Sentenza n.78 del 1984

 

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SENTENZA N. 78

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167, 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionala) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 marzo 1977 dalla Corte d'Appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Rau Giovanna ed altri e Comune di Tempio Pausania, iscritta al n. 268 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa il 10 giugno 1977 dalla Corte d'Appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Demontis Vincenzo ed altri e Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 334 dell'anno 1977;

3) ordinanza emessa il 10 giugno 1977 dalla Corte d'Appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Muscas Sisinnio ed altri e il Comune di Villacidro, iscritta al n. 467 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 334 dell'anno 1977 e 281 dell'anno 1983;

4) ordinanza emessa il 9 dicembre 1977 dalla Corte d'Appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Arrais Emilio ed altri e Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari, iscritta al n. 323 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 dell'anno 1978.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri:

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1983 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 9 dicembre 1977 nel giudizio instaurato da Arrais Emilio ed Anselmo nei confronti del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari, del quale avevano chiesto la condanna al pagamento in loro favore, siccome affittuari di un terreno espropriando, della stessa somma di denaro corrisposta alla proprietaria del fondo a titolo di indennità di espropriazione, la Corte d'Appello di Cagliari ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'intera legge 22 ottobre 1971, n. 865, in riferimento agli artt. 64, terzo comma, e 72 della Costituzione.

Premesso che a norma del primo dei parametri costituzionali di riferimento "le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide" se non sono adottate a maggioranza dei presenti" e che a norma dell'art. 72, primo comma, ult. parte, Cost., Ogni disegno di legge presentato ad una Camera deve essere approvato "articolo per articolo e con votazione finale", il giudice a quo assume che l'approvazione finale del disegno di legge in questione, recante il n. 3199, da parte della Camera dei deputati, che lo aveva esaminato nella seduta del 26 maggio 1971, sia stata irregolare: su 473 deputati presenti, invero, furono solo 198 - anziché i necessari 237 - i voti favorevoli. Il Presidente della Camera ritenne tuttavia approvato il disegno di legge poiché, in base al regolamento interno, gli astenuti - nella specie 154 - non vengono considerati presenti agli effetti della votazione.

Sennonché, osserva il giudice a quo, "il regolamento interno della Camera dei deputati non può derogare all'art. 64 della Costituzione", onde il disegno di legge in questione non avrebbe potuto essere legittimamente trasmesso al Senato della Repubblica, non essendo stato validamente approvato dalla Camera alla quale era stato presentato". Né, continua la Corte d'Appello di Cagliari, può conferirsi rilievo alla circostanza che, in esito alle modifiche apportatevi dal Senato, il disegno di legge sia stato di nuovo approvato, con regolare maggioranza, dalla Camera dei deputati nella seduta del 14 ottobre 1971. Ciò in quanto in tale sede, salva la votazione finale, furono discussi e approvati articolo per articolo solo gli articoli modificati dal Senato e non anche tutti gli altri.

D'altro canto, continua il giudice a quo, non potrebbe fondatamente ritenersi che essi fossero stati già precedentemente approvati dalla Camera dei deputati solo perché nella seduta del 26 maggio 1971 era stata regolare l'approvazione articolo per articolo. Questa e l'approvazione finale costituiscono, infatti, "gli elementi di un atto complesso ed inscindibile" onde l'invalidità di uno di essi - nella specie, l'approvazione finale - rende invalido anche l'altro, con la conseguenza che la ritenuta irregolarità dell'approvazione finale del disegno di legge nella menzionata seduta "ha reso giuridicamente inesistente anche la precedente approvazione articolo per articolo".

In ordine alla rilevanza si osserva che la declaratoria di incostituzionalità della legge denunciata priverebbe di base normativa la pretesa attorea, influendo altresì sulla decisione dell'eccezione di incompetenza sollevata dal Consorzio convenuto; l'una fondata sull'art. 17, secondo comma, l'altra sull'art. 19, in relazione agli artt. 12 e 15 della legge n. 865 del 1971, non innovate, "agli effetti della decisione" dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, sull'edificabilità dei suoli.

