Sentenza n 222 del 1984

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SENTENZA N. 222

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 100 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, ecc...) promossi con le seguenti ordinanze:

1) due ordinanze emesse il 19 dicembre 1979 dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Pizzetti Adriana contro Morelli Fernando ed altro e Quinti Roberto ed altro, iscritte ai nn. 224 e 225 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'anno 1980;

2) due ordinanze emesse il 28 febbraio e 26 giugno 1981 dal Tribunale di Ferrara nei procedimenti civili vertenti tra Lupo Salvatore e Fallimento Lupo Salvatore ed altra, iscritte ai nn. 258 e 610 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 dell'anno 1981 e 12 del 1982;

3) due ordinanze emesse il 15 ottobre 1981 e 22 febbraio 1982 dalla Corte d'appello di Messina nei procedimenti civili vertenti tra Giostra Antonino e Ditta Fratelli Croce ed altri e S.p.A. Caleppio iscritte ai nn. 101 e 359 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 178 e 290 dell'anno 1982.

Visto l'atto di costituzione di Lupo Salvatore, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

uditi l'avv. Michele Giorgianni per Lupo Salvatore e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con atto 30 dicembre 1978 Pizzetti Adriana, dichiarata fallita dal Tribunale di Roma Sez. fallim. con sent. 22 febbraio 1979, propose, ai sensi dell'art. 100 l. fall, impugnazione avverso l'ammissione al passivo di un credito di Morelli Fernando nei confronti del quale la fallita sosteneva di non essere debitrice di alcuna somma; a seguito della costituzione del Morelli, il quale eccepì il difetto di legittimazione della fallita all'impugnazione e nel merito chiese il rigetto del ricorso, la Pizzetti sollevò questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 100 nella parte in cui limita l'impugnazione dei crediti ammessi ai soli creditori insinuati.

Con ordinanza resa il 19 dicembre 1979 (notificata e comunicata il 28 febbraio 1980; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 28 maggio 1980 e iscritta al n. 224 R.O. 1980) l'adito Tribunale di Roma Sez. fallim. giudicò rilevante e, in riferimento all'art. 24 comma secondo Cost., non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 sul riflesso a) che il curatore, mentre é passivamente e attivamente legittimato a stare in giudizi, aventi ad oggetto controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, in luogo del debitore (art. 43 l. fall.), é legittimato, a sensi dell'art. 100, a resistere alle impugnazioni dei crediti ammessi e non già ad impugnare detti crediti e tale limitazione si risolve in una deminutio del fallito, il quale, quindi, non é sostituito dal curatore nelle impugnazioni dei crediti ammessi (deminutio cui non appieno si sopperirebbe con l'istituto della revocazione), b) che il contrario avviso della Corte di Cassazione, che, con sent. 20 luglio 1964, n. 1962, ebbe a stimare manifestamente infondata la questione, sarebbe superato da successivi orientamenti della stessa Cassazione in tema di legittimazione del fallito ad agire in giudizio, a proprie spese, per la tutela di diritti patrimoniali di cui gli organi fallimentari siansi disinteressati, e dalle sentenze - rese dalla Corte costituzionale - 6 luglio 1970, n. 141 in punto alla mera facoltà, attribuita dall'art. 15 l. fall. al tribunale, di ordinare, prima di dichiarare il fallimento, la comparizione dell'imprenditore, 127/1975 dichiarativa della illegittimità dell'art. 147 l. fall. nella parte in cui negava al fallito, concedendola al solo curatore, la legittimazione a chiedere la dichiarazione di fallimento dei socii illimitatamente responsabili nonché dell'art. 22 l. fall. nella parte in cui disconosceva al medesimo fallito la legittimazione a proporre reclamo contro il decreto del tribunale, reiettivo dell'istanza diretta alla dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile, e c) che l'obiezione diretta a porre in rilievo gli inconvenienti, cui l'allargamento delle iniziative del fallito darebbe occasione, non sarebbe sufficiente ad esimere dal prospettare dubbi di legittimità dell'art. 100 il cui controllo a stregua della Costituzione é stato più volte invocato dalla prevalente dottrina.

1.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 17 giugno 1980 con il quale l'Avvocatura generale dello Stato ha concluso per l'infondatezza allegando a motivi che la evoluzione giurisprudenziale, successiva alla sent. 20 luglio 1964, n. 1962, cui il Tribunale si era riferito, riguardava ipotesi del tutto diversa da quella in argomento.

2. - Dall'ordinanza 19 dicembre 1979, riassunta sub 1.1, la ordinanza resa sotto la stessa data dallo stesso Tribunale (notificata e comunicata il 28 gennaio 1980; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 28 maggio 1980 e iscritta al n. 225 R.O. 1980) differiva solo perché la Pizzetti Adriana si opponeva (non al Morelli Fernando ma) al Quinti Roberto e diverso era l'ammontare del credito ammesso mentre comuni erano l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e l'atto di intervento versato nell'incidente sub 1.2.

