Sentenza n.133 del 1984

 

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SENTENZA N. 133

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 20 settembre 1980 n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense) e 6 penultimo comma, della legge 5 luglio 1965 n. 798 promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1981 dal Pretore di Lucca nel procedimento civile vertente tra Pera Giuseppe e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 731 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47 dell'anno 1982;

2) ordinanza emessa il 26 gennaio 1982 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Di Sabato Franco e altri e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 26 gennaio 1982 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra De Luca Tamajo Raffaele ed altri e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 368 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 dell'anno 1982;

4) ordinanza emessa il 28 aprile 1982 dal Pretore di Cremona nel procedimento civile vertente tra Guarneri Attilio e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 535 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 dell'anno 1983;

5) ordinanza emessa il 26 novembre 1982 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Scognamiglio Renato ed altri e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 dell'anno 1983;

6) ordinanza emessa il 31 dicembre 1982 dal Pretore di Fermo nel procedimento civile vertente tra Bartolomei Franco e Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'anno 1983.

Visti gli atti di costituzione di Pera Giuseppe, della Cassa nazionale previdenza Avvocati e Procuratori, di Di Sabato Franco ed altro, di Bruno Balletti ed altri, di Raffaele De Luca Tamajo ed altri, di Scognamiglio Renato ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1984 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

uditi l'avv. Vincenzo Spagnuolo Vigorita per Raffaele De Luca Tamajo ed altri, Filippo Satta per Scognamiglio Renato ed altri, Marcello Cogliati Dezza e Claudio Berliri per la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori e l'Avvocato dello Stato Pietro De Francisci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile, promosso dal prof. Giuseppe Pera nei confronti della Cassa nazionale di previdenza per Avvocati e Procuratori e avente ad oggetto la sussistenza o meno dell'obbligo di iscrizione alla suddetta Cassa per l'esercente la professione forense che sia già iscritto, in qualità di docente universitario, ad altra forma di previdenza obbligatoria, il Pretore di Lucca, su iniziativa dell'istante, ha sollevato, con ordinanza 17 ottobre 1981 (reg. ord. n. 731/1981), in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, legge 20 settembre 1980, n. 576, nella parte in cui pone l'obbligo di iscrizione alla Cassa previdenziale forense per gli esercenti la professione legale che siano anche docenti universitari.

Ha rilevato, al riguardo, il Pretore che l'iscrizione coattiva alla Cassa di previdenza forense del professionista, che già sia iscritto a forma di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato, si traduce in una duplicazione di oneri e di tutela esulante dai principi costituzionali contenuti negli artt. 2 e 38, i quali vieterebbero l'iscrizione dello stesso soggetto a più gestioni pensionistiche obbligatorie.

Ad avviso del Pretore, il detto obbligo di doppia iscrizione non può trovare giustificazione nel dovere di solidarietà di categoria - da ritenere soddisfatto con il versamento del contributo integrativo di cui all'art. 11, legge n. 576 del 1980 - e concreta, altresì, se rapportato all'esclusione di siffatto obbligo per gli avvocati iscritti agli elenchi speciali, che esercitano la professione nell'ambito di un rapporto d'impiego, nonché per altri professionisti (legge n. 127 del 1980, per le ostetriche e legge n. 6 del 1981, per gli ingegneri e architetti), una violazione del principio di uguaglianza, per la diversità di disciplina esistente tra soggetti appartenenti a diverse categorie professionali.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Premesse considerazioni circa l'autonomia di ogni singolo sistema previdenziale concernente una categoria di lavoratori e circa la discrezionalità del legislatore nel disciplinare il sistema stesso in relazione alle concrete esigenze, anche di natura finanziaria, delle singole Casse, l'interventore ha dedotto che l'obbligo di iscrizione alla Cassa forense, per i professionisti già iscritti, in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato, ad altra forma di previdenza obbligatoria, trova ragionevole giustificazione nell'obiettivo svolgimento, da parte di questi, di due attività lavorative distinte e autonome e realizza quel principio di solidarietà previdenziale che deriva dagli artt. 2 e 38 Cost..

Si é costituito in giudizio il prof. Pera, il quale, sostanzialmente, ha aderito alle argomentazioni svolte dalla ordinanza di rimessione.

Si é costituita, altresì, la Cassa nazionale di previdenza e Assistenza per gli Avvocati e Procuratori, la quale, nel chiedere che la questione di costituzionalità venga dichiarata non fondata, ha rilevato, tra l'altro, come il sistema previdenziale forense si ponga in armonia con il principio di solidarietà, all'interno di singole categorie professionali, desumibile dall'art. 38 Cost., nonché con la tendenza dei moderni sistemi pensionistici a rapportare i trattamenti previdenziali, e i conseguenti oneri contributivi, ai livelli reddituali raggiunti dal soggetto interessato nell'espletamento dell'attività lavorativa.

Nel corso del giudizio hanno presentato memorie il Prof. Pera e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense. Quest'ultima ha sottolineato, fra l'altro, la natura lato sensu tributaria dei contributi previdenziali.

