime zone dai rispettivi proprietari"; entrambe le riserve erano, infatti, gestite dal World Wildlife Fund: di qui un'ulteriore ragione per riconoscere, ai sensi del secondo comma dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, la competenza statale contestata dalla Regione Toscana, trattandosi "di riserve già esistenti, di fatto, oltre che in forza dei provvedimenti amministrativi del 1977, alla data di entrata in vigore del d.P.R. suddetto".

Tutti gli elementi via via indicati porterebbero a collocare le due riserve tra quelle di carattere interregionale, riserve per le quali la competenza statale risulterebbe conservata dal quarto comma dell'art. 83.

Quanto al vizio formale denunciato dalla ricorrente, l'Avvocatura deduce che esso non potrebbe tradursi in una lesione della sfera di competenza regionale; tale vizio, comunque, non sarebbe sussistente. Se é vero infatti che la competenza relativa all'individuazione dei nuovi territori nei quali istituire riserve naturali resterebbe attribuita alla esclusiva competenza dello Stato "nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento", vero é altresì che l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 non dispone che la competenza in parola deve essere esercitata nelle forme previste dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975.

In ogni caso, il rinvio a tale art. 3 resterebbe superato dalla legge 27 dicembre 1977, n. 984, che avrebbe disciplinato autonomamente modi e forme per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento degli interventi pubblici nei settori dell'agricoltura e, in particolare, in quello della tutela dell'ambiente. La disciplina così posta, osservata nella specie, costituirebbe comunque la deroga - espressamente prevista dallo stesso art. 3 della legge n. 382 del 1975 - alle disposizioni procedimentali contenute in questa disposizione.

  1. - Con ricorso notificato il 6 e il 7 luglio 1981, la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione avverso il decreto emanato dal Ministro per l'agricoltura e le foreste di concerto con il Ministro della marina mercantile il 15 aprile 1981, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 dell'11 aprile 1981, istitutivo della riserva naturale di popolamento animale "Laguna di Ponente di Orbetello (parte)", provvedimento ritenuto anch'esso invasivo della sfera di attribuzioni della Regione.

Alle censure prospettate nei ricorsi sub 2 si aggiungono le dedotte violazioni:

  1. a) dell'art. 118 Cost.: secondo la ricorrente, avendo l'art. 78, lettera a, del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuito ai comuni, in collaborazione con le regioni, le funzioni amministrative in materia di interventi per la protezione della natura, non vi sarebbero dubbi che tali funzioni siano da considerare, ai sensi della indicata norma costituzionale, di interesse locale;
  2. b) degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione agli artt. 66 e 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, anche in riferimento all'esecuzione della Convenzione di Ramsar, giacché il richiamo del decreto impugnato agli artt. 1 e 4 di tale convenzione determinerebbe un collegamento fra l'istituzione della riserva naturale e la dichiarazione di zona umida di importanza internazionale per la Laguna di Ponente di Orbetello. Ma la parte della Laguna di Ponente di Orbetello nella quale é stata istituita la riserva naturale in questione (ha. 950) non coincide con quella parte della medesima Laguna di Orbetello (parte nord, ha. 887 circa, oggetto di una delle due precedenti impugnative) dichiarata zona umida di valore internazionale con il decreto ministeriale 9 maggio 1977. La Convenzione di Ramsar prevede, sì, la costituzione di riserve naturali anche nelle zone umide non incluse nell'elenco da essa stessa istituito, ma presuppone che tali zone abbiano le caratteristiche per essere incluse nell'elenco: l'assenza di tale presupposto e di una formale dichiarazione della importanza internazionale della zona umida - anche nello stesso provvedimento impugnato - escluderebbe che lo Stato abbia esercitato la sua competenza nell'ambito della Convenzione di Ramsar.

D'altro canto, pur ammettendo che il decreto ministeriale 15 aprile 1981 fosse ritenuto atto di esercizio di una tale competenza, l'istituzione delle riserve naturali rimarrebbe di spettanza delle regioni di diritto comune anche quando si riferisca a zone umide: e ciò ai sensi dell'art. 66, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977;

  1. c) degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 6, 66 e 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 anche in relazione alla direttiva comunitaria del 2 aprile 1979.

Nell'ipotesi che lo Stato avesse esercitato una sua competenza in relazione agli obblighi internazionali e agli obblighi comunitari richiamati nelle premesse del decreto impugnato, si dovrebbe ritenere ugualmente lesa la competenza regionale, perché, mentre, da un lato, l'art. 6, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 ha trasferito alle regioni le funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti e delle direttive comunitarie, dall'altro, non risulta che lo Stato abbia in alcun modo sollecitato la Regione Toscana a prendere iniziative in ordine alla tutela della Laguna di Ponente di Orbetello ai fini di cui al terzo comma dell'art. 6 del medesimo d.P.R.. Lo Stato, anzi, non avrebbe in alcun modo consultato la Regione Toscana (ed una consultazione sarebbe stata necessaria - per la ricorrente - anche nel caso in cui lo Stato avesse ritenuto di esercitare la sua competenza in tema di esecuzione di obblighi internazionali) in ordine all'opportunità di tutelare la Laguna mediante l'istituzione di una riserva naturale.

Si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato. Ribadito il contenuto dei precedenti atti difensivi, l'Avvocatura ha eccepito, con riferimento alle ulteriori censure, che l'art. 4 della Convenzione di Ramsar, espressamente richiamato nelle premesse del decreto impugnato, "impegna le parti contraenti a creare riserve naturali per favorire la conservazione delle zone umide e della selvaggina, anche se si tratti di zone non inserite nella lista in esecuzione di una convenzione internazionale".

La Regione ricorrente ha depositato brevi note con le quali, dopo aver ribadito che vizi formali e procedimentali possono essere dedotti in sede di conflitto di attribuzione quando le norme violate siano poste - come nella specie, ove il potere é stato esercitato mediante atti di indirizzo e coordinamento - a tutela delle posizioni di autonoma costituzionalmente garantite, ha contestato che il World Wildlife Fund avesse già ottenuto in concessione, fin dal 1973, la riserva naturale della Laguna di Orbetello: in tale epoca erano stati concessi, infatti, solo alcuni immobili situati nella Laguna, al fine di installarvi un "Centro studi e ricerche per la conservazione della natura".

  1. - Con ricorso notificato il 16 ottobre 1980 la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione in relazione al decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste in data 13 agosto 1980, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 20 agosto 1980, istitutivo della riserva naturale "Bosco WWF di Vanzago".

La Regione denuncia "violazione degli artt. 118 e 117 della Costituzione, anche in relazione all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dell'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382".

Deduce la ricorrente che l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha disposto il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve e i parchi naturali, pone a tale regola due sole eccezioni riguardanti, da un lato, i parchi e le riserve dello Stato già esistenti alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977 e, dall'altro, l'istituzione di nuove riserve naturali e parchi di carattere interregionale: nessuna delle due eccezioni ricorrerebbe nella specie, trattandosi di una "nuova" riserva naturale situata in un territorio "interamente" compreso nella Regione Lombardia (anzi, nella sola provincia di Milano).

Né basterebbe a giustificare l'atto governativo il fatto che nel medesimo territorio fosse già stata istituita circa un anno prima, con delibera del Consiglio regionale, una riserva naturale locale ai sensi dell'art. 4 della legge regionale 17 dicembre 1978, n. 58. In realtà, per la ricorrente, il decreto ministeriale impugnato tenderebbe pur sempre a sovrapporre ad una disciplina derivante da un provvedimento della Regione una disciplina diversa (di fonte statale): essa sembra, altresì, voler assegnare alla riserva una finalità particolare ("di popolamento animale") non prevista dal provvedimento regionale ed, infine, regolare in modo autonomo l'accesso alla riserva, senza tener conto delle diverse norme vincolistiche già operanti nel territorio per effetto della classificazione disposta dalla Regione.

Risulterebbero evidenti i risultati che il provvedimento ministeriale vuole ottenere: "introdurre sul territorio in questione vincoli ulteriori e aggiuntivi rispetto a quelli posti dalla Regione"; e ciò in contrasto con l'avvenuto trasferimento alle regioni di ogni competenza sugli interventi per la protezione della natura, le riserve e i parchi.

Non varrebbe replicare, prosegue la ricorrente, che il decreto fa salve (art. 3) le "competenze regionali": non solo perché tale salvezza é prevista soltanto" nell'ambito del rispetto della riserva naturale e delle finalità da essa perseguite secondo il decreto ministeriale", ma anche perché l'evento immediatamente lesivo della competenza regionale sarebbe questo stesso decreto, "ossia gli effetti che esso produce come tale".

