Sentenza n.191 del 1984

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SENTENZA N. 191

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1977 dal TAR per il Veneto sul ricorso di Fortuna Ennio contro Ministero di Grazia e Giustizia e Consiglio superiore della Magistratura iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 dell'anno l978;

visti gli atti di costituzione di Fortuna Ennio e del Ministero di Grazia e Giustizia nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1984 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi l'avv. Feliciano Benvenuti per Fortuna Ennio e l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Ministero di Grazia e Giustizia e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso presentato al TAR del Veneto Ennio Fortuna chiedeva che gli si riconoscesse il diritto ad essere tenuto indenne dall'Amministrazione per i danni patrimoniali subiti a causa delle funzioni esercitate. Esponeva, in particolare, che la mattina del 16 dicembre 1974 persona rimasta ignota aveva sparato una raffica di mitra contro la saracinesca del locale di sua proprietà nel quale egli custodiva la propria autovettura, provocandogli un danno complessivo di L. 453.75O, ed assumeva che il danneggiamento in parola - rivendicato da una formazione politica estremistica - fosse direttamente riferibile alla propria attività di magistrato di Tribunale con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.

2. - Il TAR del Veneto, ritenuto che sulla scorta delle valutazioni degli elementi di fatto dovesse riconoscersi il collegamento tra il danneggiamento e l'attività di magistrato esercitata dal ricorrente, ma che la norma di cui all'art. 68, ottavo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) contempla l'obbligo per l'amministrazione di indennizzare il dipendente solo per i danni subiti per causa di servizio nella propria integrità fisica e non anche per quelli di ordine esclusivamente patrimoniale, neppure se prodotti nella sfera dei beni privati indispensabili per l'efficace servizio della funzione, con ordinanza in data 7 luglio 1977 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost..

Ad avviso del giudice a quo l'art. 68 citato, non garantendo nella sua restrittiva formulazione - tra l'altro insuscettibile di interpretazione estensiva - "al pubblico dipendente la effettiva possibilità di essere sollevato, sia pure in via equitativa, da ogni danno o pregiudizio anche... di ordine patrimoniale che egli possa incontrare nell'esercizio delle sue funzioni e di cui non possa ottenere l'integrale risarcimento dal diretto responsabile", precluderebbe la possibilità di un adeguato soddisfacimento della esigenza del buon andamento e dell'imparzialità dell'attività dei pubblici poteri e sarebbe pertanto in contrasto con l'invocato parametro costituzionale.

L'inadeguatezza della tutela apprestata potrebbe, invero, indurre il pubblico dipendente "ad assumere diversi e contrastanti comportamenti", "soprattutto quando l'attività esercitata comporti, come nel caso di specie, l'espletamento di funzioni di particolare importanza e delicatezza", con le intuibili gravi conseguenze negative.

3. - Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito il ricorrente nella causa principale ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.

4. - In atto di costituzione si osserva preliminarmente come appaia sul piano equitativo "inaccettabile che un pubblico funzionario possa subire danni nell'esercizio e a causa delle attività d'istituto senza esserne integralmente indennizzato dall'amministrazione pubblica, nel nome e nell'esclusivo interesse della quale esplica le sue funzioni".

Sul piano giuridico, del pari, non potrebbe negarsi che costituisca un corollario del rapporto organico (in virtù del quale gli atti posti in essere dal pubblico impiegato sono direttamente riferibili all'amministrazione) e dei principi sulla responsabilità diretta dello Stato ex art. 28 Cost. per il danno prodotto a terzi dal proprio dipendente nell'esercizio delle sue mansioni che "il danno subito dal preposto all'organo in quanto tale debba essere sopportato dall'amministrazione". Invero, si assume, "il danno che l'impiegato subisce in un proprio bene patrimoniale per la causa di servizio, non é un danno che egli subisce come persona fisica titolare di diritti ed obblighi bensì in virtù ed a causa del rapporto organico che lo lega all'Amministrazione. In altri termini, il danno, anche patrimoniale, per causa di servizio é un danno che subisce l'organo dell'amministrazione nello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali, ed a causa di essi. É un danno, pertanto, che menoma in qualche modo l'efficienza dell'organo e impedisce al medesimo di esplicare pienamente le proprie funzioni". Questi, poi, in base al rapporto giuridico di servizio che lo lega all'Amministrazione, vanterebbe il diritto ad essere tenuto indenne dalle conseguenze dannose derivanti dall'espletamento degli obblighi di servizio, salva la possibilità per l'amministrazione che abbia pagato di essere risarcita dal terzo danneggiato.

Opinare diversamente, continua l'atto di costituzione, significherebbe attribuire illogicamente operatività al rapporto organico solo allorché l'azione del dipendente (organo) si risolva in un vantaggio per l'amministrazione e non anche quando questi, a causa e in ragione della propria attività, subisca l'azione dannosa del terzo.

