Sentenza n. 300 del 1983

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SENTENZA N. 300

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI  

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 29, 34, 69 e 73 (come modificato dall'art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promossi con le ordinanze emesse il 19 ottobre 1979 dal Giudice conciliatore di Caltanissetta, l'8 settembre 1980 dal Giudice conciliatore di Andria, il 16 dicembre 1980 dal Pretore di Piazza Armerina, il 19 dicembre 1980 dal Pretore di Pescara, il 18 dicembre 1980 dal Tribunale di Parma, il 12 febbraio 1981 dal Pretore di Rovigo, il 29 gennaio 1981 dal Pretore di Paternò, il 19 gennaio 1981 dal Pretore di Enna, il 21 febbraio 1981 dal Pretore di Latina, il 27 febbraio 1981 dal Pretore di Pescara, il 21 febbraio 1981 dal Pretore di Paternò, il 25 giugno 1981 dal Tribunale di Gorizia, l'11 giugno 1981 dal Pretore di Vasto, il 7 aprile 1981 dal Pretore di Roma, il 22 maggio 1981 dal Tribunale di Reggio Calabria, il 31 luglio 1981 dal Pretore di Vigevano, il 28 marzo 1981 dal Pretore di Poggibonsi e il 12 ottobre 1981 dal Pretore di Paternò, ordinanze rispettivamente iscritte al n. 881 del registro ordinanze 1979, al n. 757 del registro ordinanze 1980 ed ai nn. 75, 93, 105, 195, 216, 240, 266, 288, 294, 592, 623, 645, 664, 694, 739 e 773 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 43 e 352 del 1980, nn. 105, 117, 123, 200, 255 e 262 del 1981 e nn. 12, 19, 26, 47 e 68 del 1982.

Visti gli atti di costituzione di Lunardo Salvatore, Di Dio Perna Carmela e Mingrino Giovanni e di Tripepi Eufemia e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'1 dicembre 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

uditi gli avvocati Pompeo Magno e Giuseppe Tanteri per Lunardo Salvatore, Di Dio Perna Carmela e Mingrino Giovanni, l'avv. Vincenzo Panuccio per Tripepi Eufemia e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso del 19 gennaio 1979 Sollami Agostino e Mirabella Angela, proprietari di un immobile per uso negozio condotto in locazione da Piamonte Calogero, ne domandavano il rilascio al Giudice conciliatore di Caltanissetta dovendo il predetto immobile essere utilizzato per l'esercizio dell'attività "imprenditoriale artigiana" del Sollami.

Il Piamonte, costituitosi in giudizio, chiedeva, in via principale, il rigetto del ricorso; in subordine proponeva domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la restituzione di canoni di locazione versati, a suo dire, in eccedenza, nonché la corresponsione della indennità di avviamento nella misura pari a 18 mensilità, ai sensi dell'art. 69 della legge n. 392 del 1978.

L'adito conciliatore, premesso che provata e fondata doveva ritenersi la domanda dei ricorrenti, con ordinanza del 19 ottobre 1979 (r.o. 881/1979), ordinato il rilascio dell'immobile, ha contestualmente sollevato, in riferimento agli artt. 3,41,42 e 47 Cost., questione di legittimità dell'art. 69, settimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, richiamato dall'art. 73 della stessa legge, così come modificato dall'art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93, nella parte in cui, dal loro combinato disposto, viene stabilito, in via transitoria, per i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse turistico, in corso al momento di entrata in vigore della legge n. 392 del 1978, che, qualora il locatore si avvalga di uno dei motivi di recesso riconosciuti operanti per questo genere di contratti, al conduttore é dovuta l'indennità di avviamento commerciale nella misura di diciotto mensilità sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche.

Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato perché, da un lato, si determinerebbe una vera e propria discriminazione tra inquilini, riconoscendo il diritto alla indennità di avviamento a industriali, commercianti ed artigiani, "quasi sempre facoltosi", per negarlo, invece, a tutte le altre numerose categorie di cittadini (che esercitano attività non comprese tra quelle per le quali la legge fa obbligo di corrispondere l'indennità in parola) anche se nei locali loro concessi in locazione esplicano attività che impongono continui e sistematici contatti con il pubblico e, dall'altro, perché analoga discriminazione verrebbe a prodursi in danno dei locatori, esonerando da ogni obbligo quelli che "hanno avuto la fortuna o la scaltrezza di affittare i loro immobili a professionisti o ad onesti lavoratori che, per la natura stessa della loro attività, non hanno necessità di contatti diretti col pubblico" e punendo, invece, quelli "sfortunati o poco accorti che hanno avuto la disavventura di avere come inquilini grossi e facoltosi industriali, commercianti, artigiani o gestori di aziende di interesse turistico, ai quali, come premio per essersi arricchiti a danno anche del locatore, cui hanno corrisposto pigioni di fame, dovrà essere corrisposta un'ingiustificata ed ingiustificabile indennità".

Ulteriore violazione dell'art. 3 si rinvenirebbe, poi, nel fatto che la disciplina denunciata porterebbe alla conclusione assurda "di riconoscere a quell'inquilino che, avvalendosi rigidamente delle numerose leggi vincolistiche, da 40 anni paga pigioni di fame, il diritto di avere rimborsato quanto ha pagato durante l'arco di durata della locazione o forse di più (come nella fattispecie), mentre tale beneficio verrebbe negato a quegli inquilini più corretti, più comprensivi che non hanno speculato sulle leggi vincolistiche, il cui contratto é di data più recente e quindi pagano pigioni a prezzi correnti o quasi, ai quali spetterebbero 18 mensilità sulla base di quanto pagato o quasi". Di converso, prosegue il Conciliatore, la disciplina impugnata, "mentre ulteriormente punisce quei locatori che, in ossequio alla legge, hanno sopportato, senza cercar cavilli per liberarsene, uno scomodo antieconomico inquilino, assoggettandoli all'onere del pagamento di un'indennità che può costituire il rimborso di quanto percepito in un lunghissimo arco di tempo, premia quei furbi o quei fortunati che sono riusciti ad ottenere pigioni che, seppure inferiori ai prezzi correnti di mercato, sono adeguate e stabilite sulla previsione della indennità da versare a fine locazione".

La normativa in questione sarebbe, poi, in contrasto con l'art. 41 Cost., perché resterebbe annullata qualsiasi iniziativa sia di chi possiede un locale, il quale "preferirà svenderlo, piuttosto che correre l'alea di dover ricorrere a mutui e quindi a nuovi sacrifici per poter rimborsare agli inquilini, in unica soluzione, quanto ha percepito a rate", sia di chi non lo possiede, "costretto a rinunziare alle sue aspirazioni perché difficilmente troverà locali in affitto, o, se riesce a trovarli, dovrà sobbarcarsi a pagare pigioni tali da assorbire l'indennità di avviamento che loro spetterà alla fine della locazione". Di conseguenza, "bloccata e resa così impossibile o antieconomica qualsiasi attività, qualsiasi iniziativa e qualsiasi risparmio, é inevitabile" - conclude sul punto il giudice a quo - "che aumenti sempre più la disoccupazione, la schiera dei postulanti impieghi statali, spesso non congeniali, di pensioni e di sussidi vari".

La disciplina denunciata vulnererebbe anche l'art. 42 Cost., determinando una vera e propria espropriazione forzata della proprietà senza compenso alcuno e non per pubblico interesse, ma spesso "a beneficio di facoltosi industriali, commercianti e artigiani e a danno dell'occupazione, dell'economia, della libertà di contrattazione e della libera iniziativa individuale".

Vi sarebbe, infine, violazione dell'art. 47 Cost., giacché "con tutti gli oneri, gli obblighi e i vincoli che le numerosissime leggi hanno imposto e vieppiù sempre impongono a chi ha la disgrazia di possedere un immobile, con il timore di potersi trovare nelle condizioni di dovere restituire in unica soluzione quanto ha percepito a rate mensili, solo un pazzo può pensare a risparmiare, a sobbarcarsi a non indifferenti sacrifici per acquistare un immobile dal quale non ricaverà che guai".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 13 febbraio 1980.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Rilevato preliminarmente che nell'ordinanza di rimessione mancherebbe ogni accenno alla rilevanza, l'Avvocatura, esaminando il merito, deduce, in primo luogo, che nessuna violazione del principio di eguaglianza sarebbe configurabile nella disciplina impugnata.

Secondo l'atto di intervento il giudice a quo non avrebbe considerato il fatto che il legislatore, attribuendo, in determinati casi, un diritto all'"indennità per la perdita dell'avviamento", ha tenuto presente, sulla scorta della dottrina e della giurisprudenza, che, secondo l'id quod plerumque accidit, ad un immobile nel quale viene esercitata un'attività commerciale accede pur sempre un "avviamento, inteso in senso oggettivo", del quale si avvantaggia comunque il locatore, una volta riottenuta la disponibilità dell'immobile , in ragione della maggiore valutazione che questo riceve sul mercato. Di ciò si troverebbe conferma esaminando le cause di esclusione del diritto in questione, le quali, proprio perché riferite alla volontà del conduttore o a situazioni allo stesso facenti capo (o imputabili), tipizzano ipotesi in cui deve escludersi l'esistenza di un qualsiasi avviamento: sarebbe di tutta evidenza - secondo l'Avvocatura - che ben difficilmente il conduttore vorrà privarsi del godimento di un immobile quando allo stesso acceda un avviamento di un certo rilievo; al contrario, la cessazione del rapporto di locazione in dipendenza di una delle procedure previste dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267, indicherebbe chiaramente situazioni di difficoltà dell'azienda esercitata dal conduttore e segnalerebbe, quindi, anch'essa, casi di (presumibile) inesistenza di un avviamento. Pertanto, anche se, in entrambe le ipotesi considerate , non potrebbe escludersi che esista in concreto una situazione di inesistenza o d'esistenza dell'avviamento, la marginalità di tali situazioni e le sicuramente enormi difficoltà che incontrerebbe il locatore nel fornirne la relativa prova, "non consentono dubbi sulla costituzionalità della norma, la quale, introducendo una sostanziale automaticità del compenso, così come non permette di ottenerne la liquidazione in misura maggiore, parimenti impedisce di escludere in concreto il diritto a riconoscerlo, fornendo la prova dell'inesistenza dell'avviamento".

Tale realtà apparirebbe confermata dai lavori preparatori della legge impugnata dai quali emergerebbe che la previsione della indennità d'avviamento é ancorata al presupposto che gli immobili considerati comportano un valore di avviamento, di guisa che non solo é escluso che il legislatore abbia voluto innovare sostanzialmente l'istituto, ma ne ha ribadito anche la natura indennitaria (della perdita dell'avviamento che accede come "valore" dell'immobile).

Sembra perciò sufficientemente chiaro - conclude sul punto l'Avvocatura - come la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. non abbia alcuna consistenza giuridica "perché le pretese discriminazioni, sia tra inquilini sia tra conduttori" (recte: locatori), "trovano una precisa giustificazione nella realtà stessa delle cose, non potendosi razionalmente attribuire un diritto all'indennità di avviamento a qualunque inquilino" (e cioè anche a chi non ha alcun avviamento), "né potendosi accollare simile indennità a tutti i conduttori" (recte: locatori) (e cioé anche a coloro che non hanno ricevuto un vantaggio dalla destinazione dell'immobile locato ad un particolare tipo di attività).

Passando all'esame delle ulteriori censure prospettate dal giudice a quo, l'Avvocatura rileva che la diversa misura della indennità di avviamento, quale fissata dall'art. 34 rispetto all'art. 69, non appare ingiustificata, trovando tale diversità puntuale giustificazione sia nel rilievo che la prima disposizione é dettata per il regime normale e viene a riferirsi ad un canone di locazione già fissato in regime di libertà, mentre la seconda segue il passaggio dal regime di controllo nella fissazione del canone al regime della sua libera determinazione (con la conseguenza che, in definitiva, la distinzione é puramente letterale e non sostanziale in quanto anche la richiesta del locatore e le offerte dei terzi rappresentano una prima fissazione di ammontare del canone), sia considerando che, cessata la locazione e questa non rinnovata (e ciò é pacifico in caso di recesso del locatore), sarebbe stato assurdo riferirsi ad un nuovo canone quale richiesto (anche esosamente) dal proprietario, in presenza di un canone di mercato che é quello determinato in base ai criteri fissati dalla legge sull'equo canone e, quindi, di assoluta obiettività.

