Ordinanza n. 273 del 1983

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ORDINANZA N. 273

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

          Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10, cpv., della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) promossi con ordinanze emesse il 18 aprile 1979 dal Pretore di Roma e il 9 ottobre 1979 dal Pretore di Empoli, rispettivamente iscritte ai nn. 466 e 860 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 230 del 1979 e n. 29 del 1980.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1983 il Giudice relatore Antonio La Pergola:

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che con ordinanza in data 18 aprile 1979 (emessa nel procedimento penale a carico di Cusani Vincenzo) il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 10 cpv. della legge 10 maggio 1976, n. 319 deducendo che le stesse censure già avanzate da altri giudici relativamente alla disciplina degli insediamenti (produttivi e civili), differenziata a seconda se nuovi o già esistenti, siano "a maggior ragione riferibili alla disciplina di cui al citato art. 10 per gli insediamenti sforniti di licenza di agibilità ed abitabilità";

che detto giudice ha, in premessa, precisamente osservato:

a) che in base all'art. 10 cpv. legge n. 319 del 1976 é fatto obbligo agli insediamenti che non abbiano ottenuto la licenza di agibilità ed abitabilità all'entrata in vigore della legge, di adeguare i propri scarichi ai limiti di accettabilità previsti per i nuovi insediamenti entro due anni dall'entrata in vigore della stessa legge e cioé entro il 13 giugno 1978, mentre per quelli con licenza é stabilito un termine che, secondo la tabella A) giunge fino a 9 anni;

b) che ai sensi dell'art. 21, terzo comma, legge n. 319 del 1976 quando (come nel caso sottoposto al suo esame), sussistono le violazioni indicate ai commi primo e secondo dello stesso articolo e lo scarico superi i limiti di accettabilità di cui alle tabelle allegate, deve applicarsi sempre la pena dell'arresto; laddove i due commi precedenti prevedono le pene, alternativamente, dell'arresto e dell'ammenda;

c) che, quindi, il non aver ottenuto la licenza di agibilità ed abitabilità, alla data di entrata in vigore della legge n. 319, costituisce una condizione di sfavore per gli insediamenti esistenti, produttivi e civili, rispetto a quelli che ne avevano ottenuto il rilascio.

Ritenuto che, ad avviso del giudice remittente, tale disciplina differenziata in danno degli stabilimenti sprovvisti di licenza, non é fondata su presupposti logici obiettivi, e così urta contro il principio costituzionale di eguaglianza: si assume infatti che la licenza di agibilità ed abitabilità - il cui mancato rilascio può dipendere anche da mero ritardo o disfunzione della P.A. (mentre non é prevista una licenza provvisoria tacita, com'è per l'autorizzazione ex art. 15 legge n. 319 del 1976) - rappresenta comunque un dato esclusivamente formale "privo di ogni relazione con l'effettivo grado di lesione dell'interesse protetto dalla legge, cioè la tutela delle acque dall'inquinamento";

che d'altra parte - sempre secondo il giudice a quo - la denunziata discrasia non può essere sanata in sede interpretativa, dal momento che l'art. 10 cpv., per la sua formulazione, già con ogni evidenza si riferisce agli insediamenti esistenti ed individua nell'assenza della licenza un ulteriore elemento, da cui si fanno derivare più gravi oneri per i titolari degli scarichi;

ritenuto che nel giudizio avanti la Corte é intervenuto, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale deduce l'infondatezza della proposta questione;

ritenuto che analoga questione é stata sollevata, sempre con riguardo all'art. 10, secondo comma, della legge n. 319 del 1976 dal Pretore di Empoli nel corso del procedimento a carico di Primieri Chelli Sergio ed altri;

che nel relativo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato;

che l'Avvocatura osserva che l'art. 13, terzo comma, della legge 24 dicembre 1979, n. 650, entrata in vigore nelle more del giudizio stesso, ha sostituito la norma censurata;

che l'Avvocatura chiede pertanto la restituzione degli atti al giudice a quo perché questi esamini nuovamente la rilevanza della dedotta questione, sopravvenuta alla stregua della normativa;

considerato che con le ordinanze in epigrafe si censura l'art. 10, secondo comma, della legge 10 maggio 1976 "Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento", così testualmente formulato: "Gli insediamenti" (produttivi e civili) "che non abbiano ottenuto la licenza di agibilità ed abitabilità all'entrata in vigore della presente legge dovranno adeguare i propri scarichi ai limiti di accettabilità previsti per i nuovi insediamenti entro due anni dalla presente legge";

che gli insediamenti produttivi esistenti, provvisti delle suddette licenze, devono invece essere adeguati ai limiti di accettabilità, quali risultano dalle apposite tabelle allegate alla legge, nei più larghi termini che vengono in considerazione per le varie ipotesi configurate, secondo il recapito dello scarico, dall'art. 13 della legge stessa;

che nelle ordinanze di rinvio si assume che la disposizione oggetto di censura implica un'aggravante per i giudicabili, imputati, nei procedimenti penali dai quali trae origine la presente controversia, del reato previsto nell'art. 21 della stessa legge e punito alternativamente con l'arresto (da due mesi a due anni) o con l'ammenda (da lire 500 mila a 10 milioni). Infatti il terzo comma dell'art. 21 dispone che "si applica sempre la pena dell'arresto se" - ricorrendo gli estremi del fatto costitutivo del reato - "lo scarico supera i limiti di accettabilità di cui alle tabelle allegate alla presente legge, nei rispettivi limiti e modi di applicazione";

che la disparità di trattamento così introdotta, nel caso in esame, a sfavore degli insediamenti sprovvisti di licenza é denunziata come irrazionale, e dunque lesiva del principio di eguaglianza, perché disposta esclusivamente in funzione di un dato formale e non pertinente rispetto al fine perseguito dalla legge. Precisamente, si lamenta che il criterio discretivo adottato dal legislatore con riguardo all'ottenimento della licenza di abitabilità ed agibilità sia "privo di ogni relazione con la tutela delle acque dall'inquinamento"; e a ciò si aggiunge, secondo il giudice a quo:

a) che il mancato rilascio della licenza può ben dipendere non soltanto da omissione dell'interessato, ma anche da "ritardi o disfunzioni della pubblica amministrazione";

b) che la concessione del provvedimento in discorso é stata, del resto, per molti anni considerata come una mera formalità, spesso inevasa dalle competenti autorità, nonostante la regolare richiesta dell'interessato e nemmeno prevista sulla - base di quanto dispone in merito il T.U. delle leggi sanitarie (cfr. art. 221 in relazione all'art. 220) - da taluni regolamenti comunali;

considerato che l'Avvocatura dello Stato ha chiesto la restituzione degli atti al giudice a quo perché questi riesamini la rilevanza della proposta questione ai sensi delle nuove previsioni dell'art. 13 della legge 24 dicembre 1979, n. 650, sopravvenuta nelle more del presente giudizio.

che il citato art. 13 della legge n. 650 del 1979 é in effetti dettato in sostituzione dell'art. 10 della legge n. 319 del 1976;

che spetta quindi al giudice a quo verificare se e come queste più recenti disposizioni di legge incidano sul trattamento degli insediamenti preesistenti all'entrata in vigore della legge n. 319 del 1976 e sprovvisti della licenza di abitabilità ed agibilità, in relazione ai profili che toccano la dedotta violazione del principio costituzionale di eguaglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al giudice a quo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 26 settembre 1983.