Sentenza n.192 del 1984

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SENTENZA N. 192

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 2 marzo 1949, n. 143 (Tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 giugno 1978 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Lazzaro Remo e Rigato Michele iscritta al n. 566 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 dell'anno 1979;

2) ordinanza emessa il 17 novembre l981 dalla Corte di Appello di Potenza nel procedimento civile vertente tra Pica Matteo e Latorraca Vito iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 22 gennaio 1982 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Ospedale civile Immacolata Concezione e Caneva Vittorio iscritta al n. 258 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 262 dell'anno 1982.

Visti gli atti di costituzione del Consiglio nazionale degli ingegneri, di Latorraca Vito e di Caneva Vittorio;

Udito nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

Udito l'avvocato Claudio Rossano per il Consiglio nazionale degli ingegneri e per Vito Latorraca.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 26 giugno 1978, su ricorso di Lazzaro Remo, la Corte di Cassazione ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 18 della legge 2 marzo 1949, n. 143 (Tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti), in riferimento all'art. 3 Cost.

Il Lazzaro proponeva opposizione avverso il decreto 12 dicembre 1969, col quale il Presidente del Tribunale di Padova gli aveva ingiunto di pagare all'architetto Rigato L. 1.866.852 per compensi professionali, deducendo, fra l'altro, l'illegittimità della maggiorazione pretesa dal professionista ex art. 18 della legge sulle tariffe degli architetti e ingegneri.

Respinta l'opposizione, il Lazzaro ricorreva alla Corte di Appello di Venezia, davanti alla quale sollevava la presente eccezione di costituzionalità. Quella Corte la dichiarava manifestamente infondata, respingendo l'appello.

Il soccombente ricorreva allora per Cassazione, sollevando di nuovo la suddetta eccezione: l'art. 18 sarebbe incostituzionale nella parte in cui prevede a carico del committente che receda dal contratto un supplemento corrispondente ad un quarto del compenso spettante al professionista per l'opera effettivamente prestata. Tale disposizione, secondo il ricorrente, privilegerebbe ingiustificatamente ingegneri e architetti rispetto agli altri professionisti, modificando in peius la situazione obbligatoria del cliente, come stabilita dal codice civile agli artt. 2229 e seguenti. Afferma anzitutto la Corte di Cassazione che "la questione interessa il giudizio, in quanto la scelta del criterio da seguire per stabilire i compensi reclamati condiziona la decisione, e non appare priva all'evidenza di fondamento". Rileva ancora la Suprema Corte che la Cortedi Appello di Venezia ha respinto la eccezione sulla base dei criteri particolari che informano le varie tariffe in relazione alla peculiarità della singola professione, di fronte alla quale sarebbe da escludere la lamentata disparità di trattamento.

Ad avviso della Suprema Corte occorre, invece, accertare se le caratteristiche delle prestazioni professionali in questione giustifichino effettivamente una disciplina particolare, derogatoria rispetto al regime del codice civile. Tale regime prevede la possibilità che il committente possa recedere dal contratto senza restrizioni, mentre il professionista può esercitare il recesso solo per giusta causa. La differenza di trattamento fra le parti é stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 25 del 1974. Il legislatore ha dunque voluto espressamente tutelare maggiormente la posizione del committente. A suo carico in caso di recesso, il codice si limita a prevedere l'obbligo della corresponsione al professionista del rimborso delle spese e dei compensi dovuti per i lavori svolti, secondo le tariffe.

La legge sulle tariffe per gli ingegneri ed architetti dopo aver disposto all'art. 15 che il compenso al professionista va riferito all'intera prestazione dell'opera e calcolato in percentuale sull'importo del consuntivo lordo, stabilisce, all'art. 18, che la limitazione dell'incarico originario solo ad alcune prestazioni comporta l'aggiunta del 25%. Detta maggiorazione é prevista anche per l'ipotesi di sospensione, o meglio di revoca, dell'incarico, di cui all'art. 10. Quest'ultima norma dispone, dal canto suo, che la sospensione per qualsiasi motivo dell'incarico non esime il cliente dall'obbligo di corrispondere al prestatore d'opera l'onorario relativo al lavoro svolto e predisposto in base all'art. 18, lasciando fermo il diritto del professionista al risarcimento degli eventuali maggiori danni, qualora la sospensione non dipenda da cause a lui imputabili.

Tale normativa, afferma la Corte di Cassazione, é indubbiamente derogatoria rispetto a quella prevista dal codice civile. Per risultare costituzionalmente legittima, essa dovrebbe quindi trovare una sua razionale giustificazione. L'analoga disposizione dell'art. 10 della precedente tariffa, approvata con decreto ministeriale del 1 dicembre 1932, era stata ritenuta dalla stessa Suprema Corte in contrasto con l'art. 2237 del codice civile e pertanto da disapplicare, in quanto approvata con atto secondario, inidoneo a modificare il regime della legge. Quanto alla norma ora censurata, la giustificazione del trattamento da essa disposto in deroga al codice civile non si rinviene, ad avviso del giudice a quo nemmeno nei lavori preparatori della legge che la contiene.