2. - La medesima questione di legittimità costituzionale é stata altresì sollevata dalla stessa Corte d'Appello di Cagliari con ordinanza emessa in data 11 marzo 1977 nel procedimento civile di opposizione alla determinazione dell'indennità di occupazione d'urgenza promosso da Rau Giovanna, Chiarina e Sebastiano nei confronti del Comune di Tempio Pausania (r.o. n. 268/77), nonché con due ordinanze emesse il 10 giugno 1977: l'una nel giudizio di opposizione alla determinazione della indennità di espropriazione vertente tra Demontis Vincenzo ed altri e il Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari (r.o. n. 466/77); l'altra nel giudizio promosso da Muscas Sisinnio ed altri nei confronti del Comune di Villacidro avverso la determinazione dell'indennità di occupazione temporanea (r.o. n. 467/77).

Con le tre ordinanze citate vengono peraltro denunciate, in accoglimento delle eccezioni della difesa degli attori, anche le disposizioni degli artt. 16 e 20 della legge n. 865 del 1971 in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 della Costituzione, e dell'art. 20, ultimo comma, della stessa legge in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..

La Corte d'Appello di Cagliari riferisce - integralmente recependolo - il contenuto delle argomentazioni svolte dagli attori a sostegno delle prospettate questioni di legittimità costituzionale, sintetizzabili nei seguenti salienti termini.

A) In ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971, si assume che la mancata approvazione finale del disegno di legge in questione da parte della Camera dei deputati nella seduta del 26 maggio 1971 travolse anche la precedente votazione articolo per articolo;

sicché, quand'anche dovesse in ipotesi ritenersi legittima l'inversione dell'ordine di approvazione, da parte delle due Camere, di un disegno di legge, nella seduta del 14 ottobre 1971 avrebbero dovuto essere quantomeno approvati singolarmente gli articoli non modificati dal Senato. Il che, invece, non avvenne.

B) Quanto alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 20 della legge n. 865 del 1971 rispettivamente concernenti i criteri per la determinazione dell'indennità di espropriazione e di quella per occupazione temporanea, si afferma che le norme denunciate illegittimamente impongono, per la determinazione dell'indennità, di far riferimento al valore agricolo del terreno anche se l'area abbia natura diversa e di tener conto. per gli immobili siti nel centro abitato, del valore agricolo corrispondente alla coltura di maggior pregio che copra almeno il 5 % della superficie coltivata, nella regione agraria, anziché di quello corrispondente alla coltura effettivamente praticata, omettendo altresì di prevedere qualsiasi forma di indennizzo per la diminuzione di valore dell'area residua in esito ad espropriazione od occupazione parziale del fondo in violazione degli artt. 3 e 42 Cost.. La violazione del parametro di cui agli artt. 53 e 3 Cost. viene poi fondata sulla considerazione - già svolta dalla Corte d'Appello di Caltanissetta con richiamata ordinanza in data 20 febbraio 1975, pubblicata in G. U. n. 249 del 1975 - che "il proprietario di immobili che subisce l'occupazione temporanea o l'espropriazione del bene, a norma degli artt. 16 e 20 della legge n. 865 del 1971, subisce, praticamente, un trattamento tributario (imposizione di una speciale contribuzione alla spesa Occorrente per la costruzione dell'opera pubblica) differenziato rispetto alla generalità dei proprietari dei beni immobili".

C) Per quanto attiene, infine, alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, ultimo comma, del medesimo testo normativo in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., si deduce che la norma, disponendo che contro la determinazione dell'indennità di occupazione temporanea si può proporre opposizione davanti alla Corte d'Appello, escluderebbe la garanzia del doppio grado di giurisdizione, così violando il diritto alla difesa in sub jecta materia (si richiama in proposito la motivazione dell'ordinanza di remissione della Corte d'Appello di Bari in data 11 dicembre 1974, pubblicata in G. U. n. 202 del 1975).