Né il decreto ministeriale impugnato potrebbe trovare giustificazione "sotto il profilo dell'indirizzo e coordinamento": e ciò sia perché l'esercizio di tale funzione sarebbe riservato dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 ai soli parchi o riserve di carattere interregionale, sia perché la funzione di indirizzo e coordinamento esigerebbe per il suo svolgimento forme tipiche come quelle previste dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975, che nella specie non sarebbero state osservate.

Si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Deduce l'Avvocatura che, come questa Corte ha ripetutamente statuito (da ultimo con la sentenza n. 123 del 1980), l'art. 4, lettera h, del d.P.R. n. 11 del 1972, che riservava allo Stato le competenze in materia di interventi per la protezione della natura, salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato, risulta puntualmente conforme all'art. 117 Cost.. La competenza statale nella materia non sarebbe stata esclusa con il d.P.R. n. 616 del 1977, pur avendo quest'ultimo inserito tra le funzioni amministrative trasferite alle regioni in materia di agricoltura e foreste anche gli interventi di protezione della natura, compresa l'istituzione di parchi e riserve naturali: secondo la citata sentenza della Corte n. 123 del 1980, infatti, l'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 rimette la disciplina delle riserve naturali dello Stato già esistenti ad una legge statale e fa altresì salva, al terzo comma, la potestà per il Governo, "nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, di individuare i nuovi territori nei quali istituire riserve naturali". In tal modo, il legislatore avrebbe voluto lasciar ferma la competenza dello Stato in ordine a quella prima e delicata fase dell'intervento degli organi pubblici per la protezione della natura, che consiste nell'individuare le aree da tutelare, tenendo conto degli interessi e delle esigenze ecologiche nazionali.

Il provvedimento impugnato sarebbe stato, quindi, adottato nell'esercizio di una competenza non trasferita alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost. e, comunque, di una attribuzione espressamente riservata agli organi centrali dall'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, trattandosi, nella specie, della istituzione di una nuova riserva in territori individuati nel provvedimento, anche se, in concreto, la destinazione dei terreni medesimi, ai fini della protezione della natura, era già stata disposta con il testamento olografo pubblicato il 28 marzo 1977 (quindi, prima della emanazione del d.P.R. n. 616 del 1977), con il quale il sig. Ulisse Cantoni Vanzago aveva lasciato a titolo di legato al World Wildlife Fund tutta la sua proprietà, "per gli scopi di istruzione, studio e ricerca che l'ente persegue": proprio questo ente, una associazione nazionale associata al Fondo mondiale della natura, il cui statuto é stato approvato con il d.P.R. 4 aprile 1974, n. 493, che ne ha riconosciuto la personalità giuridica, con nota del 25 luglio 1980 aveva chiesto al Ministro per la agricoltura e le foreste l'istituzione di una riserva naturale di popolamento animale di interesse nazionale in Vanzago.

L'impugnato decreto ministeriale darebbe rilievo pubblico ed amministrativo alla destinazione a riserva naturale già disposta dal testatore, consentendo la disciplina dei rapporti tra lo Stato e le associazioni nazionali e internazionali, e l'erogazione, per la gestione della riserva, dei fondi previsti dalla legge 27 dicembre 1977, n. 984.

Ricorda a tale ultimo riguardo l'Avvocatura che la delibera del Comitato interministeriale per la politica economica ed alimentare, adottata in data 13 dicembre 1979 ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge n. 984 del 1977, ha espressamente previsto tra i compiti dello Stato il sostegno delle iniziative delle associazioni nazionali e internazionali, al fine di consentire la gestione delle aree protette esistenti. A tale scopo nel bilancio dello Stato é stata riservata la somma di lire 1.485 milioni nel novennio, per la gestione delle riserve naturali di associazioni a carattere nazionale e internazionale: appunto in relazione a tale stanziamento il World Wildlife Fund-Italia aveva richiesto, con nota 3 giugno 1980, l'assegnazione di un contributo - poi concesso con decreto ministeriale 4 novembre 1980 - per la gestione della riserva naturale di Vanzago.

Quanto alla tipologia del potere esercitato dallo Stato, ricorrerebbero, secondo l'Avvocatura, le condizioni per l'esercizio della competenza prevista dall'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977.

Non avrebbe, in primo luogo, rilievo che la riserva di Vanzago sia situata in un territorio interamente compreso in Lombardia; anche ammesso che il "carattere interregionale debba riferirsi non solo ai parchi ma anche alle riserve nazionali", sarebbe indubbio che quel carattere vada individuato non tanto in relazione a fattori territoriali o geografici, quanto piuttosto in relazione alla natura - regionale o sovraregionale - degli interessi naturalistici che si intendono salvaguardare: come ha statuito la Corte costituzionale con la sentenza n. 123 del 1980 é interregionale la riserva che viene istituita "tenendo conto degli interessi e delle esigenze ecologiche nazionali".

In sostanza, sempre secondo l'Avvocatura, per il d.P.R. n. 616 del 1977 il dato meramente territoriale non costituirebbe il limite tra l'interesse (e, quindi, la competenza) regionale e l'interesse (e, quindi, la competenza) statale, giacché numerose disposizioni affermerebbero la competenza regionale per provvedimenti che attengono al territorio di più regioni, mentre la competenza statale sarebbe affermata in relazione a provvedimenti che, rispondendo ad interessi nazionali, avranno esecuzione nel territorio di una sola regione. Nel caso in esame, l'interesse ecologico nazionale sarebbe stato espressamente ritenuto nelle premesse del decreto ministeriale impugnato e risulterebbe confermato dal fatto che la gestione della riserva spetta al World Wildlife Fund, che é un ente a carattere nazionale e internazionale, al quale la legge n. 984 del 1977 e la delibera del Comitato interministeriale per la politica agricola ed alimentare prima menzionata riconoscono competenza in materia di tutela della natura.

In relazione, infine, al vizio formale denunciato dalla ricorrente, l'Avvocatura ha sostanzialmente riprodotto le difese esposte nel contestare la fondatezza dei ricorsi sub 2 e 3.

La Regione Lombardia ha depositato una memoria difensiva, con la quale, ribadite le deduzioni esposte nel ricorso, rileva ulteriormente che: la decisione n. 123 del 1980 della Corte costituzionale non sarebbe invocabile nella specie, in quanto, mentre, da un lato, in tale decisione l'attribuzione allo Stato del potere di vincolare determinate aree per la tutela del patrimonio faunistico ed ambientale é stata giudicata legittima in base alla considerazione che il provvedimento impugnato era stato posto in funzione di un vincolo internazionale (la Convenzione di Ramsar), dall'altro, la pronuncia della Corte investiva un provvedimento emanato nel 1975, ben prima, quindi, che intervenisse il d.P.R. n. 616 del 1977 (tanto é vero che la decisione in parola fa un esplicito richiamo "alla legislazione in vigore quando l'atto censurato nel ricorso é stato emesso"); l'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, invocato dall'Avvocatura a favore di una pretesa riserva allo Stato, presuppone inequivocabilmente che la competenza in materia spetti alla regione, stante che la funzione di indirizzo e coordinamento attiene specificamente a materie di competenza regionale: se così non fosse, la delibera del Consiglio regionale della Lombardia, istitutiva della riserva di Vanzago, avrebbe dovuto essere ritenuta illegittima perché adottata da autorità incompetente: essa, invece, non solo éstata vistata senza rilievi dalla Commissione di controllo, ma é stata posta espressamente alla base del decreto ministeriale impugnato che pretende di sovrapporsi all'esercizio della competenza regionale, come se il rapporto in materia fra Stato e Regione fosse ancora quello di concorrenza specifica previsto dal d.P.R. n. 11 del 1972; il d.P.R. n. 616 del 1977 non permette sovrapposizioni o duplicazioni di interventi fra Stato e regioni: del resto, l'art. 4 di tale d.P.R. espressamente dispone che nelle materie definite dallo stesso decreto lo Stato esercita "soltanto" le funzioni indicate negli articoli seguenti (a parte quelle di indirizzo e coordinamento, quelle attinenti ai rapporti internazionali); la tesi dell'Avvocatura, secondo cui il carattere "interregionale" delle riserve andrebbe individuato "non tanto in relazione a fattori territoriali o geografici, quanto piuttosto in relazione alla natura - regionale o sovraregionale - degli interessi naturalistici che si vogliono tutelare", sarebbe del tutto inaccettabile, perché l'interregionalità, così intesa, lascerebbe assolutamente indeterminato il confine fra competenze statali e competenze regionali, contrastando in tal modo l'esigenza irrinunciabile di un riparto di funzioni tra Stato e regioni che dia certezza alle rispettive sfere di competenza (non con riguardo agli interessi il d.P.R. n. 616 del 1977 avrebbe adottato il concetto di interregionalità, che sarebbe, invece, riferito, esclusivamente, a quegli interventi che toccano il territorio di più regioni: artt. 89, 85, 69, secondo comma, 73, 102 n. 4); infine, per quel che concerne i parchi e le riserve, il lessico legislativo troverebbe conferma negli artt. 18 e 28 del disegno di legge-quadro predisposto dalla IX Commissione permanente del Senato, che prevedono l'intervento dello Stato solo per i parchi dichiarati "nazionali" nonché per quelle riserve la cui area presenti "caratteri ambientali, naturalistici, scientifici, culturali d'importanza nazionale o internazionale", mentre per i parchi o le riserve diversi si rinvia ai princìpi di cui all'ultimo comma dell'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, ossia alle intese tra le regioni interessate; anche ammessa, poi, per assurdo, l'interpretazione sostenuta dall'Avvocatura, il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo, giacché esso non si limita - come previsto dall'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 - ad individuare i nuovi territori nei quali istituire riserve naturali ma provvede ad istituire una di queste riserve; il decreto impugnato non troverebbe fondamento nell'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, non essendo stato emesso - considerata la tipologia del provvedimento adottato - nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento ("vizio", quest'ultimo, comportante, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, la lesione di una sfera di competenza regionale costituzionalmente garantita, secondo quanto affermato dalla Corte con la sentenza n. 191 del 1976); l'obiezione secondo cui il rinvio alle forme previste dall'art. 3 dovrebbe ritenersi comunque superato dalla legge n. 984 del 1977 non avrebbe alcun rilievo: e perché, in realtà, non sarebbero stati osservati, nella specie, neppure i modi e le forme previste da tale ultimo testo normativo, e perché non vi sarebbe nulla nel provvedimento impugnato che consenta di ritenerlo emanato nell'ambito degli interventi previsti dalla legge (in ogni caso, stante il particolarissimo rilievo delle norme contenute nel d.P.R. n. 616 del 1977 - norme ritenute, anche dalla Corte, interpretative dell'art. 117 Cost. - ogni loro deroga o modifica dovrebbe risultare espressamente); ben difficilmente il provvedimento impugnato, che concerne esclusivamente l'istituzione in provincia di Milano di un'unica riserva naturale di modesta estensione, potrebbe essere ritenuto, anche sostanzialmente, atto di indirizzo e coordinamento; infine, il decreto ministeriale impugnato sarebbe stato emanato nell'esercizio di un potere non previsto da alcuna disposizione di legge: anche a voler ammettere che possa venir considerato atto di indirizzo e coordinamento, esso sarebbe comunque invalido costituzionalmente, perché emanato senza trovare un legittimo ed apposito supporto nella legislazione statale, in violazione, dunque, del principio di legalità (la Regione richiama, al riguardo, la sentenza n. 150 del 1982 della Corte).