Ammette il Supremo Collegio che le prestazioni di opere architettoniche o di ingegneria possano, in relazione al complessivo disegno del lavoro da svolgere, anche implicare un impegno eccedente dai limiti della porzione progettata.

Senonché, si dice, questo riflesso dell'opera del professionista non poteva essere sfuggito agli autori del codice civile, perché ricorre, in misura più o meno accentuata, con riferimento a tutte le attività intellettuali; e d'altronde le caratteristiche delle attività professionali in settori vicino a quello in considerazione - tali, in particolare, sarebbero le prestazioni dei geometri, nel campo dell'edilizia - non hanno ispirato al legislatore correttivi o maggiorazioni del compenso del professionista che valgano per l'ipotesi del recesso del committente, come invece é previsto nella specie. In tale quadro, la affermazione del ricorrente, secondo cui la normativa in esame sarebbe destinata a ripristinare una situazione di parità tra le parti (committente e professionista) sul piano economico - parità negata sul piano giuridico - costituirebbe in realtà un argomento in favore della denunciata disparità di trattamento. L'aumento del 25% non potrebbe del resto essere considerato come compenso per la mancata realizzazione delle capacità del professionista o per l'eventuale agevolazione di cui fruirebbe chi gli subentra nello svolgimento del lavoro per il fatto di giovarsi della prestazione iniziale, dal momento, si osserva anche qui, che tale situazione ricorre quando più, quando meno chiaramente - con riguardo a tutte le attività professionali. Dopo di che, la violazione dell'art. 3 Cost. é prospettata in questi termini: il committente é tutelato nel senso che gli oneri conseguenti al non compimento dell'opera, per via del suo recesso, risultano tassativamente precisati, ed implicano situazioni svantaggiose per il professionista, laddove la previsione, in una particolare legge professionale, di una maggiorazione del compenso del prestatore d'opera, che prescinde dalla illiceità del comportamento del cliente, determinerebbe un ingiustificato privilegio rispetto alle altre categorie professionali.

La discrezionalità del legislatore, nel disciplinare situazioni che esso ritenga eguali, deve pur sempre essere esercitata, secondo la Corte di Cassazione, nei limiti della ragionevolezza, oltre che nel rispetto dei principi costituzionali. Il che non pare sia avvenuto nel caso in esame.

Il giudice a quo ritiene pertanto che l'eccezione sollevata dalla parte privata non sia manifestamente infondata e rilevi ai fini della propria decisione; di conseguenza sospende il giudizio e rimette gli atti a questa Corte.

2. - Si é costituito nel presente giudizio il Consiglio nazionale degli ingegneri in persona del suo Presidente pro tempore. L'atto di costituzione e le relative deduzioni (a parte ogni altra considerazione sulla loro ammissibilità) sono state comunque depositate fuori termine (e pertanto di essi non si da conto in questa sede).

3. - La medesima questione di costituzionalità é sollevata dalla Corte di Appello di Potenza con ordinanza emessa il 17 marzo 1981 nel procedimento civile vertente fra Pica Matteo e Latorraca Vito.

Con sentenza 9 febbraio 1978 il Tribunale di Melfi rigettava l'opposizione proposta dal Pica contro il decreto ingiuntivo emesso il 18 marzo 1975 dal Presidente del detto Tribunale su ricorso dell'Ing. Latorraca per il pagamento di compensi professionali ammontanti a 9.534.090 lire.

Il Pica nell'appello fra l'altro eccepisce che non sia dovuta la maggiorazione del 25% prevista dall'art. 18 della legge 143/49 sulle tariffe per gli architetti e gli ingegneri.

Nella specie il professionista ha progettato l'opera ma non diretto i lavori, benché fosse stato in un primo tempo designato per tale attività ulteriore. L'appellato lamenta la violazione dell'art. 2237 del codice civile nonché, ovviamente, del principio costituzionale di eguaglianza.

La Corte d'Appello afferma anzitutto la rilevanza della questione di costituzionalità per la definizione del giudizio davanti ad essa pendente e ricorda che la Corte di Cassazione nel 1978 ha sollevato identica questione.

Il giudice a quo richiama le argomentazioni della Suprema Corte sui limiti posti dal principio di ragionevolezza alla discrezionalità di cui il legislatore dispone nel prevedere trattamenti differenziati e sul mancato rispetto di tali limiti nel caso in esame; dichiara di aderire pienamente a tale argomentazione e solleva la medesima questione di costituzionalità dell'art. 18 della legge n. 143 del 1949.