3. - Nessuna delle parti private si é costituita in giudizio innanzi a questa Corte.

É invece intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, instando per la declaratoria di infondatezza di tutte le sollevate questioni.

Ha sostenuto in particolare l'Avvocatura, quanto alla questione di legittimità costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971 per addotta violazione degli artt. 64 e 72 Cost., che i giudici a quibus sono incorsi "nell'errore decisivo di calcolare la maggioranza tenendo conto degli astenuti", e che, essendo il risultato della votazione quello riportato negli atti parlamentari ("presenti e votanti 319; maggioranza 160; voti favorevoli 198; voti contrari 121; hanno dichiarato di astenersi 154 deputati"), la sollevata questione non meriterebbe "considerazione neanche con riferimento ad un ipotetico contrasto del regolamento della Camera con l'art. 64 Cost.". In ordine alla questione relativa agli artt. 16 e 20 della legge in parola, si prospetta in primo luogo l'opportunità della restituzione degli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza della questione alla luce delle modifiche apportate alle disposizioni impugnate dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.

Nel merito, richiamate preliminarmente le argomentazioni già svolte in occasione dell'esame di 35 analoghe questioni di legittimità costituzionale, discusse innanzi a questa Corte all'udienza del 25 febbraio 1976, cui aveva fatto seguito l'ordinanza n. 138 del 1976, l'Avvocatura nega anzitutto che sussista una lesione del principio di uguaglianza "in quanto la determinazione dell'indennità é pur sempre ancorata ad un criterio obiettivo, razionalmente scelto dal legislatore ordinario nella sua discrezionalità, con la conseguenza che il profilo della questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 3 della Costituzione non é fondato". Si afferma in particolare - e l'osservazione attiene anche al profilo relativo all'addotta violazione dell'art. 42 Cost. - che é "in senso obiettivo inaccettabile ritenere simbolico (vale a dire quasi nullo) il valore di un suolo agricolo" e del tutto erroneo continuare come fanno le ordinanze in questione, a postulare "una edificabilità dei suoli quale elemento naturale dei medesimi". Il legislatore, inoltre, attribuendo ad apposite commissioni (art. 14 legge n. 10 del 1977) il potere di "determinare la stima caso per caso" e prevedendo nuovi coefficienti di moltiplicazione del valore agricolo in relazione alla popolazione dei Comuni nel cui territorio sono comprese le aree espropriande, avrebbe eliminato tutte quelle perplessità Che erano sorte in materia, "consentendo di pervenire, attraverso tale nuovo sistema di stima, al perfetto adeguamento dell'indennizzo", nel senso voluto dall'art. 42 Cost. e già chiarito dalla Corte costituzionale, alla consistenza dell'immobile sottoposto a misura ablativa.

Dalle osservazioni che precedono - sostiene ancora l'Avvocatura - deriva anche l'insussistenza dell'addotto contrasto delle norme denunciate con l'art. 53 Cost., non essendo neppure ipotizzabile una lesione del principio "della capacità contributiva" laddove non sussiste, come nella specie, alcun prelievo di ricchezza.

Del pari inconsistenti sarebbero infine le censure di incostituzionalità rivolte all'art. 16 della legge n. 865 del 1971 in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., non essendo il doppio grado di giurisdizione costituzionalmente garantito né esistendo preclusioni di rango costituzionale alla attribuzione alla Corte d'Appello di una funzione diversa da quella di giudice dell'impugnazione in situazioni per le quali il legislatore abbia ritenuto opportuna una particolare disciplina.

