Sentenza n.142 del 1984

 

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SENTENZA N. 142

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonino DE STEFANO , Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 86, comma primo, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (T.U. sul trattamento di quiescenza del personale dello Stato) promosso con ordinanza emessa il 17 marzo 1978 dalla Corte dei Conti sul ricorso di Mele Raffaele iscritta al n. 837 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22 dell'anno 1980;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'Avvocato dello Stato Pietro De Francisci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 17 marzo 1978

(pervenuta alla Corte il 26 ottobre 1979) la III Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti ha sollevato, su ricorso proposto da tale Mele Raffaele, questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, primo comma, del T.U. ("Trattamento di quiescenza degli impiegati statali"), approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione all'art. 3 Cost.

Nell'aprile 1966 il Mele chiedeva di godere del trattamento pensionistico di riversibilità quale orfano maggiorenne, ma inabile al lavoro, di ex caposquadra delle FF.SS., deceduto nel 1961.

Il Ministro dei Trasporti respingeva con proprio decreto l'istanza, assumendo che l'invalidità, dovuta a grave forma tubercolare, era sopraggiunta dopo la morte del padre: precisamente, secondo le risultanze di perizie medico-legali, nel 1963.

Ritiene il giudice a quo, avanti al quale il Mele é ricorso, che alla specie si applichi il combinato disposto degli artt. 82 e 86, e ciò in base al successivo art. 256 del Testo Unico.

L'art. 82 dispone infatti, fra l'altro, che il figlio maggiorenne di pensionato titolare, se inabile, ha diritto alla pensione di riversibilità. L'art. 86 prevede però che l'inabilità debba sussistere al momento della morte del dante causa. Il provvedimento ministeriale - osserva dunque il giudice a quo - non é in contrasto con la normativa che regola la materia: ma é quest'ultima, e specificatamente la disposizione dell'art. 86 del suddetto Testo Unico, a risultare sospetta di incostituzionalità, nella parte in cui prevede che, per ottenere la pensione di riversibilità, l'orfano maggiorenne debba risultare invalido prima della morte del padre. Questo requisito di ordine temporale sarebbe stato illegittimamente sovrapposto agli altri, già prescritti dalla legge per la concessione del trattamento pensionistico. É inoltre dedotto, come autonomo profilo di incostituzionalità, che analoga disciplina non é prevista per gli orfani dei pensionati di guerra, sebbene la Corte costituzionale abbia dichiarato illegittima nel 1975 la previsione corrispondente, nel sistema delle pensioni di guerra, a quella oggetto del presente giudizio; e sebbene tale conclusione - si soggiunge - sia stata argomentata in base all'irrazionalità del trattamento disposto a favore degli orfani invalidi al momento del decesso del dante causa, i quali potevano godere della pensione, diversamente dagli orfani divenuti invalidi successivamente.

Ad avviso della Corte dei Conti, la disposizione impugnata introduce, quindi, altra disparità di disciplina, che discriminerebbe ingiustificatamente gli orfani dei pensionati ordinari dagli orfani (inabili) di titolari di pensioni di guerra. Precisamente, la violazione del principio costituzionale di eguaglianza é qui denunziata sotto questo riflesso: che l'attribuzione delle pensioni, sia ordinaria, sia di guerra, ha base razionale nello stato di bisogno dell'orfano inabile a proficuo lavoro, rispetto al quale si assume non rilevi il momento del decesso del dante causa. Deporrebbe in questo senso la sentenza n. 133 del 1972, alla quale il giudice a quo fa riferimento per prospettare, dal canto suo, un concetto uniforme di nullatenenza, in relazione ai pur vari tipi di trattamento pensionistico.

Nell'ordinanza é altresì richiamata la sentenza n. 2 del 1978, in quanto la Corte avrebbe già in quel giudizio affermato che la norma ora in esame doveva essere investita da autonoma questione di costituzionalità.