3.a. - Si costituisce nel presente giudizio l'Ing. Latorraca. La sua difesa fa anzitutto rinvio alle argomentazioni contenute nell'atto di costituzione del Consiglio nazionale degli ingegneri relativamente al giudizio introdotto con ordinanza della Corte di Cassazione e come detto depositato fuori termine.

A sostegno dell'infondatezza della questione si fa comunque rilevare che la norma denunciata é posta in relazione a tutti i casi in cui l'opera del professionista copre solo una parte del lavoro commissionato: tanto se tale parzialità sia prevista ab origine, quanto se l'incarico relativo sia stato durante il corso dell'opera revocato dal committente. Per entrambi i casi é prevista la nota maggiorazione del 25%.

Tale maggiorazione si giustifica, secondo la difesa del professionista, prima di tutto per la considerazione che la maggior parte dell'opera viene spesa, e dunque a prescindere dalla totalità della prestazione, in relazione all'opera da svolgere. Altro titolo giustificativo sta in ciò che il risultato dell'opera parziale può essere autonomamente sfruttato a vantaggio dell'altrui attività, venendo ad avere quindi anche un valore potenziale: la parte dell'opera che maggiormente é "frutto dell'ingegno" sarebbe infatti quella dell'attività iniziale, anche se non viene compensata in modo proporzionale al suo intrinseco valore.

Inoltre, escludendo il professionista dal proseguimento dell'opera, il committente può realizzare l'opera in modo difforme dal disegno originario, con il rischio di pregiudicare la fedele realizzazione dell'opera dell'ingegno rispetto al suo modello originario, e comunque con il risultato di diminuire la credibilità del suo autore. Il che comporterebbe anche oneri per chi voglia sfruttare l'opera del proprio ingegno, l'esecuzione della quale sia stata poi affidata ad altri.

La difesa del Latorraca conclude dunque per la giustificatezza della previsione normativa impugnata, assumendo che vi é una peculiarità della posizione dell'ingegnere rispetto agli altri professionisti, geometri compresi, ai quali ultimi sono solo affidate opere di modesta entità tanto sul piano tecnico, quanto su quello culturale.

L'art. 18 della legge n. 143 del 1949 avrebbe pertanto un suo logico e legittimo fondamento, diversamente da come assume il giudice a quo, in piena conformità della regola costituzionale per cui le situazioni diverse vanno trattate in modo diverso.

4. - La medesima questione é da ultimo sollevata dal Tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 22 gennaio 1982 nel procedimento civile vertente fra l'Ospedale Immacolata Concezione di Pieve di Sacco e l'architetto Vittorio Caneva.

Ritiene il Tribunale che la detta questione non sia manifestamente infondata (limitandosi peraltro a rinviare in proposito all'ordinanza 26 giugno 1978 della Cassazione) e sia rilevante per la definizione del giudizio innanzi ad esso pendente, dato che l'architetto chiede come compenso della propria attività anche la maggiorazione prevista dall'impugnato art. 18.

4.a. - Si costituisce nel presente giudizio l'architetto Caneva. La sua difesa ricorda anzitutto come il suo assistito abbia eseguito prestazioni professionali in favore del summenzionato Ospedale.

I relativi progetti non vennero compensati dal committente e il professionista otteneva decreto ingiuntivo al quale si opponeva l'Ospedale. Il Tribunale riconosceva il diritto del professionista al compenso ma sospendeva il giudizio su istanza del committente rimettendo gli atti alla Corte per l'esame della suddetta questione. Secondo la difesa del Caneva il Tribunale della città veneta sarebbe caduto in un equivoco.

Sulla base degli atti prodotti nel corso del procedimento ingiuntivo si può notare come la maggiorazione degli oneri fosse stata richiesta in riferimento all'ipotesi di incarico parziale ab origine, e non a quella di sospensione dell'incarico

Nello stesso disciplinare di incarico formulato nel 1971 é prevista l'applicazione conseguente dell'art. 18.

Viene poi ricordata l'ordinanza della Corte di Cassazione, alla quale il Tribunale di Padova fa rinvio.

Si osserva quindi da parte della difesa del Caneva che la determinazione dei compensi riguardanti lavoratori intellettuali iscritti negli ordini professionali avviene per mezzo di tariffe elaborate o per via legislativa o dagli stessi organismi professionali

Secondo il giudice a quo, la deroga operata dal combinato disposto degli artt. 10 e 18 della legge n. 143 del 1949, sarebbe ingiustificata rispetto al regime previsto dagli artt 2229 e seguenti del codice civile.

