Sentenza n.134 del 1984

 

 

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SENTENZA N. 134

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma quarto, legge 22 maggio 1975 n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), 11 legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) 277 e 281 del cod. proc. pen. promosso con ordinanza emessa il 22 ottobre 1982 dal Tribunale di Torino sull'appello proposto da Paggiola Armando iscritta al n. 94 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 dell'anno 1983.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1984 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

A seguito di perizia medico-legale, dalla quale risultava la compatibilità della carcerazione preventiva con lo stato di salute di Paggiola Armando, detenuto nella casa circondariale di Torino quale imputato dei reati di omicidio, lesioni e porto d'arma abusivo, riconoscendosi però "indispensabile il trasferimento dello stesso Paggiola presso un centro clinico opportunamente attrezzato quale quello di Pisa" e dichiarandosi la necessità che nelle more egli fosse ricoverato presso il reparto delle Molinette, il giudice istruttore di Torino respingeva l'istanza di libertà provvisoria avanzata dall'imputato ex art. 1, comma quarto, della legge n. 152/75, secondo il quale, anche nei casi in cui é esclusa la concessione della libertà provvisoria ai sensi dei commi primo e secondo dello stesso articolo (come appunto per il caso in esame), il beneficio può essere concesso se trattasi di persona la quale si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie nello stato di detenzione.

Con la stessa ordinanza il giudice istruttore disponeva il rinvio a giudizio dello stesso Paggiola per i reati contestati.

Avverso la decisione del giudice ha proposto appello il Paggiola ai sensi dell'art. 16 della legge 12 agosto 1982 n. 532.

Il Tribunale, investito del gravame, con ordinanza 22 ottobre 1982 dà anzitutto atto che, nonostante quanto dichiarato nella perizia medico-legale, il detenuto, mantenuto nello stato di carcerazione preventiva, non risultava trasferito in un centro clinico attrezzato. Tale incongruenza sarebbe peraltro conseguente al disposto dell'art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario) che prima della pronunzia della sentenza di primo grado attribuisce al giudice istruttore la competenza per il trasferimento degli imputati in luoghi adatti ove siano necessarie cure o accertamenti che non possano essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti di pena, e dell'art. 1, quarto comma, della citata legge n. 152/75 che prevederebbe un giudizio di compatibilità dello stato di detenzione preventiva con la salute dell'imputato di carattere non analitico, cioè riferito alla particolare condizione del detenuto, bensì di carattere generico e rapportato alla serie dei luoghi di cura adatti, considerati in astratto e indifferentemente intesi.

Ciò posto il Tribunale prospetta dubbi di legittimità costituzionale in relazione al combinato disposto degli artt. 1, quarto comma, legge 152/75; 11, dell'ordinamento penitenziario e 277 e 281 Codice procedura penale in quanto consentendo come si é detto al giudice istruttore di emettere un giudizio sulla compatibilità tra condizioni di salute del detenuto e carcerazione preventiva, distinto dalla concreta determinazione del luogo di cura, escluderebbe che il Tribunale possa direttamente determinare il luogo in cui l'imputato può ricevere le cure necessarie e tanto meno disporne il trasferimento, posto che appunto l'art. 11 Ordinamento penitenziario consente al solo giudice istruttore di individuare tale luogo e che l'art. 31 legge 532/82 non prevede per i reati che interessano ai fini dell'applicazione dell'art. 1 della legge 152/75 l'adozione della misura dell'arresto domiciliare o del ricovero in luogo pubblico di assistenza.

Oltre al già prospettato contrasto con l'art. 32 le norme impugnate urterebbero sia con l'art. 27 Cost., in quanto la detenzione in luogo inadeguato alle esigenze sanitarie dell'imputato costituirebbe trattamento contrario al senso di umanità é lesivo della dignità e del rispetto della persona umana, sia con l'art. 24 Cost. in quanto escluderebbe dai superiori gradi di giudizio il controllo circa la pratica compatibilità fra lo stato di detenzione e le condizioni di salute, essendo le valutazioni relative rimesse alla discrezionalità del giudice istruttore.

Altro profilo di illegittimità il Tribunale ravvisa poi nella ingiustificata diversità di tutela fra chi richiede la libertà provvisoria ex art. 1, quarto comma citato, e chi ne fa istanza per motivi diversi, giacché il primo non potrà sottoporre a controllo la decisione circa la destinazione in luogo di cura idoneo che in pratica rende inutile la interruzione della carcerazione, mentre il secondo avrà diritto ad un controllo di merito e di legittimità sui criteri utilizzati dal giudice istruttore ai fini della decisione.

Infine un ultimo profilo di contrasto con l'art. 3 Cost. sarebbe individuabile nel fatto che mentre qualunque provvedimento che comprime la sfera della libertà personale é quanto meno ricorribile ex art. 111 Cost., i provvedimenti che incidono immediatamente sul diritto alla salute del detenuto, tutelato espressamente dall'art. 32 Cost., non conoscono alcun controllo giurisdizionale.