  1. - Con ricorso notificato il 18 dicembre 1980 la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato conflitto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte dichiari non spettante allo Stato ma alla Regione il potere di costituire la "Foresta di Tarvisio" in riserva naturale di popolamento animale, annullando conseguentemente il decreto emesso il 30 luglio 1980 dal Ministro per l'agricoltura e le foreste di concerto con il Ministro dell'interno (decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 293 del 24 ottobre 1980), con il quale - richiamandosi, tra l'altro, gli artt. 68 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e la legge 27 dicembre 1977, n. 984 - la predetta foresta, di proprietà della Azienda patrimoni riuniti ex economali, veniva, appunto, costituita in riserva naturale di popolamento animale, affidandosene la gestione al Ministro per l'agricoltura e le foreste che "fino alla emanazione della legge-quadro in materia di parchi e riserve naturali, provvede tramite il funzionario delegato alla gestione ex ASFD".

Deduce anzitutto la Regione che, essendo nell'impugnato decreto promiscuamente richiamate la materia della caccia e la materia dell'urbanistica (sotto il particolare aspetto della protezione della natura, evidenziato nell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977), non sarebbe agevole individuare la materia in cui esso intende operare. In entrambi i casi, tuttavia, vi sarebbe invasione della sfera di competenza regionale.

Ove, infatti, il provvedimento venisse inquadrato nella materia della caccia (ipotesi resa attendibile dal fatto che l'art. 1 del decreto annuncia la costituzione di una "riserva naturale di popolamento animale", cioé di una zona di "ripopolamento"), le relative funzioni amministrative sarebbero sicuramente "passate" alla Regione Friuli-Venezia Giulia, in forza dell'art. 4 n. 3 dello Statuto speciale (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1) e dei decreti di attuazione statutaria (d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, art. 1; d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902), non figurando in tali decreti alcuna eccezione al passaggio delle attribuzioni amministrative in materia di caccia. Poiché, peraltro, le funzioni in parola risultano espressamente trasferite alle regioni ordinarie (artt. 1, secondo comma, lettera o del d.P.R. n. 11 del 1972; 6, primo comma, lettera b della legge n. 968 del 1977; 99 del d.P.R. n. 616 del 1977), sarebbe impensabile che esse non siano "passate" alla Regione Friuli-Venezia Giulia, la quale ha nella materia competenza primaria.

Le conseguenze non sarebbero, comunque, diverse nel caso in cui il decreto in esame fosse da ricomprendere nell'ambito urbanistico. E ciò in quanto dalle attribuzioni amministrative trasferite alla Regione Friuli-Venezia Giulia in questa materia (sulla base dell'art. 4 n. 12 dello Statuto speciale ed in forza degli artt. 22 del d.P.R. n. 1116 del 1965, 21 e 26 del d.P.R. n. 902 del 1975) non sarebbero state per nulla escluse le funzioni attinenti alle riserve ed ai parchi naturali, le quali, essendo state trasferite alle regioni a statuto ordinario, dovrebbero, comunque, ritenersi "passate" alla Regione Friuli-Venezia Giulia, avente - come già detto - nella materia competenza primaria.

Nessun contrario rilievo avrebbero, nella specie, il secondo e terzo comma dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977. Nel secondo comma verrebbero, infatti, considerati "soltanto" i parchi e le riserve naturali "esistenti", con il preannuncio di una futura "ripartizione di compiti fra Stato, regioni e comunità montane e con l'introduzione di una integrazione provvisoria degli organi di amministrazione"; nel terzo comma verrebbe fatta salva al Governo la " sola potestà" di "individuare" i nuovi territori da costituire in riserve naturali e parchi di carattere "interregionale", non, quindi, quella di "istituire e gestire direttamente le riserve ed i parchi e, tanto meno, di istituirli e di gestirli, quando siano compresi nel territorio di una sola regione"; peraltro, la potestà di individuare i nuovi territori da costituire in riserve di carattere interregionale sarebbe da esercitare nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento e "quindi nei limiti, nelle forme e con le modalità previste dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382".

Nel giudizio si é ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Premette l'Avvocatura che la "Foresta di Tarvisio", già acquistata nel 1866 dal Governo austriaco, e passata allo Stato con il trattato di pace di S. Germano del 10 settembre 1919, venne attribuita ai Patrimoni riuniti degli economati generali dei benefici vacanti e dei fondi di religione, istituiti a norma dell'art. 18 della legge 27 maggio 1929, n. 848, emanata in applicazione dei patti lateranensi. In vista di tale condizione giuridica, i relativi rapporti sarebbero stati esclusi dal trasferimento delle foreste alla Regione Friuli-Venezia Giulia disposto con l'art. 1, secondo comma, del d.P.R. 26 giugno 1965, n. 958. La "Foresta di Tarvisio" resterebbe, perciò, amministrata dal Fondo per il Culto del Ministero dell'interno ed affidata in gestione al Ministero per l'agricoltura e le foreste con convenzione n. 645 del repertorio in data 19 dicembre 1979, sulla quale la prima sezione del Consiglio di Stato aveva espresso il parere favorevole n. 900 del 23 novembre 1979.

Pertanto, il decreto impugnato, emanato dal Ministro per l'agricoltura e le foreste di concerto con il Ministro dell'interno, responsabile della proprietà, non lederebbe le "attribuzioni regionali né nella materia della caccia, né in quella dell'urbanistica, del resto fatte espressamente salve dall'art. 4 del decreto". Esso, infatti, dovrebbe essere qualificato come manifestazione del potere di individuare nuovi territori da costituire in riserve naturali di interesse nazionale, riservato allo Stato dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977. Tale potere non sarebbe trasferibile alla Regione Friuli-Venezia Giulia alla stregua delle norme statutarie e di attuazione invocate, "dato che la materia delle riserve naturali é stata disciplinata posteriormente a quelle norme, posto che per essa lo stesso art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977 prevede una futura normativa di ripartizione di compiti fra Stato, Regioni e Comunità montane", confermando in tal modo che la materia non può ritenersi compresa né in quella "urbanistica", né in quella della "caccia", attribuite alle regioni direttamente dall'art. 117 Cost. e dai corrispondenti articoli degli statuti speciali di autonomia.

La Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria con la quale ha contestato le argomentazioni addotte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nell'atto di costituzione in giudizio.

