Sentenza n. 277 del 1983

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SENTENZA N. 277

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino DE STEFANO, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 39, 72 e 75 della legge della Regione Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32 (Norme per lo Statuto del personale), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo con ordinanze emesse il 22 marzo 1978 (sette ordinanze), l'8 marzo 1978 (sette ordinanze) e il 7 giugno 1978 (tre ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. da 380 a 396 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 194, 201 e 208 del 1980.

Visti gli atti di costituzione di Vannucchi Pietro, di Di Felice Tito e della Regione Abruzzo;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso;

uditi l'avv. Gaetano Scoca, delegato dall'avv. Lucio Moscarini, per Vannucchi Pietro e per Di Felice Tito e l'avvocato Antonio Cochetti per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

Diciassette ordinanze emesse dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, le prime sette l'8 marzo 1978, le seconde sette il 22 marzo 1978 e le ultime tre il 7 giugno 1978 hanno sollevato - nel corso di procedimenti originati da impugnative avverso provvedimenti di inquadramento di alcuni dipendenti già appartenenti all'amministrazione statale, trasferiti alla Regione Abruzzo ed inquadrati nei ruoli di questa Regione - questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 117 della Costituzione, degli artt. 1, 2, 39, 72 e 75 della legge della Regione Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32.

Confliggenti con il principio di eguaglianza sarebbero gli artt. 1, 2 e 72 della citata legge regionale, che, nel regolare l'inquadramento del personale in unico ruolo organico, pur avendo istituito differenti qualifiche funzionali (ausiliario, commesso, operatore, collaboratore, istruttore, funzionario, responsabile di settore), non hanno previsto all'interno di esse alcuna distinzione o articolazione, esistente, invece, per le carriere dell'impiego statale, disponendo soltanto l'attribuzione di classi di stipendio, conseguibili in ragione dell'anzianità maturata (art. 75). Di qui la conseguenza che a tutti i dipendenti provenienti da una stessa carriera viene attribuita, all'atto dell'inquadramento, un'identica posizione giuridica, senza alcuna differenziazione in rapporto al grado in precedenza raggiunto ed alla qualifica rivestita nel ruolo di provenienza. Ad esempio, sia un consigliere che un direttore di settore - prosegue il giudice a quo - vengono inseriti nella identica fascia funzionale (di "funzionario"). Altro esempio: in base alla tabella C, alla quale fa riferimento il primo comma dell'art. 72 della legge regionale, tutte le qualifiche della carriera tecnica e amministrativa - che il d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077 (Riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato), distingue nei tre gradi di segretario, segretario principale e segretario capo - confluiscono nell'unica qualifica di "istruttore". E poiché, a norma dell'art. 74 della medesima legge regionale, viene riconosciuto al personale inquadrato, in sede di ricostruzione della carriera, l'anzianità del servizio comunque prestato anteriormente all'inquadramento, si verifica la possibilità "che impiegati che avevano raggiunto nel ruolo di provenienza una determinata qualifica, vengano preceduti, sia sotto il profilo economico che agli effetti dell'esercizio delle relative funzioni, da altri che avevano qualifica inferiore per l'effetto della riconosciuta anzianità di servizio". "Se poi si consideri che il quarto comma dell'art. 72 consente l'inquadramento nella qualifica funzionale corrispondente al titolo di studio posseduto e alle funzioni svolte, oppure alle sole mansioni disimpegnate per un periodo di almeno due anni", ne potrebbe derivare che un impiegato appartenente alla carriera di concetto e privo di laurea venga inquadrato, per aver svolto di fatto mansioni superiori, nella fascia funzionale di funzionario ed, in forza della sua anzianità di servizio, anteposto ad altri che, a giusto titolo, appartenevano alla carriera direttiva.