Con ulteriore atto d'intervento in data 23 ottobre 1983 - correlato alla nuova pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 12 ottobre 1983 dell'ordinanza emessa dalla Corte d'Appello di Cagliari il 10 giugno 1977 nel procedimento civile promosso da Muscas Sisinnio ed altri nei confronti del Comune di Villacidro - l'Avvocatura dello Stato insta preliminarmente per la declaratoria di inammissibilità di tutte le sollevate questioni di legittimità costituzionale per avere il giudice a quo omesso di effettuare un autonomo controllo in ordine alla non manifesta infondatezza ed alla rilevanza della questione, che risulta invece prospettata sotto la forma di un'esposizione analitica degli assunti, delle richieste e delle conclusioni degli attori.

Ricorda poi l'Avvocatura che gli artt. 16, terzo comma, e 20 della legge n. 865 del 1971 sono stati già espunti dall'ordinamento dalla sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980 onde, a parte la manifesta infondatezza delle relative questioni, potrebbe ritenersi per altro verso inammissibile la stessa questione di legittimità costituzionale che investe l'intera legge n. 865 del 1971, essendo ovvio che quest'ultima é stata pur sempre sollevata in funzione strumentale rispetto al giudizio a quo, nel quale dovrebbero applicarsi le norme specificamente impugnate e già dichiarate costituzionalmente illegittime. Si riconosce, peraltro, in atto d'intervento che a tale conclusione non potrebbe giungersi in ordine alla questione concernente l'art. 20, ultimo comma, della legge n. 865 del 1971, denunciato in riferimento all'art. 24 Cost.; anche se del tutto infondatamente alla luce del costante indirizzo della Corte circa l'insussistenza di una garanzia costituzionale relativa al doppio grado di giurisdizione.

In ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971 si sostiene in atto d'intervento che, pure alla luce di quanto ritenuto dalla Corte con sentenza n. 9 del 1959, non può non opinarsi che nell'ambito degli interna corporis sussista un "nucleo irriducibile" di disposizioni, quali quelle "regolamentari che disciplinano la fase della decisione parlamentare" che non può essere sottratta al Parlamento senza compromettere la sua stessa posizione nel sistema. E ciò anche nel senso che il sindacato di legittimità costituzionale sull'iter formativo della legge "non può non incontrare un confine nell'avvenuta approvazione da parte di ogni Camera - quale che sia stata l'attività esplicala per giungervi - del testo della legge inserito nell'atto promulgativo". Logico corollario di tali osservazioni continua l'Avvocatura - é l'inammissibilità della questione relativa al preteso contrasto della norma regolamentare della Camera dei deputati con l'art. 64, terzo comma, Cost..

La questione sarebbe, peraltro, comunque infondata nel merito sol che si consideri che il disposto dell'invocato parametro costituzionale di raffronto (art. 64, terzo comma, Cost.) si ispira allo stesso principio maggioritario che é a fondamento degli artt. 75 e 138 Cost., in base ai quali le proposte soggette a referendum popolare non sono approvate se non é raggiunta la maggioranza "dei voti validamente espressi" o "dei voti validi". In tale contesto normativo, non potendo sicuramente negarsi che l'astensione non é un "voto espresso", ben potrebbe interpretarsi l'art. 64, terzo comma, Cost. nel senso di attribuire alla parola "presenti" il significato di " presenti che abbiano validamente votato". E d'altro canto, conclude l'Avvocatura, allo stesso criterio - derivato da quella esperienza reale che ha sorretto storicamente questa interpretazione fin dai primi momenti della Repubblica - si ispira ancora sostanzialmente il Senato, nonostante la norma codificata di cui all'art. 107 del relativo Regolamento, "secondo il quale ogni deliberazione deve essere presa a maggioranza dei senatori che partecipano alla votazione".

Considerato in diritto

1. - La legge 22 ottobre 1971, n. 865, - avente per oggetto "programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167, 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata" - oltre che dettare i criteri per la determinazione, da parte dell'ufficio tecnico erariale, dell'indennità di espropriazione, sia per il proprietario (articolo 16), sia per il fittavolo (art. 17 in relazione all'art. 16), nonché dell'indennità di occupazione d'urgenza (art. 20, terzo comma, in relazione all'art. 16), prevede altresì l'opposizione degli interessati alla stima davanti alla Corte d'Appello competente per territorio (artt. 19 e 20, u. comma).