Ma, oppone la difesa dell'architetto, la legislazione relativa alle diverse categorie professionali contiene una varietà di previsioni riguardanti le tariffe e i relativi criteri. I criteri particolari così adottati presuppongono una diversità di situazioni di partenza, di guisa che la lamentata disparità di trattamento non sussiste. L'uniformità normativa opererebbe, infatti, solo con riferimento alle singole categorie professionali, le norme possono contenere tanto le indicazioni in concreto del compenso, quanto i criteri per la sua determinazione. Talune tariffe, quali quelle forensi, prevedono un minimo inderogabile, altre collegano i compensi alla durata e complessità delle prestazioni (periti agrari); altre, ancora, sono caratterizzate da elasticità, facendo riferimento al principio di equità: così le tariffe mediche, che prevedono un aumento per le visite specialistiche, non contemplato in altre tariffe.

Quanto alla natura della maggiorazione prevista dalla norma impugnata, essa potrebbe a prima vista apparire come una caparra penitenziale, cioé un corrispettivo di fronte al diritto di recesso attribuito al committente. Poiché tale diritto é previsto in riferimento a tutte le prestazioni professionali, la norma sarebbe se così intesa, effettivamente incostituzionale, per violazione del principio di eguaglianza. Ma altro é il significato da attribuire alla maggiorazione in discorso. Al riguardo occorre, rileva ancora la difesa del Caneva, por mente al primo comma dell'art. 18, che stabilisce la maggiorazione censurata anche nell'ipotesi di affidamento parziale di opera ab origine. É chiaro poi che il caso di maggiorazione per recesso non può essere separato dalla suddetta ipotesi, essendovi, anzi, fra le due ipotesi necessaria connessione. Infatti, considerando illegittima la sola maggiorazione nell'ipotesi di recesso, sarebbe poi fin troppo facile per i committenti evitare il pagamento della maggiorazione prevista nell'ipotesi di incarico parziale ab origine. Inoltre, la legge n. 143 del l949 all'art. 15 prevede che nel caso in cui il professionista presti la propria assistenza all'intera opera i compensi sono calcolati sulla base del consuntivo dell'opera. Tali compensi, in base all'art. 16, sono dovuti per intero quando il lavoro é eseguito in tutto il suo sviluppo, e quando non siano eseguite solo alcune particolari prestazioni di cui all'art. 19 (sempre che le aliquote a queste ultime corrispondenti non superino lo 0, 20 per cento dell'intera opera). Dalle disposizioni testé riferite segue poi che il meccanismo dell'aumento del 25% opera anche nelle ipotesi in cui vengono eseguite operazioni del valore 0, 80% rispetto alle aliquote della tabella B (di cui all'art. 19) del valore complessivo uno. L'art. 18, se tale é il suo disposto, uscirebbe, in conclusione, indenne da censura. Peraltro, la Corte costituzionale é stata investita del giudizio di costituzionalità dell'art. 18, nella parte in cui questa statuizione fa riferimento all'ipotesi di recesso del committente. Quand'anche la Corte dovesse dichiarare fondata l'eccezione sollevata, la sua pronunzia non potrebbe allora avere effetto sul giudizio in corso davanti al Tribunale di Padova, in quanto esso si riferisce alla diversa ipotesi di incarico parziale ab origine.