2. - Nel corso di procedimenti civili instaurati dal prof. Franco Di Sabato e da altri docenti universitari - procedimenti riuniti - nonché dal Prof. Raffaele De Luca Tamajo e da altri, docenti universitari o insegnanti nelle scuole medie statali - procedimenti anche essi riuniti - nei confronti della Cassa nazionale di previdenza per Avvocati e Procuratori, é stata sollevata, su iniziativa degli istanti, dal Pretore di Napoli, con due ordinanze di eguale contenuto del 26 gennaio 1982 (reg. ord. nn. 367 e 368 del 1982), questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, legge 20 settembre 1980, n. 576, sempre nella parte in cui pone l'obbligo di iscrizione alla Cassa previdenziale forense per il professionista già iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria, in quanto docente nell'università o nelle scuole medie statali, in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 53 della Costituzione.

Nelle due ordinanze, dopo aver svolto, in relazione al denunciato contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle del Pretore di Lucca, il Pretore di Napoli ha riferito il dubbio di costituzionalità della normativa previdenziale forense anche all'art. 41 Cost., in quanto la disciplina in questione limiterebbe illegittimamente la libertà economica, e all'art. 53 Cost., in quanto la detta disposizione costituzionale collega l'obbligo tributario del cittadino alla sua capacità contributiva e non già all'appartenenza a una determinata categoria professionale.

In entrambi i giudizi davanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale - nel chiedere che le questioni di costituzionalità vengano dichiarate non fondate per considerazioni analoghe a quelle svolte nell'atto di intervento nel giudizio promosso dal Pretore di Lucca - ha dubitato, altresì, della prospettata natura tributaria dei contributi previdenziali.

In entrambi i giudizi davanti a questa Corte si sono costituiti alcuni dei ricorrenti nei giudizi a quibus. Con gli atti di costituzione e con successive memorie essi hanno dedotto, in primo luogo, che le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal Pretore possono essere superate da un'interpretazione dell'impugnato art. 22 nel senso dell'insussistenza degli obblighi della previdenza forense per il professionista già iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria. Nel presupposto della sussistenza degli obblighi in parola, i ricorrenti hanno ribadito la denunciata incostituzionalità, evidenziando, tra l'altro, la particolare onerosità della disciplina normativa in questione ove rapportata ai ristretti vantaggì, in relazione anche alle condizioni di acquisto del diritto ai trattamenti pensionistici, conseguibili dai professionisti che solo ad età avanzata comincino ad esercitare attività forense. Sempre nel presupposto dell'operatività degli obblighi della previdenza forense, hanno prospettato altri profili di illegittimità della norma impugnat,a in riferimento agli artt 2, 4 e 35, comma primo, Cost.

Anche la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per Avvocati e Procuratori si é costituita in entrambi i giudizi, chiedendo che le questioni vengano dichiarate non fondate. Con gli atti di costituzione e con successive memorie, nel porre in rilievo il carattere mutualistico del sistema previdenziale forense, essa ha negato la necessità, sotto il profilo della legittimità costituzionale, di qualsiasi corrispettività tra oneri contributivi e prestazioni previdenziali e, per il resto, ha svolto considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell'atto di costituzione nel giudizio promosso dal Pretore di Lucca.

3. - Questione di legittimità costituzionale, di contentuto analogo alle precedenti, dell'art. 22, legge n. 576 del 1980, é stata sollevata, su iniziativa della parte ricorrente, anche dal Pretore di Cremona con ordinanza 28 aprile 1982 (reg. ord. n. 535 del 1982) nel corso di un giudizio civile promosso dal prof. Attilio Guarneri nei confronti della Cassa previdenziale forense.

Nella detta ordinanza, peraltro, il sospetto di incostituzionalità é stato riferito, oltre che agli artt. 3, 38 e 41 Cost., anche al parametro di cui all'art. 42 Cost. ed esteso all'art. 6, penultimo comma, legge n. 798 del 1965, in quanto dall'eventuale illegittimità della iscrizione obbligatoria alla Cassa forense deriverebbe l'illegittimità della pensione dalla stessa erogabile.

L'ordinanza di rimessione ha censurato la posizione di vantaggio, anziché quella di svantaggio, in cui la ritenuta sussistenza della doppia iscrizione a regimi previdenziali si risolverebbe, attesa la possibilità per il professionista di ricevere un doppio trattamento pensionistico.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituita la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per Avvocati e Procuratori, i quali hanno svolto argomentazioni analoghe a quelle contenute negli atti depositati nei giudizi promossi dai Pretori di Lucca e Napoli, mentre non si é costituito il prof. Guarneri.

La Cassa previdenziale forense ha depositato anche memoria aggiunta.

4. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, legge 20 settembre 1980, n. 576, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, é stata sollevata, su iniziativa delle parti ricorrenti, anche dal Pretore di Roma, con ordinanza 26 novembre 1982 (reg. ord. n. 43 del 1983), del corso dei giudizi civili riuniti promossi dal prof. Renato Scognamiglio e altri nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza per Avvocati e Procuratori.

L'ordinanza di rimessione si é limitata a richiamare e a riportare la motivazione di altra ordinanza di rimessione a questa Corte di analoga questione di costituzionalità (Pretore Lucca 17 ottobre 1981, reg. ord. 731/ 1981), senza alcun riferimento alla fattispecie oggetto del giudizio a quo.