Gli artt. 1, 39, 72 e 75 della stessa legge regionale contrasterebbero, poi, con l'art. 36 Cost., perché non sarebbe previsto alcun meccanismo di progressione di carriera che consenta la valutazione dei meriti e delle capacità individuali; con l'art. 97 Cost., perché non sarebbero sufficientemente determinate le sfere di competenza, le sfere di attribuzione e le responsabilità dei dipendenti, giungendosi anche ad un sostanziale appiattimento delle funzioni e delle carriere con soppressione di ogni particolare incentivo; infine, con l'art. 117 Cost., perché l'inquadramento nelle c.d. fasce funzionali si discosterebbe dal criterio stabilito dalla legislazione statale secondo il quale le carriere sono informate al principio di articolazione (viene citata, sul punto, la sentenza n. 40 del 1972 di questa Corte); si conclude sostenendo che la Regione avrebbe dovuto salvaguardare "le posizioni di carriera ed economiche" già acquisite al momento del passaggio del personale all'amministrazione regionale , così come espressamente disposto in tutti i decreti legislativi all'uopo emanati nel 1972, mentre si potrebbe dubitare che ciò sia avvenuto, almeno per quanto concerne "le posizioni di carriera".

In due giudizi si costituivano, fin dal febbraio - marzo 1979, rispettivamente, Vannucchi Pietro e Di Felice Tito, rappresentati e difesi dall'avv. Lucio V. Moscarini, chiedendo la dichiarazione di illegittimità della normativa impugnata.

In nove giudizi, successivi alla sentenza n. 10 del 1980 di questa Corte, si é costituita la Regione Abruzzo in persona del Presidente della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco D'Onofrio e Antonio Cochetti, chiedendo che le questioni vengano dichiarate in parte inammissibili e in parte infondate, essendosi la Corte già pronunciata in tali sensi con la sentenza n. 10 del 1980, risolvendo identiche questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio e dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, in riferimento a leggi regionali aventi analoga struttura normativa.

Considerato in diritto

1. - Le diciassette ordinanze in epigrafe - tutte emanate dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, investito di altrettanti ricorsi proposti da pubblici dipendenti trasferiti alla Regione, ciascuno contro l'attribuzione di una qualifica inferiore a quella rivendicata - prospettano, con motivazione pressoché identica, dubbi di legittimità aventi ad oggetto varie disposizioni legislative della Regione Abruzzo concernenti lo stato del personale, con particolare riguardo alla posizione degli impiegati; trasferiti dall'amministrazione dello Stato alla Regione. I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Benché nel dispositivo tutte le ordinanze dichiarino "non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 36, 97 e 117 della Costituzione, la questione degli artt. 1, 2, 39, 72 e 75 della L.R. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32", legge che reca, appunto, "Norme per lo Statuto del personale", dalla motivazione emerge chiaramente che il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo ha inteso sollevare due gruppi di questioni di legittimità, così suddivisi: con il primo viene posta in discussione la conformità degli artt. 1, 2 e 72 della legge anzidetta all'art. 3 Cost.; con il secondo la conformità degli artt. 1 (o 2, per le tre ordinanze più recenti), 39, 72 e 75 della stessa legge agli artt. 36, 97 e 117 Cost.

Di tale pluralità di questioni si sono date carico sia le deduzioni dei due ricorrenti costituitisi nella presente sede allo scopo di sostenere la fondatezza di tutte le questioni; sia i nove atti di costituzione della Regione Abruzzo, i quali concludono chiedendo che esse vengano dichiarate in parte inammissibili ed in parte non fondate, attraverso un generico richiamo al precedente rappresentato dalla sentenza n. 10 del 1980, con cui questa Corte si é pronunciata in ordine a leggi della Regione Lazio e della Regione Campania "aventi analoga struttura normativa".

Non é stata, invece, richiesta, né può essere presa in considerazione una declaratoria generale di inammissibilità per difetto globale di rilevanza, dal momento che - anche nelle presenti circostanze come già in quelle che avevano dato origine alla sentenza dianzi ricordata - "per valutare la legittimità dei provvedimenti di inquadramento impugnati nei giudizi davanti al tribunale amministrativo regionale, provvedimenti che tale giudice ha ritenuto conformi alle norme regionali sull'inquadramento stesso, é pregiudiziale l'indagine sulla costituzionalità dell'intera disciplina legislativa delle qualifiche, nel cui ambito i ricorrenti sono stati inquadrati".