5. - In prossimità dell'udienza la difesa del Consiglio nazionale degli ingegneri, con riguardo al giudizio introdotto con ordinanza n. 566/78 e la difesa dell'Ing. Latorraca, nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 84/82, producono memorie aggiuntive. Della memoria prodotta dal Consiglio nazionale degli ingegneri, non si può tener conto in quanto, com'é detto sopra, la costituzione in giudizio é avvenuta fuori termine. Per parte sua, la difesa dell'Ing. Latorraca sviluppa negli ultimi scritti difensivi le tesi avanzate nell'atto di costituzione. La norma censurata detterebbe lo stesso regime per tutte le ipotesi di incarico parziale, vuoi originario, vuoi successivo e conseguente alla revoca o sospensione dell'incarico da parte del committente. La sospensione può peraltro riguardare l'incarico parziale ab initio, ed anche in questo caso la maggiorazione prevista rimane fissa nella misura del 25%, senza che si applichi un ulteriore aumento del medesimo importo, appunto perché il titolo del previsto aumento risiede esclusivamente, secondo legge, nella parzialità dell'opera svolta. Posto ciò, la previsione oggetto di censura non integrerebbe gli estremi di alcuna deroga al generale disposto dell'art. 2237 del codice civile, secondo cui il cliente può recedere dal contratto rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per il lavoro effettuato, giacché quest'ultima statuizione non prevede direttamente i criteri per la valutazione dell'opera svolta, né per la determinazione del relativo compenso. Del compenso il codice si occupa, aggiunge la parte privata, sotto lo stesso capo dedicato alle professioni intellettuali, nell'apposita disposizione dell'art. 2233, dalla quale risulta, precisamente, che esso é stabilito, in assenza di pattuizione fra le parti, secondo tariffa; e la tariffa, tanto più in quanto prevista, come nel caso di specie, in forza di una previsione della legge formale, non deroga, ma, semmai. integra il disposto dell'art. 2237 codice civile. Verrebbe così meno il presupposto logico sul quale il giudice a quo fa invece affidamento per prospettare la presente questione: nel senso, appunto, che la norma censurata derogherebbe a quest'ultimo articolo del codice, e che tale deroga risulterebbe poi ingiustificata in relazione all'eguaglianza di trattamento tra le varie categorie professionali, ferma restando l'esigenza di tutelare la posizione del committente secondo lo schema che si assume fissato nell'art. 2237. Del resto, la legittimità della disposizione dedotta in controversia sarebbe stata riconosciuta dalla giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione successivamente all'emissione dell'ordinanza in esame (cfr. in particolare Cassazione 25 gennaio 1979, n. 5778; 4 agosto 1979, n. 4540 e 26 gennaio 1982, n. 505). Tale indirizzo giurisprudenziale si ricollega, viene dedotto, ad altro e più generale orientamento, che avrebbe condotto il Supremo Collegio ad escludere l'incostituzionalità di varie disposizioni tariffarie, in qualche modo analoghe a quelle censurate. La difesa dell'Ing. Latorraca deduce poi che ogni tariffa professionale risponde a particolari criteri, i quali, in rapporto alla determinazione dell'onorario, variano, talvolta sensibilmente, da un caso all'altro. Con riguardo al compenso per lavori parziali, le soluzioni accolte dal legislatore sono infatti diverse, secondo la categoria professionale, come risulterebbe dalle disposizioni vigenti in materia, che la parte privata richiama: l'art. 10 della legge n. 146 del 1957 (tariffa dei periti industriali); l'art. 8 del d.P.R. 22 ottobre 1973, n. 936 (tariffa dei dottori commercialisti; l'art. 13 del d.P.R. 10 settembre 1974, n. 567 (tariffa ragionieri e periti commerciali); l'art. 5 D.M. 22 giugno 1982 (tariffa forense); legge n. 244 del 1963 (tariffa medica). Ciascuna di queste tariffe adotterebbe una disciplina particolare, lasciando talvolta al professionista interessato la liquidazione discrezionale dell'onorario, che invece non é consentita ad ingegneri e architetti. La richiesta declaratoria di incostituzionalità avrebbe dunque come conseguenza, non quella di riparare alla diseguaglianza denunciata, che ad avviso della parte privata non sussiste, bensì di crearne una nuova: precisamente a danno, si soggiunge, di quest'ultima categoria professionale, per la quale verrebbe a stabilirsi un compenso inferiore a quello "ontologicamente predeterminato dalla tariffa per le varie attività parziali prestate dagli stessi ingegneri ed architetti". La difesa dell'Ing. Latorraca conclude invece nel senso che la maggiorazione in questione é diretta a tutelare il professionista dallo svantaggio comunque derivante dalla parzialità dell'incarico e trova piena giustificazione, in punto di razionalità di trattamento, nella peculiarità delle prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti: questo per le considerazioni già svolte nei precedenti scritti difensivi ed ulteriormente precisate nella memoria.

6. - Nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 la difesa dell'Ing. Latorraca ha ribadito e svolto le conclusioni già adottate.

Considerato in diritto

1. - La presente questione - sollevata, com'é detto in narrativa, dalla Corte di Cassazione, dalla Corte di Appello di Potenza e dal Tribunale di Padova - ha per oggetto l'art. 18 della tariffa professionale degli ingegneri e architetti. La disposizione censurata prevede che quando le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo completo dell'opera, ma riguardano alcune funzioni parziali, alle quali é stato limitato l'incarico originario, la valutazione dei compensi a percentuale é fatta sulla base delle aliquote specificate all'apposita tabella B, allegata alla medesima legge, ed é aumentata del 25% come nel caso della sospensione di incarico, di cui si occupa il primo comma dell'art. 10. Tale ultima norma dispone, dal canto suo, che la sospensione per qualsiasi motivo dell'incarico conferito al professionista non esime il committente dall'obbligo di corrispondere l'onorario relativo al lavoro "fatto e predisposto" com'é precisato nella testé riferita previsione dell'art. 18. Essa fa inoltre salvo il diritto del professionista al risarcimento degli eventuali maggiori danni, quando la sospensione sia dovuta a cause da lui non dipendenti. Le rimanenti disposizioni dell'art. 18 sono dedicate ad altri profili della tariffa e contemplano: la maggiorazione, nella misura del 50% delle aliquote specificate nell'anzidetta tabella B, quando l'opera del professionista é limitata "alla sola assistenza al collaudo o alla sola liquidazione dell'opera ovvero anche ad entrambe queste prestazioni"; i criteri per il computo delle aliquote o percentuali, dove l'incarico parziale sia originario; il criterio di valutazione del compenso per il caso di sospensione dell'incarico. L'ultimo comma del citato art. 18 stabilisce, infine, che si computano a parte gli eventuali compensi a vacazione, il rimborso delle spese e gli oneri previsti in altre disposizioni della tariffa (rispettivamente negli artt. 4, 6, 17).