Si sono costituiti in giudizio sia i ricorrenti che la Cassa previdenziale forense, i quali hanno presentato memorie aggiunte, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

5. - Analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, legge 20 settembre 1980, n. 576, in riferimento agli artt. 2, 3, 38 e 53 della Costituzione, é stata, infine, sollevata, su iniziativa della parte ricorrente, anche dal Pretore di Fermo, con ordinanza 31 dicembre 1982 (reg. ord. n. 314 del 1983), nel corso di un procedimento civile promosso dal prof. Franco Bartolomei nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza per Avvocati e Procuratori.

L'ordinanza di rimessione ha esposto argomentazioni analoghe a quelle svolte dagli altri giudici a quibus, precisando, tra l'altro, come l'obbligo di doppia iscrizione e il conseguente onere contributivo alla Cassa forense non possano trovare giustificazione nel richiamo al dovere di solidarietà, da ritenere soddisfatto mediante il versamento del contributo oggettivo.

In questo giudizio non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, né si é costituito il prof. Bartolomei.

La Cassa di previdenza forense, nel costituirsi e nel depositare, altresì, memoria aggiunta, ha svolto argomentazioni analoghe a quelle adottate nei precedenti giudizi.

Considerato in diritto

1. - Le questioni di cui alle sei ordinanze indicate in epigrafe sono in parte identiche e in parte connesse, giacché tutte concernono la legittimità costituzionale, sia pure in riferimento a parametri diversi, della medesima norma: quella racchiusa nell'art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 in materia di previdenza forense (con l'ordinanza del Pretore di Cremona del 28 aprile 1982 é impugnato, ma solo per ritenuto collegamento, anche l'art. 6, comma penultimo, della legge 5 luglio 1965, n. 798). Pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e definiti con un'unica sentenza.

2. - L'ordinanza di rimessione del Pretore di Roma del 26 novembre 1982 non contiene alcun elemento che consenta di ricostruire, e quindi di controllare, la valutazione, da parte di quel giudice, della rilevanza nel giudizio davanti ad esso delle questioni sollevate. Infatti, a differenza dalle altre ordinanze, questa manca persino di un riferimento purché sia agli estremi di fatto della controversia.

Le questioni poste con la detta ordinanza vanno pertanto dichiarate inammissibili.

3. - La norma, contenuta nell'art. 22, comma primo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, definisce l'operatività del sistema della previdenza forense assoggettando agli obblighi di iscrizione alla Cassa nazionale degli Avvocati e Procuratori e di versamento dei relativi contributi tutti gli esercenti con continuità la professione forense. Ed essa é sospettata di illegittimità sotto vari profili, in quanto comprende nella propria previsione (o almeno non esclude da essa) quegli esercenti i quali siano contemporaneamente inseriti in un altro sistema previdenziale obbligatorio, e in particolare, i docenti nelle università o negli istituti di istruzione media, soggetti al sistema previdenziale istituito per i dipendenti dallo Stato. É stato anzitutto sostenuto che la norma impugnata, nonostante l'assoluta latitudine della sua formulazione quanto all'obbligo di iscrizione, é suscettiva di interpretazione, asseritamente conforme alla Costituzione, nel senso di non riferirsi ai professionisti suindicati. Ciò evidentemente al fine di sollecitare una sentenza interpretativa di rigetto.

Una siffatta pronuncia richiederebbe, peraltro, secondo l'orientamento di questa Corte, che l'interpretazione asseritamente conforme a Costituzione fosse universalmente accolta o almeno prevalente nella giurisprudenza dei giudici chiamati ad applicarla e, soprattutto, della Corte di cassazione (diritto vivente).

Ma tale ipotesi qui non si verifica, perché la giurisprudenza di merito non é concorde, mentre la Corte di cassazione sembra orientata nel senso di ritenere che la norma comprenda nella propria previsione anche i professionisti suindicati (sentenze Corte di cassazione n. 4091 del 1981 e n. 299 del 1968). Sicché non vi é ragione di discostarsi dalla interpretazione dei giudici a quibus e di negare ingresso alle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

4. - Le questioni principali vanno raggruppate per norme parametro e sottoposte a esame congiunto, in quanto esse sono, pur nella pluralità dei parametri invocati, intimamente collegate.

Naturalmente l'esame va circoscritto alle questioni come sollevate dai giudici a quibus.

5. - La questione, avente (nell'ordine logico e nella economia delle motivazioni delle ordinanze di rimessione) carattere di centralità, é se la norma di cui all'art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980, dal contenuto dinanzi descritto, in quanto prescrive l'operatività nei confronti dei medesimi soggetti di due sistemi previdenziali obbligatori, importi una duplicazione di tutela previdenziale (obbligatoria) in contrasto con l'art. 38 Cost. (ordinanze del Pretore di Napoli del 26 gennaio 1982 e ordinanza del Pretore di Cremona del 28 aprile 1982), ovvero in pari tempo con l'art. 38 e con l'art. 2 Cost. (ordinanza del Pretore di Lucca 17 ottobre 1981 e ordinanza del Pretore di Fermo 31 dicembre 1982).

Della denunciata duplicazione di trattamento previdenziale, in alcune ordinanze di rimessione, é sottolineato l'aspetto passivo di eccesso di onerosità contributiva, tenuto conto della limitatezza dei vantaggi e della consistenza degli inconvenienti, che il sistema offre e, rispettivamente, arreca ai professionisti considerati. Ovvero, e meglio, l'aspetto di eccesso nella individuazione del contenuto dei doveri di solidarietà sociale enunciati dall'art. 2 Cost. e precisati nel senso della previdenza sociale dall'art. 38 Cost. (ordinanza del Pretore di Fermo, che prospetta la violazione congiunta dei due precetti; ordinanze del Pretore di Napoli, che prospettano la violazione del solo art. 38 Cost. in un contesto di lamentato generale sfavore per il professionista - docente).