In attuazione della predetta legge, avendo il Presidente della regione Sardegna, nel corso degli anni 1976 e 1977, autorizzato i Comuni di Tempio Pausania e di Villacidro ad occupare d'urgenza alcuni terreni, e decretato l'espropriazione di altri a favore del "Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari", l'ufficio tecnico erariale procedeva alle stime delle indennità dovute. A tali stime gli interessati proponevano opposizione dinanzi alla Corte d'Appello di Cagliari, denunciando l'illegittimità costituzionale, in primo luogo dell'intero testo legislativo e, comunque, dei summenzionati artt. 16 e 20. La Corte adita, facendo propri i motivi esposti dagli opponenti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'intera legge in riferimento agli artt. 64, terzo comma, e 72 Cost. (con tutte le ordinanze in epigrafe); degli artt. 16 e 20 della stessa legge in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 (con le ordinanze nn. 268/1977 e 467/1977) ovvero in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., e, sotto altro profilo, in riferimento agli artt. 3 e 53 (con l'ordinanza n. 466/1977); dell'art. 20 u. comma, in riferimento al solo art. 24 Cost. (con l'ordinanza n. 466/1977) ovvero in riferimento agli artt. 24 e 3 Cost. (con le ordinanze nn. 268/1977 e 467/1977).

Essendo comune a tutte le quattro ordinanze, emesse tutte nel corso del 1977, la questione che coinvolge tutto il testo normativo ed essendo in tutte contestate le medesime norme, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi congiuntamente.

2. - Attraverso l'impugnativa degli artt. 16 e 20, il giudice a quo ha denunciato l'illegittimità costituzionale dei criteri per la determinazione dell'indennità nei casi, rispettivamente, di espropriazione e di occupazione d'urgenza. Senonché, con sentenza n. 5 del 1980, e perciò successivamente all'emissione delle ordinanze in epigrafe, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme impugnate. Poiché allora ne é conseguita la caclucazione dei criteri, dei quali appunto nei giudizi d'opposizione si contesta l'applicabilità, la difesa dello Stato ha eccepito, peraltro in termini piuttosto dubitativi, l'inammissibilità (in un certo senso sopravvenuta) della questione di legittimità costituzionale dell'intera legge, in quanto era stata sollevata strumentalmente, cioé in vista della perdita di efficacia proprio degli artt. 16 e 20. Ma la stessa Avvocatura riconosce che la citata sentenza non copre anche la censura di violazione dell'art. 24 Cost. - cioé dell'asserito principio del doppio grado di giurisdizione - da parte dell'art. 20, ultimo comma, della stessa legge, per cui l'eccezione di cui sopra non può essere accolta. E non rileva in contrario la constatazione che la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (" norme per la edificabilità dei suoli") - espressa - mente modificativa dei criteri stabiliti con gli impugnati artt. 16 e 20 della legge n. 865 del 1971 -, benché entrata in vigore il 30 gennaio 1977, non risulta neppure menzionata in alcuna delle quattro ordinanze, che tuttavia sono state emesse tutte posteriormente alla suddetta data (dall'11 marzo al 9 dicembre 1977): oltre tutto, la norma dell'art. 20, che violerebbe il diritto di difesa, non ha subito altro mutamento, ad opera della legge n. 10 del 1977, che la progressione da ultimo a penultimo comma. La denuncia dell'illegittimità costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971, pertanto, non solo é ammissibile, ma, anzi, deve essere vagliata preliminarmente. Ed invero, a parte la considerazione che tale censura risulta formulata come unica nell'ordinanza n. 323/1978, e come principale nelle altre, é indubitabile che il suo eventuale accoglimento assorbirebbe ogni altro motivo.