La Corte di Cassazione e gli altri giudici remittenti - i quali, nel prospettare la questione, richiamano l'ordinanza del Supremo Collegio - denunciano la violazione dell'art. 3 Cost., com'é di seguito precisato.

A) Le censurate disposizioni della tariffa divergerebbero dal regime dettato in via generale - in ordine alle ipotesi che esse prevedono - dall'art. 2237 del codice civile. Tale ultima disposizione concerne il recesso dal rapporto di prestazione d'opera professionale. Nelle ordinanze in esame si rileva che essa distingue fra il recesso del committente e quello del professionista: nel primo caso il recesso é ammesso senza limitazioni, nell'altro é invece subordinato all'esistenza di una giusta causa e va comunque esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente. Il legislatore avrebbe con ciò apprestato una più intensa tutela degli interessi del committente rispetto a quelli del prestatore d'opera; ma la soluzione così adottata é, ad avviso dei giudici remittenti, pienamente giustificata, anche e proprio alla stregua del principio costituzionale di eguaglianza, come risulterebbe da altra pronunzia di questa Corte (n. 25/74), per via della natura fiduciaria del rapporto e della diversità di posizione e prestazioni che corre fra le parti. Da questo razionale assetto normativo della specie discenderebbe, poi, l'altra previsione dello stesso art. 2237, secondo la quale il cliente, che receda dal rapporto, ha semplicemente l'obbligo di rimborsare al professionista le spese e di corrispondergli secondo tariffa il compenso per l'opera svolta. Vien quindi dedotto che la generale disciplina del rapporto di lavoro professionale ubbidisce, sotto i profili qui considerati, al criterio di non limitare la libertà di azione del committente. Gli oneri scaturenti dal recesso del cliente sarebbero, di conseguenza, precisati rigorosamente: e "così da comprendere" - soggiunge la Corte di Cassazione - "gli aspetti negativi per il professionista, siano essi di ordine economico o morale".

B) Posto ciò, la norma denunziata offenderebbe l'art. 3 Cost. per avere, in difformità dal regime del codice, stabilito una maggiorazione automatica del compenso del prestatore di opera, e chiamato il cliente a risarcire danni che non derivano dall'illiceità del suo comportamento. Si assume, precisamente, che la legge in esame determini un'ingiustificata posizione di privilegio degli ingegneri ed architetti rispetto alle altre categorie professionali. Nessun titolo giustificativo della lamentata divergenza dal sistema del codice potrebbe infatti ricavarsi, né dai lavori preparatori della legge anzidetta, che tacciono sul punto, né dalla natura della prestazione professionale, che viene in rilievo nel presente giudizio. La progettazione parziale delle opere architettoniche o di ingegneria - ritiene la Corte di Cassazione - comporta lo studio della parte da svolgere in rapporto all'opera complessiva, e così un impegno del professionista, che può anche eccedere dai limiti del progetto; ma un argomento del genere non varrebbe ancora a fugare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale, perché, si dice, esso interessa più o meno da vicino, altre categorie professionali - in particolare quella dei geometri, che esercita la sua attività nell'affine campo dell'edilizia - in relazione alle quali il legislatore si é conformato al regime del codice in tema di recesso, e non ha d'altra parte stabilito, come nella specie, maggiorazioni di tariffa. Il contestato aumento del 25% non si giustificherebbe nemmeno quale indennizzo per la mancata realizzazione della piena capacità del professionista, o per il vantaggio che al subentrante possa derivare dal giovarsi delle prestazioni iniziali: e ciò, sempre per il rilievo che simili esigenze, in linea di massima comuni a tutte le professioni, avrebbero dovuto essere prese in considerazione anche nella disciplina delle altre tariffe, mentre non lo sono state.

Così, in definitiva, il legislatore avrebbe, privilegiando una categoria professionale a danno delle altre, travalicato dal legittimo esercizio della sua discrezionalità; discrezionalità che pur gli competeva, nella specie, di fronte a condizioni soggettive ed oggettive da esso ritenute non eguali.

2. - Data l'identità della questione, i giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe vengono riuniti e congiuntamente decisi.

3. - Giova al corretto esame del presente caso qualche considerazione di ordine preliminare. É dedotta in controversia quella statuizione del censurato art. 18 della legge n. 143 del 1949, nella quale é previsto l'aumento del 25% con riguardo alla valutazione del compenso a percentuale: detto compenso va corrisposto sulla base delle aliquote specificate nell'apposita tabella, annessa alla legge (tabella B); ed é, precisamente, alla previsione tabellare, così individuata, che si applica la contestata maggiorazione dell'onorario professionale.

