Sentenza n.40 del 1984

 

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 40

 

ANNO 1984

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 27, 29, 67 e 73 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani) promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 1 ottobre 1979 dal Pretore di Serracapriola nel procedimento civile vertente tra Torzilli Anna Maria e Ciannilli Antonio ed altro, iscritta al n. 818 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 del 1980;

 

2) ordinanza emessa il 28 maggio 1980 dal Pretore di Bergamo nel procedimento civile vertente tra Tiraboschi Ismaele e Valsecchi Pietro, iscritta al n. 502 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 1980;

 

3) ordinanza emessa il 28 febbraio 1981 dal Giudice conciliatore di Pulsano nel procedimento civile vertente tra D'Errico Maria e Vergallo Giuseppe, iscritta al n. 349 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 241 del 1981;

 

4) ordinanza emessa il 16 ottobre 1981 dal Pretore di Montefiascone nel procedimento civile vertente tra Borioli Amelia e Confaloni Umberto, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 del 1982;

 

5) ordinanza emessa il 21 luglio 1982 dal Pretore di Ispica nel procedimento civile vertente tra Mattioli Pietro e Mattioli Rosaria, iscritta al n. 678 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 del 1983.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 1983 il Giudice relatore dott. Francesco Saja.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Torzilli Anna Maria, proprietaria di un immobile locato dal 1960 ed adibito ad usi agricoli, intimava licenza per finita locazione all'8 settembre 1979 ai conduttori Ciannilli Antonio e Michele e li citava per la convalida davanti al Pretore di Serracapriola. Costituitisi gli intimati, la locatrice negava che il contratto in questione fosse disciplinato dalla legge 27 luglio 1978 n. 392, il cui art. 27 non comprendeva tra le locazioni non abitative quelle di immobili adibili all'agricoltura: non poteva perciò operare la proroga di cui all'art. 67 l. cit.

 

Il Pretore, accogliendo questa tesi, con ordinanza del 1 ottobre 1979 (in G. U. n. 15 del 16 gennaio 1980; reg. ord. n. 818 del 1979) sollevava questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 27 e 67, in quanto l'esclusione dell'attività di impresa agricola da quelle soggette alla tutela della legge n. 392 del 1978 sembrava contrastare con i principi di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., di tutela del lavoro di cui all'art. 35 Cost., e di tutela dell'iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost.

 

La stessa questione veniva sollevata dal Pretore di Montefiascone con ordinanza del 16 ottobre 1981 (in G.U. n. 185 del 7 luglio 1982; reg. ord. n. 100 del 1982), emessa nel procedimento vertente tra Borioli Amelia e Confaloni Umberto.

 

2. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Tiraboschi Ismaele e Valsecchi Pietro, il Pretore di Bergamo con ordinanza del 28 maggio 1980 (in G. U. n. 242 del 3 settembre 1980; reg. ord. n. 502 del 1980) sollevava questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 27, 29 e 73 l. 27 luglio 1978 n. 392.

 

Osservava il magistrato che, ai sensi delle norme citate, il locatore di un immobile non adibito ad abitazione e con contratto in corso al momento dell'entrata in vigore della legge citata, poteva recedere ove avesse necessità di adibire l'immobile stesso all'esercizio di un'attività industriale, commerciale o artigianale, oppure di interesse turistico tra quelle di cui all'art. 2 l. n. 326 del 1968 o, ancora, di lavoro autonomo. La mancata previsione, tra le cause di recesso, della necessità di adibire l'immobile all'esercizio di impresa agricola poteva integrare un contrasto tra le dette norme e l'art. 3 Cost., per l'ingiustificato deteriore trattamento riservato all'imprenditore agricolo.

 

La stessa questione veniva sollevata dal Conciliatore di Pulsano con ordinanza del 28 febbraio 1981 (in G. U. n. 241 del 2 settembre 1981; reg. ord. n. 349 del 1981) emessa nel procedimento vertente tra d'Errico Maria e Vergallo Giuseppe, nonché dal Pretore di Ispica con ordinanza del 21 luglio 1982 (in G. U. n. 67 del 9 marzo 1983; reg. ord. n. 678 del 1982) nel procedimento vertente tra Mattioli Pietro e Mattioli Rosaria.