3. - La legge in parola sarebbe costituzionalmente illegittima, perché in sede di approvazione finale del testo sarebbe stata approvata, alla Camera dei deputati, senza la maggioranza prescritta dalla Costituzione. A riguardo di ogni disegno di legge - si osserva nelle ordinanze - l'art. 72, primo comma, Cost. stabilisce che esso dev'essere approvato "articolo per articolo e con votazione finale"; a riguardo delle deliberazioni di "ciascuna" Camera, l'art. 64, terzo comma, Cost. recita testualmente che esse "non sono valide" se non sono adottate a maggioranza dei presenti", sempre che sia "presente la maggioranza dei "componenti". Il disegno di legge di che trattasi, invece, alla Camera dei deputati fu approvato regolarmente articolo per articolo, ma nella votazione finale raccolse solo la maggioranza dei votanti, ma non anche quella dei presenti, e tuttavia ne venne proclamata l'approvazione. Ciò, in applicazione dell'art. 48, secondo comma, del regolamento di quella Camera, a norma del quale, dovendosi considerare "presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario", gli astenuti non vengono computati.

Nella seduta del 26 maggio 1971, infatti - si precisa nell'ordinanza e non viene contestato dall'Avvocatura -, quando appunto ebbe luogo la votazione finale, "erano presenti 473 deputati, dei quali: 198 votarono a favore dell'approvazione del testo complessivo del disegno di legge; 191 contro e 154 si astennero", mentre il disegno di legge, a sensi dell'art. 64, terzo comma, Cost., "per essere approvato, avrebbe dovuto riportare 237 voti favorevoli (473: 2 + 1)". Vero é - si soggiunge - che successivamente, in seguito alle numerose modifiche apportate dal Senato al testo, la Camera dei deputati approvò regolarmente gli articoli emendati dall'altro ramo del Parlamento e riapprovò l'intero testo con nuova votazione finale, ma vero altresì che "il disegno di legge" non avrebbe potuto essere trasmesso al Senato".

4. - Dalla prospettazione testé compendiata emerge con tutta nettezza che la questione in sostanza é quella del valore dell'espressione "presenti"; più propriamente, del valore che essa assume nella locuzione "maggioranza dei presenti".

L'art. 64, primo comma, Cost., statuisce che " ciascuna Camera adotta il proprio regolamento". Ed é "secondo le norme del suo regolamento" che ognuna delle due Camere esamina i disegni di legge (art. 72, primo comma, Cost.); é ancora il regolamento di ognuna delle due Camere che può persino stabilire "procedimenti abbreviati" (art. 72, secondo comma, Cost.); é sempre il regolamento di ognuna delle due Camere che "può altresì stabilire", tanto i "casi", quanto le "forme", in cui i disegni di legge possono addirittura essere approvati in commissione, anziché nel plenum (art. 72, terzo comma, Cost.).

Dai dati testuali, la cui fedele trascrizione ne mostra l'univocità, risultano la spettanza di autonomia normativa ad entrambi i rami del Parlamento e la peculiarità e dimensione di tale autonomia. É riconosciuta, infatti, a ciascuna Camera la potestà di disciplinare il procedimento legislativo in tutto ciò che non sia direttamente ed espressamente già disciplinato dalla Costituzione. Ne consegue che questa lascia un margine piuttosto ampio all'interpretazione ed attuazione del pensiero de1 costituente in materia e che l'interpretazione ed attuazione in parola sono di esclusiva spettanza di ciascuna Camera. Ciò significa che, relativamente alla disciplina del procedimento legislativo, i regolamenti di ogni Camera in quanto diretto svolgimento della Costituzione, sono esercizio di una competenza sottratta alla stessa legge ordinaria. Ma se l'autonomia normativa di ognuno dei due rami del Parlamento costituisce preclusione persino nei confronti del legislatore ordinario, si deve a maggior ragione ritenere che il regolamento di una Camera - e, quindi, l'interpretazione da questa data alla Costituzione - spiega eguale efficacia nei confronti dell'altra Camera, e viceversa.