La disposizione oggetto di censura concerne ogni ipotesi in cui, com'é ivi detto, "le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo completo dell'opera". Ciò accade, più esattamente, in due distinti casi.

L'incarico conferito all'ingegnere o all'architetto può essere in origine limitato ad alcuna soltanto delle funzioni che vanno dalla compilazione del progetto sommario della costruzione (o degli altri studi e calcolazioni di massima) fino alla liquidazione dei lavori, e si trovano elencate nell'art. 19 della stessa legge n. 143. In tale ultima norma é infatti detto quali operazioni sono comprese "nella prestazione complessiva del professionista per l'adempimento del suo mandato".

L'altra ipotesi é configurata nel primo comma dell'art. 10, di cui fa menzione lo stesso art. 18. Qui l'incarico diviene parziale, e come tale considerato ai fini del previsto aumento sul compenso percentuale, in quanto, anche se conferito in origine per la prestazione complessiva, venga in seguito sospeso o revocato, "per qualsiasi motivo", dal committente.

Ora, tutti e tre i provvedimenti di rimessione denunciano l'art. 18, limitatamente alla previsione del primo comma, che é la sola a rilevare ai fini del presente giudizio, ma con riguardo all'intero ambito di essa: e dunque, a prescindere dalla circostanza che nella specie l'esecuzione parziale dell'opera sia dovuta alla limitazione originaria o alla successiva revoca (o sospensione) dell'incarico affidato al professionista. Infatti, nessun dubbio di legittimità costituzionale é prospettato alla Corte per quanto concerne l'assimilazione - così com'è prevista nella norma in esame - fra l'uno e l'altro caso in cui, ricorrendo gli estremi di una mancata prestazione complessiva del professionista, é fatto operare il supplemento della tariffa. La lesione del principio di eguaglianza é dedotta, come sopra si é visto, esclusivamente per il rilievo che vi é, comunque, questa maggiorazione nel compenso dovuto secondo tabella. Ma la questione non é fondata.

4. - Non si può, prima di tutto, ritenere che il legislatore abbia nella specie ingiustificatamente derogato il disposto dell'art. 2237 del codice civile; né si può dunque convenire con i giudici remittenti nel senso che la norma denunziata intacchi la posizione riservata nel codice al committente, il quale receda dal contratto, e privilegi al tempo stesso il trattamento dell'ingegnere o dell'architetto ai danni di quante altre categorie professionali non godano - se vi é recesso del cliente - di un pari aumento tariffario. Una prima ed evidente insufficienza dell'argomento qui considerato sta in ciò, che esso concernerebbe, se mai, la sola sfera del recesso, o della limitazione sopravvenuta dell'incarico, mentre la questione abbraccia ogni ipotesi in cui l'opera non é compiutamente realizzata. Deve comunque aggiungersi - sempre in relazione all'asserita divergenza fra la disciplina del caso ora considerato e lo schema dell'art. 2237 del codice civile - che non sussiste alcuna offesa al precetto dell'art. 3 Cost.. Detta previsione del codice impone al cliente, che recede dal contratto, di rimborsare al prestatore d'opera le spese sostenute e di pagare il compenso per l'opera svolta. Il compenso del professionista, se non é convenuto dalle parti, va poi determinato, come vuole l'art. 2233 c.c., secondo tariffa. Se così é, la legge che, a sua volta, stabilisce la tariffa con riguardo a ciascuna categoria professionale, non deroga - o tanto meno contraddice - all'art. 2237, bensì ne integra il disposto, in conformità al sistema del codice. Viene quindi a cadere la premessa da cui la Corte di Cassazione muove per avanzare l'ipotesi che, nel caso in esame, la "disciplina particolare" della tariffa diverga, senza alcuna giustificazione, dalla "disciplina ordinaria", quale sarebbe fissata, nell'art. 2237 del codice civile, indiscriminatamente per tutta la cerchia dei prestatori d'opera intellettuale. Il solo profilo della specie che residua all'esame di questa Corte riguarda allora, indipendentemente dalla testé citata disposizione del codice, la disparità tra le tariffe professionali, che risulterebbe dalla maggiorazione prevista per l'incarico parziale: tale disciplina é, infatti, comunque denunciata davanti alla Corte, in quanto si assume che il legislatore abbia privilegiato la categoria degli ingegneri e degli architetti rispetto alle altre, con il risultato di offendere, in punto di ragionevolezza, il precetto dell'art. 3 Cost.. Anche sotto questo ultimo riflesso, tuttavia, la statuizione dell'art. 18 esce indenne da censura.