Deduce in primo luogo la ricorrente che l'essere la "Foresta di Tarvisio" non ancora di proprietà della Regione é, al pari della destinazione dei proventi della sua gestione a scopo di culto, circostanza che non assume alcun rilievo, dato che la disciplina della caccia, la disciplina urbanistica, la disciplina della forestazione e la protezione della natura, in genere, prescindono dall'appartenenza dei beni compresi nelle zone dove la disciplina o la protezione deve essere applicata.

Quanto, poi, ai richiami normativi contenuti nell'impugnato decreto, si osserva che: il richiamo alla legge 27 dicembre 1977, n. 968, trascura che l'art. 6 di tale legge demanda espressamente alle regioni la costituzione di "oasi di protezione" e delle "zone di ripopolamento" della fauna selvatica, prevedendo addirittura che "lo Stato e gli Enti pubblici territoriali, proprietari o gestori di terreni, possono concederne l'uso alle regioni" per la costituzione di dette zone; altrettanto non conferente é il richiamo all'art. 68 del d.P.R. n. 616 del 1977, il cui secondo comma, nel prevedere la destinazione delle aree boschive a "scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale", stabilisce che la relativa facoltà poteva essere esercitata solo sull'uno per cento della superficie complessiva delle aree costituenti il patrimonio dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali, previa identificazione dei terreni, da effettuarsi con decreto del Presidente della Repubblica entro il 31 dicembre 1978 e mai, comunque, su aree come quella della "Foresta di Tarvisio" (facenti parte dei " Patrimoni riuniti ex economali"), non comprese in tale patrimonio; non puntuale sarebbe anche il richiamo all'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, richiamo che trascura il fatto che una tale disposizione lascia allo Stato solo la potestà di "individuare", nell'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, "i nuovi territori nei quali istituire riserve naturali e parchi di carattere interregionale"; il decreto censurato richiama la legge n. 984 del 1977, che, "per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la Regione Friuli-Venezia Giulia", é stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte con sentenza n. 340 del 1983; l'enunciazione del decreto interministeriale 2 dicembre 1975, con il quale furono istituite due riserve naturali integrali nella stessa foresta, non avrebbe alcun senso, trattandosi di iniziativa parimenti illegittima, mentre il preminente interesse nazionale, l'importanza internazionale, i pregi ambientali ed il venir meno della protezione precedentemente accordata dall'art. 50 del r.d.l. 5 giugno 1939, n. 1016, e successive modifiche, non potrebbero comportare alcuna espropriazione di competenze regionali; nessuna copertura costituzionale renderebbe legittima la denunciata sottrazione di competenze: in particolare, non quella dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, posto che la " individuazione della riserva non sarebbe stata fatta dal Governo nell'ambito "delle funzioni di indirizzo e coordinamento; non vi sarebbe alcuna autorizzazione legislativa alla costituzione della riserva; sarebbero attribuite al funzionario delegato della gestione ex Azienda di Stato per le foreste demaniali poteri e funzioni spettanti alla Regione. "Il vago riferimento all'interesse nazionale é pure esso inidoneo a giustificare" - conclude la ricorrente - "la lamentata intromissione nelle competenze della Regione" (si citano, al riguardo, le sentenze n. 150 del 1982 e n. 340 del 1983 di questa Corte).

Considerato in diritto

  1. - Pur nella varietà delle fattispecie concrete da cui i dodici ricorsi prendono le mosse, con inevitabili riverberi sui parametri normativi di volta in volta evocati, i relativi giudizi implicano la soluzione di questioni più o meno strettamente collegate, così da poter essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.
  2. - Il collegamento nasce dal fatto che ciascuno dei ricorsi in esame demanda a questa Corte di risolvere un conflitto di attribuzione sorto a seguito di un decreto ministeriale, ogni volta ben specificato, avente ad oggetto l'istituzione di una riserva naturale nel territorio di una singola Regione: e tale coincidenza di contenuti trova riscontro nel richiamo che, esplicitamente o implicitamente, le Regioni ricorrenti fanno in primo luogo agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

Non mancano, peraltro, gli elementi di differenziazione: vi hanno parte sia la circostanza che non tutti i ricorsi provengono da regioni a statuto ordinario (un ricorso, infatti, é della Regione Friuli-Venezia Giulia), sia le spesso non coincidenti premesse in fatto e in diritto poste alla base dei vari decreti, sia - ed é questo l'aspetto giuridicamente di incidenza più immediata - la diversità di datazione, che colloca i decreti impugnati dalla Regione Veneto anteriormente al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e tutti gli altri successivamente ad esso.

Di conseguenza, la trattazione, dovendo tenere nel debito conto le tante particolarità appena accennate, non può, pur sullo sfondo di un quadro dall'ispirazione unitaria, non venir condotta partitamente, a cominciare, appunto, dai ricorsi concernenti i decreti di epoca più lontana.

  1. - I sette decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste impugnati dalla Regione Veneto si collocano tutti tra il 20 ed il 29 dicembre 1975: identiche le loro premesse e identico il loro articolato, incentrato precipuamente sull'asserito "preminente interesse nazionale delle riserve naturali". Identiche, d'altro canto, sono pure la struttura, la motivazione e le conclusioni dei relativi ricorsi, imperniati, a loro volta, sul rilievo che l'aver costituito una riserva naturale su beni forestali "dopo la scadenza del termine del 1 aprile 1972", fissato dall'art. 1 del decreto-legge 28 dicembre 1971, n. 1121, convertito nella legge 25 febbraio 1972, n. 15, per il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni a statuto ordinario, "invade la sfera di competenza attribuita alla Regione Veneto a norma dell'art. 117 in relazione all'art. 119 della Costituzione medesima, dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e degli artt. 1, 4 e 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11".
  2. - Per l'Avvocatura dello Stato i ricorsi della Regione Veneto, prima ancora che infondati nel merito, sarebbero inammissibili. Come risulterebbe dall'invocata relazione dell'art. 117 della Costituzione con l'art. 119 della stessa, là dove questo (terzo comma) tratta di "un demanio e patrimonio" "proprio" della Regione, e dal dedotto contrasto con l'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, in forza del quale (comma quinto, primo periodo) "sono trasferite alle Regioni e fanno parte del patrimonio indisponibile regionale le foreste, che a norma delle leggi vigenti appartengono allo Stato", la Regione Veneto mirerebbe a contestare non tanto la istituzione di riserve naturali, quanto la sottrazione dei corrispondenti territori al patrimonio regionale: peraltro - sostiene l'Avvocatura - "ogni questione relativa al trasferimento delle foreste al patrimonio regionale non può essere sollevata in questa sede di impugnazione dei decreti aventi ad oggetto la costituzione di riserve naturali, ma, come la Corte ha precisato con la sentenza n. 219 del 1972, dovrà essere affrontata in sede di eventuale ricorso avverso il decreto di trasferimento delle foreste".

Nessun dubbio che l'imposizione di vincoli forestali da parte dello Stato (attività preordinata alla tutela e gestione del territorio, a prescindere da ogni problema di appartenenza) non vale ad esprimere la determinazione dello Stato stesso di escludere dal trasferimento alla regione i territori sui quali quei vincoli vengono a ricadere (scelta implicante una presa di posizione sull'appartenenza del bene, a prescindere dalla sua tutela e gestione): questa Corte l'ha ben chiarito nella sentenza sopra menzionata e, prima ancora, nella sentenza n. 79 del 1972. Donde la conseguenza che eventuali doglianze nell'uno e nell'altro senso dovranno essere fatte valere autonomamente, senza equivoche sovrapposizioni o confusioni. Tanto più che, come questa Corte ha ulteriormente ancor meglio precisato (sentenza n. 111 del 1976), le iniziative dirette a chiedere "l'accertamento dell'appartenenza di determinati beni forestali, che le Regioni assumono trasferiti al loro patrimonio indisponibile, e indebitamente trattenuti dallo Stato", per il fatto di avere ad oggetto "una effettiva e diretta vindicatio rerum", "non prospettano una invasione della loro sfera di competenza, né chiedono una dichiarazione o delimitazione delle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite", in tal modo esorbitando dallo schema dei conflitti di attribuzione, per trovare, invece, spazio nell'ambito degli ordinari rimedi giurisdizionali consentiti dall'ordinamento.

Tutto ciò - se davvero i ricorsi in questione risultassero preordinati soltanto a rivendicare il diritto della Regione Veneto " al proprio patrimonio delle foreste incluse nelle riserve", come afferma l'Avvocatura dello Stato - comporterebbe una loro inammissibilità a doppio titolo: da un lato, perché si tratta di ricorsi oggettivamente diretti contro decreti aventi un ben diverso contenuto; dall'altro, perché, anche a ritenere possibile una conversione di tale contenuto, i ricorsi per vindicatio rerum esulano dalla competenza di questa Corte (v., per un puntuale precedente, la già ricordata sentenza n. 111 del 1976).