Quanto, infine, alla rilevanza della presente questione, si deduce che essa risulta di tutta evidenza, giacché l'unico ostacolo all'accoglimento del ricorso sarebbe costituito dalla contestata data di insorgenza dell'inabilità a proficuo lavoro.

2. - Si costituisce nel presente giudizio il ricorrente Mele, il quale sostiene la fondatezza della questione, con argomentazioni identiche a quelle esposte nell'ordinanza di rinvio.

3. - Il Presidente del Consiglio é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, per sentir dichiarare l'infondatezza della questione.

Rileva l'Avvocatura che ogni sistema pensionistico si fonda sul principio della sussistenza, nel momento temporale individuato dal legislatore, delle condizioni prescritte per il conseguimento del diritto alla riversibilità. Ciò ad un duplice fine: contenere la spesa in rapporto alle possibilità finanziarie, assicurare certezza nel campo dei diritti previdenziali, dato che, se alla pensione non hanno diritto alcuni congiunti, questa può secondo legge essere attribuita ad altri beneficiari, più lontani nel grado di parentela.

D'altronde, il precetto dell'art. 3 Cost. non impedirebbe al legislatore di diversificare discrezionalmente il regolamento di situazioni che esso ritenga differenti, purché la diversità di disciplina, così configurata, sia razionale: e tale, appunto, si afferma che sia il criterio adottato con la normativa in esame. Secondo l'Avvocatura, vi é infatti sostanziale diversità di presupposti e di natura fra la pensione ordinaria e quella di guerra: la prima, essa deduce, ha carattere retributivo, e solo in via secondaria previdenziale, la seconda carattere risarcitorio; il che poi giustificherebbe la differenza delle previsioni afferenti alla sussistenza delle condizioni di pensionamento, le quali, con riguardo alle pensioni ordinarie, si riferiscono talvolta, come appunto nel caso in esame, al momento della morte del dante causa. Infine, dovrebbe tenersi presente che la tutela previdenziale ed assistenziale va, ed é, in effetti, assicurata ai bisognosi dal generale sistema di sicurezza sociale.

4. - In prossimità dell'udienza, la difesa della parte privata produce una memoria per contestare che la norma denunciata abbia la razionale giustificazione ad essa attribuita dalla difesa del Presidente del Consiglio. Anzitutto, l'Avvocatura avrebbe invocato a torto le ragioni della certezza del diritto con riguardo alla pensione, eventualmente riconosciuta a soggetti diversi dagli orfani della categoria in parola. Per l'Avvocatura, il diritto a pensione degli anzidetti soggetti risulterebbe pregiudicato una volta che, rimossi i requisiti di cui si controverte, venga a dilatarsi la sfera del trattamento pensionistico riservato agli orfani, con l'esclusione ' di altri possibili beneficiari. La parte privata oppone, dal canto suo, che la P.A. ha il potere di revocare qualsiasi prestazione erogata a questi altri beneficiari, là dove - come appunto accadrebbe, nel caso in esame, in seguito alla richiesta declaratoria di incostituzionalità - cessi di sussistere un elemento costitutivo del loro diritto al trattamento di riversibilità. Ma l'esercizio di tale potere, provocato da un'eventuale pronunzia di accoglimento, opererebbe pur sempre in conformità del vigente ordinamento, e dunque senza scalfirne la certezza. Né potrebbe ritenersi che, definita la controversia nel senso testé prospettato, debba seguirne un'indiscriminata attribuzione della pensione, insieme con la paventata dilatazione degli oneri pubblici. La presente controversia non tocca - precisa in proposito la parte privata - la previsione della totale inabilità e nullatenenza degli orfani maggiorenni. Queste condizioni, si dice, restano ferme in ogni caso, e così servono a delimitare la cerchia li aventi diritto alla pensione; viene pertanto in questione solo il momento in cui la legge esige che esse siano soddisfatte. Infine, basterebbe por mente ai provvedimenti restrittivi adottati in materia dal Governo perché risulti chiaro come, diversamente da quanto assume l'Avvocatura, il generale sistema di sicurezza sociale non sovvenga nel caso degli orfani maggiorenni, i quali versano in stato di bisogno sopraggiunto alla morte del genitore e per questa circostanza sono necessariamente esclusi dal trattamento pensionistico.