5. - Gli stessi giudici remittenti non contestano che il legislatore, nell'ordinare la materia dei compensi, potesse - di fronte a condizioni oggettive e soggettive diverse - differenziare i regimi tariffari a seconda della categoria professionale interessata. Il principio di eguaglianza si assume leso, precisamente in quanto la discriminazione fra la categoria degli ingegneri ed architetti e le altre sarebbe andata oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa. Ora, un simile ordine di idee potrebbe essere condiviso solo se la censurata maggiorazione del 25% non trovasse rispondenza in quel che di peculiare l'opera professionale ha nel caso di specie, o nel modo come essa si svolge. Ma la scelta del legislatore non é certo viziata da una tale irrazionalità. Essa é diretta a compensare il professionista per lo svantaggio che si connette in ogni caso con la parzialità dell'incarico e si spiega in ragione del fatto che, diversamente da quanto avviene di solito in altre professioni, il mandato dell'ingegnere o dell'architetto é non infrequentemente conferito solo per un qualche stadio della progettazione, con esclusione della fase nella quale l'opera é condotta a termine. Si può anche avvertire come la limitazione (o la revoca o sospensione) dell'incarico non siano, nel caso che qui interessa, necessariamente dovute a mancanza di fiducia nel professionista, ma possano derivare da valutazioni di altro genere, dettate soprattutto dalla convenienza economica del cliente: il quale, per parte sua, tiene in conto l'entità della spesa che l'opera comporta ed il tempo occorrente per realizzarla. L'aumento in questione é stato, quindi, opportunamente disposto in vista delle particolari esigenze che ineriscono alla disciplina della specie. Vi é, infatti, uno specifico e rilevante interesse dell'ingegnere od architetto a seguire lo sviluppo completo dell'opera; interesse, peraltro, evidentemente distinto da quello proprio di qualsiasi professionista, che aspiri ad un maggior volume di lavoro. Questo sotto un duplice profilo:

a) un primo aspetto concerne la fedele esecuzione del progetto. Siamo di fronte ad un'opera dell'ingegno, sulla quale l'ingegnere o l'architetto vantano il diritto di autore, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, che non a caso la tariffa in discorso ha richiamato, nell'art. 11, con l'aggiunta della seguente previsione: "la tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente ed il loro sviluppo nell'esecuzione spetta esclusivamente al progettista". A1 legislatore non é quindi sfuggito che il mandato parziale, o la successiva sospensione dell'incarico, hanno come conseguenza un nocumento per il professionista, almeno in quanto gli precludono la possibilità di realizzare l'interesse alla fedele esecuzione dell'opera nel modo che per lui sarebbe il più vantaggioso e efficace: e cioé, con il sovraintendere direttamente all'integrale compimento dei lavori.

b) L'altro profilo ha riguardo al valore delle singole e distinte fasi in cui si articola lo svolgimento dell'opera, secondo le stesse previsioni della tariffa. Ciascuna delle operazioni occorrenti all'adempimento della serie completa delle prestazioni non é valutata soltanto alla stregua del suo immediato e caratteristico risultato; essa racchiude, altresì, un'utilità potenziale, che viene concretamente in rilievo e si apprezza nei successivi stadi dell'attività professionale. Il che, come osserva la difesa di parte privata, é vero anche per la progettazione di massima, la cui importanza risiede non tanto nella quantità del lavoro, alla quale del resto corrisponde in tariffa una aliquota tabellare di ammontare relativamente esiguo, quanto nella qualità, appunto, anche virtuale, dell'impegno a quel punto già profuso dal professionista. Il progetto esige, invero, l'intuizione e la soluzione dei fondamentali problemi tecnico architettonici che condizionano il compimento dell'opera: e di questa esso contiene, in nuce, i caratteri e gli eventuali pregi.

In conclusione: la maggiorazione del compenso per l'incarico parziale, ha nella specie un sicuro e razionale nesso con la natura e le modalità dell'opera prestata da ingegneri e architetti. La statuizione censurata, si deve dunque ritenere, non integra gli estremi di alcun arbitrario esercizio della discrezionalità, che spettava al legislatore nel regolare la materia. Il risultato testé raggiunto esime la Corte dall'indagare se e come le altre tariffe professionali consentano che il compenso del prestatore d'opera sia maggiorato, sempre nell'ipotesi della limitazione originaria o successiva dell'incarico. Si tratta infatti - anche nel caso del geometra, su cui la Corte di Cassazione ha fermato l'attenzione - di altre e diverse categorie professionali: nelle quali, occorre precisare, la prestazione d'opera non giunge mai a rivestire le peculiari caratteristiche dell'attività dell'ingegnere o dell'architetto. D'altra parte, lo stesso principio di eguaglianza esclude che situazioni non omogenee debbano andar soggette ad identica disciplina. Non é, quindi, in violazione di detto principio, che la previsione dedotta in giudizio discrimina tra la tariffa stabilita nel presente caso e quelle delle differenti altre categorie professionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. l8 della legge 2 marzo 1949, n. 143, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con le ordinanze in epigrafe, dalla Corte di Cassazione, dalla Corte di Appello di Potenza e dal Tribunale di Padova.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1984.