Pur non potendosi negare che i ricorsi della Regione Veneto sono pressoché totalmente dedicati alla confutazione della nota ministeriale 13 novembre 1973, con la quale era stato manifestato l'intento di non trasferire, almeno per quel momento, i terreni forestali classificati in riserve naturali, si deve comunque riconoscere che i ricorsi stessi concludono chiedendo che venga dichiarata "di esclusiva competenza della Regione Veneto l'attribuzione costituzionale di costituire riserve naturali nelle foreste ecc.". Nel che traspare evidente il raccordo con la dedotta violazione - già lo si é ricordato - non solo e non tanto dell'art. 119 della Costituzione, quanto, soprattutto, dell'art. 117 della Costituzione, e non solo dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, bensì anche degli artt. 1, 4 e 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11.

  1. - I ricorsi della Regione Veneto non sono fondati. E non lo sono, né se presi alla lettera nella loro richiesta conclusiva di veder dichiarata, in ordine all'istituzione di riserve naturali entro le zone ricomprese nel patrimonio forestale ricadente nell'ambito territoriale della Regione Veneto, l'"esclusiva" competenza della Regione stessa e, quindi, negata ogni competenza dello Stato in materia; né se intesi in senso meno drastico, nel senso, cioé, di negare legittimità ai provvedimenti emessi nelle singole fattispecie considerate perché comunque invasivi della sfera di competenza attribuita alla Regione.

A smentire la tesi della esclusiva competenza regionale é più che sufficiente rimarcare il tipo di risposta ricavabile, con riguardo alle riserve naturali, dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, per tutto quanto attiene all'"esigenza del rispetto dell'interesse nazionale, quale prevista dall'art. 117 della Costituzione" (v. la sentenza n. 142 del 1972). Tale d.P.R. si caratterizza, per quel che qui più direttamente interessa, in un duplice modo: dando ampio spazio, in via generale (art. 8), all'esercizio da parte dello Stato della "funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni a statuto ordinario che attengono ad esigenze di carattere unitario" e mantenendo ferma, in via particolare (art. 4, lettera h), la competenza degli organi statali in ordine" agli interventi per la protezione della natura", sia pur fatti "salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato". Il tutto in conformità alla delega conferita dalla legge 16 maggio 1970, n. 281, il cui art. 17, al fine di garantire che "lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armonicamente conforme agli interessi unitari della collettività statale" (sentenza n. 39 del 1971), aveva disposto che le funzioni trasferite alle regioni in ordine alle materie elencate nell'art. 117 della Costituzione dovessero essere "contenute nel limite degli interessi connessi alle esigenze delle singole Regioni senza travalicare in quelli propri dello Stato e di altre Regioni" (sentenza n. 142 del 1972).

Ma neanche la tesi meno drastica - carenza di legittimazione statale alla base dei decreti impugnati - regge a fronte della disposizione in ultimo ricordata. É, infatti, indubitabile che l'istituzione di riserve naturali rappresenta una tipica forma di intervento preordinato alla protezione della natura e, più precisamente, alla conservazione del bene naturale, giacché "essa comporta l'esclusione di ogni attività che possa comprometterne lo stato attuale" (sentenza n. 79 del 1972), giustificando con il preminente interesse nazionale l'inserimento del relativo territorio tra i beni meritevoli di conservazione e di protezione. Il riconosciuto persistere in allora della competenza statale quanto agli interventi per la protezione della natura - art. 4, lettera h, del d.P.R. n. 11 del 1972 - porta a ritenere che lo Stato, ai tempi di detto d.P.R, aveva sicuramente conservato "la pienezza dei suoi poteri in ordine all'imposizione di vincoli di tutela e di destinazione" sui beni forestali: donde la conseguenza che, anche con riferimento ai sette decreti impugnati dalla Regione Veneto, ben può asserirsi che "la legittimità dei provvedimenti adottati nell'esercizio dei suddetti poteri trova fondamento nell'ordinamento vigente all'epoca della loro emanazione" (v. sentenza n. 219 del 1972).

É bensì vero che, nelle due occasioni di intervento sfociate nelle sentenze n. 79 e n. 219 del 1972, questa Corte aveva dichiarato che spettava allo Stato di imporre, anche in ambito regionale, vincoli di riserva sui beni forestali, prescindendo totalmente dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, e, quindi, facendo leva soltanto sulla legge 16 maggio 1970, n. 281. Ma ciò trova agevole spiegazione nel fatto che in entrambi i casi si trattava di decreti ministeriali emanati successivamente all'entrata in vigore di detta legge ed anteriormente all'emanazione del d.P.R. n. 11 del 1972, giustamente ritenuto, per tale ragione, privo di ogni incidenza rispetto a quei casi. Soltanto apparentemente, la sentenza n. 219 del 1972, con il suo limitarsi a considerare la situazione determinatasi "dopo la entrata in vigore della legge n. 281 del 1970 e prima dell'effettivo trasferimento delle funzioni amministrative" alle regioni, indicherebbe, come termine ultimo per la "conservazione" allo Stato dei poteri in questione una volta entrata in vigore la legge 16 maggio 1970, n. 281, l'"effettivo trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni", quale avvenuto alla data del 1 aprile 1972, inizialmente fissata dal decreto-legge 28 dicembre 1971, n. 1121, convertito nella legge 25 febbraio 1972, n. 15, e poi ribadita dall'art. 21 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11. In realtà, il trasferimento a partire da tale data, aprioristicamente suscettibile di indeterminate applicazioni, non può che riguardare, in concreto, le funzioni specificamente trasferite nella circostanza (v., soprattutto, art. 1 del d.P.R. n. 11 del 1972), ed esse sole. Non, dunque, le funzioni elencate nell'art. 4 dello stesso d.P.R, mantenute ferme agli organi statali, tra le quali quelle riconducibili alla lettera h (v. anche la sentenza n. 145 del 1975). Salvi, sempre e comunque, secondo quanto esplicitamente sottolineato dalla stessa lettera h, gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato: interventi regionali che, trattandosi - come in tutte le presenti fattispecie - di riserve naturali su beni forestali, si ricollegano strettamente all'avvenuto trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative concernenti "i boschi e le foreste" (art. 1, lettera n, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11).

Il fatto che la legittimità dei singoli provvedimenti trovi riscontro nell'ordinamento vigente all'epoca della loro emanazione rende, ovviamente, irrilevante ai fini della soluzione del conflitto di attribuzione il successivo evolversi della normativa sul riparto delle competenze tra Stato e regioni; ma ciò, altrettanto ovviamente, non esclude che le innovazioni legislative possano riflettersi sulla dinamica dei rapporti instaurati in precedenza. Così si dica proprio per quel che attiene al contemperamento tra interventi statali ed interventi regionali in materia di protezione della natura: l'art. 83, secondo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nell'occuparsi espressamente dei parchi nazionali e delle riserve naturali dello Stato "esistenti" al momento della sua entrata in vigore, demanda la definizione della relativa disciplina e la ripartizione dei compiti tra Stato e regioni (nonché comunità montane) ad un'apposita legge, che mantenga ferma "la unitarietà dei parchi e riserve".

Ancor più determinante si appalesa, per quanto riguarda il trasferimento dei beni forestali alle regioni, l'art. 68 del d.P.R. n. 616 del 1977, che regola nei dettagli le sorti dei beni dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali, soppressa dalla prima parte dello stesso articolo: per i beni da trasferire e che non fossero stati ancora trasferiti lo Stato non potrebbe esimersi dal provvedere, alla stregua di ciò che dispongono le altre parti dell'art. 68.

  1. - I tre decreti impugnati dalla Regione Toscana, rispettivamente datati 8 agosto 1980, 13 agosto 1980 e 15 aprile 1981, hanno premesse ed articolato soltanto parzialmente coincidenti: ma, mentre le differenze riscontrabili fra i primi due decreti appaiono marginali e, comunque, ininfluenti ai fini del decidere, le differenze fra essi ed il terzo decreto sono per più versi tali da comportarne una trattazione disgiunta, come, del resto, richiede la stessa diversa struttura che il ricorso proposto contro l'ultimo provvedimento presenta nel raffronto con gli altri due ricorsi.

Per le ragioni preliminarmente esposte nei riguardi dei ricorsi della Regione Veneto, a rilevare non sono le particolarità che chiamano in causa i rapporti fra appartenenza e gestione delle aree interessate, anche se il terzo decreto risulta emanato, anziché dal solo Ministro per l'agricoltura e le foreste, dal Ministro per l'agricoltura e le foreste di concerto con il Ministro della marina mercantile, dato l'esplicito riferimento al demanio marittimo. A rilevare é essenzialmente il fatto che, pur avendo i tre provvedimenti quale comune premessa di esordio il richiamo al d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448, recante "piena ed intera esecuzione alla convenzione relativa alle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar, il 2 febbraio 1971", solamente i primi due (adottati entrambi su "richiesta di istituzione di una riserva naturale di popolamento animale... avanzata dall'Associazione italiana per il World Wildlife Fund - Fondo mondiale per la natura, con nota in data 25 luglio 1980") danno, altresì, conto della già avvenuta emanazione, sin dal 9 maggio 1977, del decreto ministeriale contenente la dichiarazione del valore internazionale della zona umida rispettivamente interessata.