In alcune delle ordinanze l'eccesso di solidarietà é visto in ciò, che i doveri a questa inerenti sarebbero già soddisfatti col pagamento dei contributi "oggettivi" (ordinanza del Pretore di Fermo) e dei contributi "integrativi" (ordinanza del Pretore di Lucca).

In altre ordinanze sono messi in luce sia l'aspetto passivo che l'aspetto attivo, inteso questo come eccesso di tutela (ordinanza del Pretore di Lucca, che prospetta distintamente la violazione dell'art. 2 Cost. per il primo aspetto e quella dell'art. 38 Cost. per il secondo; ordinanza del Pretore di Cremona, che prospetta la violazione del solo art. 38 Cost. ravvisando un eccesso di oneri previdenziali per la collettività e un eccesso di tutela per i professionisti docenti).

L'eccesso di tutela é visto evidentemente in relazione al fatto che ai professionisti considerati é già assicurato in prospettiva un trattamento pensionistico, quello dei dipendenti statali, e al concetto che la garanzia di un trattamento pensionistico ulteriore sarebbe ingiustificata alla luce di un principio definibile come quello del minimo mezzo previdenziale.

Come é stato accennato, la questione é posta da una delle ordinanze (quella del Pretore di Cremona), relativamente oltre che al detto art. 22 della legge n. 576 del 1980, all'art. 6, comma penultimo, della legge 5 luglio 1965, n. 798, ammissivo del cumulo fra trattamento pensionistico della previdenza forense e trattamento pensionistico dei dipendenti dallo Stato, la cui illegittimità sarebbe conseguenziale a quella dell'art. 22 della legge n. 576 del 1980.

6. - All'inosservanza dell'asserito divieto di duplicazione, divieto che riflette in positivo un supposto precetto di unicità della tutela previdenziale per ogni soggetto in quanto considerato come appartenente a una data categoria e, in prospettiva, di unicità della detta tutela fra le varie categorie, si connettono, secondo le ordinanze di rimessione, due distinti ordini di violazioni del principio di eguaglianza (art. 3 Cost).

Un primo ordine di violazioni si concreterebbe in una disparità di trattamento fra soggetti all'interno della categoria forense, e quindi in una contraddizione interna del relativo sistema previdenziale.

Nei confronti di soggetti i quali versano (si afferma) in situazioni reciprocamente identiche - come i detti esercenti la professione rivestiti della qualità di docenti alle dipendenze dallo Stato da un lato, e dall'altro gli Avvocati e i Procuratori iscritti in elenchi speciali, esercenti la professione nell'ambito di un rapporto di impiego - sarebbe adottato un regime differenziato, assoggettandosi quelli (art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980) e non assoggettandosi invece, questi (art. 22, comma quinto, della stessa legge) agli obblighi previdenziali (ordinanza del Pretore di Lucca).

Il secondo ordine di violazione del principio di eguaglianza si concreterebbe in una disparità di trattamento fra soggetti in posizione analoga a seconda delle categorie di appartenenza e dei relativi sistemi previdenziali, e quindi in una contraddizione, per così dire, "esterna" del sistema considerato.

E la disparità di trattamento consisterebbe in ciò, che gli esercenti la professione forense rivestiti della qualità di docenti alle dipendenze dallo Stato sono assoggettati alla previdenza forense, mentre per gli esercenti altre professioni rivestiti dell'anzidetta qualità il sistema previdenziale della categoria professionale (in particolare la legge n. 6 del 1981 per gli ingegneri e gli architetti) esclude la propria operatività (ordinanza del Pretore di Lucca, ordinanze del Pretore di Napoli, ordinanza del Pretore di Fermo, ordinanza del Pretore di Cremona; secondo l'ordinanza del Pretore di Fermo la disparità sembrerebbe in danno, secondo l'ordinanza del Pretore di Cremona a vantaggio dei primi).

7. - L'esame delle questioni così poste non può prescindere dalla collocazione del sistema della previdenza forense nella tipologia dei sistemi previdenziali.

Questa Corte, con la sentenza n. 132 del 1984, ha osservato come, in riferimento all'esperienza italiana - pur tenendosi conto della individualità di ogni sistema (sentenze Corte cost. n. 91 del 1972 e n. 62 del 1977) e della gradualità con la quale, in questa materia, i tipi sono realizzati (sentenze Corte cost. n. 65 del 1979, n. 128 del 1973) - sia possibile enucleare due tipi ai quali i singoli sistemi sono riconducibili sulla base dei loro caratteri prevalenti: quello, prevalso soprattutto in passato, definibile come "mutualistico" e quello, che tende a prevalere nel presente, definibile come "solidaristico".

Di tali due tipi - ha affermato la Corte - il primo si caratterizza per la riferibilità dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali all'esigenza della divisione del rischio fra gli esposti, e per la rigorosa proporzionalità (inspirata allo schema sinallagmatico fra premi e indennità proprio dell'assicurazione privata) fra contributi e prestazioni previdenziali. Mentre il secondo si caratterizza per la riferibilità dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali a principi di solidarietà (secondo il modello della sicurezza sociale) sia pure operanti all'interno della categoria, e per l'irrilevanza della proporzionalità fra contributi e prestazioni previdenziali, essendo considerati i primi unicamente quali mezzo finanziario della previdenza sociale, - che é prelevato fra tutti gli appartenenti alla categoria in ragione della loro capacità contributiva - ed essendo considerate le prestazioni quale strumento per l'attuazione concreta dei fini della previdenza stessa.

