Sentenza n.190 del 1984

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SENTENZA N. 190

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96, lett. f, del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 18 novembre 1981 dal tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Manicuti Giorgio, Banca d'Italia e Ministero delle poste e telecomunicazioni, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 dell'anno 1982;

2) due ordinanze emesse il 6 ottobre 1982 dal tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Anania Morelli Carmela, Di Giglio Rita, Banca d'Italia e Ministero delle poste e telecomunicazioni, iscritte ai nn. 29 e 30 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 163 e 170 dell'anno 1983;

3) ordinanza emessa il 21 aprile 1982 dal tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Finocchi Aleandro, Banca d'Italia, Ministero delle poste e telecomunicazioni ed altra, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 dell'anno 1983;

4) ordinanza emessa il 3 marzo 1983 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Troisi Vittorio, Banca d'Italia e Ministero delle poste e telecomunicazioni, iscritta al n. 337 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 dell'anno 1983.

Visti gli atti di costituzione della Banca d'Italia nonché gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

Uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Giorgio Sangiorgi per la Banca d'Italia e l'avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con tre ordinanze, di contenuto in gran parte identico, emesse, la prima, il 18 novembre 1981, e le altre due il 6 ottobre 1982, il tribunale di Roma, sez. II civ., ha sottoposto al giudizio di questa Corte gli artt. 6, 28, 48 e 93 del c.d. codice postale (testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), "nella parte in cui stabiliscono che il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni non é tenuto a nessuna forma di risarcimento, oltre all'indennità prevista dall'art. 28 dello stesso decreto legislativo, nel caso di mancato recapito di raccomandate con le quali siano stati spediti vaglia cambiari, o, in genere, titoli di credito, commutanti titoli di spesa dello Stato".

La questione é stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 28 e 113 della Costituzione, nel corso di giudizi promossi, rispettivamente, da Giorgio Manicuti (dipendente del Pio Istituto di Santo Spirito e degli Ospedali Riuniti di Roma), da Carmela Anania Morelli e da Rita Di Giglio (la prima insegnante in una scuola media statale e la seconda impiegata presso un provveditorato agli studi) contro la Banca d'Italia, che in tutti e tre i casi gli attori avevano chiesto fosse condannata al pagamento di somme portate da vaglia cambiari non trasferibili ad essi intestati, emessi dalla Banca d'Italia, e che, spediti per posta, con raccomandate peraltro mai recapitate, erano stati quindi pagati dalla stessa Banca a persone diverse, falsamente qualificatesi per i veri prenditori.

In tutti e tre i giudizi, la convenuta Banca d'Italia, pur opponendosi alle domande, aveva chiesto ed ottenuto di essere autorizzata a chiamare in causa il Ministero delle poste e telecomunicazioni, al fine, in caso di accoglimento delle domande medesime, "di essere dal medesimo manlevata". Facendo presente che i vaglia, nei quali era stata disposta dal Ministero del tesoro la commutazione di mandati intestati agli attori, erano stati emessi su richiesta dello stesso Ministero, e spediti per raccomandata, in ottemperanza a quanto espressamente prescritto dall'art. 2 del d.P.R. 25 gennaio 1962, n. 71, la Banca d'Italia sosteneva che del mancato recapito delle raccomandate doveva essere ritenuto pienamente responsabile il Ministero delle poste, e ciò anche perché sussistevano concreti elementi presuntivi idonei a far ritenere che i vaglia erano stati illecitamente sottratti da dipendenti dell'amministrazione.

Costituitosi a sua volta in giudizio, il Ministero delle poste aveva replicato che nessuno degli elementi acquisiti era tale da lasciar supporre che il mancato arrivo delle raccomandate fosse stato causato dall'illecita condotta di alcuno dei suoi dipendenti, aggiungendo peraltro che, comunque, ogni sua responsabilità, alla stregua delle disposizioni vigenti, era da escludere, posto che, per il combinato disposto degli articoli 48 e 93 del codice postale, in caso di perdita di raccomandate, l'amministrazione é tenuta al versamento di un'indennità pari a dieci volte l'ammontare dei diritti di raccomandazione (Tab. 3, n. 1, d.P.R. 12 ottobre 1976, n. 718), con esclusione di ogni ulteriore risarcimento.