E allora, comprendere gli astenuti tra i votanti ai fini della validità delle deliberazioni, come secondo antica e consolidata "pratica" accade in Senato - il cui art. 107.1, peraltro, recita che "ogni deliberazione" é presa a maggioranza dei Senatori che partecipano alla votazione" - ovvero escluderli, come dispone il regolamento della Camera, sono interpretazioni ed attuazioni senza dubbio diverse dell'art. 64, terzo comma, Cost., che hanno piena spiegazione appunto nella reciproca autonomia normativa testé affermata. Dal constatato divario non discende, tuttavia, necessariamente che una delle due contrasti con la Costituzione. A ben guardare, infatti, dichiarare di astenersi (alla Camera) ed assentarsi (al Senato) sono manifestazioni di volontà che si differenziano solo formalmente - come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento concludente-, ma che in realtà poi si accomunano grazie all'univocità del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, che é quello di non concorrere all'adozione dell'atto collegiale. In definitiva, potrebbe anche dirsi che rientrano fra i modi di votazione. Se così é, ben può allora ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale valutazione, stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validità delle deliberazioni, il valore dell'un modo o dell'altro, di manifestare la volontà di non partecipare alla votazione.

5. - Gli argomenti svolti in ordine al significato della locuzione "maggioranza dei presenti", di cui all'art. 64, terzo comma, Cost. comportano la dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'intera legge n. 865 del 1971.

6. - Deve poi dichiararsi manifestamente infondata la questione sollevata dal medesimo giudice a quo a riguardo degli artt. 16 e 20 della stessa legge, e precisamente nelle parti concernenti i criteri per la determinazione dell'indennità di espropriazione e di occupazione d'urgenza.

Non si può in proposito non rilevare nuovamente che gli articoli impugnati dalla Corte d'Appello di Cagliari erano stati già abrogati, al momento dell'emissione di tutte le quattro ordinanze in epigrafe, e sostituiti con l'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. A parte comunque, la denuncia di norma non più in vigore, i criteri per la determinazione dell'indennità, quali stabiliti con i denunciati artt. 16 e 20, e quali modificati dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, risultano già dichiarati da questa Corte costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 5 del 1980.

7. - Analoga pronuncia di infondatezza va adottata a riguardo del medesimo art. 20, ultimo comma, della legge n. 865 del 1971, cioè nella parte in cui é disposto che l'opposizione contro la determinazione delle suddette indennità é proponibile direttamente davanti alla Corte d'Appello.

In sostanza, il giudice a quo lamenta che, imponendosi agli interessati di agire direttamente dinanzi al giudice di seconda istanza, verrebbe violato il principio del doppio grado di giurisdizione. Sennonché, questa Corte ha più volte negato - da ultimo, con sentenza n. 52 del corrente anno 1984 - l'esistenza nel nostro ordinamento del suddetto principio, che il legislatore ordinario non é pertanto tenuto ad osservare in ogni caso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate:

a) la questione di legittimità costituzionale dell'intera legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167, 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), sollevata dalla Corte d'Appello di Cagliari, con ordinanze emesse l'11 marzo 1977 (r.o. 268/1977), il 10 giugno 1977 (r.o. 466 e 467/77) e il 9 dicembre 1977 (r.o. 323/78), in riferimento agli artt. 64, terzo comma e 72 Cost.;

b) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, quarto comma, della legge n. 865 del 1971, sollevata dalla stessa Corte d'Appello di Cagliari, con ordinanze emesse l'11 marzo 1977 (r.o. 268/1977) ed il 10 giugno 1977 (r.o. 466 e 467/1977), in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

c) dichiara manifestamente infondata:

la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 20, terzo comma, della legge n. 865 del 1971, sollevata dalla stessa Corte d'Appello di Cagliari con le ordinanze indicate sub b) in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 29 marzo 1984.