Nessuna vulnerazione degli ulteriori parametri invocati dal giudice a quo sarebbe poi ipotizzabile: non dell'art. 41, in quanto le norme dirette a determinare autoritativamente un elemento del contratto sarebbero compatibili con l'iniziativa economica privata; non dell'art. 42, in quanto apparirebbe all'evidenza che il legislatore non ha affatto inciso - né direttamente, né indirettamente - sulla proprietà privata (non ha, cioè, svuotato di contenuto il diritto di proprietà, eliminandone il modo di essere o i modi di godimento, e, tanto meno, come vuole il giudice a quo, a beneficio di spesso facoltosi industriali, commercianti ed artigiani); non, infine, dell'art. 47, in quanto la disciplina denunciata non costituirebbe affatto violazione, da parte del legislatore ordinario, dell'impegno demandatogli dal costituente di incoraggiare e tutelare il risparmio e di favorirne l'accesso: al contrario, se poi si volesse, non a ragione, istituire un confronto tra le varie forme di risparmio, allora si noterebbe l'erroneità manifesta dell'impostazione data al problema dal giudice a quo, considerato che, mentre il risparmio mobiliare, ancorché remunerato con tassi incentivanti, viene distrutto dal processo inflattivo, quello immobiliare ne é, invece, immune.

2. - Sgaramella Isabella, proprietaria di un locale condotto in locazione ad uso deposito da Capogna Luigi, proponeva ricorso al Giudice conciliatore di Andria per ottenere il rilascio dell'immobile, essendo sopravvenuta la necessità di adibirlo a deposito di beni componenti la sua azienda.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestava la domanda attrice, chiedendo, in subordine, il riconoscimento del proprio diritto all'indennizzo per la perdita dell'avviamento commerciale.

Con ordinanza dell'8 settembre 1980 (r.o. 757/1980), il Giudice conciliatore di Andria, prima di provvedere sulla domanda di rilascio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978, in riferimento all'art. 42 Cost..

Rileva il giudice a quo che l'indennità di avviamento nelle misure stabilite dalle disposizioni denunciate, a prescindere da qualsiasi prova circa la perdita effettiva di avviamento subita dal conduttore e, corrispondentemente, da qualsiasi prova dell'utilità che, dall'attività del conduttore esercitata nell'immobile, possa derivare al locatore - il quale, al limite, potrebbe essere anche stato costretto a recedere dal contratto per la sopravvenuta necessità di adibire l'immobile ad uso abitativo proprio - appare vulnerare il precetto costituzionale che mira ad assicurare ad ogni cittadino l'accesso alla proprietà, scoraggiando gli acquisti di locali e la negoziazione degli stessi ed, al contempo, risulta irragionevolmente punitiva del diritto di proprietà considerando che il sacrificio di tale diritto non é motivato da giustificazioni di carattere sociale, prescindendo, comunque, la norma dalla capacità di reddito del conduttore e dall'attività esercitata dallo stesso, "oltre che dalla prova di un danno che questo subisca".

Inoltre, per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 392 del 1978 e che provengono da un precedente regime di "blocco" delle locazioni e dei canoni locativi, essendo l'indennizzo per la perdita di avviamento ragguagliato non al canone che il conduttore corrisponde, bensì al valore locativo attuale dell'immobile, potrebbe verificarsi "l'ipotesi assurda che il locatore sia tenuto a corrispondere al conduttore, sotto forma di indennizzo per la perdita di avviamento, più di quanto abbia ottenuto per canoni locativi durante l'intero corso della locazione".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 352 del 24 dicembre 1980.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

Perplessità circa la rilevanza della questione proposta manifesta l'Avvocatura, dato che nel giudizio a quo si era in presenza di una domanda di rilascio in ordine alla quale il Pretore non aveva ancora provveduto; se ne deduce allora che in tanto una statuizione sulla indennità di avviamento potrà essere emessa, ad accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, "in quanto avrà avuto ingresso una domanda attrice".

Quanto al merito, l'Avvocatura, dopo aver parzialmente riprodotto le deduzioni sub 1, richiama la sentenza n. 36 del 1980 di questa Corte, pronunciata nel giudizio sulla legittimità costituzionale dell'art. 34 legge n. 392 del 1978, la quale ha ritenuto doversi escludere che, con riguardo alla situazione dedotta in giudizio, si possa parlare di espropriazione, trattandosi della mera imposizione del pagamento di una somma di denaro a favore di terzi, tendente, oltretutto, a garantire il corrispettivo della utilità che l'onerato trarrebbe dall'immobile valorizzato dall'avviamento impresso dal destinatario del pagamento e difettando quella connotazione di natura reale che caratterizza l'espropriazione considerata nell'art. 42 Cost..

3. - Con atto stipulato il 15 novembre 1975 Costanza Vincenzo locava a Dimino Carmelo un immobile urbano sito in Piazza Armerina, da adibire a farmacia; la durata della locazione veniva fissata in anni cinque, convenendosi tra le parti la rinuncia per il conduttore ad avvalersi delle norme che tutelano l'avviamento commerciale.

Il 30 aprile 1980 il Costanza proponeva azione di rilascio dell'immobile avendo la necessità di servirsene per l'esercizio della propria attività professionale. Il Dimino contestava la domanda perché infondata e, in subordine, per l'eventualità di accoglimento, proponeva domanda riconvenzionale di condanna del locatore al pagamento dell'indennità per la perdita di avviamento.

Con ordinanza in data 16 dicembre 1980 (r.o. 75/1981), il Pretore di Piazza Armerina, prima di decidere sulla domanda principale, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 73 della legge n. 392 del 1978 (nel testo modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93), in relazione all'art. 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978, nella parte in cui riconosce il diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento anche quando nessun vantaggio derivi al locatore.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 15 aprile 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo, nel riportarsi sostanzialmente alle deduzioni sub 2, che la questione venga dichiarata non fondata.

4. - Con ricorso depositato il 5 gennaio 1980, De Carlo Carlo chiedeva che venisse disposto il rilascio di un immobile di sua proprietà, sito in Pescara, concesso in locazione alla Unione Subalpina Assicurazioni s.p.a., da questa destinato a sede della propria agenzia di Pescara, avendo necessità di adibirlo a studio professionale per un suo figlio ingegnere.

La società convenuta chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda ed, in via subordinata, proponeva domanda riconvenzionale tendente ad ottenere il pagamento dell'indennità per l'avviamento commerciale da determinarsi ai sensi dell'art. 69 della legge n. 392 del 1978. Nel corso del giudizio veniva pronunciato provvedimento di rilascio ai sensi dell'art. 30 della stessa legge.

Con ordinanza in data 19 dicembre 1980 (r.o. 93/1981), il Pretore di Pescara ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, settimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, in riferimento all'art. 42, secondo comma, Cost..

Premette il Pretore che l'art. 69, settimo comma, deve interpretarsi nel senso che l'indennità di avviamento, determinata da tale disposizione, va tassativamente quantificata assumendosi come base il canone corrente di mercato e moltiplicando poi detto canone per il numero delle mensilità, senza che il giudice abbia la possibilità di temperare tale criterio tenendo conto di altri fattori e, in particolare, della durata del rapporto locativo e dell'entità del canone corrisposto durante il rapporto stesso.

Ne discenderebbe, allora, il contrasto della normativa denunciata con l'art. 42, secondo comma, Cost., perché, mentre per le locazioni sorte successivamente alla legge n. 392 del 1978, il locatore, potendo conoscere preventivamente l'incidenza dell'indennità dovuta ex art. 34, può parimenti valutare la convenienza di concedere in locazione un immobile per un determinato canone che può liberamente pattuire, e, in ogni caso - dato il criterio di determinazione dell'indennità - alla cessazione della locazione l'ammontare dell'indennità da corrispondere al conduttore non falcidia mai il reddito locativo conseguito dall'immobile in misura tale da coprirne, oltre i limiti della ragionevolezza, il diritto di proprietà di cui quel reddito é espressione, per contro, per le locazioni antecedenti alla legge del 1978, il meccanismo di determinazione dell'indennità ex art. 69, settimo comma, conduce ad una irragionevole compressione del diritto di proprietà del locatore.

É, infatti, dato di comune esperienza, prosegue il giudice a quo, che, per le vecchie locazioni, specie per quelle stipulate prima che il processo inflazionistico assumesse le patologiche dimensioni che ancora perdurano, i canoni, in dipendenza del regime vincolistico cui essi sono stati sottoposti dalla precedente normativa, sono tuttora rimasti a livelli molto bassi anche perché le percentuali di aumento previste dall'art. 68 (peraltro inferiori, anche la più alta, all'indice di degrado monetario verificatosi in questi ultimi anni) non valgono ad avvicinare i canoni stessi a quelli, di gran lunga superiori, attualmente correnti sul mercato degli immobili non abitativi. Di conseguenza, in applicazione del criterio adottato dalla norma impugnata, il locatore deve sborsare una somma assai vicina, o, non di rado, addirittura superiore, all'ammontare dei canoni percepiti per la durata della locazione, vanificandosi in tal modo, per detto periodo, il suo diritto al corrispettivo, il suo diritto di godimento dell'immobile e, quindi , in definitiva, il suo diritto di proprietà.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 117 del 29 aprile 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Dopo aver sostanzialmente riprodotto le deduzioni sub 1 e 2, l'Avvocatura conclude osservando che é "da escludere qualunque rilievo, nell'ambito del problema di costituzionalità sollevato, del criterio cronologico cui si é riferito il giudice a quo, apparendo con forza all'evidenza che, anche in presenza di un contratto prorogato, si fa luogo al pagamento di una somma, e non ad uno svuotamento del diritto di proprietà".

Identico incidente il Pretore di Pescara ha sollevato con ordinanza 27 febbraio 1981 (r.o. 288/1981), emessa nel procedimento instaurato a seguito di ricorso di Amedeo e Angiolino Volpe diretto ad ottenere il rilascio di un immobile locato, fin dal 1968, per l'esercizio di attività alberghiera, dichiarando -prima di provvedere sulla domanda principale - rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 42, secondo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riportandosi ai precedenti atti di intervento, che la questione venga dichiarata non fondata.

5. - Il Tribunale di Parma, adito in sede di appello avverso la sentenza in data 6 maggio 1980 emessa dal Pretore di quella città, che aveva condannato Sbreveglieri Alfredo al pagamento della somma di L. 8.000.000 quale indennità di avviamento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 73 e 69 della legge n. 392 del 1978, con ordinanza 18 dicembre 1980 (r.o. 105/1981), ha sollevato questione di legittimità costituzionale del settimo comma di tale ultima disposizione, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost..

Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato per la disparità di trattamento fra le parti del contratto di locazione, potendosi verificare che il locatore non venga a conseguire alcuna utilità (o a conseguire addirittura un danno) per avere concesso un bene in locazione; tale disparità non sarebbe, peraltro, fondata su presupposti logici e razionali, mentre non soccorrerebbero, a giustificazione di essa, le esigenze della produzione o di solidarietà sociale.

Quanto alla dedotta violazione dell'art. 42 Cost., rileva il giudice a quo che la norma impugnata può condurre "ad una completa vanificazione della facoltà di godimento del bene da parte del proprietario, potendosi verificare che quest'ultimo, concedendo ad altri il bene, non ne ricavi più un vantaggio economico, posto che - in base al criterio di determinazione della indennità - egli può essere tenuto a versare, a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento, una somma pari o addirittura superiore a quella percepita con i canoni maturati".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 6 maggio 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.

Riprodotto il contenuto dei precedenti atti difensivi, l'Avvocatura, con specifico riferimento alla pretesa violazione del principio d'eguaglianza, deduce che é da escluderne la stessa astratta configurabilità in quanto il legislatore, disponendo in ordine ad una indennità' di avviamento in favore del conduttore avente diritto, non ha affatto trattato in modo diseguale identiche situazioni, ma, anzi, ha tenuto doverosamente e razionalmente conto dei diversi interessi delle parti contrattuali, diversamente proteggendoli in una globale valutazione di un equo contemperamento .

6. - Con ordinanza 12 febbraio 1981 (r.o. 195/1981), il Pretore di Rovigo, adito da Padovan Nives per la determinazione dell'importo dell'indennità di avviamento conseguente al rilascio di un immobile adibito a negozio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, settimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui tale norma prevede l'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, da determinarsi sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche.