Pronunciandosi separatamente, con altrettante sentenze, sulle domande degli attori nei confronti della Banca d'Italia, il tribunale condannava quest'ultima (che giudicava non liberata dai pagamenti già erroneamente effettuati) alla corresponsione delle somme da essi non ricevute. Al tempo stesso, però, riguardo alle chiamate in garanzia della Banca d'Italia verso il Ministero delle poste, esaminando una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Banca medesima riguardo alle suddette norme limitative della responsabilità dell'amministrazione, ritenuta la questione stessa rilevante e non manifestamente infondata (anche se per motivi, e su presupposti, solo in parte coincidenti con quelli sostenuti dalla parte), sospesi i giudizi, disponeva, con le suddette ordinanze, la trasmissione degli atti a questa Corte.

Secondo il giudice a quo, le denunciate norme contrasterebbero:

a) con il principio di ragionevolezza stabilito dall'art. 3, comma primo, della Costituzione, in quanto la sottrazione dello Stato debitore ai rischi del mancato soddisfacimento del creditore, da una parte, e, dall'altra, il totale accollo di essi, che ne consegue, a carico della Banca emittente, non troverebbero giustificazione nell'accettazione delle modalità del servizio da parte della Banca medesima, tenuta per legge ad avvalersene;

b) con l'art. 28 della Costituzione, posto che, mentre nulla sta ad indicare che, nel sistema del codice postale, l'irresponsabilità dell'amministrazione delle poste costituisca il riflesso di quella degli addetti, il precetto costituzionale esige che là dove sia responsabile il funzionario o dipendente, debba esserlo, negli stessi limiti, lo Stato;

c) con l'art. 113 della Costituzione, giacché, qualora dovesse ritenersi che in forza delle norme impugnate l'irresponsabilità del Ministero delle poste, da esse sancita, si estenda anche ai dipendenti, le norme stesse cadrebbero sotto il divieto, anch'esso stabilito dal precetto costituzionale, per cui il legislatore ordinario non può introdurre limitazioni di responsabilità che sottrarrebbero atti o comportamenti al sindacato giurisdizionale.

2. - Notificate, comunicate, e pubblicate le ordinanze di rinvio, innanzi alla Corte si é costituita, nel primo (n. 233 del R.O. 1982) e nel secondo (n. 29 del R.O. 1983) dei suddetti giudizi, con atti di deduzioni depositati, rispettivamente, il 29 agosto 1982 e il 7 luglio 1983, la Banca d'Italia, chiedendo che, per le parti in cui escludono la responsabilità dell'amministrazione delle poste, gli artt. 6, 28, 48 e 93 del codice postale siano dichiarati costituzionalmente illegittimi. La costituzione, per il giudizio contraddistinto con il n. 29 del R.O. 1983 é, peraltro, avvenuta fuori termine.

Secondo la difesa della Banca d'Italia, le questioni aperte dalle disposizioni che, contenute, in via primaria, negli artt. 48 e 93 del codice postale, trovano riscontro in quelle degli artt. 6, 28 e 96, sono impostate nei provvedimenti di rimessione in modo assai chiaro, ed in conformità, del resto, con la dottrina, che a sua volta ha sempre unanimemente considerato le statuizioni del codice postale in materia come un retaggio di antichi e superati ordinamenti non giustificabile in base ai principi propri di quelli attuali. É pure esatto - si aggiunge - che le norme in questione, come anche rilevato nelle ordinanze, stabiliscono una irresponsabilità dell'amministrazione postale di carattere assoluto: l'irresponsabilità, infatti, investe tanto i fatti leciti quanto i fatti illeciti, e resta indifferente la circostanza del se, nella fattispecie, la perdita delle raccomandate contenenti i vaglia cambiari emessi dalla Banca d'Italia, sia avvenuta per fatti dolosi di dipendenti dell'amministrazione o per altre cause.