  1. - I primi due ricorsi della Regione Toscana lamentano, in via principale, la "violazione e falsa applicazione dell'art. 117 Cost. e degli artt. 66, primo comma, e 83, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", norme che, considerate nel loro insieme, attribuirebbero alle regioni ogni competenza in ordine alle nuove riserve naturali aventi dimensione infraregionale, quali sono quelle in questione, sottraendo allo Stato qualsiasi iniziativa, diretta o indiretta, nella materia. E lamentano, in via subordinata, la "violazione dell'art. 3, primo comma, legge 22 luglio 1975, n. 382, e dell'art. 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", nel senso che, se in parziale difformità da tale drastica interpretazione si intendesse riconoscere allo Stato la possibilità di assumere iniziative in ordine a nuove riserve naturali anche di dimensione infraregionale, e ciò nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento delle quali si occupa l'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, i decreti in esame non avrebbero comunque rispettato l'adozione delle complesse forme a detto fine tassativamente richieste.
  2. - I due ricorsi dianzi riassunti non sono fondati.

Come questa Corte ha sottolineato in una precedente occasione (sentenza n. 123 del 1980), risolvendo un conflitto dalla fisionomia parzialmente similare, la Convenzione di Ramsar, nel cui ambito attuativo i decreti impugnati sicuramente rientrano, é congegnata in termini tali da comportare una serie di adempimenti e di valutazioni affidabili esclusivamente allo Stato: infatti, solo i suoi organi sono in grado di "apprezzare le esigenze e gli interessi ecologici, non di singole regioni, ma dell'intera collettività nazionale".

Una convenzione che é tutta imperniata, sin dal suo titolo, "sull'importanza internazionale delle zone umide", che fa espresso richiamo nelle premesse ad "una politica nazionale lungimirante", che subordina all'esistenza di "interessi nazionali urgenti" la cancellazione o restrizione delle zone già individuate (artt. 2 n. 5 e 4 n. 2), che invita a tener conto delle "responsabilità sul piano internazionale" (art. 2 n. 6), che contempla la possibilità di zone umide estese sul territorio di più Stati (art. 5), non può non demandare agli organi dello Stato l'adozione di provvedimenti quali quelli impugnati, "posti in funzione di un vincolo internazionale che spettava allo Stato instaurare" (sentenza n. 123 del 1980). Il che, visto nel suo complesso, appare ben rispondente alla previsione contenuta in quella parte dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che comprende tra le competenze dello Stato "le funzioni, anche nelle materie trasferite o delegate alle regioni, attinenti ai rapporti internazionali".

La Regione ricorrente non disconosce i contenuti della sentenza n. 123 del 1980, ma ne contesta l'applicabilità ai due casi in esame. Anzitutto, perché qui "entra in gioco una competenza di una regione a statuto ordinario specificamente prevista e disciplinata dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616" (art. 66, primo comma, e 83, primo comma), mentre nell'occasione precedente era in discussione la competenza della Regione Sardegna; in secondo luogo, perché l'attività internazionale rilevante ai fini dell'esecuzione della Convenzione di Ramsar "risulta essersi già esaurita e completata attraverso la precedente dichiarazione del valore internazionale della zona umida operata con d.m. 9 maggio 1977", di modo che "l'istituzione di una riserva naturale nell'ambito di una zona umida già designata dallo Stato non rappresenta l'esecuzione diretta di un obbligo internazionale, ma solo un elemento aggiuntivo di tutela della zona umida, rispetto a cui permane la distribuzione interna delle competenze fissata nell'art. 66" del d.P.R. n. 616 del 1977.

Alla prima obiezione é agevole replicare che - a parte il più generale problema dei rapporti tra le competenze delle regioni a statuto ordinario e le competenze delle regioni a statuto speciale, non certo risolubile nel senso che a queste ultime possano essere riconosciute competenze più ridotte proprio lo Statuto sardo é quello che contiene, all'art. 52, primo comma, la disposizione più avanzata in tema di partecipazione regionale alla gestione del potere estero.

A superare la seconda obiezione, che mette in risalto la innegabile diversità intercorrente tra l'oggetto degli attuali ricorsi (il decreto istitutivo della riserva naturale) e l'oggetto del ricorso deciso con la sentenza n. 123 del 1980 (la determinazione o designazione della zona da inserire nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, atto addirittura anteriore al decreto dichiarativo del valore internazionale della zona umida designata, cui fa a sua volta seguito il decreto istitutivo della riserva), vale l'osservazione che l'obbligo di creare riserve naturali é elemento fondamentale, e non solo aggiuntivo, del sistema cui dà vita la Convenzione di Ramsar. Esplicitamente previsto dall'art. 4 n. 2 per il caso di cancellazione o restrizione di una zona già inclusa nell'apposito elenco ai fini di creare "nuove" riserve, tale obbligo é da intendersi, a maggior ragione, operante nell'ipotesi dell'art. 4 n. 1 (creazione di riserve naturali in via primaria). Ed invero - a parte la considerazione che, secondo la più volte citata sentenza n. 123 del 1980, poiché "il provvedimento impugnato é stato posto in funzione di un vincolo internazionale sulle zone umide da esso individuate", la competenza dello Stato " si atteggia come piena ed esclusiva" - appare decisivoil rilievo che l'istituzione di una o più riserve naturali trasforma il vincolo previsto in sede internazionale, che del regime della Convenzione rappresenta il cardine, da virtuale (quale lo aveva reso la designazione della zona destinata ad essere inserita nell'elenco) in attuale, secondo gli strumenti di adattamento apprestati dal diritto interno.

Così riconosciuta per i due decreti dell'8 e del 13 agosto 1980 la competenza dello Stato sulla base di quella parte dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che si richiama ai rapporti internazionali intesi come si é detto, indipendentemente, quindi, da ogni collegamento con l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, resta privo di rilievo il motivo di ricorso formulato in via subordinata.

  1. - Il terzo ricorso della Regione Toscana - proposto nei confronti di un provvedimento che, pur richiamandosi anch'esso alla Convenzione di Ramsar, oltreché ad una più recente direttiva del Consiglio delle Comunità europee, é venuto a costituire in riserva naturale un biotopo rispetto al quale non risulta esservi stata né la determinazione ministeriale di destinarlo all'inserimento nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, né la dichiarazione del valore internazionale della relativa zona umida - deduce quattro ordini di motivi. In via principale la "violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione agli artt. 66, primo comma, e 83, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nonché all'art. 78, lettera a, del medesimo d.P.R.", che, nel loro complesso, demanderebbero l'istituzione di riserve naturali esclusivamente alle regioni a statuto ordinario. E, in via progressivamente subordinata: la "violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione agli artt. 66 e 83 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche con riferimento all'esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971", e ciò non solo perché l'istituzione di riserve naturali rappresenterebbe un momento estraneo all'esecuzione degli obblighi posti dalla convenzione, ma anche perché, comunque, nel caso di specie sarebbe mancata la dichiarazione di zona umida avente valore internazionale; la "violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 6, 66 e 83 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, anche in relazione alla direttiva comunitaria del 2 aprile 1979", perché, sotto il profilo degli obblighi comunitari, opererebbe il principio di cui al detto art. 6, che ha trasferito alle regioni le funzioni amministrative attinenti all'applicazione dei regolamenti e delle direttiva comunitarie; e, infine, la "violazione dell'art. 83, quarto comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", con, "in ipotesi, violazione dell'art. 3, primo comma, legge 22 luglio 1975, n. 382, e dell'art. 4, primo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", mancando il principale presupposto per l'applicazione del quarto comma di detto art. 83 (riserve naturali di carattere interregionale) e, comunque, in concreto, il rispetto delle forme previste per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di coordinamento.

Poiché tanto il primo motivo quanto una parte del secondo risultano contraddetti dalle considerazioni già svolte (punto 8) a proposito degli altri due ricorsi della Regione Toscana, l'analisi del ricorso ora in esame potrà e dovrà concentrarsi sui profili particolari che residuano.

  1. - Sotto tali profili il terzo ricorso della Regione Toscana é fondato.