 

3. - La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta in tutte le cause, eccepiva l'infondatezza delle questioni sia perché la corretta interpretazione delle norme denunciate portava a ritenere compresa nella loro previsione anche l'impresa agricola, sia perché, a voler accettare l'interpretazione data dai giudici rimettenti, la differenza di trattamento era giustificata dalla già intensa tutela riservata all'impresa agricola dalla legislazione speciale in materia.

 

Le parti private non si sono costituite.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le cinque ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni analoghe ovvero strettamente connesse: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

 

2. - Con i suddetti provvedimenti di rimessione i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 27 l. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge dell'equo canone) nonché dei successivi artt. 29, 67 e 73 nella parte in cui richiamano detta disposizione; e ciò perché le ricordate norme, nel disciplinare la durata delle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, si riferirebbero soltanto agli immobili destinati ad attività industriali, commerciali artigianali e turistiche nonché all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo, mentre ne rimarrebbero esclusi quelli destinati all'esercizio di un'impresa agricola: il che porrebbe le norme stesse in contrasto con gli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione.

 

3. - Le prospettate questioni sono infondate non ricorrendo, come pregiudizialmente ha eccepito la Presidenza del Consiglio dei ministri, il presupposto logico - giuridico da cui muovono le ordinanze in epigrafe, ossia la mancata considerazione della impresa agricola nella disciplina impugnata.

 

In proposito giova ricordare che l'art. 2135 cod. civ. dispone nel primo comma che é imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse; ed aggiunge, nel capoverso, che si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.

 

La norma distingue dunque - e la distinzione non é priva di rilievo - tra attività essenzialmente agricole e attività agricole per connessione. A queste ultime si riferiscono le ordinanze nn. 818/79, 349/81, 100/82 e 678/82 dei Pretori di Serracapriola, Ispica e Montefiascone nonché del conciliatore di Pulsano, le quali hanno per oggetto immobili adibiti o da adibire alla conservazione e alla lavorazione di prodotti agricoli destinati al mercato.

 

Invece, l'ordinanza n. 502/80 del Pretore di Bergamo concerne un'attività essenzialmente agricola, come "l'allevamento del bestiame", il quale, secondo la nozione accolta dal codice civile, riguarda non già l'allevamento in genere di animali, ma soltanto quello caratterizzato da un sostanziale nesso funzionale con la terra (il fondo) su cui l'allevamento stesso avviene.

 

4. - Un'osservazione preliminare, comune alle proposte questioni, attiene alla natura del bene locato: questo deve appartenere alla categoria degli immobili urbani, a cui esclusivamente si riferisce la cit. l. n. 392 del 1978, intitolata appunto "Disciplina delle locazioni di immobili urbani". Intuitivamente deve trattarsi di un bene utilizzato dal locatario (o da utilizzare dal locatore nei casi previsti dagli artt. 29 e 73) nell'esercizio dell'agricoltura perché altrimenti il problema neppure si porrebbe, ma occorre pur sempre che si tratti di un immobile urbano, e tale requisito, pur con qualche inesattezza terminologica, é stato ritenuto sussistente dai giudici a quibus, nel cui compito esclusivo rientra l'accertamento degli elementi inerenti al rapporto giuridico dedotto in giudizio.

 

5. - Ciò posto, sembra alla Corte che, per quanto riguarda le attività agricole connesse, deve ritenersi, in base al "diritto vivente", che esse sono comprese nell'ambito dell'art. 27 della legge sull'equo canone e conseguentemente in quello dei successivi artt. 29, 67 e 73.

 

Invero, la mancanza di una esplicita previsione nel ricordato art. 27 non ha impedito alla dottrina, che si é occupata della materia, e alla giurisprudenza, che ha preso in esame il problema, di ritenere che le attività agricole connesse siano comprese nella previsione delle norme impugnate. In particolare, va osservato che la Corte di Cassazione é pervenuta a detto risultato sul rilievo che la disposizione dell'art. 2135, secondo comma, codice civile trova il suo fondamento nell'intento legislativo di estendere per esigenze unitarie la disciplina dell'impresa agricola ad attività le quali, pur avendo un intrinseco carattere industriale o commerciale, sono intimamente collegate con l'agricoltura; ciò - osserva la Cassazione - non esclude che tali attività vadano considerate nella loro effettiva essenza, sicché, tra l'altro, alle stesse deve essere applicato il nuovo regime delle locazioni previsto dal citato art. 27 (e quindi anche dagli artt. 29, 67 e 73).