3. - Con atti depositati, rispettivamente, il 17 settembre 1982 e il 5 e il 17 luglio 1983, é intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo, in via principale, nel primo giudizio (n. 233 del R.O. 1982) che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile per irrilevanza; e negli altri due la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza.

Le richieste dell'Avvocatura si basano, in tutti gli atti di intervento, sull'omesso esame, nelle ordinanze di rinvio, della eccezione, formulata nei giudizi a quibus dal Ministero delle poste, di decadenza, da parte della Banca d'Italia, da ogni diritto nei confronti del Ministero, per la mancata proposizione del previo reclamo, dall'art. 91 del codice postale prevista come condizione per la stessa proponibilità dell'azione giudiziaria. Tale reclamo - si sostiene - veniva, infatti, a porsi come pregiudiziale, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale delle norme sulla limitazione della responsabilità dell'amministrazione.

Nel merito, l'Avvocatura, in tutti e tre i giudizi, ha concluso per la non fondatezza della sollevata questione.

Nel proporre la questione di legittimità costituzionale - si rileva negli atti d'intervento - il tribunale muove da una cognizione imprecisa di quella prestazione accessoria del servizio delle corrispondenze che é il servizio di raccomandazione. L'istituto della raccomandazione, in effetti, non é diretto a garantire il contenuto degli invii che ne fruiscono - funzione questa notoriamente assolta dalle "assicurate" - ma solo a dar prova della loro impostazione e del loro arrivo a destinazione.

Inoltre, dopo aver ricordato che la questione é stata sollevata nei confronti delle norme (degli artt. 6, 28, 48 e 93 del codice postale) limitative delle responsabilità dell'amministrazione delle poste nel caso di mancato recapito di titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato, quando cioé l'invio in plico raccomandato sarebbe obbligatorio, l'Avvocatura osserva che la circostanza che una norma imponga, in ipotesi, l'uso di una delle forme in cui il servizio può essere reso, e di una forma per cui vale una limitazione di responsabilità, non fa venir meno il fatto che, anche in questo caso, il trasporto e la distribuzione di quella corrispondenza saranno richiesti e avverranno secondo le regole organizzative proprie di quel servizio. Il che significa che il problema della ragionevolezza d'una normativa che abbia come risultato quello di imporre la sopportazione del rischio inerente all'utilizzazione di quel servizio, si pone con riguardo non alle disposizioni - quali sono quelle impugnate - che organizzano il funzionamento del servizio, ma alle diverse disposizioni che impongono di avvalersene. Così come proposta perciò, la questione non appare correttamente impostata.

4. - La stessa questione di legittimità costituzionale delle norme degli artt. 6, 28, 48 e 93 del codice postale é stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 28 e 113 della Costituzione, con un'altra ordinanza, in data 21 aprile 1982, dello stesso tribunale di Roma, sez. II civile. In questa ordinanza, però, vengono anche impugnati, in riferimento all'art. 113 Cost., gli artt. 20, 48, 91 e 96, lett. f), del codice postale, concernenti il reclamo che, in caso di perdita, manomissione od avaria di oggetti raccomandati, il mittente ha l'onere di presentare entro sei mesi dalla data dell'impostazione, e le conseguenze della mancata tempestiva proposizione di esso (liberazione dell'amministrazione delle poste da ogni responsabilità e improponibilità dell'azione giudiziaria).