Sono, infatti, da condividere le argomentazioni svolte dalla ricorrente in ordine sia alla portata rivestita dalla dichiarazione del valore internazionale della zona umida nell'ambito esecutivo della Convenzione di Ramsar, sia all'esercizio delle funzioni relative all'attuazione delle direttiva della Comunità economica europea, sia al significato da attribuire alla espressione "di carattere interregionale" nell'art. 83, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Il che toglie, ovviamente, anche questa volta, sia pur per opposte ragioni, ogni rilievo alle considerazioni sulla forma assunta nella specie dal provvedimento impugnato, venendo a risultare inesistente la legittimazione stessa dello Stato ad emanare il decreto istitutivo della riserva naturale in oggetto.

Nessuno dei titoli giustificativi adombrati nel contesto del provvedimento trova il necessario riscontro nelle circostanze di fatto e nelle norme. Non trova rispondenza nelle prime il richiamo agli artt. 1 e 4 della Convenzione di Ramsar, essendo possibile far leva sui vincoli nascenti da un trattato internazionale per risalire (v. antea, punto 8) alla fonte delle competenze dello Stato di cui all'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, solo in quanto uno almeno degli adempimenti previsti dal trattato (in particolare, la Convenzione di Ramsar contempla la dichiarazione del valore internazionale della zona umida e la designazione della stessa ai fini dell'inclusione nell'elenco delle zone umide conservato dall'Ufficio internazionale per la tutela della natura e delle risorse naturali) risulti realizzato: in caso contrario, mancando ogni collegamento con il trattato, qualsiasi atto che vi si richiami resta automaticamente al di fuori dell'esecuzione di esso. Non trova appoggio nelle norme la pretesa di agganciare la competenza dello Stato alla necessità di far fronte ad una direttiva del Consiglio delle Comunità europee: il primo comma dell'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, é esplicito nel trasferire alle regioni le funzioni preordinate all'attuazione delle direttiva comunitarie fatte proprie dallo Stato, con l'unico limite del particolare, complesso, meccanismo configurato nel terzo comma del medesimo articolo. Non trova, infine, il conforto delle norme e delle circostanze di fatto il generico riferimento agli artt. 68 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e relativi adempimenti, meglio precisato nelle difese dell'Avvocatura dello Stato con il suo attestarsi sul quarto comma dell'art. 83, inteso nel senso che la ivi considerata "potestà del Governo di individuare, nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, i nuovi territori nei quali istituire riserve naturali e parchi di carattere interregionale", postulerebbe un'interregionalità non di ordine territoriale o geografico, ma insita nella portata sovraregionale, e quindi nazionale, degli interessi tutelati: dal confronto con le altre non poche disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 che fanno uso dell'aggettivo "interregionali" (art. 69, secondo comma, rispetto alle "aziende"; artt. 89, secondo comma, e 91 rispetto ai "bacini idrografici"; artt. 113, primo comma, e 122, primo comma, rispetto agli "enti", ecc.) o della stessa nozione di "carattere interregionale" (art. 85, secondo comma, rispetto alle "linee di gran turismo"), emerge in maniera sufficientemente chiara la connotazione geografica o territoriale di tali espressioni, da rapportare, cioé, a situazioni che territorialmente interessino più regioni, come non é certo il caso della zona umida oggetto del decreto in discussione.

Sempre a proposito dell'art. 83, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, non va, oltretutto, dimenticato che l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, nucleo centrale di tale disposto, reca in sé l'idea di un coinvolgimento di più regioni. D'altro canto, perché l'interesse nazionale possa assurgere a criterio ispiratore degli organi statali (come l'Avvocatura dello Stato vorrebbe ai fini dell'individuazione di nuovi territori nei quali istituire riserve naturali), sembra indispensabile che esso non rimanga indeterminato e, quindi, apoditticamente rimesso alla valutazione, di volta in volta, di un ministro, ma riceva adeguata qualificazione attraverso un ragionevole fondamento normativo, demandato, pertanto, all'individuazione del legislatore: il che, fino ad oggi, non si é verificato, non essendo stata emanata la legge-quadro per i parchi e le riserve naturali, alla quale lo stesso d.P.R. n. 616 del 1977 demanda, sia pure per i soli aspetti considerati dal secondo comma dell'art. 83, la definitiva soluzione dei problemi in esame.

Si aggiunga che il decreto impugnato, a differenza dei due di poco precedenti, non si preoccupa nemmeno di "far salve" le competenze regionali, mal adeguandosi, anche sotto questo profilo, all'ottica adottata dalla delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, e dal conseguente d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ottica tutta tesa a valorizzare materie esplicitamente non enunciate nell'art. 117 della Costituzione, attraverso un largo uso delle interconnessioni tra materie (qui rilevano, soprattutto, l'"urbanistica" e l'"agricoltura e foreste") e tra le relative competenze.

Il caso delle riserve naturali é uno dei più emblematici in proposito. Non fatte oggetto, diversamente di quanto accaduto per i parchi nazionali (art. 4, lettera s), di una espressa previsione da parte del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, che - come si é visto nel punto 5 - si limitava a parlare genericamente di "interventi per la protezione della natura" senza ulteriori specificazioni, le riserve naturali hanno trovato larga considerazione nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che se ne occupa direttamente sia nel capo dedicato all'agricoltura e foreste (art. 66, primo comma, che affianca all'istituzione di parchi e riserve naturali "la tutela delle zone umide"), sia nel capo dedicato all'urbanistica: qui é l'art. 83, primo comma, a ribadire la regola del trasferimento delle funzioni amministrative concernenti le riserve ed i parchi nazionali alle regioni, salvi - in favore dello Stato - i soli limiti risultanti dall'art. 83, secondo comma, per i parchi nazionali e le riserve naturali "dello Stato esistenti" al momento della sua entrata in vigore e dall'art. 83, quarto comma, per le riserve naturali ed i parchi di carattere interregionale, oltre, beninteso, al già esaminato limite di ordine generale posto dall'art. 4 in attinenza ai rapporti internazionali.

Il provvedimento de quo, in quanto adottato da organi dello Stato al di fuori di ogni eccezione consentita, lede la sfera della Regione ricorrente e va di conseguenza annullato.

Il. - Il decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste impugnato dalla Regione Lombardia reca la stessa data (13 agosto 1980) di uno dei decreti impugnati dalla Regione Toscana (per la precisione, il secondo), ma, mentre l'articolato é virtualmente il medesimo, compreso il disposto che fa "salve le competenze regionali", le premesse coincidono soltanto nella parte in cui si dà atto della "richiesta di istituzione di una riserva naturale di popolamento animale nell'area anzidetta, avanzata dall'Associazione italiana per il World Wildlife Fund - Fondo mondiale per la natura, con nota in data 25 luglio 1980". Per il resto, non vi é qui alcun cenno alla Convenzione di Ramsar, né all'esistenza di una "zona umida di valore internazionale", pur non mancandosi di qualificare il biotopo come "zona di sosta e di nidificazione di numerosi uccelli acquatici". D'altro canto, viene fatto richiamo ad una delibera del consiglio regionale della Lombardia del 15 febbraio 1979, "relativa alla costituzione di una riserva naturale locale" nella stessa area.

A sua volta, il ricorso della Regione deduce, con un unico ma composito motivo, la "violazione degli artt. 118 e 117 della Costituzione, anche in relazione all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e all'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382", insistendo particolarmente, quanto all'art. 83, sull'inosservanza del primo comma e, comunque, sull'inapplicabilità del quarto comma, sia per il carattere "non interregionale" della riserva de qua, sia, in subordine, per la carenza delle forme indispensabili agli effetti ivi previsti, come anche richiesto dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975.

  1. - Il ricorso della Regione Lombardia é fondato.

Esclusa in partenza qualsiasi possibilità per gli organi dello Stato di avvalersi dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (é lo stesso decreto ministeriale a mostrarsene ben consapevole, tanto da non contenere alcun cenno, né in fatto né in diritto, a vincoli e rapporti di ordine internazionale), le doglianze della Regione ricorrente meritano pieno accoglimento, e ciò alla stregua di quanto si é avuto modo di puntualizzare con riguardo alle varie parti dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, in sede di esame del terzo ricorso della Regione Toscana (v. antea, punto 10).

Non potendo, infatti, trovare applicazione né il secondo comma di detto art. 83 (la riserva é di istituzione successiva all'entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977), né il quarto comma dello stesso (la riserva non é di carattere territorialmente interregionale, con conseguente assorbimento degli altri problemi di forma posti da tale comma), nella fattispecie concreta in questione é da ritenersi competente la Regione Lombardia: una competenza, del resto, già esercitata, ai sensi degli artt. 66, primo comma, e 83, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e in conformità agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con la delibera costitutiva della riserva locale (15 febbraio 1979), la cui legittimità é, comunque, qui fuori discussione, non solo perché non disconosciuta nemmeno dal decreto ministeriale, ma anche perché l'illegittimità di quest'ultimo rende ultroneo affrontare il tema dei rapporti tra una riserva locale già istituita e l'istituzione nella stessa zona di una riserva naturale di popolamento animale da parte dello Stato con un atto che fosse di per sé legittimo, ma che si venisse a sovrapporre alla delibera regionale in quanto emanato successivamente.