5. - La difesa della parte privata ha prodotto in prossimità del giudizio un'ulteriore nota difensiva, la quale, in buona sostanza, riprende e sviluppa le tesi enunciate nella parte motiva dell'ordinanza di rinvio.

6. - Nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 l'Avvocatura ha insistito nelle conclusioni già adottate.

Considerato in diritto

1. - Costituisce oggetto del presente giudizio l'art. 86, primo comma, del Testo Unico sul trattamento di quiescenza del personale dello Stato, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui dispone che le condizioni soggettive previste per il conseguimento del diritto al trattamento di riversibilità devono sussistere al momento della morte del dipendente o del pensionato. Com'è spiegato in narrativa, la questione é proposta dalla III Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, con riguardo al trattamento degli orfani maggiorenni dei dipendenti, ovvero dei pensionati dello Stato.

La disciplina della specie, avverte il giudice a quo, risulta dal combinato disposto della statuizione censurata e di altre previsioni del citato Testo Unico (artt. 82, primo comma, e 256), in forza delle quali gli orfani maggiorenni, conviventi a carico del dante causa e nullatenenti, hanno diritto al trattamento di riversibilità, qualora siano inabili a proficuo lavoro o ultrasessantenni. Con il prescrivere che le condizioni suddette devono risultare soddisfatte al momento della morte del dipendente o del pensionato, il legislatore avrebbe configurato un'ulteriore condizione per il conseguimento del diritto a pensione e con ciò leso il principio costituzionale di eguaglianza sotto un duplice riflesso:

a) l'insorgenza del diritto a pensione sarebbe fatta dipendere da un evento incerto, qual é il momento della morte del dante causa, con il risultato di discriminare ingiustificatamente fra chi ha potuto godere del sostegno del genitore, anche sino a età avanzata, e chi, invece, ne é rimasto prematuramente privo: laddove si assume che il presupposto necessario e sufficiente del trattamento pensionistico debba risiedere, per tutti indistintamente gli orfani maggiorenni, nello stato di bisogno, quale scaturirebbe, in ogni caso, dalle condizioni di nullatenenza ed inabilità al lavoro.

b) Altra irrazionale disparità di disciplina starebbe in ciò, che, dove si tratti di pensione indiretta di guerra, il diritto degli orfani maggiorenni alla relativa erogazione non é subordinato, come invece accade nel caso in esame, ad alcun requisito che tocchi il momento in cui sorge l'inabilità. Questo regime di maggior favore per i beneficiari della pensione di guerra consegue, ricorda il giudice a quo, a talune pronunce della Corte (sentenze nn. 36 e 37 del 1975), con le quali é stata a suo tempo dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 63, primo comma, e 77 della legge 10 agosto 1950, n. 648 e degli artt. 51, primo comma, e 75 della legge 18 marzo 1968, n. 313, nella parte in cui queste norme subordinavano il diritto alla pensione di guerra dei collaterali e dei figli maggiorenni inabili alla condizione che la prescritta inabilità sussistesse alla data del decesso del pensionato o al compimento della maggiore età dell'avente diritto. La disparità di disciplina così introdotta ai danni di chi fruisce della pensione di riversibilità sarebbe tuttavia ingiustificata. L'ordinamento della pensione di guerra e quello della pensione ordinaria hanno infatti, ad avviso della Corte dei Conti, assoluta identità di causa e ragion d'essere, l'uno e l'altro risultando predisposti al fine di assistere soggetti privi di sostegno materiale e nello stato di bisogno previsto dalla legge. Tali principi, del resto, si troverebbero affermati nella sentenza n. 133 del 1972, con la quale questa Corte ha dichiarato l'incostituzionalità delle norme che, in relazione al requisito della nullatenenza, discriminavano "in danno dei beneficiari delle pensioni ordinarie rispetto ai titolari delle pensioni di guerra". L'invocata rimozione di questo trattamento discriminatorio si imporrebbe, quindi, anche nel caso attuale: tanto più soggiunge il giudice a quo, "se si guarda al carattere di retribuzione differita, pacificamente riconosciuto alla pensione ordinaria".