Le vicende per cui é sorta la controversia innanzi al tribunale e il successivo corso della procedura sono in tutto simili a quelli degli altri giudizi a quibus. Riguardo alla prima questione (sostanziale esclusione della responsabilità dell'amministrazione delle poste per i danni causati dal mancato recapito di raccomandate), il giudice a quo fa espresso richiamo alla prima delle precedenti ordinanze dello stesso tribunale, ribadendo, sia in punto di rilevanza, sia in punto di non manifesta infondatezza, i motivi e gli argomenti in essa svolti. Per quanto concerne la seconda questione ("inammissibilità dell'azione" per omessa tempestiva presentazione del "previo reclamo"), premesso che anche sotto questo aspetto il proposto incidente appare rilevante ai fini della decisione del processo principale, osserva che alla luce dell'art. 113 della Costituzione sembra dubbia la legittimità costituzionale degli artt. 20, 48, 91 e 96, lett. f), del codice postale, in quanto pongono limiti alla tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.

5. - Adempiute le formalità di rito, con atto depositato il 6 luglio 1983, si é costituita la Banca d'Italia, richiamando le deduzioni svolte nel giudizio a quo ed i documenti ivi esibiti, e riservandosi di svolgere più compiutamente, in una successiva memoria e/o nella discussione orale, a sostegno della eccezione di illegittimità costituzionale, le proprie difese.

A sua volta, l'Avvocatura dello Stato, intervenuta, con atto depositato l'11 luglio 1983, per il Presidente del Consiglio dei ministri, contestando, su tutti i punti, le eccezioni formulate nell'ordinanza, ha concluso per il rigetto delle questioni. Ribaditi e ulteriormente svolti i motivi e gli argomenti già dedotti nei precedenti giudizi, in aggiunta ad essi la difesa del Presidente del Consiglio ricorda, in particolare, che, nel campo del servizio postale, la previsione della responsabilità dell'amministrazione in limiti ben definiti e circoscritti per la perdita di invii raccomandati, che non tengono conto del contenuto di tali invii, é comune alla legislazione di quasi tutti i paesi aderenti all'Unione postale universale, e per il servizio postale internazionale essa é sancita dall'art. 50, paragr. 4, della vigente Convenzione postale universale (resa esecutiva in Italia con d.P.R. 11 febbraio 1981, n. 358).

6. - Nel corso di un altro analogo giudizio, promosso nei confronti della Banca d'Italia, con successiva chiamata in garanzia, da parte di quest'ultima, del Ministero delle poste, gli artt. 6, 28, 48 e 93 dello stesso codice postale sono stati oggetto di una ulteriore impugnativa, formulata, in riferimento agli artt. 3, 28 e 113 della Costituzione, con ordinanza in data 3 marzo 1983, dal pretore civile di Roma, "nella parte in cui stabiliscono che, nel caso di mancato recapito di raccomandate, con le quali siano stati spediti vaglia cambiari o altri titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato, dovuto a dolo o a colpa grave del personale dipendente dell'amministrazione postale, il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni non é tenuto ad altro risarcimento oltre all'indennità stabilita nella misura indicata dal decreto previsto dall'art. 28 del codice postale".

7. - Notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza di rinvio, anche in questo giudizio si é costituita, con atto depositato il 27 settembre 1983, la Banca d'Italia, con deduzioni a sostegno della fondatezza della questione, identiche a quelle svolte nei giudizi promossi dal tribunale di Roma.

Ed anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata priva di fondamento.

8. - Alla pubblica udienza del 6 dicembre 1983, dopo la relazione del Giudice Antonino De Stefano, l'avv. Massimo Severo Giannini, per la Banca d'Italia, ha osservato, in ordine alla eccepita irrilevanza nei giudizi a quibus delle proposte questioni, per il mancato esperimento del previo reclamo, che proprio una delle ordinanze di rinvio ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 113 della Costituzione, delle norme che prescrivono tale reclamo; e nel merito ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle denunciate norme. Dal suo canto, l'avvocato dello Stato Paolo Vittoria, richiamati gli argomenti svolti negli atti d'intervento, ha concluso per la non fondatezza delle sollevate questioni.