Analoghe a quelle sub 2 sono le censure rivolte alla norma impugnata. Si rileva, inoltre, che se, in molti casi, il conduttore appare veramente il contraente più debole, non si può adottare questo criterio per ciascuna fattispecie, dato che si finirebbe con il trattare in modo eguale situazioni tra di loro obiettivamente diverse.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riportandosi alle precedenti deduzioni, che la questione venga dichiarata non fondata.

7. - Il Pretore di Paternò, prima di provvedere sulla domanda di recesso proposta da Asero Antonino, con ordinanza 29 gennaio 1981 (r.o. 216/1981), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., degli artt. 69 e 73 della legge n. 392 del 1978, nelle parti in cui determinano, per le ipotesi di recesso e di mancato rinnovo del contratto di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione, la misura dell'indennità dell'avviamento commerciale con riguardo non già all'ultimo canone corrisposto ma al canone corrente di mercato.

Premette il giudice a quo che la questione sollevata si differenzia da quelle proposte dal Conciliatore di Caltanissetta (ordinanza 19 ottobre 1979: r.o. 881/1979) e dal Conciliatore di Andria (ordinanza 8 settembre 1980: r.o. 757/1980) "in quanto muove dal riconoscimento - o, almeno, dalla mancata contestazione - della legittimità dell'indennità per avviamento, quale risulta, del resto, dalle sentenze n. 73 del 1966 (con riferimento alla legge 27 gennaio 1963, n. 19) e n. 36 del 1980 della Corte costituzionale".

Alla stregua di tali decisioni, che hanno individuato la ratio dell'indennità di avviamento nell'attribuzione al conduttore, indipendentemente da ogni possibile vantaggio del proprietario, di una somma ragguagliata al canone mensile, in conseguenza della cessazione della locazione, non sarebbe spiegabile perché si sia ritenuto di stabilire una posizione gravemente deteriore a danno di una categoria di locatori, identificati sulla base della loro precedente sottoposizione ad un periodo più o meno lungo di blocco (della locazione e del canone), prorogato ancora dalla legge n. 392 del 1978, con evidente e sicuro vantaggio per i conduttori.

I parametri costituzionali invocati (cumulativamente presi in esame) sarebbero vulnerati perché, se é vero che il passaggio dal vecchio al nuovo regime può giustificare il protrarsi della proroga e l'introduzione di alcuni temperamenti, tutto ciò non può valere a comprimere oltre ogni ragionevole limite diritti costituzionalmente garantiti, operando, tra l'altro, discriminazioni a favore di una categoria di inquilini che, oltre a non essere, in generale, più deboli, sono stati comunque già avvantaggiati nel corso del contratto. Il divario esistente tra il canone corrisposto e quello di mercato, costituente la misura concreta del beneficio conferito al conduttore col regime di proroga, viene utilizzato per attribuire (senza alcuna considerazione della situazione economica delle parti) un ulteriore ingiustificato vantaggio alla parte favorita (con distorsione delle stesse regole di concorrenza e con contestuale grave danno per il proprietario) che può giungere - proprio per l'irrazionalità della normativa e per l'inesistenza di qualsiasi previsione limitativa - anche oltre la restituzione di tutti i canoni corrisposti durante l'intero rapporto (al lordo degli oneri fiscali e di manutenzione), con evidente aggressione del risparmio e del patrimonio personale di una delle parti.

Il Pretore si dà anche carico di rilevare che analoga conclusione circa l'illegittimità costituzionale della disciplina denunciata dovrebbe trarsi anche nel caso in cui si aderisse a quella tesi sostenuta da una minoritaria giurisprudenza di merito - peraltro non condivisa dal giudice a quo - che, per evitare grosse sperequazioni, é giunta alla conclusione che il canone da utilizzare per il calcolo non é quello di mercato, ma dovrebbe essere determinato solo "sulla base" di quello di mercato, con evidente arbitrarietà di valutazione e con ulteriore disparità di trattamento rispetto alla ipotesi di mancata accettazione del canone richiesto, di cui all'art. 69, sesto comma.

L'indicata violazione del principio di eguaglianza si rifletterebbe, poi, oltre che sulla misura dell'indennità, sulle modalità della sua concreta determinazione, incidendo, ancora, per tale via, sull'esercizio concreto del diritto di recesso, subordinato, nella sua esecuzione, all'avvenuta corresponsione dell'indennità (art. 69, ottavo comma). Se infatti sarebbe del tutto agevole determinare l'indennità di avviamento con riguardo all'ultimo canone corrisposto (art. 34), il criterio fissato dagli artt. 69 e 73 non consentirebbe, invece, alcuna sicura predeterminazione della indennità, almeno con riferimento alle ipotesi di recesso o di mancato rinnovo ed imporrebbe, in sostanza, in difetto di un improbabile accordo, un difficile giudizio, fondato su criteri opinabili ed incerti. E, conclude il giudice a quo, poiché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 1980, ha già riconosciuto la illegittimità della normativa che, in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza, esclude il diritto di recesso nei confronti di alcuni conduttori, identificati sulla base del maggior reddito (e, per ciò stesso, meno meritevoli di tutela), sussistono ulteriori valide ragioni per dubitare della legittimità costituzionale della indicata normativa.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti difensivi, che la questione sia dicharata non fondata.

Analogo incidente lo stesso Pretore di Paternò ha sollevato con ordinanza 21 febbraio 1981 (r.o. 294/1981), emessa nel procedimento civile instaurato a seguito di ricorso promosso da Fallica Giuseppina.

Il giudice a quo richiama espressamente la propria ordinanza 29 gennaio 1981 (r.o. 216/1981), aggiungendo, ad ulteriore motivo di illegittimità costituzionale (identici, peraltro, i parametri invocati), "la mancata previsione", nell'art. 73 della legge n. 392 del 1978, "della circostanza della disponibilità di altro idoneo immobile da parte del conduttore, come motivo di recesso del locatore", disponibilità che l'art. 59 n. 6 prevede, invece, espressamente, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione.

Rileva il Pretore che la proroga legale dei contratti di locazione ha tradizionalmente trovato un limite nella inesistenza in concreto di quell'interesse al prolungamento del contratto, che é presunto in via generale, o nella concomitante esistenza di una effettiva necessità del proprietario di disporre dell'immobile per destinarlo ad uso proprio. La legge n. 392 del 1978, nell'introdurre un'ulteriore proroga dei contratti, ha tenuto conto, con riferimento agli immobili adibiti ad uso di abitazione, di entrambe queste possibilità, prevedendo, all'art. 59, varie ipotesi di recesso; con riguardo, invece, agli immobili adibiti ad uso diverso, il legislatore ha sostanzialmente limitato (artt. 73 e 29, norma, quest'ultima, anch'essa oggetto di censura) l'esercizio del diritto di recesso alla sola ipotesi della necessità del locatore di ottenere il rilascio, "escludendo quella della disponibilità, da parte del locatario, di altro immobile, idoneo alle proprie esigenze, nella stessa zona". Potrebbe così avvenire (ed é il caso verificatosi nel procedimento a quo) che il conduttore, pur disponendo di un'ampia bottega nuova, situata esattamente di fronte a quella da lui tenuta in locazione, preferisca pagare un canone irrisorio, contestando il diritto al rilascio e chiedendo, in ogni caso, un'indennità ragguagliata ad un canone "enormemente maggiore".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 23 settembre 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Riportatasi ai precedenti atti difensivi per quel che attiene alla dedotta illegittimità della misura dell'indennità di avviamento commerciale, l'Avvocatura rileva, quanto all'ulteriore questione sollevata dal Pretore, che la differente normativa in materia di recesso per necessità fra contratti di locazione di immobili destinati ad abitazione e contratti di locazione di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione trova valida giustificazione nella sostanziale diversità della situazione degli immobili medesimi e, quindi, in una giustamente diversa valutazione degli interessi posti a raffronto, dei quali più meritevoli di tutela sono stati giustamente considerati quelli del conduttore della casa d'abitazione.

Con ordinanza 12 ottobre 1981 (r.o. 773/1981), lo stesso Pretore di Paternò, adito da Castelli Giuseppe per la determinazione e liquidazione della indennità di avviamento in dipendenza del rilascio di un immobile condotto in locazione dall'istante, richiamate espressamente le motivazioni degli incidenti sollevati in data 29 gennaio 1981 e 21 febbraio 1981, ha ritenuto non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 69 e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui determinano, per le ipotesi di recesso o di mancato rinnovo del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, la misura della indennità per avviamento commerciale con riferimento non già all'ultimo canone corrisposto, come previsto dall'art. 34, ma al canone corrente di mercato.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 10 marzo 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti difensivi, che la questione sia dichiarata non fondata.

8. - Nel corso del giudizio promosso da Lunardo Salvatore, Di Dio Perna Carmela e Mingrino Giovanni al fine di ottenere la determinazione dell'indennità dovuta per la perdita dell'avviamento commerciale in dipendenza di altro giudizio iniziato (e non ancora definito) avanti al competente conciliatore per ottenere il rilascio di un immobile adibito ad uso diverso da abitazione, condotto in locazione da Savoca Domenico, il Pretore di Enna, con ordinanza 19 gennaio 1981 (r.o. 240/1981), ha sollevato, in riferimento all'art. 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, richiamato dall'art. 73, secondo comma (come modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui non sancisce alcun limite alla misura del compenso dovuto dal locatore, alla cessazione del rapporto, per la perdita dell'avviamento commerciale.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 16 settembre 1981.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto, sostanzialmente riproducendo il contenuto dei precedenti atti difensivi, che la questione venga dichiarata non fondata.

Si sono costituiti in giudizio Lunardo Salvatore, Di Dio Perna Carmela e Mingrino Giovanni, rappresentati dagli avvocati Pompeo Magno, Giangaleazzo Stendardi e Giuseppe Tanteri, domandando l'accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale.

In data 18 novembre 1982 i procuratori delle parti private hanno presentato una memoria difensiva.

9. - Mariotti Vittorio, proprietario di alcuni locali siti in Cisterna, condotti in locazione ad uso negozio da Ghelfo Luisa, esercitava il recesso ex artt. 73 e 29 legge n. 392 del 1978, deducendo la necessità di ottenere la disponibilità dell'immobile per destinarlo alla vendita di ricambi per auto. La resistente contestava la domanda ed, in subordine, chiedeva, in via riconvenzionale, il riconoscimento della indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, nella misura fissata dal settimo comma dell'art. 69.

A seguito di eccezione della convenuta, il Pretore di Latina, con ordinanza 21 febbraio 1981 (r.o. 266/ 1981), ha sollevato - prima di decidere sulla domanda principale - questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3, 42 e 47 Cost., degli artt. 69, settimo comma, e 73 (nel testo modificato dall'articolo unico della legge n. 93 del 1979), nella parte in cui tale ultima disposizione estende ai contratti di cui all'art. 67 l'applicabilità dell'art. 69, settimo comma, e nella parte in cui il settimo comma dell'art. 79 (recte: 69) prevede il richiamo al secondo comma dell'art. 34.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 23 settembre 1981.

Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo le precedenti deduzioni, che la questione venga dichiarata non fondata.

10. - Nel giudizio di appello avverso la sentenza in data 11 febbraio - 10 aprile 1980 del Pretore di Monfalcone che aveva, fra l'altro, affermato l'obbligo a carico di Cappelletto Elisa, conduttrice di un immobile adibito ad uso diverso da abitazione, del pagamento - all'atto del rilascio dell'immobile stesso - di diciotto mensilità del canone pattuito, quale indennizzo per perdita di avviamento, il Tribunale di Gorizia, con ordinanza 25 giugno 1981 (r.o. 592/1981), ha sollevato, su eccezione di parte, questione di legittimità costituzionale dell'art. 73, in relazione all'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, novellato dalla legge n. 93 del 1979, in relazione agli artt. 3 e 42, secondo comma, Cost., ritenuti vulnerati in quanto, mentre per le locazioni sorte successivamente alla legge n. 392 del 1978, il locatore, potendo conoscere preventivamente l'incidenza dell'indennità dovuta ex art. 34, sarebbe in grado di valutare la convenienza di concedere in locazione l'immobile per un determinato canone, che può liberamente pattuirsi, per quelle sorte anteriormente all'entrata in vigore di detta legge il meccanismo di determinazione dell'indennità ex art. 69, settimo comma, condurrebbe ad una irragionevole com'pressione del diritto di proprietà, non consentendo al locatore di calcolare la convenienza economica di recedere o meno dal rapporto locatizio, e ad un trattamento diverso in situazioni eguali.