2. - La questione non é fondata. Questa Corte ha già avuto occasione di sindacare la conformità al principio costituzionale di eguaglianza di disposizioni analoghe a quelle ora censurate, sostanzialmente sotto gli stessi profili dedotti in questa controversia. Precedenti pronunzie (cfr. sentenze nn. 7 e 8 del 1980) hanno infatti già stabilito, con riguardo ad altri settori dell'ordinamento pensionistico, che non vi é, agli effetti qui considerati, alcuna irrazionalità di disciplina, quando la legge esige che i requisiti per l'attribuzione del trattamento di riversibilità agli orfani maggiorenni sussistano al momento della morte del genitore. La stessa conclusione vale per il presente caso. Il legislatore ha diversamente trattato la situazione del figlio maggiorenne prima del decesso del dante causa e dopo, in quanto il sistema della pensione di riversibilità presuppone un nesso causale fra lo stato di bisogno del figlio inabile (e non abbiente) e l'evento-morte del genitore. Precisamente, com'è chiarito in altro giudizio (sentenza n. 7 del 1980), lo stato di inabilità, nullatenenza e bisogno viene in considerazione proprio per via della convivenza, a carico del padre, del figlio maggiorenne, il quale versi nelle condizioni testé descritte: convivenza interrotta dal decesso del genitore. Il trattamento pensionistico, così congegnato, serve infatti ad assicurare continuità di sostentamento al superstite; alla base della disposizione censurata vi é l'evidente esigenza di provvedere immediatamente ai bisogni di chi, pur maggiorenne, gravava, perché non abbiente ed inabile al lavoro, sul genitore defunto.

Se tale é il disegno ispiratore della normativa, il momento in cui devono sussistere gli estremi del beneficio pensionistico é, necessariamente, quello stesso in cui il figlio perde il sostegno paterno. Basta allora questo rilievo ad escludere che il contestato criterio di ordine temporale abbia introdotto irrazionali discriminazioni nella cerchia degli orfani maggiorenni, qual é configurata dalle disposizioni in esame.

3. - L'asserita offesa al principio di eguaglianza non sussiste, poi, nemmeno in relazione al diverso regime delle pensioni indirette di guerra, per il quale l'inabilità lavorativa dei figli maggiorenni rileva indipendentemente dal momento della sua insorgenza. Nella pronunzia sopra richiamata (cfr. sentenza n. 7 del 1980), la Corte ha, invero, considerato anche quest'aspetto della questione, insistendo nell'affermazione di altra pregressa giurisprudenza

(sentenza n. 37 del 1975

), secondo cui l'uniformità di disciplina disposta, nei confronti degli orfani, senza riguardo all'epoca di insorgenza dell'inabilità, risponde alle esigenze, di ordine naturale ed etico, proprie della legislazione pensionistica di guerra. Ora la questione, com'è prospettata, concerne, occorre ricordare, solo il momento in cui devono risultare soddisfatte le condizioni del trattamento pensionistico: e in ordine a questo profilo, il regime delle pensioni di guerra e quello oggetto di censura non hanno alcun tratto in comune, che possa giustificare la richiesta declaratoria d'incostituzionalità. La disciplina sottoposta al giudizio della Corte tiene, anzi, opportunamente conto delle caratteristiche finalità che, nell'ambito delle sue previsioni, valgono a distinguere i due ordinamenti pensionistici. Ciò conferma, in conclusione, che essa non contraddice, ma si adegua, al disposto costituzionale, di cui é dedotta la lesione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento all'art. 3 Cost., sollevata dalla III Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1984.

 

Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 16 maggio 1984.