3. - Per quanto riguarda l'ipotizzato contrasto degli artt. 1, 2 e 72 (più precisamente: artt. 1, primo comma, 2 e 72, primo e quarto comma) della legge abruzzese 2 agosto 1973, n. 32, con l'art. 3 Cost., il giudice a quo ravvisa la violazione di quest'ultimo nel fatto che detti articoli della legge regionale, nel loro combinato disposto, non rispetterebbero quella particolare dimensione del principio d'eguaglianza secondo cui "a situazioni effettivamente differenziate tra loro, non può essere riconosciuto identico trattamento". Ed invero, la legge n. 32 del 1973, pur avendo istituito sette differenti qualifiche funzionali (art. 1, primo comma), in relazione ai diversi tipi di mansioni disimpegnate (art. 2), "non ha previsto all'interno di esse alcuna distinzione o articolazione, che viceversa esiste per le carriere dell'impiego statale", stabilendo solo l'attribuzione di classi di stipendio, raggiungibili in ragione dell'anzianità maturata, con la conseguenza che "a tutti i dipendenti di una stessa carriera viene attribuito, all'atto dell'inquadramento, un identico trattamento, senza alcuna differenziazione in relazione al grado in precedenza raggiunto ed alla qualifica rivestita nel ruolo di provenienza" (art. 72, primo comma). Per di più, consentendosi "l'inquadramento nella qualifica funzionale corrispondente al titolo di studio posseduto e alle mansioni svolte, oppure alle sole mansioni disimpegnate per un periodo di almeno due anni" (art. 72, quarto comma), potrebbe anche accadere che un impiegato appartenente alla carriera di concetto e privo di laurea venga inquadrato, per aver svolto di fatto mansioni superiori, nella fascia funzionale di "funzionario" ed, in forza della sua anzianità di servizio, surclassi altri che a giusto titolo appartenevano alla carriera direttiva".

La questione non é fondata.

4. - Come questa Corte ha avuto modo di chiarire allorché con la sentenza n. 10 del 1980 sono stati affrontati analoghi tipi di questione nei confronti delle leggi regionali del Lazio 29 maggio 1973, n. 20 e n. 21, e della Campania 16 marzo 1974, n. 11, e 9 settembre 1974, n. 52, similmente strutturate alla legge regionale dell'Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, "le valutazioni di legittimità costituzionale sul rispetto del principio di eguaglianza... comportano per definizione che la normativa impugnata venga posta a raffronto con un'altra o con altre normative (sia pure estendendo l'indagine alle difettose previsioni ovvero alle lacune dell'ordinamento giuridico), per stabilire in tal modo se il legislatore abbia dettato disposizioni così poco ragionevoli da doversi ritenere costituzionalmente illegittime": di conseguenza, quando nelle ordinanze di rimessione "nessun raffronto del genere é proposto", si impone una decisione di rigetto. Né basta ad evitarla il semplice accenno delle ordinanze di rimessione all'esistenza di articolazioni "per le carriere dell'impiego statale". Un richiamo del genere "non consente di mettere in luce alcuna violazione del principio di eguaglianza", sia per la non omogeneità dei due termini da comparare, sia per l'autonomia legislativa spettante alle Regioni in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico dei rispettivi dipendenti, autonomia che risulterebbe vanificata se la disciplina del settore dovesse continuare ad essere modellata sugli schemi delle amministrazioni di provenienza del personale trasferito.

Uno solo é il limite da rispettare: garantire ai dipendenti trasferiti "la posizione giuridica ed economica acquisita da ciascuno", senza dover avere "riguardo alle rispettive posizioni di altri dipendenti" (v. anche la sentenza n. 27 del 1978).

5. - Venendo ai dubbi ventilati in ordine agli artt. 1 (o 2), 39, 72 e 75 della legge abruzzese 2 agosto 1973, n. 32, per contrasto delle "suddette norme" con gli artt. 36, 97 e 117 Cost., occorre premettere che le questioni sollevate nei riguardi degli artt. 39 e 75 della legge regionale sono inammissibili per difetto di rilevanza. Entrambi si occupano, infatti, della progressione economica (il primo nell'ambito delle norme sullo stato giuridico, il secondo nell'ambito delle norme transitorie), mentre le controversie pendenti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale hanno come unico fine quello di accertare la legittimità dei provvedimenti di inquadramento iniziale nei ruoli regionali, a prescindere da qualsiasi problema di ulteriore progressione in carriera.