Inoltre, l'indennità, così come prevista dalla disciplina impugnata, comporterebbe per il locatore l'obbligo di corrispondere una somma che può talvolta essere superiore all'ammontare dei canoni percepiti per la durata della locazione, così vanificandosi il diritto al corrispettivo e il diritto di godimento dell'immobile, e, quindi, il diritto di proprietà.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata, poi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 20 gennaio 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti di intervento, che la questione venga dichiarata non fondata.

11. - Con ricorso al Pretore di Vasto, Pellegrini Francesca, già conduttrice di un negozio adibito a vendita al minuto di lane e mercerie, conveniva in giudizio il proprietario dell'immobile , per vedere riconosciuto il diritto a ricevere in pagamento l'indennità per perdita di avviamento commerciale di cui all'art. 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978, in conseguenza dell'avvenuto rilascio dell'immobile.

A seguito di eccezione del convenuto, l'adito Pretore, con ordinanza 11 giugno 1981 (r.o. 623/1981), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione di legge, nella parte in cui dispone che l'indennità dovuta al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale é determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, in relazione agli artt. 3 e 42 Cost.

L'art. 42 Cost. sarebbe violato perché la norma censurata può condurre alla abnorme conseguenza di obbligare il proprietario del bene locato a corrispondere al conduttore una somma assai vicina - se non superiore - all'importo globale dei canoni percepiti fino al momento del rilascio, giungendo in tal modo ad una completa vanificazione della facoltà di godimento del bene.

Vi sarebbe anche vulnerazione del principio di eguaglianza "perché la diversa tutela accordata dal legislatore alle posizioni di conduttore e di locatore non trova alcuna giustificazione né di ordine giuridico, né di ordine metagiuridico, quale, ad esempio, una ipotizzabile particolare debolezza di una delle parti".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 20 gennaio 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto, riportandosi ai suoi precedenti atti di intervento, che la questione venga dichiarata non fondata.

12. - Tosatti Giuseppina, conduttrice di un locale adibito a farmacia del quale il Conciliatore di Roma, con sentenza 20 aprile 1980, aveva ordinato il rilascio, conveniva in giudizio avanti al Pretore il proprietario dell'immobile De Gregorio Michele per ottenere la corresponsione dell'indennità di avviamento, ai sensi degli artt. 73 e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978.

Il giudice a quo, con ordinanza 7 aprile 1981 (r.o. 645/1981), ha denunciato, in relazione agli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 42, secondo comma, Cost., l'illegittimità degli artt. 73 e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui dispongono che, in caso di recesso del locatore, é dovuta l'indennità per avviamento commerciale nella misura di diciotto mensilità sulla base del canone corrente di mercato.

Ad avviso del giudice a quo, la diversa misura della indennità di avviamento da corrispondere al conduttore a seconda dell'operatività del regime transitorio (artt. 69, settimo comma, e 73) ovvero ordinario (art. 34), malgrado si tratti di realtà omogenee, sarebbe contrastante con l'art. 3 Cost., apparendo irrazionale una diversità di trattamento fondata sull'elemento, del tutto accidentale, della data di stipula del contratto.

"É invero" - rileva il Pretore - "in dipendenza di tale circostanza che il conduttore consegue, se la locazione é nuova, il rimborso di una quota (prevedibile, e, quindi, di fatto computata nella regolamentazione economica del contratto) dei canoni versati, pari, all'incirca (l'ultimo canone non sarà eguale a quelli precedenti per effetto degli aggiornamenti ISTAT), ad 1/4 o ad 1/8 del totale corrisposto, a seconda che la locazione venga a cessare dopo 6 o 12 anni. Per contro, nel caso di vecchia locazione, il conduttore può addirittura percepire, grazie al divario tra canone pagato in regime di blocco e canone di mercato ed alla mancata considerazione della durata del rapporto, somme eguali o superiori a quelle complessivamente versate".

Sarebbe, poi, violato anche l'art. 41, primo comma, Cost., giacché il locatore che intenda recedere dal contratto al fine di adibire l'immobile all'esercizio di un'attività economica, é tenuto, ai sensi degli artt. 73 e 69, settimo comma, della legge 392 del 1978, al pagamento di un'indennità il cui importo non era prevedibile al momento della conclusione del contratto e che può essere tale da assorbire la totalità dei canoni percepiti ("per effetto della macroscopica divaricazione tra canoni soggetti a blocco e canoni di libero mercato, che vengono in considerazione ai fini del conteggio dell'indennità"), con conseguente grave ed ingiustificata limitazione della libertà d'iniziativa privata, poiché il proprietario-locatore dovrebbe sopportare l'intollerabile sacrificio ("non certamente giustificabile con finalità di ordine sociale, vertendosi in tema di conflitto tra soggetti esercenti entrambi attività economiche, di cui l'uno viene a godere di una posizione di vero e proprio privilegio") di rinunciare a tutto (o a gran parte di) quanto aveva percepito quale corrispettivo della cessione del godimento del bene, per ritornarne in possesso al fine di installarvi la propria attività.

Sarebbe, infine, vulnerato anche l'art. 42, secondo comma, Cost., che tutela, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il contenuto minimo del diritto di proprietà; in base a tale norma costituzionale i limiti alla proprietà degli immobili urbani (fra cui rientra la previsione dell'indennità di avviamento, a tutela delle attività economiche socialmente utili) non possono giungere fino al punto d'annullarla, cosa che si sarebbe verificata nel caso di specie, dovendo il locatore corrispondere, a titolo di indennità di avviamento, circa la metà di quanto percepito in oltre venti anni di locazione.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata, poi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 13 gennaio 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti d'intervento, che la questione venga dichiarata non fondata.

13. - Con ricorso diretto al Pretore di Villa S. Giovanni la società S.A.I. chiedeva la condanna di Tripepi Eufemia, ved. Grillo, alla corresponsione dell'indennità per avviamento commerciale, da determinarsi ai sensi dell'art. 69 della legge n. 392 del 1978, in conseguenza della sentenza dello stesso Pretore, passata in giudicato, che aveva accolto la domanda della Tripepi volta ad ottenere il rilascio di un immobile di sua proprietà concesso in locazione alla società attrice e da questa destinato a sede della propria agenzia di Villa S. Giovanni.

La Tripepi, costituitasi in giudizio, deduceva che, mentre, da un lato, l'agenzia assicuratrice non aveva subito alcun danno a seguito del rilascio, essendosi trasferita in un immobile a poche centinaia di metri di distanza, dall'altro, la locatrice non aveva ottenuto alcun vantaggio, in quanto il rilascio dell'immobile era avvenuto per necessità abitativa della figlia e non già per lo svolgimento di attività commerciale; chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda. In subordine eccepiva l'illegittimità della normativa sull'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, sia perché questa é dovuta persino in ipotesi di rilascio dell'immobile per necessità abitativa del locatore, sia per il criterio di liquidazione di tale indennità, in forza del quale il locatore può essere condannato a pagare una somma superiore all'ammontare dei canoni percepiti.

Con sentenza del 10 novembre 1980 il Pretore di Villa S. Giovanni respingeva la domanda proposta dalla S.A.I.. Avverso tale decisione la società attrice proponeva appello avanti al Tribunale di Reggio Calabria che, con ordinanza del 22 maggio 1981 (r.o. 664/1981) - premesso che, alla stregua della normativa vigente, la richiesta indennità avrebbe dovuto essere corrisposta alla appellante - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di legittimità dell'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978.

Rileva anzitutto il giudice a quo che, mentre, secondo la disciplina precedente, era jus receptum della Corte di cassazione il principio secondo cui "il diritto al compenso restava subordinato alla prova specifica della esistenza e della conseguente perdita dell'avviamento e della concreta utilità derivante al locatore", nella nuova disciplina "é stato invece accolto il principio che l'indennità consegue automaticamente alla cessazione del rapporto in una misura prestabilita". Di qui la conseguenza che l'indennità di avviamento sarebbe dovuta nel caso sottoposto al suo esame, "pur non essendo provati, ed anzi potendosi escludere il pregiudizio del conduttore e l'utilità del locatore".

Se é vero, allora, prosegue il Tribunale, che, nel nuovo sistema, l'indennità di avviamento trova la sua ragion d'essere nell'arricchimento di cui si gioverebbe il locatore senza alcun contributo personale, é evidente che l'interesse del proprietario-locatore può subire una compressione solo nel caso in cui egli si avvantaggi del maggior valore dell'immobile creato dalla attività dell'imprenditore "e solo ove l'interesse del conduttore abbia una reale consistenza"; ma, allorquando il conduttore non subisca alcun depauperamento in conseguenza della cessazione del rapporto locatizio, riesce estremamente difficile giustificare il diritto all'indennità che il proprietario deve comunque corrispondere, "non essendo conducente il richiamo alla funzione sociale della proprietà e alla tutela dell'iniziativa economica".

Ad avviso del giudice a quo, una siffatta tutela indiscriminata non avrebbe senso e contrasterebbe anche con il principio d'eguaglianza, giacché verrebbe a rompere l'equilibrio degli interessi espresso dal contratto, determinando l'esclusivo vantaggio di un soggetto del rapporto contrattuale (l'imprenditore), vantaggio che "lungi dal rispondere ad esigenze vere, aggraverebbe il disagio, già così acuto, nell'attuale società, per il motivo del predominio legalizzato di una categoria sull'altra".

L'identico trattamento riservato dall'art. 69 al proprietario-locatore che intenda adibire l'immobile di cui é proprietario ad abitazione propria (e che, quindi, nessuna utilità trarrebbe dall'immobile valorizzato dall'avviamento) rispetto a colui che intenda adibirlo ad esercizio di attività commerciale, costituirebbe, poi, altro motivo di violazione dell'art. 3 Cost.

Infine, il sistema di determinazione dell'indennità ex art. 69, basato sul canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, potrebbe condurre ad un'irragionevole compressione del diritto di proprietà del locatore e ad una conseguente violazione dell'art. 42 Cost.: non sarebbe raro, infatti, il caso che il conduttore riceva, a titolo di indennità, più di quanto egli abbia corrisposto per canoni dovuti al locatore.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 13 gennaio 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo, riprodotte le deduzioni precedentemente svolte, che la questione sia dichiarata non fondata.

Si é costituita la parte privata Tripepi Eufemia, rappresentata dal prof. avv. Vincenzo Panuccio e dall'avv. Francesco Musolino, con atto di deduzioni depositato il 7 luglio 1981, domandando, in primo luogo, la pronuncia di una sentenza interpretativa di rigetto e, solo in subordine, una decisione di illegittimità costituzionale della norma denunciata dal Tribunale.

Quanto alla prima richiesta, rileva la difesa che le attuali disposizioni in materia di avviamento, esaminate nella loro continuità storico-positiva rispetto alla legge del 1963, hanno avuto l'unico scopo di eliminare dispute sulla entità del vantaggio del locatore, escludendo l'accertamento, caso per caso, di elementi di fatto di difficile acquisizione; ne é conseguita una rigidità del meccanismo di calcolo che ha comportato il mancato riferimento esplicito ai presupposti, giuridici e di fatto, dell'indennità di avviamento (la sussistenza e la correlativa perdita dell'avviamento) nei quali soltanto può concretarsi l'utilità del locatore.

La ratio dell'attuale disciplina, prosegue la difesa, é stata individuata dalla sentenza n. 36 del 1980 della Corte costituzionale la quale ha ribadito che l'indennizzo a carico del locatore tende a ristabilire l'equilibrio di ordine economico e sociale che verrebbe turbato dal suo arricchimento, nell'ipotesi in cui egli subentri al conduttore nella medesima attività o nel caso in cui, locando l'immobile, ottenga, comunque, canoni particolarmente elevati in funzione dell'avviamento dovuto all'attività svolta dal conduttore. Tutto ciò, prosegue la difesa, "si evince chiaramente dall'esclusione dell'indennizzo in quei casi in cui non é ravvisabile l'inerenza diretta all'immobile dell'avviamento creato dal conduttore, giacché trattasi di attività in cui prevale l'elemento soggettivo o organizzativo imprenditoriale, indipendentemente dalla sede, o comunque in ipotesi che escludono il verificarsi di quelle esigenze di riequilibrio economico e sociale che costituiscono la ratio della norma".