 

Tutto ciò non é stato tenuto presente nelle ordinanze di rimessione, le quali, essendosi limitate a considerare soltanto l'elemento letterale della formula legislativa, hanno ritenuto di inferirne l'esclusione denunciata, esclusione che, invece, non é consentita in base alla comune interpretazione delle norme impugnate.

 

6. - In termini non proprio coincidenti si presenta il problema rispetto alle attività essenzialmente agricole, ma ciò non impedisce, in definitiva, che la soluzione debba essere la medesima.

 

Per esse infatti non é possibile individuare un "diritto vivente", poiché manca, oltre a qualsiasi apprezzabile apporto dottrinale, anche una giurisprudenza di merito, mentre la Corte di Cassazione, nei soli due casi in cui ha preso in esame il problema, si é orientata in senso contrastante, affermando in uno che le attività agricole ora ricordate non rientrano nella previsione del cit. art. 27 (e conseguentemente dei successivi artt. 29, 67 e 73) e ritenendo invece nell'altro che la formula legislativa si riferisce a tutte le attività produttive e quindi non consente di escludere quelle agricole.

 

In tale situazione spetta a questa Corte procedere direttamente all'interpretazione della norma.

 

Già si é visto, rispetto alle attività agricole connesse, come l'argomento tratto dall'elemento letterale non abbia una effettiva consistenza, e ciò vale intuitivamente anche per l'ipotesi qui considerata.

 

É invece importante osservare, sotto il profilo logico, come nel sistema accolto dal vigente codice civile, ricorrendo la previsione dell'art. 2135, l'agricoltura é considerata come attività d'impresa, e non già di mero godimento, sul presupposto della sua preponderante funzione produttiva diretta a soddisfare le necessità del mercato e, come tale, creativa di ricchezza.

 

Sotto altro profilo, va rilevato che l'agricoltura non può essere considerata come a sé stante e senza alcun rapporto con gli altri settori della economia, sussistendo invece strette connessioni e reciproche integrazioni, le quali si sviluppano in misura sempre crescente, specie per quanto riguarda il settore agroalimentare: e questo esige, tra l'altro, l'impiego di tecnologie nuove, per cui sono necessari macchinari di notevoli dimensioni, da custodire necessariamente in appositi locali.

 

Dalle superiori osservazioni consegue che il legislatore non poteva prescindere dalla comunanza della natura imprenditoriale e dello stretto nesso ora ricordato ed escludere perciò l'imprenditore agricolo dalla più ampia protezione che le norme denunciate attribuiscono agli altri imprenditori in tema di locazioni di immobili, al fine di maggiormente tutelarne l'attività economica. Il che tanto più é da ritenere se si considera che il citato art. 27, come sopra é stato ricordato, comprende anche " qualsiasi attività di lavoro autonomo", sicché non poteva essere escluso il lavoro svolto nell'agricoltura e, in particolare, quello del coltivatore diretto (sulla cui nozione vedasi anche l'art. 6 l. 3 maggio 1982 n. 203), che l'art. 2083 cod. civ. definisce piccolo imprenditore.

 

Indubbiamente, gli statuti dell'imprenditore agricolo e di quello commerciale sono diversi, ma tale eterogeneità non può avere riflessi in subiecta materia, rispetto alla quale l'esigenza di una maggiore tutela (relativa all'immobile utilizzato per l'esercizio dell'impresa) ricorre in maniera sostanzialmente analoga anche per colui che svolga l'attività prevista dal cit. art. 2135, primo comma, del codice civile.

 

7. - Conclusivamente deve dirsi che, per entrambe le categorie di attività agricole ora indicate, non ricorre il presupposto ritenuto dalle ordinanze di rimessione, sicché le sollevate questioni risultano prive di fondamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 27, primo e secondo comma, della legge 27 luglio 1978 n. 392 - nonché dei successivi artt. 29, 67 e 73 in quanto ad esso si riferiscono - sollevate dai Pretori di Serracapriola, Montefiascone, Bergamo ed Ispica e dal Conciliatore di Pulsano con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 35 e 41 Cost.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 1984.

 

 Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1984.