In questa sede é tempestivamente intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura sostiene che l'art. 31 della legge 532/1982 esclude soltanto la concessione della libertà provvisoria per i reati di cui all'art. 1, primo comma della legge 152/75, mentre consente la sostituzione dello stato di custodia preventiva ordinaria con l'arresto domiciliare ovvero col ricovero in un luogo di cura e assistenza.

Pertanto l'ordinamento appresterebbe una adeguata tutela giurisdizionale del diritto alla salute e della dignità dell'imputato potendo il Tribunale direttamente, in riforma della decisione dell'istruttore, disporre che l'imputato sia custodito in un luogo pubblico di cura o agli arresti domiciliari.

L'Avvocatura osserva poi che i trasferimenti cui si riferisce il secondo comma dell'art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 sono esclusivamente quelli relativi a luoghi esterni di cura, mentre per il funzionamento del servizio sanitario all'interno delle istituzioni carcerarie e dunque anche per il trasferimento da una casa di detenzione ad un'altra particolarmente attrezzata, come nella specie, l'ordinamento riserverebbe la competenza alla pubblica amministrazione e non al giudice. E tale riserva non sarebbe lesiva dei principi costituzionali invocati essendo dominata dal principio della obbligatorietà del ricovero in sezioni od istituti speciali dei detenuti infermi (art. 65 Ord. pen.) e del controllo al riguardo esercitato dal giudice di sorveglianza (art. 69 Ordin. penit.). Eventuali disfunzioni organizzative non potrebbero assurgere ovviamente a vizi delle norme, giacché si pongono come momenti patologici ed illegittimi del funzionamento del sistema.

Considerato in diritto

1. - L'art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975 n. 152, concernente disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, modificativo dell'art. 277 C.P.P. - che aveva esteso la facoltà della concessione della libertà provvisoria anche ai casi di emissione obbligatoria del mandato di cattura - esclude la possibilità di concedere il detto beneficio per una serie di reati ritenuti di particolare gravità, fra cui quello di omicidio previsto dall'art. 575 C.P., ascritto fra gli altri all'imputato Paggiola Armando.

Lo stesso articolo, dopo aver anche escluso la concessione della libertà provvisoria: a) se l'imputato di delitto per il quale é obbligatorio il mandato di cattura si trova in stato di libertà provvisoria concessagli in altro procedimento per un reato che comporta l'emissione del mandato di cattura obbligatorio e b) se l'imputato di uno dei delitti previsti dagli artt. 582, primo comma, 583, 588, secondo comma, e 610 C.P. é sottoposto ad altro procedimento penale per violazione di una o più delle suddette disposizioni di legge (secondo comma), fissa i criteri limite ai quali il giudice deve uniformarsi ai fini della concessione del beneficio in questione, quando questo é consentito (terzo comma); al quarto comma l'articolo in questione, infine, pone espressamente una eccezione al divieto sopra ricordato "se trattasi di persona la quale si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie nello stato di detenzione".

L'art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario), così come modificato con l'art. 1 della legge 12 gennaio 1977 n. 1, dispone, fra l'altro, col secondo comma, che, ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati "sono trasferiti", con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati detti trasferimenti" sono disposti" dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della sentenza di primo grado dal giudice istruttore, durante l'istruttoria formale, dal pubblico ministero, durante l'istruttoria sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell'imputato in udienza, dal presidente durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della Corte di appello nel corso degli atti preliminari al giudizio avanti alla Corte di Assise fino alla convocazione della Corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione.

L'art. 281 C.P.P. prevede poi la facoltà di impugnazione delle ordinanze del pretore o del giudice istruttore sulla libertà provvisoria da parte dell'imputato e del P.M., disponendo che sull'appello decide in ogni caso il Tribunale competente ai sensi dell'art. 263 ter C.P.P., cioé il Tribunale istituito con la 1. 12 agosto 1982 n. 532 e comunemente indicato come il "Tribunale della libertà".

Con l'ordinanza di rinvio il giudice "a quo", investito appunto del giudizio di appello contro l'ordinanza con cui il giudice istruttore aveva respinto la domanda di libertà provvisoria per motivi di salute avanzata dal Paggiola ai sensi dell'art. 1, quarto comma, legge 22 maggio 1975 n. 152, disponendone contestualmente il rinvio a giudizio per i reati contestatigli, ricorda che: 1) - a seguito degli accertamenti medico-legali disposti nei riguardi del detto imputato detenuto nella casa circondariale di Torino era stata riconosciuta la necessità di trasferirlo presso il Centro clinico di Pisa, opportunamente attrezzato, e che comunque, nell'attesa, egli fosse ricoverato presso il reparto detenuti dell'ospedale delle "Molinette"; 2) - che il giudice istruttore investito della domanda di libertà provvisoria aveva formulato un giudizio di compatibilità dello stato di detenzione con le condizioni di salute dell'imputato proprio sulla base di dette risultanze, ritenendolo cioé curabile presso i luoghi indicati, senza peraltro disporne in concreto il trasferimento.