Ha ancora rilevato questa Corte, con la sentenza n. 132 del 1984, che la qualificazione del sistema previdenziale forense era stata già operata con la precedente sentenza della Corte medesima n. 62 del 1977, la quale, anche se in riferimento alla disciplina recata dalla previgente legge 22 luglio 1975, n. 319, aveva ricondotto il sistema in parola al tipo solidaristico e ne aveva affermato in tal modo la rispondenza agli artt. 2 e 38 Cost..

8. - Questa Corte ha ritenuto, sempre con la sentenza n. 132 del 1984, che la qualificazione e la valutazione positiva allora operate vadano confermate, considerando fra l'altro che sarebbe incongruo ricondurre al tipo mutualistico, anziché al tipo solidaristico, la previdenza forense, così come le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, per ciò che esse sono organizzate sulla base del riferimento a date categorie professionali e alle rispettive attività tipiche, e secondo criteri di accentuata autonomia strutturale e finanziaria sia reciproca che rispetto all'assicurazione generale obbligatoria e alle previdenze dell'impiego pubblico.

Al riguardo ha osservato che si tratta di scelte le quali sono compatibili con l'idea di solidarietà e anzi ne rappresentano una specificazione giustificata dal pluralismo che informa il nostro ordinamento: pluralismo che ammette solidarietà operanti nell'ambito di collettività minori.

9. - Ha quindi precisato questa Corte, sempre con la sentenza n. 132 del 1984, che la qualificazione e la valutazione formulate con la precedente sentenza n. 62 del 1977 per il sistema quale risulta dalla legge n. 319 del 1975, non hanno ragione di mutare per il sistema quale risulta dalla vigente legge n. 576 del 1980, non essendovi motivo idoneo a far ritenere che con quest'ultima legge il sistema sia stato rimodellato, almeno in parte, sul tipo mutualistico o addirittura sullo schema proprio dell'assicurazione privata.

Ha considerato in proposito questa Corte:

a) che non é decisiva la restituzione dei contributi disposta a favore degli iscritti che non abbiano maturato il diritto a pensione (art. 21, legge n. 576 del 1980), perché essa non importa necessariamente la corrispettività fra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà posti comunque a carico di tutti gli iscritti.

b) che neppure é decisiva la sostituzione, a una pensione eguale per tutti nell'ammontare, di una pensione "retributiva", cioè commisurata a una certa media dell'ammontare degli ultimi redditi professionali, giacché con tale criterio, (accolto del resto anche nell'assicurazione generale obbligatoria), la pensione non é stata resa proporzionale né tanto meno corrispettiva ai contributi, ma é stata adeguata allo stato di bisogno.

c) che é addirittura irrilevante la sostituzione, per quanto concerne il prelievo e la destinazione dei contributi, al criterio della "capitalizzazione", del criterio della "ripartizione", giacché il nuovo criterio é del tutto conforme al principio di solidarietà, in quanto elimina ogni collegamento fra contributi versati e pensioni percepite dagli stessi soggetti, anche se considerati collettivamente (come dalla legge n. 319 del 1975).

10. - La qualificazione di appartenenza al tipo solidaristico del sistema previdenziale forense dà ragione della denunciata operatività di esso e degli obblighi previdenziali così imposti anche ai professionisti considerati.

Se i detti obblighi previdenziali non sono legati all'esigenza della divisione del rischio né tanto meno sono inseriti in una relazione di corrispettività con i benefici previdenziali del sistema, ma costituiscono doveri di solidarietà nell'ambito della categoria professionale, si comprende come essi gravino, in modo generalizzato e incondizionato, su tutti i membri della categoria, compresi coloro i quali, per particolari situazioni soggettive, non possano conseguire con certezza, o per intero, i benefici previdenziali del sistema considerato, ovvero non abbiano comunque necessita né intenzione di avvalersene. essendo destinatari di analoghi vantaggi altrimenti assicurati.

Appaiono pertanto in sostenibili già per la loro impostazione, ripugnante all'ottica solidaristica del sistema, le censure di eccesso di onerosità, e quelle connesse di disparità di trattamento in danno dei professionisti considerati, di cui ai nn. 5 e 6.

11. - Non vale dunque argomentare, quanto all'onerosità (scritti defensionali relativi alle ordinanze del Pretore di Napoli 26 gennaio 1982), dallo svantaggio, in termini di ristrettezza (nelle condizioni d'acquisto) dei benefici previdenziali conseguibili, derivante ai docenti universitari pubblici impiegati dalla tardività dell'iscrizione alla Cassa previdenziale, tardività connessa col fatto che in precedenza era fatto loro divieto di esercitare la professione, e quindi di iscriversi alla Cassa, in pendenza del rapporto d'impiego pubblico.