Conseguentemente, "vien meno la ratio della norma nei casi in cui (come il presente), non si verifica alcuno squilibrio di ordine economico-sociale, né alcun arricchimento da riequilibrare, ma addirittura si verrebbe proprio a creare tale squilibrio, mediante un arricchimento indebito a favore del conduttore che verrebbe ad essere privilegiato". Tale argomentazione, prosegue la difesa, trova conforto nello stesso art. 34 della legge n. 392 del 1978 che, nella sua intitolazione ("Indennità per la perdita dell'avviamento"), postula, anche letteralmente, "che un avviamento sussista, che venga perduto, che il conduttore" (recte: il locatore) "in qualche modo lo utilizzi, posto che anche letteralmente l'art. 31 include l'indennità ex art. 34 fra i risarcimenti del danno, il che significa che un danno deve esserci stato e deve essere in concreto dimostrato".

Il significato tecnico-giuridico di indennità presuppone, anche per la nuova legge, la sussistenza di un avviamento, la perdita e l'utilizzo di esso da parte del conduttore, insomma, un danno, conformemente alla "continuità dei presupposti operativi e delle finalità perseguite tra la vecchia e la nuova legge, ulteriormente ribadita dall'art. 35" (legge n. 392 del 1978) "che esclude da tale indennità situazioni caratterizzate, di regola, dalla mancanza di elementi che, evidentemente, negli altri casi, il legislatore ha inteso e voluto tutelare (insuperabile argomento a contrario), non essendo contemplata, nelle ipotesi di esclusione, l'inerenza diretta all'immobile dell'avviamento creato dal conduttore, perché si tratta di attività in cui ordinariamente prevale l'elemento soggettivo o organizzativo imprenditoriale indipendentemente dalla sede in cui l'attività viene esercitata, o comunque in ipotesi particolari che escludano quella esigenza di equilibrio economico-sociale che costituisce la ratio della norma".

Per quel che concerne la legittimità costituzionale della disciplina transitoria sulla indennità per la perdita dell'avviamento, la difesa, dopo aver sviluppato considerazioni adesive a quelle formulate nell'ordinanza di rimessione, ha indicato, quali ulteriori parametri di raffronto, gli artt. 41, primo comma, e 47 Cost..

In data 13 novembre 1982 la difesa della Tripepi ha depositato una memoria con la quale ribadisce gli argomenti a favore della illegittimità costituzionale della normativa impugnata. In particolare vi si rileva che l'Avvocatura dello Stato "non ha minimamente toccato la fattispecie che riguarda la concludente", che concerne la illegittimità dell'indennità di avviamento ex art. 69 nell'ipotesi di recesso locativo "per necessità abitativa del locatore", menzionando, invece, esclusivamente, giusta il richiamo alla sentenza n. 36 del 1980 di questa Corte, l'utilizzo da parte del locatore dell'immobile già locato, per uso diverso da abitazione.

  1. - Covati Gino, proprietario di alcuni locali adibitidai conduttori Francesco Grandied Ercolina Vitali ad esercizio per la vendita di prodotti alimentari, con ricorso al Pretore di Vigevano domandava, previa declaratoria della legittimità del recesso anticipato precedentemente intimato, la condanna dei conduttori al rilascio dei locali. Instauratosi il contraddittorio, i convenuti contestavano le avverse deduzioni, proponevano domanda riconvenzionale per il pagamento dell'indennità di avviamento commerciale ex artt. 73 e 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978 ed eccepivano l'illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 42 Cost., delle predette disposizioni.

Il giudice adito, con ordinanza 31 luglio 1981 (r.o. 694/1981) - prima di decidere sulla domanda di rilascio - ha sollevato l'eccepita questione di legittimità costituzionale, indicando, peraltro, come parametri di raffronto, i soli artt. 3 e 42 Cost.; denunciava altresì, in relazione all'art. 3 Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, ottavo comma, legge n. 392 del 1978.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 27 gennaio 1982.

Anche in tale giudizio ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, che, senza formulare alcuna deduzione sull'impugnativa dell'art. 69, ottavo comma, legge n. 392 del 1978, ha riprodotto il contenuto dei precedenti atti di intervento.

  1. - Nel corso della causa di opposizione a precetto di rilascio di un immobile adibito ad uso diparrucchieriaper signora, promossa da Nencioni Orsetta - dopo che le era stato notificato atto di precetto per il rilascio del locale in forza di sentenza del Giudice conciliatore di Poggibonsi, confermata dal Pretore in sede di appello - deducendo che il diritto dei proprietari locatori, Consortini Giovanni e Gloria e Fornai Natale e Antonio, di procedere all'esecuzione forzata per il rilascio, non poteva essere esercitato fino a che gli stessi non avessero provveduto a corrispondere l'indennità di avviamento, da determinarsi sulla base del canone corrente di mercato (i locatori avevano inviato un assegno di sole L. 538.200, pari a diciotto mensilità del canone effettivamente corrisposto, assegno che l'opponente aveva respinto), il Pretore di Poggibonsi, su eccezione della Nencioni, ha sollevato, con ordinanza del 28 marzo 1981 (r.o. 739/1981), in relazione all'art. 3 Cost. (il parametro costituzionale non é, peraltro, riprodotto nel dispositivo del provvedimento di rimessione), questione di legittimità costituzionale dell'art. 73 legge n. 392 del 1978, modificato dall'art. 1 bis legge n. 93 del 1979, in relazione all'art. 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978, "nella parte in cui commisura l'indennità di avviamento commerciale al canone corrente di mercato anche per l'ipotesi che si tratti di immobile la cui locazione é soggetta a proroga legale ed il recesso del locatore é fondato sulla necessità di adibirlo ad attività propria o dei congiunti, ed anche nel caso in cui l'importo predetto venga a superare l'ammontare complessivo dei canoni di fatto percepiti dal locatore".

Premette il giudice a quo che la parificazione delle modalità di calcolo dell'indennità tra contratti (come nella specie) soggetti a proroga e contratti non soggetti a proroga, ha una sua puntuale giustificazione nel fatto che il canone coincida con quello corrente di mercato e sia approssimato, per eccesso o per difetto, a tale canone; e ciò perché "in qualche modo si é voluto ancorare il valore dell'indennità all'utile generico derivato ad entrambe le parti dal rapporto locatizio, laddove non era più possibile avere riguardo al criterio variabile, vigente sotto l'impero della legge n. 19 del 1963, che teneva conto anche della specifica utilità che veniva di fatto a conseguire il locatore dall'avviamento commerciale instaurato, e perduto dal conduttore".

Senonché, prosegue il Pretore, "l'utilità specifica del locatore torna, in via eccezionale, ad essere considerata anche nella nuova normativa, laddove prevede che l'indennità va commisurata a 36, anziché 18, mensilità dell'ultimo canone corrisposto (art. 34, secondo comma), quando l'immobile venga adibito all'esercizio della stessa attività o di attività affine a quella esercitata dal conduttore": di qui la conseguenza che, sia pure solo a tal fine, la legge prende ancora in considerazione la posizione del locatore.

Se ciò é vero, "non é seriamente dubitabile che l'ipotesi per cui é causa, configurandosi come sostanzialmente diversa da quella ordinaria, nonché, normalmente, da quella disciplinata in via transitoria ma con riferimento agli immobili locati in regime di contrattazione libera, meriti un trattamento differenziato, che tenga in debito conto l'ammontare dei canoni, a volte irrisorio, realmente corrisposto al locatore, di tal che l'esercizio del suo diritto di recedere ante diem dal contratto per provata necessità di adibire l'immobile ad abitazione o attività commerciale, propria, del coniuge o dei parenti, non si traduca in una ingiusta sanzione economica nei di lui confronti".

Ed allora, conclude il giudice a quo, l'attuale sistema, che ha adottato, per la determinazione dell'indennità di avviamento, un assoluto automatismo, é necessario che operi, "in situazioni sostanzialmente omogenee con eguali indici e, in situazioni sostanzialmente eterogenee, con indici differenziati", giacché l'esigenza di tutelare il conduttore dell'immobile non può considerarsi così preminente "da trascurare del tutto il valore del rapporto locatizio, il regime vincolato o meno della determinazione del canone e qualsiasi giusto interesse del locatore, che potrebbe vedersi tenuto a corrispondere, a titolo di indennità, una somma di gran lunga superiore a quella da lui percetta a titolo di prezzo complessivo per l'uso dell'immobile, senza garanzia, per altro, che a quella indennità corrisponda in suo favore un qualche vantaggio".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 17 febbraio 1982.

É intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo, senza addurre ulteriori argomenti, che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

  1. - Le diciotto ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale in parte coincidenti, in parte strettamente connesse: i relativi giudizivengono, pertanto, riuniti e decisi con un'unica sentenza.
  2. - Tutte le ordinanze risultano emanate nel corso di procedimenti che, pur variamente articolati quanto a natura, stato o grado, si presentano caratterizzati da due connotati comuni. E,cioé, anzitutto, dal fare comunque riferimento, in partenza, al rilascio, già ottenuto o anche soltanto richiesto, di un immobile locato per uso non abitativo, sulla base di un contratto "in corso soggetto a proroga" ai sensi dell'art. 67 della legge 27 luglio 1978, n.392, in ordine al quale il rispettivo locatore si é avvalso di uno dei motivi di recesso riconosciuti operanti per questa categoria di contratti dall'art. 73 della legge n. 392 del 1978 (articolo oggi vigente nel testo novellato dall'art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93). In secondo luogo, dall'avere come oggetto di domanda, principale o riconvenzionale a seconda dei casi, la determinazione dell'indennità di avviamento commerciale nei termini configurati dall'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, espressamente richiamato alla fine del terzo ed ultimo periodo dell'art. 73, quale risulta a seguito dell'accennata novellazione.

Va, peraltro, sottolineato subito che nessuna ordinanza mette in discussione la legittimità della suddetta normativa nella parte in cui essa specifica i motivi di recesso fatti valere dai locatori, mentre tutte sollevano dubbi nei confronti della parte della normativa che prevede l'indennità per la perdita dell'avviamento (artt. 73, ultimo periodo, e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978). In aggiunta a questo tipo di dubbi, due ordinanze di rimessione ne prospettano altri, aventi portata più particolare: così, la seconda delle tre ordinanze emanate dal Pretore di Paternò (r.o. 294/1981) si duole anche del fatto che l'art. 73 della legge n. 392 del 1978 non preveda, quale motivo di recesso per il locatore di un immobile adibito ad uso diverso da abitazione, la disponibilità di un diverso immobile da parte del conduttore; a sua volta, l'ordinanza del Pretore di Vigevano (r.o. 694/1981) si domanda se sia legittimo che l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile venga subordinata dall'art. 69, ottavo comma, della legge n. 392 del 1978 all'avvenuta corresponsione dell'indennità di avviamento.

  1. - Le suddette precisazioni, per quanto sintetiche, consentono di prendere posizione sulle riserve in punto di rilevanza manifestate, sia pur incidentalmente, dall'Avvocatura dello Stato in due distinte occasioni: la prima volta, con l'atto di intervento nel giudizio di legittimità (r.o.881/1979) promosso dal Giudice conciliatore diCaltanissetta (in quell'ordinanza, ad avviso dell'Avvocatura, non vi sarebbe "traccia di un qualunque accenno al problema della rilevanza delle questioni sollevate"); la seconda volta, con l'atto d'intervento nel giudizio di legittimità (r.o. 757/1980) promosso dal Giudice conciliatore di Andria (per l'Avvocatura, sussisterebbero le "più serie perplessità" sulla rilevanza della questione dedotta "in presenza di una domanda di rilascio in ordine alla quale il giudice a quo non ha provveduto, sembrando ovvio il rilievo che in tanto una statuizione sull'indennità in questione potrà essere emessa, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, in quanto avrà avuto ingresso la domanda attrice").

Mentre non é condivisibile l'addebito mosso all'ordinanza del Giudice conciliatore di Caltanissetta, giacché dalle sue premesse in fatto (rilascio richiesto invocando la necessità di adibire l'immobile ad una specifica attività commerciale del locatore; data di insorgenza dell'invocata necessità; accertata manifestazione della volontà di recedere ed intervenuto preavviso ai sensi della legge; esigenza di pronunciare sull'indennità di avviamento) si ricavano tutti gli estremi necessari per la ricostruzione della fattispecie concreta su cui le sorti della norma impugnata verrebbero comunque ad incidere, le perplessità manifestate nei confronti dell'altra ordinanza si appalesano talmente giustificate da non coinvolgere la sola ordinanza del Giudice conciliatore di Andria, né, conseguenza non meno importante, la sola questione avente ad oggetto la norma che prevede l'indennità per la perdita dell'avviamento.