Il presente provvedimento, di per sé viziato perché invasivo delle attribuzioni della Regione, va, pertanto, annullato.

  1. - Il decreto impugnato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, che reca la data del 30 luglio 1980, risulta emanato dal Ministro per l'agricoltura e le foreste di concerto con il Ministro dell'interno, essendo la "Foresta di Tarvisio", suo punto di riferimento territoriale, di proprietà dell'Azienda patrimoni riuniti ex-economali, così da rientrare fra i beni forestali espressamente esclusi dal trasferimento al patrimonio indisponibile della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 1, secondo comma, del d.P.R. 26 giugno 1965, n. 958). L'articolato del decreto ministeriale, che "per i problemi di gestione che possono interferire con gli interessi regionali" prescrive di sentire la Regione, costituisce in riserva naturale di popolamento animale le molte zone della "Foresta di Tarvisio" diverse da quelle già dichiarate riserva naturale integrale con un precedente decreto ministeriale (2 dicembre 1975), citato nelle premesse del provvedimento in esame, unitamente a varie fonti normative, quali gli artt. 68 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e le due leggi 27 dicembre 1977,n. 968 e n. 984, non senza diversi accenni, sia pur generici, ad organizzazioni ed enti internazionali e "all'importanza internazionale dell'area da proteggere".

Con il relativo ricorso, la Regione, dopo aver osservato che nel decreto vengono "promiscuamente richiamate la materia della caccia e la materia dell'urbanistica", muove ad esso l'addebito di essere lesivo, sotto il primo profilo, della sfera di competenza "costituzionalmente assegnata alla Regione Friuli- Venezia Giulia dall'art. 4 n. 3 dello Statuto speciale e dall'art. 1 del d.P.R. n. 1116 del 1965" e, sotto il secondo profilo, della sfera di competenza alla stessa Regione "attribuita con l'art. 4 n. 12 dello Statuto speciale e con gli artt. 22 del d.P.R. n. 1116 del 1965 e 21 e 26 del d.P.R. n. 902 del 25 novembre 1975".

  1. - Il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia é fondato.

Non si può, invero, disconoscere che, nel dare attuazione all'art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, il d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, abbia, con gli artt. 1 e 22 (quest'ultimo tanto nel suo testo originario quanto nel testo sostituito dall'art. 21 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902), trasferito alla Regione Friuli-Venezia Giulia le attribuzioni degli organi dello Stato sia in materia di caccia sia in materia di urbanistica con una portata non suscettibile di trovare limitazioni in nessuna delle indicazioni contenute nelle premesse del decreto impugnato e sviluppate all'udienza dall'Avvocatura dello Stato.

Per quanto riguarda le considerazioni basate sull'esclusione dal trasferimento alla Regione Friuli- Venezia Giulia dei rapporti relativi ai beni forestali appartenenti, come la "Foresta di Tarvisio", all'Azienda patrimoni riuniti ex-economali, va detto subito che esse - allo stesso modo del similare art. 68, secondo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 - non rilevano ai presenti fini, i quali coinvolgono non questioni di ordine patrimoniale (oltretutto, estranee alla competenza di questa Corte), ma questioni di gestione funzionale (v., in generale, antea, punto 4).

Né, tanto meno, valgono i richiami all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nelle parti in cui vi sarebbe prevista "una futura normativa di ripartizione di compiti fra Stato, Regioni e Comunità montane", lasciando allo Stato" il potere di individuare nuovi territori da costituire in riserve naturali di interesse nazionale": il secondo comma di detto articolo prevede sì "una futura normativa di ripartizione di compiti", ma con esclusivo riferimento alle riserve naturali dello Stato già esistenti, mentre il quarto comma parla non di riserve naturali di interesse nazionale, ma di riserve naturali a carattere interregionale, secondo una nozione che, per le ragioni ampiamente svolte in precedenza (punti 10 e 12), ha un significato ben diverso da quello che si pretenderebbe dall'Avvocatura dello Stato.

Non vi é dubbio, ed in questo gli argomenti svolti dalla stessa Avvocatura sono pienamente da condividere, che l'art. 83, pur rientrando in un d.P.R, come il n. 616 del 1977, dettato in attuazione di una delega concernente le regioni a statuto ordinario (v. art. 1, parte prima, della legge 22 luglio 1975, n. 382), trovi applicazione anche per le regioni a statuto speciale, non essendo accettabile che in una materia quale quella delle riserve naturali, per la prima volta specificata appunto dal d.P.R. n. 616 del 1977 - le regioni a statuto speciale, nell'assenza di una espressa disposizione in contrario, restino prive delle attribuzioni conferite alle regioni a statuto ordinario. Orbene, la portata principale dell'art. 83 sta, appunto, nell'aver trasferito "alle regioni le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali" (primo comma), con i soli limiti, qui non riscontrabili, posti in favore dello Stato dal secondo e dal quarto comma.

Altrettanto controproducente si rivela il richiamo che la prima premessa del provvedimento fa alla legge 27 dicembre 1977, n. 968. Nel dettare "principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia", tale legge, all'art. 6, primo comma, impegna, per gli interventi nel settore della caccia, le regioni a predisporre piani annuali o pluriennali, qualificati di conseguenza piani regionali, con la previsione, tra l'altro, di "oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione, alla sosta della fauna selvatica" (lettera a) e di "zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della selvaggina, al suo irradiamento nelle zone circostanti ed alla cattura della medesima per il ripopolamento" (lettera b). La prescrizione dell'art. 4 n. 3 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia non potrebbe trovare rispondenza più puntuale di questa.

Ultroneo é, poi, il richiamo alla legge 27 dicembre 1977, n. 984, sul quale ha pur insistito la difesa orale dell'Avvocatura dello Stato: emanata pochi mesi dopo il d.P.R. n. 616 del 1977, tale legge, essenzialmente mossa dall'intento di assicurare adeguati finanziamenti a tipi svariatissimi di intervento pubblico, non poteva pretendere - né ha preteso - di modificare l'appena tracciato riparto delle competenze tra lo Stato e le regioni. Troppo generica risulta, infine, l'utilizzazione della dimensione internazionale, qui insufficiente in modo palese: il limite degli obblighi internazionali opera a favore dello Stato soltanto in presenza di adempimenti precisi, necessari per dare puntuale esecuzione ad un vincolo formalmente assunto (v. antea, punti 8 e 10).

L'illegittimità del decreto impugnato, invasivo della sfera di competenza della Regione Friuli-Venezia Giulia, ne comporta l'annullamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  1. a) dichiara che spettava allo Stato la potestà di istituire le riserve naturali "Valle Imperina" in comune di Rivamonte, "Monti del Sole" nei comuni di Sedico e Sospirolo, "Monte Pavione" in comune di Sovramonte, "Schiara occidentale" in comune di Sedico, "Valle Scura" in comune di S. Giustina Bellunese, "Piani Eterni-Errera-Val Falcina" nei comuni di Cesiomaggiore, S. Giustina, Gosaldo e Sospirolo, "Vette Feltrine" nei comuni di Sovramonte, Cesiomaggiore, Feltre e Pedavena, di cui ai sette decreti del Ministro per la agricoltura e le foreste oggetto, rispettivamente, dei ricorsi per conflitto di attribuzione nn. 16, 17, 18, 19, 20, 24 e 25 del 1976 proposti dalla Regione Veneto;
  2. b) dichiara che spetta allo Stato la potestà di istituire la riserva naturale dell'"Oasi della Laguna di Orbetello di Ponente" e la riserva naturale "Lago di Burano", di cui ai due decreti del Ministro per l'agricoltura e le foreste oggetto, rispettivamente, dei ricorsi per conflitto di attribuzione nn. 29 e 30 del 1980 proposti dalla Regione Toscana;
  3. c) dichiara che non spetta allo Stato la potestà di istituire la riserva naturale di popolamento animale "Laguna di Ponente di Orbetello (parte)", di cui al decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste, di concerto con il Ministro della marina mercantile, oggetto del ricorso per conflitto di attribuzione n. 29 del 1981 proposto dalla Regione Toscana, e annulla, di conseguenza, tale decreto;
  4. d) dichiara che non spetta allo Stato la potestà di istituire la riserva naturale "Bosco WWF di Vanzago", di cui al decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste oggetto del ricorso per conflitto di attribuzione n. 28 del 1980 proposto dalla Regione Lombardia, e annulla, di conseguenza, tale decreto;
  5. e) dichiara che non spetta allo Stato la potestà di istituire la riserva naturale di popolamento animale della "Foresta di Tarvisio", di cui al decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste, di concerto con il Ministro dell'interno, oggetto del ricorso per conflitto di attribuzione n. 35 del 1980 proposto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, e annulla, di conseguenza, tale decreto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1984.