Così come non vale argomentare dagli inconvenienti (ottenimento del rimborso dei soli contributi falcidiati dalla svalutazione monetaria nel caso di cessazione della attività professionale e necessità del versamento di nuovi contributi rivalutati per ricostituire la continuità del rapporto previdenziale nel caso di ripresa attività, con conseguente disincentivazione di una mobilità altrimenti consentita) ai quali vanno incontro i docenti che vogliano alternare, dopo la legge n. 382 del 1980, l'insegnamento e l'esercizio della professione.

Né vale argomentare, quanto alla solidarietà, che i doveri ad essa inerenti sono già soddisfatti mediante il versamento del contributo "oggettivo" (ordinanza del Pretore di Fermo), ovvero mediante il versamento del contributo "integrativo" (ordinanza del Pretore di Lucca).

Di codesti due ultimi assunti, il primo, che sembra alludere ai contributi di cui agli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798, é infondato, perché tali contributi gravano in definitiva sugli utenti del servizio giudiziario (sentenza di questa Corte n. 23 del 1968) e pertanto non sono riferibili alla solidarietà di categoria.

Il secondo assunto, che allude all'art. 11 della legge n. 576 del 1980, é del pari infondato perché , oltre a non tener conto che anche i contributi integrativi, in quanto ripetibili, finiscono per gravare su soggetti estranei alla categoria professionale e quindi non astretti dalla relativa solidarietà, poggia su un erroneo presupposto: che cioé solo tali contributi, e non anche quelli "soggettivi" (e ogni altro), siano disancorati dalla corrispettività con la pensione.

E, simmetricamente, appaiono insostenibili, per esserne l'impostazione ripugnante all'ottica solidaristica, le censure volte a rappresentare operatività del sistema nei confronti dei professionisti considerati come un eccesso di tutela e pertanto come causa di disparità di trattamento a loro favore. Ivi compresa e anzi con particolare evidenza, atteso il suo valore sintomatico del vizio di impostazione, la censura (ordinanza del Pretore di Cremona) diretta a coinvolgere la norma, contenuta nell'art. 6, comma penultimo, della legge n. 798 del 1965, ammissiva del cumulo della pensione forense con altra pensione (cfr. del resto la prospettiva della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la legittimità del cumulo delle pensioni o della pensione e dei trattamenti retributivi va apprezzata soltanto alla stregua della adeguatezza del trattamento pensionistico allo stato di bisogno: sentenze di questa Corte n. 275 del 1976, n. 30 del 1976, n. 155 del 1969 e n. 105 del 1963).

Valgono, in definitiva, per tali censure, e vanno pertanto ribadite e anzi riformulate in termini più generali, le conclusioni raggiunte dalla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, secondo le quali "l'assunto di irrazionalità ai sensi dell'art. 3 Cost. del sistema vigente" (della previdenza forense, risultante dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge n. 576 del 1980) "per mancata proporzionale corrispondenza tra oneri personali contributivi e misura della pensione, non é accoglibile".

12. - Indipendentemente dall'inconciliabilità delle argomentazioni, addotte a sostegno della denunciata illegittimità costituzionale, con il carattere solidaristico della previdenza forense, non é condivisibile la tesi, posta a base delle censure di cui ai nn. 5 e 6, che l'osservanza degli artt. 2 e 38 Cost. imponga in ogni caso a un sistema previdenziale di categoria, e in particolare a quello forense, di escludere la propria operatività nei confronti di soggetti, pur rientranti nella categoria e svolgenti le attività alle quali esso si riferisce, sol che siano assoggettati ad altro sistema previdenziale.

Al riguardo é necessario distinguere fra l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali entrambi riferiti alla medesima attività lavorativa considerata tractu temporis e l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali riferiti ciascuno a una di due attività lavorative non omogenee e pertanto ontologicamente distinte (anche se contemporanee): ipotesi, le quali non versano fra loro, come non versano le rispettive regolamentazioni normative se differenziate, nel rapporto che intercorre fra regola ed eccezione.

Solo rispetto alla prima ipotesi ha senso parlare di duplicazione di tutela e quindi porsi, con riferimento al sistema previdenziale considerato, il problema se, nella concorrenza di altra forma di previdenza obbligatoria assistita da finanziamento pubblico, il sistema debba o non debba, ovvero possa o non possa legittimamente escludere la propria.

Per quanto concerne la previdenza forense, rientra nella prima ipotesi il caso di un'unica attività professionale svolta in regime di impiego pubblico, caso previsto dall'art. 22, comma quinto, della legge n. 576 del 1980, che adotta per esso la soluzione della esclusione della operatività del sistema.

Di tale soluzione, della cui doverosità o legittimità qui non si discute, non può, d'altronde, predicarsi il carattere di regola generale, né tanto meno quello di soluzione imposta dall'art. 38 Cost. anche per i casi non rientranti nell'ipotesi medesima.

Nella seconda ipotesi invece - nella quale rientra, sotto l'aspetto della contemporanea operatività di due tutele riferite a due attività ontologicamente diverse perché non omogenee, anche se contemporanee, l'ipotesi dell'esercente (in regime di lavoro autonomo) la professione forense, che svolga (in regime di dipendenza pubblica) attività di insegnamento - é fuori di proposito parlare di duplicazione di tutele, e, quindi, porsi il problema suindicato.