Il requisito della rilevanza implica necessariamente che la questione dedotta abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e non meramente eventuale: solo quando il dubbio investa una norma dalla cui applicazione il giudice ordinario dimostri di non poter prescindere, si concretizza il fenomeno della pregiudizialità costituzionale e trova posto la sospensione del procedimento.

La situazione di non rilevanza evidenziata dall'Avvocatura dello Stato con particolare riferimento all'ordinanza del Giudice conciliatore di Andria é esemplare in proposito. Di fronte ad una domanda per il rilascio di un immobile adibito ad uso non abitativo, presentata adducendo l'esistenza di un valido motivo di recesso, qualsiasi discussione, tanto in linea di diritto quanto in linea di fatto, sull'indennità per la perdita dell'avviamento, conseguente alla riconosciuta operatività del recesso, é da ritenersi assolutamente prematura e, quindi, inconferente sino a che non sia stata accertata la validità anche formale dell'addotto motivo di recesso ed ordinato altrettanto formalmente il rilascio dell'immobile. Pertanto, la circostanza che il Giudice conciliatore di Andria abbia messo in dubbio la legittimità costituzionale della norma che prevede l'indennità di avviamento, prima ancora di essersi pronunciato sulla domanda principale, comporta l'inammissibilità della dedotta questione per difetto di rilevanza.

La medesima conclusione negativa si impone per altre sei ordinanze, contrassegnate dalla stessa sfasatura che si é riscontrata in quella del Giudice conciliatore di Andria: sono le ordinanze del Pretore di Piazza Armerina (r.o. 75/1981), del Pretore di Paternò (più esattamente, la prima di tale giudice: r.o. 216/1981), del Pretore di Latina (r.o. 266/1981) e del Pretore di Pescara (più esattamente, la seconda di tale giudice: r.o. 288/1981), nonché le già menzionate ordinanze dello stesso Pretore di Paternò e del Pretore di Vigevano. A proposito di queste ultime due - che, come si é detto in precedenza, non si sono limitate a mettere in discussione la legittimità della sola norma che prevede l'indennità per la perdita dell'avviamento - occorre precisare che l'inammissibilità per difetto di rilevanza va dichiarata anche per quanto concerne la questione avente ad oggetto l'altra norma da ciascuna di esse ulteriormente denunciata. Il discorso sui rapporti con la domanda principale viene a porsi, infatti, in termini non dissimili: così, da un lato, la questione (Pretore di Vigevano) avente ad oggetto la norma che subordina l'esecuzione del provvedimento di rilascio all'avvenuta corresponsione dell'indennità in tanto può dirsi rilevante in quanto già sia stata emanata l'ordinanza di rilascio dell'immobile, in mancanza della quale non sono neppure proponibili problemi attinenti all'esecuzione; dall'altro, la questione (Pretore di Paternò, seconda ordinanza) avente ad oggetto la mancata previsione di un ulteriore motivo di possibile recesso in tanto può dirsi rilevante nella specie in quanto il giudice adito abbia prima disconosciuto l'esistenza o comunque l'operatività del motivo inizialmente addotto dal locatore recedente sulla base delle disposizioni vigenti.

Sempre per difetto di rilevanza é, infine, da dichiarare inammissibile la questione proposta dall'ordinanza del Pretore di Enna (r.o. 240/1981), emanata nel corso di un procedimento instaurato dai locatori di un immobile per ottenere la determinazione dell'indennità di avviamento dovuta al conduttore nella da essi auspicata eventualità dell'accoglimento della domanda precedentemente avanzata in altra sede per il rilascio. Lo sdoppiamento, operato dai locatori, tra l'azione di rilascio e l'azione di accertamento dell'indennità eventualmente spettante al conduttore non elimina, nella pendenza del primo procedimento, le carenze riscontrabili sotto il profilo dell'attuale incidenza della questione, anche perché ad acuirle contribuisce il fatto che l'ordinanza non contiene alcun cenno alla situazione posta a base della domanda di rilascio, donde l'innegabile genericità della fattispecie presa in considerazione.

  1. - Nello scendere ad esaminare il merito delle restanti dieci ordinanze, tutte emanatein presenzadi un rilascio dell'immobile già disposto dal giudice o concordato tra le parti, si rende indispensabile prendere le mosse dall'esatta individuazione delle questioni in oggetto, per vero piuttosto variamente prospettate. Ciò vale non tanto per quel che riguarda i parametri costituzionali invocati dai giudici a quibus (riassuntivamente: gli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., chiamati in causa talvolta tutti assieme, talvolta in combinazioni differenziate, talvolta singolarmente, magari sotto più profili), quanto per quel che riguarda la norma o le norme ordinarie censurate (alcune ordinanze denunciano nel dispositivo il solo art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, ora senza specificare ulteriormente, ora con riferimento ad una parte appositamente individuata; altre ordinanze, sempre nel dispositivo, denunciano congiuntamente gli artt. 69 e 73 della medesima legge, anch'esse talora senza ulteriori specificazioni all'infuori di quella concernente il settimo comma dell'art. 69, talora con riferimento ad una parte specificamente individuata).

Tenendo nel debito conto sia la motivazione di ogni ordinanza, sia le circostanze di fatto che di ciascuna meglio puntualizzano la portata attraverso l'accertata, necessaria, rilevanza della pronuncia richiesta alla Corte, si ricava agevolmente che tutti i giudici a quibus dubitano della legittimità di un combinato disposto, sempre in attinenza alla disciplina transitoria di cui al titolo II della legge n. 392 del 1978.

Più precisamente, la già menzionata ordinanza del Giudice conciliatore di Caltanissetta (r.o. 881/1979), con riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., dubita della legittimità del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui, per tutte le ipotesi di recesso contemplate dall'art. 73 ("i motivi di cui all'art. 29" della stessa legge), pone a carico del locatore il pagamento di un'indennità per avviamento commerciale in favore del conduttore. Invece, l'ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria (r.o. 664/1981), con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dubita della legittimità del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui, con particolare riguardo al recesso motivato con l'esigenza di adibire l'immobile ad abitazione propria del locatore o del coniuge o di un parente entro il secondo grado in linea retta, impone al locatore il pagamento dell'indennità per avviamento commerciale, e, in via subordinata, nella parte in cui, sempre con riguardo a tale fattispecie, commisura l'indennità per l'avviamento sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche.

Infine, le ordinanze del Pretore di Pescara (più esattamente la prima di tale giudice: r.o. 93/1981), del Tribunale di Parma (r.o. 105/1981), del Pretore di Rovigo (r.o. 195/1981), del Tribunale di Gorizia (r.o. 592/1981), del Pretore di Vasto (r.o. 623/1981), del Pretore di Roma (r.o. 645/1981), del Pretore di Poggibonsi (r.o. 739/1981) e del Pretore di Paternò (più esattamente, la terza di tale giudice: r.o. 773/1981) - la prima con riferimento all'art. 42, secondo comma, Cost.; quella del Pretore di Roma agli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 42; quella del Pretore di Paternò agli artt. 3, 41, 42 e 47; le rimanenti agli artt. 3 e 42 - incentrano le proprie doglianze esclusivamente sull'ultimo dei suddetti combinati disposti, non senza, in qualche occasione, determinarne ulteriormente i confini. Così, l'ordinanza del Pretore di Paternò sottopone all'esame della Corte il combinato disposto degli artt. 69 e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui determina "la misura dell'indennità per avviamento commerciale, con riferimento non già all'ultimo canone corrisposto, come previsto in via generale dall'art. 34, ma al canone corrente di mercato", mentre nell'ordinanza del Pretore di Poggibonsi si aggiunge che la questione é sollevata con riguardo all'"ipotesi in cui si tratti di immobile la cui locazione é soggetta a proroga legale".

L'opportunità, anzi la necessità, di quest'ultima indicazione, che inserisce nel combinato disposto assoggettato a vaglio di costituzionalità anche l'art. 67 della legge n. 392 del 1978, articolo il cui primo comma delinea la categoria dei "contratti in corso soggetti a proroga", é senz'altro fuori discussione, dal momento che tutti i procedimenti a quibus fanno riferimento a contratti di locazione "in corso al momento dell'entrata in vigore della presente legge e soggetti a proroga secondo la legislazione vigente" e mai a contratti del tipo previsto dall'art. 70 oppure del tipo previsto dall'art. 71 della stessa legge n. 392 del 1978, ai quali, pure, l'art. 73 estende l'applicazione dell'art. 69, settimo comma.

Non altrettanto opportuno, anzi inammissibile per irrilevanza, appare il richiamo dell'ordinanza del Pretore di Paternò, invece che alle sole ipotesi di recesso, anche alle ipotesi "di mancato rinnovo del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione". Se é pur vero che l'art. 69 risulta di per sé dettato con preciso riguardo alle ipotesi di mancata rinnovazione alla "scadenza prorogata" di un contratto del tipo suddetto, non é men vero che nella fattispecie concreta e in tutte le altre che hanno dato origine al presente giudizio non era in discussione - né poteva esserlo, stante la non ancora intervenuta scadenza dei termini ulteriormente prorogati - un'ipotesi di non rinnovazione del contratto. Il che, oltre a dimostrare la riferibilità delle questioni dedotte unicamente alle ipotesi di recesso, conferma come, nonostante la formulazione più limitata di parecchi dispositivi, dalle ordinanze in esame l'art. 69, settimo comma, venga coinvolto non da solo, ma sempre in combinato disposto con l'art. 73, nonché con l'art. 67, della stessa legge n. 392 del 1978.

Va, piuttosto, precisato ancora, quanto alle ipotesi di recesso, che da un esame globale delle ordinanze di rimessione e dei relativi procedimenti non tutti "i motivi di cui all'art. 29" della legge n. 392 del 1978 risultano fatti valere in concreto. Infatti, si é sempre e solo in presenza di casi previsti dalle lettere a) e b) del primo comma di tale articolo, rispetto ai quali - per espressa statuizione del secondo periodo dell'art. 73, così come novellato dall'art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93 - la facoltà di recesso "é riconosciuta soltanto ove ricorra la necessità del locatore o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio".

  1. - Ovviamente, si deve esaminare per prima la questione sollevata dal Giudice conciliatore diCaltanissetta: una declaratoria di illegittimità della norma che, per tutti i casi qui considerati, impone comunque il pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, assorbirebbe sia la questione con cui il Tribunale di Reggio Calabria lamenta la previsione di una tale indennità con specifico riguardo alle ipotesi di necessità abitativa del locatore, sia le questioni concernenti lo specifico indice assunto a base della commisurazione di detta indennità, sollevate in via subordinata dal Tribunale di Reggio Calabria ed in via esclusiva dalle altre otto ordinanze.

La questione non é fondata.

Come questa Corte ha, sia pur indirettamente, avuto modo di precisare in una recente occasione (v. la sentenza n. 128 del 1983), pronunciandosi in ordine alla collegata tematica del diritto di prelazione per il caso di nuova locazione e del diritto di prelazione e riscatto per il caso di vendita, con particolare riguardo ai rapporti tra l'art. 73 e l'art. 41 della legge n. 392 del 1978, l'attuale previsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento ha quale scopo "la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate", cioé delle imprese esercenti una delle attività di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 27, salvi i limiti posti dall'art. 35, e quale principale, più generale, giustificazione un "contenuto riparatorio del danno subito dal locatario per la perdita dell'avviamento stesso".

Poiché il verificarsi di un danno per il conduttore esercente le attività di cui sopra rappresenta la regola allorché la cessazione del rapporto di locazione avvenga su iniziativa del locatore, il legislatore vuole che in tutti i casi del genere un'indennità a favore del locatario faccia carico al locatore. A questo fine, la legge n. 392 del 1978, che nel testo originario non contemplava alcuna indennità per la perdita dell'avviamento a seguito di recesso del locatore da un contratto prorogato ai sensi dell'art. 67, nel testo novellato in sede di conversione del decreto-legge n. 21 del 1979 ha esteso a tutte le ipotesi di recesso il diritto del conduttore all'indennità.

Alla stregua di dette constatazioni, nessuna delle doglianze, sollevate tutte dal Giudice conciliatore di Caltanissetta sulla falsariga di quelle che il medesimo ufficio aveva più volte prospettato nei riguardi dell'art. 34 della legge n. 392 del 1978, norma regolatrice dell'indennità per la perdita dell'avviamento relativamente ai nuovi contratti di locazione aventi ad oggetto immobili non adibiti ad uso abitativo, può essere condivisa.