L'esattezza di siffatta impostazione sarebbe confermata dalle previsioni normative in materia di conseguenze per le lesioni personali subite dagli impiegati per causa di servizio, costituendo l'equo indennizzo e la pensione privilegiata null'altro che il ristoro del danno personale subito dall'impiegato nello svolgimento del servizio. Il diritto, riconosciuto all'Amministrazione di rivalersi poi nei confronti del terzo proverebbe che la lesione subita dall'impiegato per causa di servizio é lesione che cagiona un danno diretto anche all'Amministrazione, in quanto direttamente attenta all'efficienza dei propri organi.

Al raggiungimento, sul piano del diritto positivo, delle stesse conclusioni anche in ordine al danno patrimoniale subito dall'impiegato sarebbe peraltro d'ostacolo - come ha ritenuto il giudice a quo - il disposto dell'art. 68 denunciato, che non contiene previsioni espresse in tal senso; e tale omissione contrasterebbe oltre che con i principi del delineato sistema anche con quelli, posti dall'art. 97 Cost., del buon andamento e della imparzialità delle attività dei pubblici poteri.

Si pongono infine in luce le possibili negative ripercussioni che sul comportamento dei magistrati potrebbero aversi in caso di eventuale affermazione di un principio opposto a quello invocato; non sarebbe, infatti, "più possibile esigere o comunque aspettarsi la dovuta fermezza di decisione e la necessaria assiduità d'impegno nell'espletamento del dovere".

5. - L'Avvocatura dello Stato, premesso che la norma denunciata va inquadrata nella legislazione in materia di infortuni occorsi agli impiegati dello Stato per causa di servizio e passate in rassegna le tappe salienti della normativa succedutasi in materia, afferma in atto d'intervento che una violazione dell'art. 97, primo comma, Cost. non appare nemmeno astrattamente configurabile.

Il primo comma dell'art. 97 Cost., assunto a parametro di costituzionalità, e quelli successivi concernono infatti tutti "l'organizzazione dei pubblici uffici e non la determinazione delle condizioni di esercizio dei diritti soggettivi e degli interessi (S. n. 56 del 1963), né, ancora, la salvaguardia degli interessi patrimoniali degli impiegati dell'amministrazione, ove incisi da eventi in ipotesi ricollegabili al loro status ed al loro servizio".

L'affermazione, poi, che la non risarcibilità di tali danni potrebbe condizionare negativamente i pubblici impiegati nell'assolvimento delle loro funzioni é sul piano normativo resa irrilevante dall'art. 98 Cost., il quale chiaramente stabilisce che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione", così escludendo la legittimità di ogni comportamento contrario al dettato costituzionale.

Che, infine, sia auspicabile che il legislatore intervenga in subjecta materia così come ha fatto a tutela della "salute" del pubblico dipendente costituisce - conclude l'Avvocatura - "altro e ben diverso discorso, al quale peraltro resta estraneo all'evidenza il problema di costituzionalità sollevato dal TAR per il Veneto".

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, chiamato dal dottor Ennio Fortuna, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, a riconoscere il diritto di esso ricorrente all'indennizzo per il danno di L. 453.750, subito dalla sua autovettura e dalla saracinesca della sua autorimessa il 16 dicembre 1974 nelle circostanze di cui in narrativa, ha preliminarmente e correttamente affermato nell'ordinanza de qua potersi "riconoscere il collegamento tra il danneggiamento e l'attività di magistrato esercitata dal ricorrente". Ciò premesso in fatto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, ottavo comma del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico concernente lo statuto degli impiegati civili) "in quanto esclude comunque l'indennizzabilità del danno patrimoniale sofferto dal dipendente civile dello Stato a causa di servizio".

A sostegno della sollevata questione, il giudice a quo, dopo avere affermato l'inapplicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi e degli istituti privatistici - quali il mandato, la negotiorum gestio, il rischio professionale, la norma di chiusura di cui all'art. 2129 c.c. -, risultando tale rapporto regolato da una sua propria, autonoma e completa disciplina, osserva tuttavia che il principio dell'"indennizzabilità del danno patrimoniale sofferto dal dipendente civile dello Stato a causa di servizio", poiché risponde "a ragioni di sostanziale equità", "dovrebbe poter essere ravvisabile nel sistema di norme che regolano il rapporto di pubblico impiego". E ritiene appunto di ravvisare tale principio nell'art. 68, ottavo comma, del summenzionato decreto presidenziale n. 3 del 1957, a sensi del quale "per l'infermità riconosciuta dipendente da causa di servizio, sono altresì a carico dell'amministrazione", non solo le spese di cura, ma anche "un equo indennizzo per la perdita dell'integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato". Ora, vero é - si legge nell'ordinanza di rimessione - che "l'art. 68 sopra citato, con la sua portata restrittiva e limitatrice... non consente l'interpretazione estensiva nel senso prospettato nel ricorso", ma vero altresì che esso "deve ritenersi inadeguato e soprattutto in contrasto con l'art. 97 - primo comma - della Costituzione, il quale é rivolto a garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'attività dei pubblici poteri", non potendosi conseguentemente escludere che "in caso contrario il pubblico dipendente potrebbe essere indotto ad assumere diversi o contrastanti comportamenti". Insomma - conclude il TAR del Veneto -, é una "fondamentale esigenza" che sia garantita "al pubblico dipendente la effettiva possibilità di essere sollevato, sia pure in via equitativa, da ogni danno o pregiudizio di ordine fisico ma anche (...) di ordine patrimoniale, che egli possa incontrare nell'esercizio delle sue funzioni e di cui non possa ottenere l'integrale risarcimento dal diretto responsabile".