Del resto, a volere non solo trascurare la inconciliabilità delle suddette argomentazioni con l'ottica solidaristica del sistema, ma addirittura seguire per un momento la linea di esse, non può non considerarsi che - stante la già rilevata autonomia dei sistemi previdenziali "professionali" - non é previsto alcun meccanismo per assicurare la tutela previdenziale dell'attività professionale forense nell'altro sistema speciale o generale concorrentemente operativo. Ad esempio non trova applicazione la "ricongiunzione" prevista dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29 sulla pensione unica, che riguarda i soli periodi assicurativi che possano esser fatti valere nelle gestioni sostitutive, esclusive (della) ed esonerative dalla assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni speciali INPS. Mentre il riscatto ai fini del trattamento pensionistico statale é previsto per la limitata ipotesi dei periodi di iscrizione ad albi professionali, che siano richiesti per l'ammissione al servizio, ex art. 13 del T. U. 29 dicembre 1973, n. 1092. Così come, d'altro canto, non é previsto alcun meccanismo per dare protezione nel sistema previdenziale forense ad altre attività disomogenee, contemporanee o no, dello stesso soggetto.

14. - Se così é, non si vede come l'atteggiamento adottato dal sistema previdenziale nel caso dell'esercente la professione forense che svolga attività di insegnamento possa ritenersi in violazione di quella sorta di principio del minimo mezzo previdenziale, che alcune delle ordinanze di rimessione sembrano voler trarre dagli artt. 2 e 38 Cost..

Come é stato prima osservato, non si ravvisa tale violazione, né - attesi la radicale diversità dell'ipotesi di raffronto (ipotesi concernente un'unica tutela per un'unica attività) e il nesso razionale fra diversità di situazioni e diversità di regime - quella dell'art. 3 Cost. denunciata in connessione con la prima, in riferimento al contrasto del detto atteggiamento con quello assunto dallo stesso sistema previdenziale forense rispetto al caso dell'esercente la professione forense nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego (art. 22, comma quinto, della legge n. 576 del 1980).

Ma, per le considerazioni ora esposte, la violazione degli artt. 2 e 38 Cost. non si ravvisa neppure se il problema si pone, come va posto, in riferimento al caso, in sé considerato, di due tutele per due distinte attività.

Mentre per escludere la violazione dell'art. 3 Cost., in relazione al fatto che opposta soluzione é stata adottata in analoga ipotesi dal sistema previdenziale degli Ingegneri e Architetti con la legge 3 gennaio 1981, n. 6 (art. 21), anzi già con la precedente legge n. 1046 del 1971 (art. 2), é sufficiente dare atto della diversità di situazioni derivanti dalla reciproca autonomia dei sistemi.

Non importa dunque chiedersi se la detta opposta soluzione sia più fedelmente, o al contrario, meno fedelmente attuativa dell'art. 38 Cost.. Mentre si deve osservare che neanche di tale soluzione può senz'altro predicarsi, come vorrebbero alcune ordinanze di rimessione, il carattere di soluzione imposta dall'art. 38 Cost., cioé di soluzione obbligata per l'attuazione di questo precetto costituzionale e quindi quasi di parametro mediato di costituzionalità.

15. - Non é comunque esatto il presupposto dal quale vuol farsi discendere la suddetta qualità del tertium comparationis, e cioé che la soluzione adottata dalla legge sulla previdenza degli Ingegneri e Architetti si inserisca in un indirizzo legislativo uniforme e univoco, per definizione scaturente dagli artt. 2 e 38 Cost. nel senso voluto dalle ordinanze di rimessione che vi si riportano. Argomento, codesto, che viene dedotto, come é stato rilevato nel n. 6, anche per denunciare una contraddizione "esterna" del sistema previdenziale forense.

Anzitutto l'esclusione dell'operatività del sistema previdenziale degli ingegneri e architetti per i professionisti i quali siano assoggettati ad altro sistema previdenziale era già stata introdotta con la legge 11 novembre 1971, n. 1046. Sicché non può argomentarsi dai lavori preparatori della stessa legge n. 576 del 1980 e della legge sulla previdenza degli Ingegneri e Architetti n. 6 del 1981, nei quali (cfr. per i primi gli interventi svolti nella seduta 24 ottobre 1979, comm. riun. Giust. e Lav. Camera) si enunciano propositi di uniformazione, e, in prospettiva, di unificazione dei sistemi previdenziali degli esercenti professioni intellettuali, per affermare che proprio la disposizione in argomento (nella quale per di più la legge n. 6 del 1981 si discosta dalla legge n. 576 del 1980) sia dettata in attuazione di quei propositi.

Ma, anche ad ammettere che la soluzione in parola possa o debba qualificarsi per i suoi obiettivi caratteri in riferimento a una linea di tendenza nel senso ora indicato (dell'uniformazione e, per mezzo di questa, dell'unificazione dei sistemi previdenziali in argomento), non si può fare a meno di - constatare che né l'una (la soluzione come supposta espressione della tendenza) né l'altra (la tendenza stessa) risultano altrimenti attuate.

Per quanto attiene alla prima (cioè alla specifica soluzione), essa, contrariamente a quanto si sostiene, non appare adottata, o almeno non appare rigorosamente adottata, dalle norme sulla previdenza rispettivamente dei geometri e delle ostetriche (art. 22, legge 20 ottobre 1982, n. 773; art. 3, legge 2 aprile 1980, n. 127), le quali dispongono nel senso della facoltatività della doppia iscrizione. Mentre la stessa soluzione non é adottata affatto dalle norme concernenti la previdenza dei sanitari, notai, dottori commercialisti (artt. 2 e 21 D.M. 29 ottobre 1977, per i farmacisti; artt. 10 e 21 D.Lg. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e 2 D.M. 18 novembre 1981, per i medici; art. 3, D.M. 26 aprile 1948, per i notai; art. 2, legge 3 febbraio 1963, n. 100 per i dottori commercialisti), le quali dispongono tutte nel senso della obbligatorietà del sistema previdenziale professionale considerato anche nel caso di concorrenza per lo stesso soggetto, in relazione ad altre attività, di altro sistema previdenziale.