Anche qui, infatti, valgono le argomentazioni con le quali questa Corte ha dichiarato non fondate le corrispondenti questioni proposte, appunto, in ordine all'art. 34 (v. la sentenza n. 36 del 1980). Così si dica, anzitutto, per le "discriminazioni" tra inquilini e, inversamente, tra locatori, lamentate in conseguenza del fatto che l'indennità é dovuta in relazione alle sole attività di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 27, con l'esclusione di quelle di cui all'art. 35 della stessa legge n. 392 del 1978: nessuna irrazionalità é riscontrabile in siffatta enucleazione di categorie, restando l'indennità circoscritta alle attività per le quali si ravvisa un'"inerenza diretta all'immobile dell'avviamento creato dal conduttore" (sent. n. 36 del 1980), in quanto attività che presuppongono "contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori" (sent. n. 128 del 1983). Né possono ritenersi irrazionali le altre "discriminazioni" tra inquilini e, inversamente, tra locatori derivanti dai necessariamente diversi meccanismi di computo predisposti per i contratti soggetti a proroga dall'art. 69, a seconda che ricorra una delle situazioni di mancato rinnovo da parte del conduttore previste dal sesto comma oppure la situazione di non voluto rinnovo da parte del locatore prevista dal settimo comma, cui l'art. 73 allinea - circostanza trascurata dal giudice a quo - il trattamento delle ipotesi di recesso.

La violazione dell'art. 41 Cost., che l'onere di indennizzo gravante sul locatore cagionerebbe sia con il rendere difficile, per chi voglia "oggi iniziare" una delle attività in parola, il reperimento di immobili da affittare a prezzi accessibili, sia con l'indurre i locatori a "svendere" i loro immobili "piuttosto che correre l'alea di dover ricorrere a mutui" per pagare l'indennità di avviamento, va esclusa sol che si tenga presente come la libertà di iniziativa economica "si accompagni ad eventuali condizionamenti, intesi a conseguire fini sociali" (sent. n. 36 del 1980), fra i quali rientra la tutela dell'avviamento commerciale, finalizzata alla "conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese" di cui sopra si é detto (sent. n. 128 del 1983).

Quanto alla violazione dell'art. 42 Cost., lamentata sulla base del rilievo che il locatore, quale proprietario, subirebbe "una vera e propria espropriazione forzata senza compenso", é già stato osservato che, in ordine all'indennità per la perdita dell'avviamento, difetta totalmente "quella connotazione di natura reale" che caratterizza il fenomeno espropriativo (sent. n. 36 del 1980). Non meno inconsistente si palesa il richiamo all'art. 47 Cost.: a parte che ogni normativa del tipo in esame "non é tale da influire sul complesso campo di attuazione del risparmio, che presenta indubbiamente altre possibilità di assorbimento" (sent. n. 36 del 1980), una scelta legislativa favorevole a riconoscere in linea di principio una qualche indennità per la perdita dell'avviamento non basta sicuramente a vanificare il risparmio in immobili locati per uso non abitativo.

  1. - Anche la questione sollevata in via principale dall'ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, pureessada affrontare con precedenza sulle questioni attinenti alla commisurazione dell'indennità, non é fondata.

L'attenzione prestata dal legislatore al danno subito, secondo l'id quod plerumque accidit, dal conduttore e la preoccupazione per la conservazione delle imprese "in contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori" valgono ad escludere la violazione del principio di eguaglianza che l'ordinanza di rimessione addebita, in uno con la violazione dell'art. 42 Cost., alla soluzione positiva unitariamente data al problema dell'an debeatur. La previsione di un indennizzo a carico di ogni locatore recedente, compreso quello che abbia necessità di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o di un parente entro il secondo grado in linea retta, trova una razionale spiegazione proprio nelle due esigenze di cui sopra, ritenute meritevoli di tutela a prescindere dalla posizione del locatore e, perciò, qualunque sia il motivo di recesso fatto valere da quest'ultimo.

  1. - Ad un discorso più complesso, per le maggiori articolazioni che viineriscono, danno luogo le questioni concernenti la legittimità costituzionale del combinato disposto degliartt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui prevede che al conduttore sia dovuta un'indennità determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. E ciò non solo e non tanto perché, mentre alcune ordinanze non forniscono precisazioni sull'indice da adottare in via sostitutiva, altre fanno riferimento in proposito all'ultimo canone corrisposto, richiamandosi, talora nella sola motivazione (Tribunale di Gorizia, Pretore di Roma, Pretore di Poggibonsi), talora anche nel dispositivo (Pretore di Paternò), all'indice che l'art. 34, primo comma, della stessa legge utilizza per determinare l'indennità di avviamento commerciale in ordine alla cessazione dei nuovi rapporti di locazione, aventi ad oggetto un immobile adibito ad uso non abitativo, sorti a partire dal 30 luglio 1978. Quanto e soprattutto perché, pur essendo le questioni prospettate ogni volta in termini generali, cioé con dispositivi che non distinguono a seconda del motivo addotto ai fini del recesso, per due dei procedimenti a quibus - quello davanti al Tribunale di Reggio Calabria e quello davanti al Pretore di Paternò - il recesso preso in considerazione risulta motivato con l'esigenza di adibire l'immobile "ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta", mentre per le altre ordinanze il rispettivo procedimento a quo concerne un recesso motivato con l'esigenza di adibire l'immobile "all'esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell'art. 27" della legge n. 392 del 1978: a proposito delle quali attività si potrebbe ulteriormente distinguere, a seconda che si sia o no in presenza "della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione della precedente" (art. 34, secondo comma, espressamente richiamato, quanto "ai casi" in esso previsti, dall'ultimo periodo dell'art. 69, settimo comma).

D'altronde, ad evidenziare queste, e consimili, distinzioni provvede la stessa strutturazione dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978, con le lettere a), b), c) e d) in cui é suddiviso il primo comma e con i vari periodi di cui consta il secondo comma, il tutto oggetto di espresso rinvio da parte dell'art. 73, primo periodo, anche se - come già si é accennato sotto altra prospettiva, con riguardo al profilo della rilevanza - l'inserimento nel medesimo art. 73 dell'attuale secondo periodo, avvenuto in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, ha portato ad isolare da quel tutto i motivi "previsti dalle lettere a), b) e dall'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 29". Prova ne sia che proprio l'aver ristretto, per questi motivi, l'ambito d'esercizio della facoltà di recesso, riconoscendola "soltanto ove ricorra la necessità... verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio", ha dato adito alla particolare problematica di costituzionalità ora in esame, chi aramente collegata al ri chie sto requisito della "necessità", nell'intento di sottoporre a verifica da parte di questa Corte la congruenza del trattamento che le varie "esigenze" considerate ricevono sul piano dei rapporti fra diritto di recesso e misura dell'indennità dovuta al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale, quali risultano attraverso il rinvio che in via generale l'art. 73 fa all'art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, comma dettato per la determinazione dell'indennità di avviamento "qualora il locatore non intenda procedere al rinnovo della locazione".

  1. - Poiché, ad avviso dei giudici aquibus, la determinazione dell'indennità di avviamento "sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche" (art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978), anziché sulla base dell'"ultimo canone corrisposto", porterebbe, nei casi in questione, a risultati troppo pesanti per il locatore - sia nel senso di sottoporre ad un'eccessiva compressione il suo diritto di proprietà (nonché, per qualche giudice a quo, la sua libertà di iniziativa economica ed il suo impegno al risparmio), sia nel senso di rendere la sua situazione assai più onerosa di quella del locatore che, non rinnovando un contratto di locazione stipulato per uso non abitativo in data successiva al 29 luglio 1978, é tenuto al pagamento di un'indennità commisurata all'ultimo canone corrispostogli dal conduttore (art. 34, primo comma, della legge n. 392 del 1978) - occorre precisare quali rapportiintercorrano fra l'indice rappresentato dall'ultimo canone corrisposto e l'indice rappresentato dal canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. Ciò ai fini dell'esatta individuazione del trattamento conseguente all'applicazione dell'uno piuttosto che dell'altro indice: un trattamento che si incentra sull'ammontare, più o meno elevato, dell'indennità dovuta dal locatore al conduttore.

Dato che, quando si parla di ultimo canone corrisposto, si utilizza un indice suscettibile di essere determinato automaticamente, mentre, quando si parla di canone corrente di mercato, ci si riferisce ad un indice determinabile unicamente in via indiretta, il che si riflette non solo e non tanto sulle metodologie da seguire per la rispettiva individuazione (semplicissima l'una, desumibile dal contratto; bisognosa di accertamenti sul territorio l'altra), quanto e soprattutto sulla relatività e, quindi, sulla non univocità del secondo dei due indici, é evidente che i rapporti tra essi, per quel che riguarda la rispettiva incidenza sull'ammontare dell'indennità, si profilano in modo ben diverso a seconda del tipo di contratto, "nuovo" o "prorogato", cui si riferisce l'ultimo canone corrisposto.

Muovendo dalla considerazione che l'"ultimo canone corrisposto dal conduttore" nella situazione cui fa riferimento l'art. 34 della legge n. 392 del 1978 tende sostanzialmente a coincidere con il "canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche", sul quale - a somiglianza dell'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, ove, sia pur in un diverso contesto, il riferimento é al "canone di affitto che l'immobile può rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche" - si basa l'art. 69 della legge n. 392 del 1978, la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. discenderebbe, come puntualizza l'ordinanza del Pretore di Poggibonsi, dall'adozione di "un eguale trattamento in situazioni differenti".

Effettivamente, da un lato (art. 34), sono in discussione contratti di locazione stipulati in regime di libera determinazione del canone iniziale e, dall'altro (art. 69, per quanto qui interessa), contratti soggetti a proroga secondo la legislazione precedente ed ulteriormente prorogati dalle nuove norme. Il che significa che, quando l'art. 34, primo comma, e l'art. 69, settimo comma, parlano di un'indennità commisurata a diciotto mensilità (ovvero a ventuno per le locazioni con destinazione alberghiera) "dell'ultimo canone corrisposto" o, rispettivamente, "sulla base del canone corrente di mercato", ciò porta sì ad indennità dal simile ammontare, con la differenza, però, che l'art. 34 ragguaglia il computo delle mensilità ad un canone che é stato, più o meno a lungo, materialmente corrisposto dal conduttore (e, quindi, percepito dal locatore), mentre l'art. 69 ragguaglia il computo delle mensilità ad un canone mai percepito in concreto. In altri termini, il riferimento, nel primo caso, all'ultimo canone corrisposto e, nel secondo caso, al canone corrente di mercato parifica sostanzialmente l'indice per la misura dell'indennità, ma partendo da situazioni nelle quali ben diversamente calcolato era il canone corrisposto in concreto al momento della cessazione del rapporto di locazione. Tanto é vero che, se l'art. 69 parlasse di "ultimo canone corrisposto dal conduttore", tale canone, sottoposto ai vincoli delle proroghe vecchie e nuove, sarebbe tutt'altra cosa dal canone corrente di mercato.

Del resto, é proprio la differenza tra canone corrente di mercato e canone "vincolato" corrisposto dal conduttore a spiegare il rischio al quale, come lamentano quasi tutte le ordinanze di rimessione, andrebbe incontro il locatore: versare a titolo di indennità una somma eccessivamente elevata rispetto a quella risultante da tutti i canoni in complesso riscossi. Un rischio che discende direttamente dalla scelta che il legislatore del 1978 ha operato con il discostarsi, per i contratti sottoposti a disciplina transitoria, dall'indice dell'ultimo canone corrisposto, attraverso la "sostituzione" - così espressamente la definisce l'art. 69, nono comma - della disposizione dell'art. 34, primo comma , con la disposizione dell'art. 69, settimo comma, imperniata sul canone corrente di mercato: "sostituzione" realizzata, appunto, nel preciso intento di pervenire, più o meno, quanto ad ammontare dell'indennità, ai risultati, altrimenti non raggiungibili, cui l'art. 34 conduce per i contratti a regime ordinario.

  1. - Tutto ciò premesso, si tratta di verificare se la determinazione della misura dell'indennità per l'avviamento commerciale nelle ipotesi di recesso "necessitato" ex art. 73 della legge n. 392 del 1978 sia o no in contrasto con i parametri costituzionali variamente indicati dalle nove ordinanze dirimessioneche si stanno esaminando.