Ad analoga conclusione questa Corte era pervenuta con riguardo all'art. 76, sesto comma, della legge regionale del Lazio 29 maggio 1973, n. 20, assai simile all'art. 39 della legge abruzzese, sottolineando, altresì, in tale occasione, come i pregiudizi che i dipendenti regionali potrebbero risentire dalla mancanza di promozione per merito "rimangono del tutto ipotetici", non avendo su questo punto i ricorrenti "visto frustrata - in ipotesi - nulla più che una loro aspettativa, sfornita di giuridica tutela dinanzi al giudice a quo".

6. - Restano da esaminare le questioni di legittimità relative agli artt. 1 (o 2) e 72 della legge regionale abruzzese, con riferimento agli artt. 36, 97 e 117 Cost. Si tratta, più esattamente, di verificare se le "norme" sulle qualifiche funzionali del personale della Regione Abruzzo e sul corrispondente inquadramento dei dipendenti statali trasferiti a detta Regione si trovino, come sembrerebbe alle ordinanze di rimessione, in contrasto con l'art. 36 Cost. per la mancata previsione di meccanismi che consentano la valutazione dei meriti e delle capacità individuali; con l'art. 97 Cost. per l'insufficiente determinazione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei dipendenti, nonché per il sostanziale appiattimento delle carriere dovuto alla soppressione di ogni particolare incentivo; con l'art. 117 Cost. per l'omessa utilizzazione, in sede di inquadramento nelle fasce funzionali, del fondamentale principio della legislazione statale, secondo il quale "le carriere sono articolate".

Nessuna di tali questioni é fondata.

7. - La pretesa violazione dell'art. 36 Cost., addotta invocando l'esigenza che la retribuzione sia "proporzionata alla qualità" del lavoro prestato, non può essere riscontrata nei confronti di disposizioni, quali gli artt. 1, 2 e 72 della legge regionale abruzzese, che tengono conto delle precedenti mansioni svolte ai fini dell'iniziale inquadramento nel nuovo ruolo e relativa qualifica funzionale, senza occuparsi della progressione in carriera, oggetto di altri articoli della stessa legge. Soltanto se, nell'ambito dei vari rapporti di lavoro, comunque strutturati, emergessero, all'atto dell'inquadramento, sproporzioni di rilevante gravità, si potrebbe configurare una lesione del parametro costituzionale in esame (v., anche a questo proposito, la sentenza n. 10 del 1980, dove oltretutto si aggiunge che, per dare la dimostrazione di ciò, non basterebbe "stabilire una comparazione con i soli dipendenti regionali che sarebbero stati ingiustamente privilegiati nell'inquadramento", ma occorrerebbe "estendere la comparazione stessa, ricomprendendovi anche i dipendenti meno favoriti che esercitino analoghe funzioni, sia presso la Regione che presso altri enti pubblici").

8. - Delle due argomentazioni svolte dal giudice a quo in ordine all'eventualità di un contrasto con l'art. 97 Cost., la prima ("non sembrerebbero sufficientemente determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei dipendenti") chiama direttamente in causa il secondo comma dell'art. 97, mentre l'altra ("essendosi effettuato un sostanziale appiattimento delle funzioni e delle carriere ed essendosi soppresso ogni particolare incentivo, posto che la progressione nella carriera avviene solo in base all'anzianità, il sistema adottato non sembrerebbe atto ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione") si riporta chiaramente al primo comma dell'art. 97.

A proposito del primo comma dell'art. 97 Cost., basterà ricordare che, con riguardo alle analoghe disposizioni sulle qualifiche funzionali del personale della Regione Lazio e sull'inquadramento dei dipendenti statali trasferiti nei ruoli delle Regioni Lazio e Campania, questa Corte ha precisato che nell'ambito dei giudizi sulla legittimità costituzionale delle leggi "la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione non può essere invocata, se non quando si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata, rispetto al fine indicato dall'art. 97, primo comma, Cost.". Con tutta evidenza, tale non é il caso della disciplina oggetto delle denunce di illegittimità costituzionale qui in esame. Il sistema dei livelli o delle qualifiche funzionali, sebbene assai semplificato come per la Campania e per il Lazio, "implica pur sempre almeno due ordini di vantaggi: vale a dire, da un lato, la perequazione retributiva che in tal modo si attua per classi di prestazioni considerate omogenee od affini; e, d'altro lato, la mobilità del personale inquadrato nel medesimo livello o nella medesima qualifica funzionale, che ne consegue non solo all'interno di ciascun apparato regionale ma anche nell'ambito dei vari rapporti di collaborazione fra Regioni ed enti locali" (sentenza n. 10 del 1980). Il maggior numero di qualifiche configurate per l'Abruzzo rispetto alle qualifiche previste per il Lazio ed ai livelli previsti per la Campania consente di ribadire, a maggior ragione, le stesse conclusioni anche in questa sede.