Per quanto attiene alla generale tendenza sopra indicata, essa non ha trovato affermazione in ordine ai sistemi previdenziali relativi alle professioni intellettuali, giacché la legge 7 febbraio 1979, n. 29, sulla "pensione unica", che ne costituisce espressione, non si estende ai detti sistemi ma solo, come é già stato osservato, alle gestioni sostitutive, esclusive (della) ed esonerative dalla assicurazione generale obbligatoria e alle gestioni speciali INPS (artt. 1 e 2). Ed anzi nei detti sistemi, ivi compreso quello degli ingegneri e architetti quale risultante dalla legge n. 6 del 1981, essa non trova riscontro, attesa la rilevata mancanza di meccanismi preordinati alla reciproca utilizzazione, o all'utilizzazione in un sistema unico, dei contributi versati in ciascuno di essi.

Cosicché il ricorso a sistemi previdenziali afferenti a categorie professionali diverse per reperirvi elementi di comparazione, rivelatori di principi comuni traditi e di connesse ingiustificate disparità, finisce anche qui e ora - o almeno qui e ora, cioè in relazione alla questione che ci occupa e all'attuale stato della normativa - per infrangersi contro la osservazione, più volte fatta da questa Corte, che ogni sistema previdenziale presenta una propria autonomia e che le rispettive soluzioni sono da riportare, in linea di principio, ad accertamento di presupposti, a determinazione di fini, a valutazioni di congruità dei mezzi non estensibili fuori del sistema considerato (cfr. sentenze nn. 65 del 1979, 62 del 1977, 33 del 1975, 91 del 1972).

16. - Più breve discorso é sufficiente per fugare il sospettato, pur formulato, che l'assoggettamento agli obblighi previdenziali dei professionisti suindicati, se viene giustificato in riferimento alla natura tributaria dei contributi, incorra nella violazione dell'art. 53 Cost., per essere l'obbligo contributivo fatto dipendere dalla mera appartenenza a una categoria professionale, anziché, come prescritto dal cennato precetto costituzionale, dalla capacità contributiva (ordinanza del Pretore di Fermo e ordinanze del Pretore di Napoli).

Al riguardo é sufficiente osservare che la capacità contributiva - alla quale va commisurata anche la imposizione contributiva afferente alla previdenza forense (almeno per quanto riguarda il "contributo soggettivo") - non é, nel detto sistema, desunta dalla mera appartenenza alla categoria, ma é individuata sulla base dell'esercizio della professione con continuità, e valutata sulla base dei redditi professionali dichiarati ai fini dell'IRPEF (artt. 10, comma primo e 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980).

17. - Così é dato agevolmente dissipare il sospetto, pur avanzato, che l'assoggettamento agli obblighi previdenziali degli esercenti la professione forense sopra indicati, non essendo sorretto da ragioni valide sul piano della legittimità costituzionale, si risolva in una ingiustificata limitazione della libertà economica, con violazione dell'art. 41 (ordinanze del Pretore di Napoli e ordinanza del Pretore di Cremona) e/o della proprietà, con violazione dell'art. 42 Cost. (ordinanza del Pretore di Cremona).

Al riguardo é sufficiente rifarsi alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 54 del 1977), secondo la quale l'art. 41 Cost. ben difficilmente si presta ad essere adottato come parametro della legittimità costituzionale di norme concernenti la disciplina dei professionisti intellettuali. Ed osservare come con le ordinanze di rimessione non si adducano argomenti per incrinare la validità della detta affermazione o per dimostrare che essa non si attaglia alla disciplina della previdenza forense.

Ancor meno pertinente, poi, é il richiamo dell'art. 42 Cost., che concerne la tutela della proprietà, a proposito di un non meglio identificato diritto a non essere assoggettato a contribuzioni o, più in genere, a prestazioni patrimoniali imposte da una legge che non sia giustificata dall'attuazione di precetti costituzionali o, almeno, non sia in contrasto con essi. Richiamo che, comunque, avrebbe acquistato significanza soltanto nel caso di accoglimento delle, o di taluna delle, altre censure finora esaminate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi relativi alle sei ordinanze di cui in epigrafe,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma primo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 Cost., dal Pretore di Roma con ordinanza del 26 novembre 1982; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma primo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 Cost., dal Pretore di Lucca con ordinanza del 17 ottobre 1981;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 53 Cost., dalle ordinanze del Pretore di Napoli del 26 gennaio 1982 (rispettivamente reg. ord. n. 367 e n. 368 del 1982);

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 e dell'art. 6, comma penultimo, della legge 5 luglio 1975, n. 798, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38, 41 e 42 Cost., dall'ordinanza del Pretore di Cremona del 28 aprile 1982;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 38 e 53 Cost., dall'ordinanza del Pretore di Fermo del 31 dicembre 1982.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 4 maggio 1984.