Sentenza n. 290 del 1983

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SENTENZA N. 290

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza), promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1981 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento penale a carico di Avolio Fausto, iscritta al n. 846 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 1983.

Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto in fatto

La Corte d'appello di Roma, con ordinanza del 3 novembre 1981 emessa nel corso del procedimento penale a carico di Avolio Fausto, imputato dei reati di favoreggiamento e di falsa testimonianza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., dell'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, nella parte in cui assoggetta il tossicodipendente, prosciolto ai sensi dell'art. 80 della stessa legge, "al dovere di testimoniare e dire la verità anche quando debba rivelare il nome di coloro che gli hanno fornito la droga".

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata "pur buona nei suoi fini" (tutela della collettività contro le persone o le organizzazioni criminose che illecitamente producono, fabbricano, importano, esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope), "può essere utilizzata in modo tale da costituire pressione, se non violenza morale sul testimone tossicodipendente, al fine di ottenere da lui dichiarazioni utili alle indagini di polizia giudiziaria". Inoltre, le menomate condizioni psichiche del tossicodipendente "possono sempre essere in taluni momenti (come quelli di crisi di astinenza) serio motivo di possibile invalidazione della testimonianza resa".

Il dubbio sulla legittimità costituzionale della disposizione censurata sarebbe rafforzato dalla considerazione che gli artt. 348 e 465 c.p.p., derogati dall'art. 82 della legge n. 685 del 1975, sono stati ritenuti dalla Corte (sentenza n. 154 del 1973) non in contrasto con la Costituzione, donde la possibilità di realizzare le finalità perseguite dalla norma impugnata senza ricorrere a strumenti, come quello di specie, che possono prestarsi ad abusi, avvalendosi, ad esempio, dell'interrogatorio libero della persona imputata di reati connessi, previsto dall'art. 348 bis c.p.p.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 20 aprile 1983.

Nel giudizio nessuna parte si é costituita né ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - L'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, già oggetto di controllo da parte di questa Corte (v. la sentenza n. 159 del 1982, che ne ha dichiarato non fondata una questione di legittimità dedotta con riferimento all'art. 3 Cost.), si trova ora sottoposto a vaglio di legittimità nei confronti dell'art. 24, secondo comma, Cost., su iniziativa della Corte d'appello di Roma.

La nuova questione si basa su una serie di considerazioni, che la motivazione dell'ordinanza di rimessione così sintetizza nella sua parte finale: con l'obbligare a deporre come testimoni coloro che sono stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui all'art. 80 della stessa legge n. 685 del 1975, la disposizione denunciata, "pur buona nei suoi fini", potrebbe venire "usata... in modo tale da costituire pressione, se non violenza, morale sul testimone tossicodipendente, al fine di ottenere da lui dichiarazioni utili alle indagini di polizia giudiziaria".

Anche questa questione non é fondata.

2. - Una precisazione si impone in via preliminare, dal momento che il parlare di "pressione morale al fine di ottenere dichiarazioni utili alle indagini" non consentirebbe di chiamare in causa il diritto di difesa di per sé solo, ma, caso mai, in correlazione ai diritti inviolabili della persona ex art. 2 Cost.

In realtà, come si ricava dalla puntuale riproduzione di un brano tratto da un precedente di questa Corte, l'ordinanza di rimessione sembra preoccuparsi non tanto del fatto che le dichiarazioni ottenute con la lamentata "pressione morale" abbiano a riuscire "utili alle indagini", quanto del fatto che tale utilità venga ottenuta a danno del dichiarante, esposto al rischio (donde il suo stato di "timore" e, quindi, la pressione morale su di lui) "di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità" (sentenza n. 154 del 1973). Il che é, appunto, ciò che induce il giudice a quo ad esprimersi in termini di mancato rispetto del "diritto inviolabile di difesa del cittadino".

3. - Una volta chiarita l'esatta portata dell'argomentazione in esame, diventa agevole contrapporle - senza bisogno di invocare il sin troppo facile rilievo secondo cui ogni discorso sulla necessità di garanzie difensive sarebbe subordinato all'avvenuta assunzione della qualità di parte (v., in proposito, le sentenze n. 228 del 1982 e n. 208 del 1983) che, se il rischio di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità bastasse per far ritenere violato il diritto di difesa, a trovarsi in contrasto con l'ordinamento costituzionale non sarebbe soltanto la testimonianza del tossicodipendente prosciolto, ma qualsiasi testimonianza. Entrerebbe, dunque, in crisi l'istituto stesso della prova testimoniale come attualmente e tradizionalmente congegnato, secondo una caratterizzazione alla quale contribuiscono in maniera determinante le previsioni penali della falsa testimonianza, nonché del favoreggiamento personale e della calunnia, per tacere degli strumenti processuali rappresentati dall'arresto immediato e, in caso di testimonianza resa nel corso di un dibattimento penale, dal giudizio instaurato seduta stante (art. 458 c.p.p.).

4. - Quel che soprattutto importa é che nessun testimone, per far fronte all'obbligo di rendere testimonianza, si trovi costretto ad accusare se stesso così da esporsi all'eventualità di una condanna. É qui, nel "nemo tenetur edere contra se", il punto nodale di ogni discussione sui rapporti fra testimonianza e diritto di difesa.

Orbene, con specifico riguardo all'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, non si può non osservare, per prima cosa, come la situazione di rischio presa in considerazione dalla già ricordata sentenza n. 154 del 1973 faccia riferimento all'ipotesi di una testimonianza da rendere "sugli stessi fatti", mentre la testimonianza del tossicodipendente dichiarato non punibile ai sensi dell'art. 80 della legge n. 685 del 1975 verte su fatti "diversi" dal comportamento scriminato dalla finalità dell'uso personale, e, più precisamente, su fatti criminosi in ordine ai quali il tossicodipendente normalmente riveste non la posizione di complice, bensì quella di vittima.

In ogni caso, qualora dall'evolversi della deposizione dovesse emergere un possibile coinvolgimento del teste in "altri" fatti criminosi o (trattandosi di un prosciolto con sentenza istruttoria suscettibile di riapertura dell'istruzione) una diversa consistenza del fatto ricondotto nell'ambito dell'uso personale, soccorrerebbe pur sempre la generale prescrizione dell'art. 304, terzo e quarto comma, c.p.p. (v. da ultimo, la sentenza n. 85 del 1983): "Qualora nel corso di un interrogatorio di persona non imputata... emergano indizi di reità a carico dell'interrogato...", si "rinvia" l'interrogatorio, con previa nomina di un difensore, e le "dichiarazioni da quest'ultimo precedentemente rese in assenza del difensore non possono, comunque, essere utilizzate".

Infine - e qui il discorso si apre in una prospettiva più ampia, che interessa, fra l'altro, anche la reticenza - va tenuta presente la sempre possibile operatività dell'art. 384, primo comma, c.p. (v., ancora, la sentenza n. 85 del 1983), che riconosce non punibile chi, nel testimoniare, abbia affermato il falso o negato il vero o taciuto ciò che sa "per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 5 ottobre 1983.