Secondo il Tribunale la situazione di carenza così verificatasi sarebbe stata resa possibile dalle norme testé ricordate che consentirebbero la pronunzia della ordinanza di rigetto della istanza di libertà provvisoria indipendentemente dal trasferimento del detenuto ammalato, creando cioé una sorta di separazione tra il giudizio di compatibilità suddetto e l'assunzione del provvedimento concreto di assegnazione al luogo di cura, e sottraendo così al Tribunale ogni competenza diversa dal controllo in astratto del giudizio stesso, senza riferimento ai dati della realtà concreta. Ciò con lesione del principio di eguaglianza di cui al primo comma dell'art. 3 Cost. per la sperequazione che tale trattamento indurrebbe ai fini della libertà provvisoria fra i detenuti infermi e gli altri, che godrebbero di ben più ampi diritti di controllo, del diritto di difesa, di cui all'art. 24 Cost.; del principio di umanità nell'esecuzione delle pene, enunciato dall'art. 27 Cost. e della garanzia della salute sancita dall'art. 32 Cost..

2. - Al riguardo occorre anzitutto precisare che, come risulta dalla lettura dell'ordinanza del giudice istruttore con cui venne disposto il rinvio a giudizio del Paggiola respingendosi nel contempo la sua domanda di libertà provvisoria, costui "laringectomizzato, portatore di cannula tracheale con problemi di alimentazione" é "soggetto da sottoporre a trattamenti realizzabili presso un centro clinico adeguatamente attrezzato o presso il reparto detenuti della Molinette". Segue a tali constatazioni il diniego della libertà provvisoria senza neppure un cenno circa l'adozione del provvedimento di trasferimento nei luoghi indicati.

Ad avviso della Corte é evidente che la compatibilità dello stato di detenzione con le condizioni di salute del detenuto, compatibilità che giustifica il diniego della concessione della libertà provvisoria richiesta ai sensi dell'art. 1, quarto comma legge 22 maggio 1975 n. 152, in tanto può validamente affermarsi in quanto concorrano le condizioni obiettive che consentono l'apprestamento delle cure necessarie.

L'art. 1, quarto comma testé citato e l'art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 sull'ordinamento penitenziario - norma quest'ultima che, prima della indicazione delle competenze dei singoli organi giudiziari ai fini del trasferimento di detenuti nei luoghi di cura, regola ampiamente il servizio sanitario negli istituti penitenziari, apprestando una serie di prescrizioni analiticamente descritte per rendere il servizio stesso il più possibile aderente alle esigenze cui deve far fronte - sono rivolti principalmente a realizzare la effettiva tutela della salute dei detenuti. L'art. 1, quarto comma, in particolare, così come é stato riconosciuto dalla costante giurisprudenza, intende ovviare a situazioni eccezionali di malattia non suscettibili di adeguata cura in reggiane di detenzione facendo assurgere le condizioni di salute del detenuto a criterio principale per la concessione del beneficio della libertà provvisoria, quando questa rappresenta l'unica via per consentire le cure del detenuto infermo.

La predisposizione del trasferimento del detenuto in luoghi di cura non può pertanto considerarsi come meramente eventuale o da affidarsi ad una più o meno tempestiva iniziativa dell'Amministrazione ma costituisce parte integrante del provvedimento sulla libertà provvisoria ai fini della completezza del giudizio di compatibilità che sta alla base del diniego del beneficio.

E tale giudizio compete al Tribunale secondo le regole specifiche per l'appello di cui al libro terzo, titolo terzo del Codice procedura penale, e particolarmente in conformità dell'art. 515 dello stesso Codice, il quale attribuisce al giudice superiore la piena cognizione circa i punti della decisione a cui si riferiscono i motivi proposti. Pertanto nella specie, in presenza dell'impugnativa dell'imputato che richiedeva la riforma del provvedimento in quanto le sue condizioni di salute erano incompatibili con lo stato di detenzione, la cognizione del giudice di appello comprendeva indubbiamente il controllo del giudizio di compatibilità in tutte le sue componenti.

Ben poteva in altri termini il Tribunale pronunziarsi in merito al difetto del detto elemento essenziale del giudizio di compatibilità ad esso devoluto; da ciò consegue l'infondatezza delle questioni sollevate, le quali hanno invece tutte come presupposto comune l'esclusione di tale possibilità per effetto delle norme impugnate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legitimità costituzionale degli artt. l, quarto comma, della legge 22 maggio 1975 n. 152; 11 legge 26 luglio 1975 n. 354; 277 e 281 codice procedura penale, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 32 Cost. con ordinanza del Tribunale di Torino del 22 ottobre 1982.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 4 maggio 1984.