3.1. - Con ricorso depositato il 2 luglio 1980 Lupo Salvatore, dichiarato fallito dal Tribunale di Ferrara, spiegò la impugnazione avverso l'ammissione al passivo del proprio fallimento in via chirografaria del fallimento della "Industria Liquori Caso Lupo S.a.a." per la somma di L. 944.335.863; nel contraddittorio del curatore del fallimento della società, il quale contestò la legittimazione del fallito a proporre la impugnazione e il fondamento nel merito, la difesa del Lupo eccepì l'illegittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, per contrasto con l'art. 24 Cost., nella parte in cui non consente al fallito di impugnare l'ammissione di crediti.

Con ordinanza resa il 26 giugno 1981 (notificata e comunicata il 29 luglio successivo; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 13 gennaio 1982 e iscritta al n. 610 R.O. 1981) l'adito Tribunale di Ferrara giudicò rilevante e, in riferimento all'art. 24 Cost., non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui non consente al fallito di impugnare i crediti ammessi al passivo del suo fallimento, sebbene ne fosse stata ritenuta la manifesta infondatezza da Cass. 20 luglio 1964, n. 1962, da Trib. Alessandria 29 aprile 1970 e da Tribunale di Genova 5 dicembre 1977, ponendo in particolare evidenza che l'entità della massa passiva accertata, oltre a costituire l'insieme dei debiti cui il patrimonio del debitore deve far fronte, condiziona le possibilità di ottenere la riabilitazione immediata o di proporre un concordato o di evitare la contestazione di una delle aggravanti specifiche del reato di bancarotta.

3.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 2 febbraio 1982, con il quale l'Avvocatura generale, a sostegno della conclusione di infondatezza della questione, ha in sostanza riprodotto le argomentazioni esposte nell'atto di intervento, comuni ai due precedenti incidenti (supra 1.2., 2.2.).

4.1. - Con ordinanza resa il 28 febbraio 1981 (notificata il 10 e comunicata il 16 del successivo marzo; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 16 settembre 1981 e iscritta al n. 258 R.O. 1981) nel giudizio di impugnazione promosso dal fallito Lupo Salvatore avverso l'ammissione al passivo della Amministrazione finanziaria dello Stato per IVA evasa e penalità nella misura di L. 271.987.000, l'adito Tribunale di Ferrara giudicò manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 perché il diverso trattamento riservato, in punto alla legittimazione alla impugnazione, al fallito e al curatore era giustificato dalla perdita, nel fallito, della capacità processuale, dalla eccezionalità dei casi in cui é consentito al fallito agire in proprio all'interno della procedura fallimentare, da ragioni di speditezza ed economia processuale la cui valutazione rientra nell'insindacabile apprezzamento del legislatore; giudicò per contro non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24 Cost., la questione per le ragioni esposte nella precedente ordinanza (supra 3.1.).

4.2. - Avanti la Corte si sono costituiti nell'interesse di Lupo Salvatore gli avv. Alberto Pisani e Beniamino Jannotta giusta mandato in calce alla memoria depositata il 27 marzo 1981, con la quale han concluso per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 argomentando, in aggiunta ai motivi esposti nella ordinanza di rimessione, da ciò che la illegittimità é stata ritenuta da autorevole dottrina (Salanitro, A. De Martini) ed é posta in maggiore evidenza dalla autorità di giudicato attribuita al decreto di ammissione che sopravvive alla chiusura della procedura fallimentare, ritenuta dalla dottrina (F. Ferrara jr., L. Lanfranchi, E. F. Ricci) e negata dalla giurisprudenza della Cassazione.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 6 ottobre 1981 con il quale l'Avvocatura generale dello Stato si é limitata a richiamare gli atti d'intervento versati nei precedenti incidenti (supra 1.2.; 2.2.).

5.1. - Provvedendo sull'appello, proposto dall'erede della fallita Cucinotta Natala, Giostra Antonino, il quale aveva spiegato impugnazione avverso il decreto di ammissione al passivo di non pochi crediti, per la riforma della sentenza 20 dicembre 1977-26 gennaio 1978 dichiarativa dell'inammissibilità della impugnazione, resa dal locale Tribunale, la Corte di appello di Messina, con ordinanza pronunciata il 15 ottobre 1981 (comunicata il successivo 23 novembre 1981 e notificata il 3 febbraio 1982; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 30 giugno 1982 e iscritta al n. 101 R.O. 1982) nel contraddittorio, tra l'altro, del creditore Ditta Fratelli Croce, giudicò rilevante e, in riferimento all'art. 24, comma secondo Cost., non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 allegando i motivi esposti dal Tribunale di Roma nella ordinanza del 19 dicembre 1979 (supra 1.1.).

5.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri riassumendo nell'atto depositato il 19 luglio 1982 le argomentazioni esposte nell'atto versato nell'incidente iscritto al n. 224 R.O. 1980 (supra 1.2.).