Considerato in diritto

1. - Come esposto in narrativa, tre ordinanze emesse dal tribunale di Roma (una in data 18 novembre 1981 e due in data 6 ottobre 1982) deferiscono a questa Corte la questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 28 e 113 della Costituzione - degli artt. 6, 28, 48 e 93 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni (codice postale e delle telecomunicazioni), approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n 156 nella parte in cui, nel loro combinato disposto, stabiliscono che il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni non é tenuto ad alcuna forma di risarcimento, oltre all'indennità prevista dallo stesso art. 28, nei casi di mancato recapito di raccomandate, con le quali siano stati spediti vaglia cambiari o, in genere, titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato

Anche il pretore di Roma, con ordinanza emessa il 3 marzo 1983, solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli stessi parametri, dei suddetti articoli del codice postale, nella parte in cui stabiliscono che, nel caso di mancato recapito di raccomandate, con le quali siano stati spediti vaglia cambiari o altri titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato, dovuto a dolo o a colpa grave del personale dipendente dell'amministrazione postale, il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni non é tenuto ad altro risarcimento, oltre all'indennità stabilita nella misura indicata dal decreto previsto dal denunziato art. 28.

Infine, il tribunale di Roma, con altra ordinanza emessa il 21 aprile 1982, proponendo la stessa questione di legittimità costituzionale già sollevata con le altre ordinanze, ha compreso nell'impugnativa, denunziandole per contrasto con lo art. 113 della Costituzione, anche le norme degli artt. 20, 48, 91 e 96, lett. f), del codice postale, nelle parti in cui, nel loro combinato disposto, stabiliscono che, in caso di perdita di una corrispondenza raccomandata, se il mittente non abbia presentato, entro sei mesi dalla data di impostazione, reclamo all'amministrazione delle poste, l'azione giudiziaria non può essere proposta, e l'amministrazione é liberata da ogni responsabilità.

2. - Le ordinanze di rimessione sottopongono alla Corte questioni identiche o connesse; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - Va, innanzi tutto, presa in considerazione l'eccezione di inammissibilità prospettata, nel giudizio promosso con l'ordinanza del tribunale di Roma del 18 novembre 1981, dall'Avvocatura dello Stato. Questa in proposito deduce che il tribunale avrebbe omesso di decidere sulla richiesta, avanzata dall'amministrazione delle poste all'atto della sua costituzione nel giudizio a quo, di rigetto della domanda proposta nei suoi confronti dalla Banca d'Italia, la quale, non avendo tempestivamente proposto il reclamo di cui al citato art. 91 del codice postale, sarebbe decaduta da ogni diritto ad indennizzo, essendo ormai tardiva la doglianza del mittente per il mancato arrivo della raccomandata al destinatario.

Per lo stesso motivo (mancata pronuncia sull'eccezione opposta dall'amministrazione delle poste per l'omesso esperimento del previo reclamo), l'Avvocatura dello Stato, nei giudizi promossi con le due ordinanze emesse dal tribunale di Roma il 6 ottobre 1982, chiede che gli atti siano restituiti al giudice a quo.