Quanto al secondo comma dell'art. 97 Cost., la circostanza che in nessuno dei giudizi proposti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale si controverta attorno al conferimento di determinate attribuzioni, competenze o responsabilità, starebbe a dimostrare come tale comma non abbia alcuna incidenza diretta nel presente procedimento di legittimità costituzionale. Il relativo parametro non può, comunque, dirsi violato per la mancata predisposizione da parte del legislatore regionale di un completo assetto delle funzioni e degli uffici: "di per se stessa, questa sfasatura non determina alcuna illegittimità costituzionale. Carenze e lacune del genere, che in altre circostanze potrebbero apparire abnormi, trovano infatti una giustificazione nei riguardi di enti costretti a misurarsi con i problemi del loro primo impianto, quali erano - all'epoca - le Regioni di diritto comune" (sentenza n. 10 del 1980).

9. - Anche per ciò che riguarda il dubbio di costituzionalità prospettato dalle ordinanze di rimessione con riferimento all'art. 117 Cost., non vi é motivo per discostarsi dalle considerazioni che questa Corte ha svolto nella direzione della non fondatezza con la sentenza n. 10 del 1980. Anzi, la successiva evoluzione della normativa sul pubblico impiego ne rafforza ulteriormente la consistenza.

L'addebito mosso alla normativa regionale (allora si trattava degli artt. 40 e 81 della legge regionale del Lazio 29 maggio 1973, n. 20; ora si tratta degli artt. 1, 2 e 72 della legge regionale dell'Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32) era ed é nel senso che essa non avrebbe rispettato la prescrizione insita nel principio fondamentale dell'"articolazione delle carriere", limitandosi a configurare pochissime qualifiche uniche, sostanzialmente equivalenti alle tradizionali carriere del pubblico impiego statale, senza ulteriori articolazioni, così da impedire la salvaguardia delle posizioni di carriera in precedenza raggiunte dai dipendenti trasferiti dallo Stato alle Regioni. A tale addebito si contrappone un'osservazione molto semplice, e cioè che "lo stato giuridico dei dipendenti regionali non può essere valutato per se solo, ma va considerato in funzione dell'ordinamento degli uffici e delle complessive caratteristiche dell'ente Regione", con tutte le sue peculiarità, "che rischierebbero di essere compromesse qualora la Regione dovesse conformarsi all'apparato statale, organizzandosi secondo le esigenze di una parte del personale trasferito".

Del resto, le stesse ordinanze di rimessione non hanno potuto fare a meno di ricordare la sentenza n. 40 del 1972, con cui era stata dichiarata illegittima la norma che inizialmente aveva imposto alle Regioni di recepire la normativa statale sull'ordinamento degli uffici (art. 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62).

Ma ancor più importa non dimenticare come "anche le ordinarie leggi dello Stato sul pubblico impiego si siano discostate, progressivamente, dallo schema di articolazione delle carriere e delle relative qualifiche, già tracciato nello Statuto degli impiegati dello Stato", secondo un'evoluzione che ha trovato, per ora, il suo punto culminante nella legge 11 luglio 1980, n. 312, e nella legge 29 marzo 1983, n. 93, entrambe ispirate al nuovo sistema delle qualifiche funzionali, lungo una linea il cui progressivo rafforzamento viene a ribadire sotto questo profilo la non fondatezza della questione di legittimità degli artt. 1, 2 e 72 della legge regionale abruzzese, in riferimento all'art. 117 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 75 della legge 2 agosto 1973, n. 32, della Regione Abruzzo, sollevate, in riferimento agli artt. 36, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo con le ordinanze in epigrafe;

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, 2 e 72, primo e quarto comma, della legge 2 agosto 1973, n. 32, della Regione Abruzzo, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo con le ordinanze in epigrafe;

c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 72 della legge 2 agosto 1973, n. 32, della Regione Abruzzo, sollevate, in riferimento agli artt. 36, 97 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 1983.

Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 21 settembre 1983.