2. - La questione non é fondata.

Secondo il giudice a quo, dunque, la mancata previsione legislativa dell'indennizzabilità del pregiudizio economico sofferto dal pubblico dipendente a causa del suo rapporto d'impiego si risolverebbe in violazione dell'art. 97, primo comma, Cost., nel senso che potrebbe indurre il pubblico dipendente a tenere comportamenti "diversi o contrastanti"; "diversi o contrastanti" ben s'intende, con principi del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, che sono espressamente previsti nell'invocato parametro costituzionale ed espressamente indicati nell'ordinanza.

É una motivazione, questa, la cui esilità si coglie con immediatezza. A parte, infatti, ogni considerazione di carattere generale sulla dubbia pertinenza del richiamo all'art. 97, primo comma, Cost., appare implausibile - rispetto al principio generale, proprio del pubblico impiego, di osservanza dei doveri di buon andamento e di imparzialità - la prospettazione del ristoro del danno patrimoniale come il rimedio contro la violazione dei predetti doveri, quasi che non siano previsti appositi strumenti per assicurare l'osservanza.

3. - Né, può dirsi che la esilità di siffatta argomentazione sia sfuggita alla difesa della parte privata, la quale ha incentrato il suo dire, nella discussione orale dinanzi a questa Corte, prevalentemente sulla poliedricità della persona umana piuttosto che sul primo comma dell'art. 97 Cost.. In particolare ha sostenuto che, stante la rilevata poliedricità, attività materiale e beni strumentali al completo svolgimento della personalità vanno considerati inscindibilmente connessi con la persona; non senza ragione - ha proseguito - i principi sui rapporti economici e, quindi, sulla proprietà precedono, in Costituzione, anche quelli sui rapporti politici, e conseguentemente é impensabile la non risarcibilità del danno sofferto dalla persona nei suddetti beni strumentali, una volta che questi fanno anch'essi parte della persona al pari della salute.

Neppure le surriportate considerazioni riescono tuttavia a dare un'interpretazione accettabile della censura ed, anzi, vagliate nelle loro implicazioni, confermano la giustezza del rigetto della questione. Non sembra dubitabile, infatti, che l'eventuale riconoscimento del principio dell'indennizzabilità del danno patrimoniale - e, quindi, di qualsiasi danno - darebbe vita ad un fenomeno di incontenibile dimensione, che verrebbe reso ancor più complesso e gravoso dagli inevitabili e laboriosi accertamenti dell'esistenza del danno, del suo nesso col rapporto di servizio, dell'entità di esso danno e della misura dell'indennizzo. Sono facilmente prevedibili l'imponenza e la gravità delle conseguenze negative che verrebbe a subire proprio il principio di buon andamento, cui fa appello il giudice a quo. Né, varrebbe osservare in contrario che tali conseguenze non si verificherebbero, ove il riconoscimento dell'indennizzabilità del danno patrimoniale fosse limitato ai soli magistrati. Ad una soluzione nel senso testé ipotizzato sarebbe di insormontabile ostacolo il principio fondamentale di parità di trattamento, alla stregua del quale risulterebbe ingiustificata la estensione del riconoscimento in parola ai soli magistrati nell'ambito delle categorie, previste dalla Costituzione, dei funzionari e dei dipendenti dello Stato che subissero danni patrimoniali in occasione di disordini.

4. - La disciplina la quale prevede un equo indennizzo solo nel caso di danno all'integrità fisica non é pertanto censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale per il fatto che non preveda analogo equo indennizzo anche nel caso di danno economico. Certo, é auspicabile che possa nel nostro ordinamento pervenirsi pure al ristoro di tale danno, ma rientra nei poteri del legislatore di valutare se e quando esistano le condizioni che consentano di farvi luogo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, ottavo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello stato) sollevata, in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza emessa il 7 luglio 1977 (r.o. n. 204/1978).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1984.