Ora, non v'ha dubbio che il codice postale, al comma secondo del menzionato art. 20, subordina espressamente la proponibilità dell'azione giudiziaria contro l'amministrazione delle poste per i servizi dal codice stesso disciplinati, alla previa presentazione di reclamo in via amministrativa, entro un termine perentorio (che, per le corrispondenze raccomandate, é fissato, dal successivo art. 91, in sei mesi dalla data d'impostazione). A sua volta, il citato art. 96, lett. f), prevede che, quando il mittente non abbia presentato reclamo nel termine previsto dall'art. 91, l'amministrazione é liberata da ogni responsabilità per la perdita, manomissione od avaria di oggetti raccomandati. Per poter, dunque, esaminare il merito della controversia sottoposta alla sua cognizione, il giudice adito doveva preliminarmente verificare la proponibilità della esperita azione, come, del resto, gli veniva espressamente richiesto dalla stessa amministrazione delle poste. In quella sede andava, infatti, accertato, per ciascun giudizio, se la Banca d'Italia avesse presentato, nel prescritto termine, il reclamo de quo agitur: ipotesi, oltre tutto, non esclusa dalla stessa amministrazione resistente, in quanto l'onere della prova del soddisfatto adempimento, che rende proponibile l'azione giudiziaria, incombe ovviamente su chi esperisce l'azione medesima. Soltanto ove fosse stato positivamente superato tale stadio, con l'accertata proponibilità dell'azione, ciascun procedimento avrebbe potuto proseguire il suo corso: ed avrebbero potuto, solo allora, trovar applicazione nel giudizio a quo, quelle norme, della cui legittimità costituzionale si dubita in quanto delimitano la responsabilità dell'amministrazione per il mancato recapito delle corrispondenze raccomandate.

In proposito va ricordato che questa Corte ha già affermato, da ultimo con la sentenza n. 300 del 1983, che il requisito della rilevanza, secondo il disposto dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, implica necessariamente che la sollevata questione di legittimità costituzionale abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e non meramente eventuale. Ed invero, la pregiudizialità della questione medesima, conditio sine qua non ai fini del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si concreta solo allorché il dubbio investa una norma, dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio innanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere.

Le tre ordinanze di rimessione, alle quali fa riferimento l'Avvocatura dello Stato, non lumeggiano, invece, il profilo sopra indicato; né da esse risulta se l'eccezione di improponibilità dell'azione sia stata presa in esame, e con quale esito. Si rende, pertanto, necessario disporre che gli atti vengano restituiti ai giudici a quibus, perché integrino con le necessarie delucidazioni sul punto le rispettive ordinanze, onde porre la Corte in grado di pronunciarsi sull'ammissibilità della sollevata questione.

4. - Eguale provvedimento di restituzione degli atti al giudice a quo, pur in mancanza di analoga richiesta dell'Avvocatura dello Stato, ritiene la Corte di dover adottare, per le stesse esigenze ai fini della verifica della rilevanza della sollevata questione, sotto il profilo innanzi indicato, nel giudizio promosso con l'ordinanza del 3 marzo 1983 del pretore di Roma.

5. - Per quanto, infine, concerne l'ordinanza emessa il 21 aprile 1982 dal tribunale di Roma, la Corte rileva che in tal caso il giudice si é dato carico della eccezione di improponibilità dell'azione, mossa dall'amministrazione delle poste, ed ai fini della relativa pronuncia ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme che subordinano l'esperimento dell'azione medesima e la stessa responsabilità dell'amministrazione al previo reclamo amministrativo. Ma non risulta che il giudice a quo abbia preliminarmente accertato se la Banca d'Italia avesse presentato, nel prescritto termine, il reclamo in parola. Solo nell'ipotesi negativa, infatti, la questione sollevata spiegherebbe, nel giudizio di provenienza, una incidenza attuale e concreta; mentre tale incidenza resterebbe esclusa nell'ipotesi affermativa, che consentirebbe al procedimento di proseguire il suo corso, indipendentemente dalla risoluzione della questione medesima. Non procedendosi, invece, all'accertamento circa la presentazione del reclamo, l'incidenza della deferita questione sarebbe meramente eventuale.

Anche in quest'ultimo giudizio, pertanto, la Corte avverte - in ordine alla pronuncia che le viene richiesta - la necessità di acquisire ulteriori elementi circa la rilevanza, nei sensi sopra esposti, da parte del giudice a quo, cui a tal fine vanno restituiti gli atti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 233 RO. 1982, 29, 30, 31 e 337 RO. 1983;

ordina la restituzione degli atti al tribunale di Roma ed al pretore di Roma.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1984.