6.1. - Con ordinanza resa il 22 febbraio 1982 (notificata il 14 e comunicata il 22 del successivo aprile; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del 20 ottobre 1982 e iscritta al n. 359 R.O. 1982) nel contraddittorio, tra l'altro, di Giostra Antonino (erede della fallita Cucinotta Natala), il quale aveva proposto opposizione avverso il decreto di ammissione tardiva al passivo del credito della Galeppio S.p.A. sostenendo che tale credito non avrebbe dovuto essere ammesso al passivo perché la Cucinotta aveva in precedenza iniziato giudizio di risoluzione e di risarcimento di danni contro la società e, pertanto, era ancora da stabilire se e per quale importo esistesse il credito, la Corte d'appello di Messina - sospeso di decidere sull'appello interposto dal Giostra avverso la sentenza 13 marzo-28 maggio 1979 con la quale il locale Tribunale aveva dichiarato l'improponibilità della proposta opposizione sul riflesso che i creditori avrebbero potuto costituirsi in giudizio prima dell'opposizione, non già proporre impugnazione tardiva e, di conseguenza, che tanto meno avrebbe potuto proporre opposizione il Giostra erede della fallita per essere questa carente di legittimazione - giudicò rilevante e, in riferimento all'art. 24, comma secondo, Cost., non manifestamente infondata la questione di illegittimità dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 riassumendo i motivi svolti nella precedente ordinanza del 15 febbraio 1981 (supra 5.1.).

6.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 2 novembre 1982 con il quale l'Avvocatura generale dello Stato ha riprodotto la motivazione della sent. 20 luglio 1964, n. 1962, con cui la Corte di cassazione aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 43 1. fall. (indirizzo riaffermato con le sentt. 31/1975, 1627/1975 e 1061/1978) in ordine al principio di eguaglianza, inteso in collegamento con la tutela del diritto di difesa, ha richiamato le sentt. 3/1957, 46/1967, 159/1972, 276/1974, 265/1976 e 28/1977 della stessa Corte, é tornata a porre in rilievo che il fallito cessa dalla titolarità dei rapporti acquisiti alla massa e pertanto difetta della relativa legittimazione processuale e che da tale correlazione non divergono le ipotesi in cui la legittimazione processuale é conservata al fallito (art. 43 l. fall.).

7. - Alla pubblica udienza del 6 dicembre 1983, alla quale sono stati assegnati i sei incidenti, il giudice Andrioli ha svolto la relazione; l'avv. Giorgianni, associato dai già costituiti difensori del Lupo, ha argomentato e concluso per la dichiarazione di fondatezza della questione, per la infondatezza della quale ha invece motivato e concluso l'avv. dello Stato Carafa.

Considerato in diritto

8.1. - La identità obiettiva degli incidenti ne giustifica la riunione ai fini di unica decisione.

8.2. - Nel merito, la questione é infondata nella parte in cui si denuncia, in relazione all'art. 24 Cost., la illegittimità dell'art. 100 l. fall. in quanto nega la legittimazione del fallito in persona ad impugnare i crediti ammessi, laddove la prospettazione del dubbio in riferimento al difetto di legittimazione del curatore in nome e per conto del fallito non rileva nei giudizi a quibus e, comunque, contrasta con il diritto vivente, espresso dalla giurisprudenza della Cassazione.

Sembra invero alla Corte che la partecipazione del fallito alla fase sommaria della verificazione la quale sfocia nel decreto di ammissione al passivo consente di rappresentare le ragioni che, ad avviso del fallito, vanno poste a fondamento del decreto del giudice delegato, mentre l'attribuzione al fallito della legittimazione in persona alla impugnazione dei crediti ammessi offrirebbe facile esca alla perpetuazione della fase di cognizione ordinaria con grande nocumento dei creditori.

Le indubbie limitazioni che la normativa pone in tema di legittimazione del debitore trovano d'altronde non irrazionale giustificazione nella natura dello speciale procedimento che, come questa Corte ha già affermato con sentenza n. 195/1975, é diretto alla tutela di interessi generali ed ha un carattere unitario: é dunque essenzialmente nel suo ambito, e nei limiti posti dalla sua struttura, che i diritti e gli interessi del fallito possono trovare protezione.

Né giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte in tema di dichiarazione di fallimento e di opposizione alla sentenza dichiarativa perché diversi sono gli obiettivi delle due vicende.

I fin qui svolti motivi inducono a negare all'art. 3 Cost. idoneità ad assumere la veste di utile parametro (del resto disconosciuta dal Tribunale di Ferrara con ordinanza 28 febbraio 1981 (supra 4.1.), dappoiché la garanzia del diritto di difesa somministra i criteri atti a negare nella specie l'incostituzionalità dell'art. 100 sotto il triplice profilo della irrazionalità e della violazione del principio di eguaglianza.

Ciò non toglie che sia da auspicare, all'interno delle procedure concorsuali, la ricerca di più soddisfacenti equilibri anche nella prospettiva di una miglior tutela della condizione del fallito, ma la stessa varietà delle soluzioni ipotizzabili dimostra che si versa in materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i sei procedimenti (nn. 224 e 225 Reg. ord. 1980, 250 e 610 Reg. ord. 1981, 102 e 359 Reg. ord. 1982), dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 100 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede la legittimazione del fallito ad esperire l'impugnazione dei crediti ammessi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1984.