Queste fanno particolare riferimento o ad ipotesi in cui il recesso é motivato con la necessità di "adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta" ovvero ad ipotesi in cui il recesso é motivato con la necessità di "adibire l'immobile all'esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell'art. 27", attività peraltro non affine a quella esercitata dal conduttore (in nessuno dei procedimenti a quibus il recesso risulta motivato con la necessità di adibire l'immobile "all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente").

Più propriamente, sette ordinanze, nell'occuparsi delle ipotesi in cui il recesso viene motivato con la necessità di adibire l'immobile all'esercizio , in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell'art. 27", allorché essa non sia affine a quella esercitata dal conduttore, contestano la legittimità del criterio per la commisurazione dell'indennità di avviamento, in rapporto agli artt. 3, 41 e 42 Cost..

La questione non é fondata.

Nel sostanziale coincidere, quanto ad ammontare dell'indennità, dei criteri indicati negli artt. 34, primo comma, e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, non può ravvisarsi un'esplicazione irragionevole della discrezionalità legislativa, come non può dirsi privo di qualsiasi razionalità il trattamento particolarmente privilegiato di cui nel secondo caso, come lamenta l'ordinanza del Tribunale di Parma, il conduttore viene conseguentemente a fruire rispetto al locatore. Alla base della scelta operata dal legislatore con le norme in esame vi é "la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese" il cui avviamento sia strettamente collegato all'ubicazione dell'immobile: un interesse che - qualora un'impresa così localizzata venga a trovarsi esposta al rischio del rilascio dell'immobile a vantaggio di un'altra impresa non affine che il locatore intenda trapiantare od avviare in quello stesso luogo - il legislatore ha ritenuto di dover tutelare con l'imporre al locatore il pagamento di un'indennità idonea a porre riparo al danno attuale del conduttore, anche a costo di risultare particolarmente gravosa per il locatore. Ciò, anzi, verificandosi soprattutto nei confronti dei contratti soggetti a proroga, ha trovato un'ulteriore, e più specifica, spiegazione, quanto alle ipotesi di recesso, nel pericolo - subito affacciatosi e subito contrastato con le modificazioni apportate, in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, all'art. 73 della legge n. 392 del 1978, il cui testo originario nulla prescriveva in ordine all'indennità per l'avviamento - che la possibilità di recedere in qualunque momento, largamente prevista dall'art. 73, desse l'avvio ad un massiccio numero di richieste di rilascio per gli immobili adibiti ad uso non abitativo. La stessa incertezza, che rende non facilmente determinabile a priori l'indennità dovuta sulla base del canone corrente di mercato rispetto alla preventivabile certezza dell'ultimo canone corrisposto - e nella quale alcune ordinanze (Tribunale di Gorizia, Pretore di Roma) ravvisano un altro profilo di contrasto con l'art. 3 Cost. - contribuisce a rafforzare la tutela e ad aumentare le remore cui dianzi si accennava.

Tale non irragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi esclude pure che si possano considerare violati gli artt. 41 e 42 Cost.. Quanto al primo, é il Pretore di Roma a parlare di "grave ed ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa privata": in realtà, mentre l'attività economica del conduttore viene protetta, potendo l'indennità, nel caso di non evitabile rilascio, facilitarne la ripresa in altra sede, l'iniziativa economica del locatore, se non velleitaria, non risulta bloccata, ma soltanto sottoposta ad un onere, non impossibile, inteso a conseguire fini di utilità sociale, nel necessario coordinamento con le esigenze dell'attività economica altrui. Quanto all'art. 42 Cost., le ordinanze del Pretore di Pescara, del Tribunale di Parma e del Tribunale di Gorizia sostengono che il diritto di proprietà sarebbe "vanificato" dall'esborso di una somma che svuoterebbe il diritto al corrispettivo della precedente locazione e, quindi, al godimento dell'immobile: ma, a parte la necessità di dimostrare che ogni corrispettivo rimarrebbe di regola totalmente assorbito dall'indennità ex art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978, e a parte la "maggior valutazione che l'immobile riceve sul mercato, una volta riottenutane la disponibilità" (argomento con cui l'Avvocatura dello Stato, negli atti di intervento per la Presidenza del Consiglio dei ministri, rimarca l'esistenza di una parziale "compensazione"), é punto fermo che, riconosciuto il diritto di proprietà privata, la Costituzione "ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, a seguito delle opportune valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale" (sent. n. 252 del 1982), e ciò anche per quanto attiene al suo godimento.

  1. - Restano le ipotesi di recesso dovute alla necessità di "adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta": rispetto adesseé da ritenersi fondata la questione che il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato in via subordinata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., affermando, da un lato, che l'"identico trattamento" previsto dall'art.69 della legge n.392 del 1978, "sia per colui che ha necessità di adibire l'immobile di cui é proprietario per abitazione ... sia per colui che ha necessità di adibirlo ad esercizio di attività commerciale", "non sembra conforme al principio di uguaglianza" e, dall'altro, che il sistema di determinazione dell'indennità "sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, senza che il giudice abbia la possibilità di temperarne il criterio tenendo conto della durata del rapporto locativo e dell'entità del canone locativo" (tale possibilità, oltreché dalla lettera della legge e dal suo raffronto con la precedente regolamentazione del compenso per la perdita dell'avviamento ex art. 4 della legge n. 19 del 1963, é esclusa dal diritto vivente, quale si rispecchia in tutte le ordinanze a quibus) "può portare ad un'irragionevole compressione del diritto di proprietà, potendo accadere che il conduttore riceva a titolo di indennità più di quanto egli abbia corrisposto per canoni dovuti al locatore".

Anche a prescindere dal carattere meramente eventuale, e peraltro indimostrato, di un tale supero, la "compressione del diritto di proprietà del locatore" conseguente all'elevato livello cui giunge comunque l'indennità per l'avviamento in forza del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, si appalesa qui, di fronte ad un recesso per esigenze abitative, priva di razionale giustificazione: e ciò sia se la si consideri in relazione all'identica misura di indennità prevista per i casi di recesso finalizzati all'esercizio di un'attività economica, sia se la si consideri in rapporto agli analoghi risultati quantitativi cui conduce l'art. 34, primo comma, in caso di cessazione, su iniziativa del locatore, di un rapporto di locazione a regime normale. Infatti, non é certamente razionale "bilanciare" gli interessi che vengono in contrasto quando all'attività economica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza abitativa del locatore o di un suo stretto congiunto, utilizzando lo stesso modulo adottato per "bilanciare" gli interessi che vengono in contrasto quando alla attività economica svolta dal conduttore si contrappone un'esigenza economica perseguita dal locatore o da un suo stretto congiunto. E non meno irrazionale é l'imporre al locatore, per il quale sopravvenga la necessità di abitare il proprio immobile locato per uso non abitativo sulla base di un contratto da tempo a canone vincolato, il pagamento di un'indennità altrettanto onerosa di quella dovuta dal locatore, il quale promuova la cessazione del rapporto di locazione relativo ad un immobile locato per uso non abitativo sulla base di un contratto il cui canone é stato liberamente concordato.

Poiché gli immobili urbani, quando la strutturazione dei locali sia adeguata, hanno come destinazione primaria quella di venire adibiti ad uso di abitazione e poiché, d'altra parte, l'adibire tali immobili ad abitazione del proprietario o del coniuge o di parenti entro il secondo grado in linea retta rappresenta il modo di godimento della proprietà privata immobiliare da privilegiare (e ciò anche in correlazione al principio rivolto a "promuovere e favorire la proprietà privata dell'abitazione" su cui si é appena soffermata la sentenza n. 252 del 1983), la tutela costituzionale del diritto di proprietà comporta un'ovvia conseguenza: le necessità abitative del proprietario dell'immobile non possono non essere tenute in particolare conto dal legislatore, evitando di condizionarne il soddisfacimento ad oneri eccessivi o comunque sproporzionati, allorché per esse si imponga un contemperamento con altri interessi, pur meritevoli di tutela. Così, di fronte alla perdita dell'avviamento commerciale per il conduttore dell'immobile che il locatore, recedendo da un contratto a canone vincolato, intende recuperare, per necessità sua o di uno stretto familiare, all'uso abitativo, non si giustifica una misura dell'indennità in base al canone reale di mercato, giustificabile, invece, in altri casi.

  1. - L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale proposta in via subordinata dal Tribunale di Reggio Calabria comporta l'assorbimento della similare questione sollevata dal Pretore diPaternòquanto ai parametri ivi più genericamente invocati, ma non quanto alla prospettazione di un accoglimento che valga a dichiarare l'illegittimità del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, non solo nella parte in cui, per le ipotesi di recesso motivate da esigenze abitative, fa riferimento al canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, ma anche nella parte in cui, sempre per le suddette ipotesi, non fa riferimento "all'ultimo canone corrisposto, come previsto in via generale dall'art. 34" della stessa legge.

Tale precisazione é da condividere, non tanto perché nell'art. 34 sia da ravvisare una previsione di ordine generale (i rapporti fra l'art. 34 e l'art. 69 non sono propriamente riconducibili allo schema regola - eccezione, trattandosi di disposizioni relative a settori autonomi l'uno dall'altro, sia per le ipotesi considerate sia per la specifica disciplina), quanto perché, ad evitare la riscontrata irragionevolezza, il combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 - o, meglio, il testo dell'art. 73, novellato in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979, nel richiamare per tutti i casi ivi previsti l'applicazione dell'art. 69, settimo comma, dettato in "sostituzione" dichiarata dell'art. 34 (cfr. art. 69, comma nono)non avrebbe dovuto estendere tale "sostituzione" anche alle ipotesi di recesso per esigenze abitative del locatore: cioé, non avrebbe dovuto "sostituire", per la determinazione dell'indennità di avviamento nei casi del genere, l'indice rappresentato dal canone corrente di mercato all'indice rappresentato dall'ultimo canone corrisposto. Tanto più che l'utilizzazione di quest'ultimo indice era già stata prevista, anche per il settore dei contratti prorogati, dal testo originario della legge n.392 del 1978, in forza del richiamo che lo stesso art. 73 fin da allora faceva all'art. 31 ed alle sanzioni ivi stabilite per il locatore che, nel termine di sei mesi dall'avvenuta consegna, non abbia adibito l'immobile alla destinazione indicata: fra tali sanzioni figura, infatti, il risarcimento del danno "in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione del contratto", formula quest'ultima praticamente corrispondente a quella che, nell'ottica del conduttore, si riferisce all'ultimo canone corrisposto.

La declaratoria di illegittimità del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, va, quindi, puntualizzata con la precisazione che a rimanerne colpita é la parte in cui, relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati dall'art. 67, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado, prevede che l'indennità per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anziché con riferimento all'ultimo canone corrisposto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 29, 34, 69, settimo ed ottavo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell'art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93, sollevate dal Giudice conciliatore di Andria con l'ordinanza n. 757 del 1980, dal Pretore di Piazza Armerina con l'ordinanza n. 75 del 1981, dal Pretore di Paternò con le ordinanze nn. 216 e 294 del 1981, dal Pretore di Enna con l'ordinanza n. 240 del 1981, dal Pretore di Latina con l'ordinanza n. 266 del 1981, dal Pretore di Pescara con l'ordinanza n. 288 del 1981 e dal Pretore di Vigevano con l'ordinanza n. 694 del 1981;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell'art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui - relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 - prevede che al conduttore spetta l'indennità per l'avviamento commerciale, questione sollevata, con riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., dal Giudice conciliatore di Caltanissetta con l'ordinanza n. 881 del 1979;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell'art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui - anche relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado - prevede che spetta al conduttore l'indennità per l'avviamento commerciale, questione sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., dal Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza n. 664 del 1981;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell'art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui - relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l'immobile all'esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell'art. 27 - prevede che l'indennità per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, questione sollevata, con riferimento agli artt. 3, 41 e 42 Cost., dal Pretore di Pescara con l'ordinanza n. 93 del 1981, dal Tribunale di Parma con l'ordinanza n. 105 del 1981, dal Pretore di Rovigo con l'ordinanza n. 195 del 1981, dal Tribunale di Gorizia con l'ordinanza n. 592 del 1981, dal Pretore di Vasto con l'ordinanza n. 623 del 1981, dal Pretore di Roma con l'ordinanza n. 645 del 1981 e dal Pretore di Poggibonsi con l'ordinanza n. 739 del 1981;

5) dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell'art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall'art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n.21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui - relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado - prevede che l'indennità per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anziché con riferimento all'ultimo canone corrisposto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 5 ottobre 1983.