Sentenza n. 262 del 1983

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SENTENZA N. 262

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 20 novembre 1980 dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze sul ricorso proposto dalla S.p.a. Centrale di Costruzioni IM.CO., iscritta al n. 433 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 283 del 14 ottobre 1981;

2) ordinanza emessa il 21 aprile 1977 dalla Commissione tributaria di primo grado di Sanremo sul ricorso proposto da Zappa Pietro, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 344 del 15 dicembre 1982.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1983 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

udito l'avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa in data 21 aprile 1977 (r.o. n. 586/1982) nel corso di un giudizio relativo all'applicazione dell'INVIM in occasione di un acquisto mortis causa, la Commissione tributaria di primo grado di Sanremo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. assumendo che dall'omessa considerazione degli effetti della svalutazione monetaria nella determinazione della base imponibile deriverebbe che l'imposta non viene commisurata all'effettiva capacità contributiva del soggetto passivo e che la detrazione stabilita nella misura fissa del 4% annuo dall'art. 14 dello stesso d.P.R. si risolverebbe in una violazione del principio della parità di trattamento fiscale, giacché potrebbe essere insufficiente o eccessiva a seconda che la svalutazione monetaria fosse stata superiore o inferiore a quel tasso.

2. - La Commissione tributaria di primo grado di Firenze, con ordinanza del 20 novembre 1980 (r.o. n. 433/1981) denuncia invece in riferimento agli stessi artt. 3 e 53 Cost., gli artt. 6, n. 4 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. n. 643 del 1972, "nella parte in cui si stabilisce che per i trasferimenti assoggettati all'imposta sul valore aggiunto si assumono quale valore finale o iniziale i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta".

Premesso che l'art. 6 del citato d.P.R., disciplinando la base imponibile del tributo, fa riferimento in ogni altro caso ai valori venali effettivi (quali dichiarati dal contribuente o determinati a seguito di un eventuale giudizio di congruità formulato dall'amministrazione finanziaria) sembra alla commissione a quo che non risponda alla ratio del tributo in esame - quale individuata anche dalla Corte con sentenza n. 126 del 1979 - che per i trasferimenti soggetti all'imposta sul valore aggiunto si adottino quali valori di riferimento i corrispettivi anziché i valori venali. Tale disciplina, "diversa e più favorevole per una categoria di soggetti rispetto a quella prevista per tutti gli altri", violerebbe sia il principio di uguaglianza che quello di cui all'art. 53 Cost.

3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, é intervenuto nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria di primo grado di Sanremo instando, in via principale, per la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza alla luce delle modificazioni normative intervenute con d.l. 12 novembre 1979, n. 571, convertito in legge 12 gennaio 1980, n. 2, applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente e non ancora definiti, e, in via subordinata, per la dichiarazione di infondatezza della questione, non essendo state dedotte argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già esaminate dalla Corte con sentenza n. 126 del 1979.

Considerato in diritto

1. - Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla commissione tributaria di primo grado di Sanremo (r.o. 586/1982) nel caso di una contestazione sorta tra quell'ufficio del registro e tale Zappa Pietro in ordine alla determinazione dell'incremento di valore di beni caduti in successione, questa Corte non può non rilevare preliminarmente che l'ordinanza di rimessione, emessa il 21 aprile 1977, é pervenuta alla Corte il 22 luglio 1982, e perciò ben oltre cinque anni dopo. A parte ciò, gli atti vanno restituiti al giudice a quo per il riesame della rilevanza della questione in relazione allo jus superveniens: la commissione tributaria di primo grado di Sanremo, infatti, pur denunciando nel dispositivo esclusivamente l'art. 6 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., motiva la sua pronuncia con espresso ed argomentato richiamo all'art. 14 del menzionato decreto presidenziale, che, già dichiarato illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 126 del 1979, é stato soppresso con l'art. 1 del decreto legge 12 novembre 1979, n. 571, convertito nella legge 12 gennaio 1980, n. 2.

2. - Deve, viceversa, dichiararsi non fondata la "questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nella parte in cui si stabilisce che per i trasferimenti assoggettati all'imposta sul valore aggiunto si assumono, quali valore finale ed iniziale, i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione", sollevata dalla commissione tributaria di primo grado di Firenze con ordinanza del 20 novembre 1980 (r.o. 433/1981).

Benché i profili della censura non emergano con tutta nettezza, sembra tuttavia che la denunziata illegittimità costituzionale consista nel dato che l'imposta in parola (INVIM) graverebbe sui trasferimenti soggetti ad IVA meno pesantemente che su quelli soggetti a registro. Dal "fatto che per i trasferimenti soggetti all'imposta sul valore aggiunto si adottino quali valori di riferimento i corrispettivi, anziché i valori venali" deriverebbe l'impossibilità per l'ufficio di operare su valori diversi da quelli indicati nell'atto di trasferimento, con conseguente violazione, sia del principio d'eguaglianza, sia del principio della capacità contributiva, di cui appunto agli artt. 3 e 53 Cost.

3. - La questione si rivela non fondata.

La disposizione intesa ad evitare, ai fini del calcolo dell'incremento di valore imponibile (INVIM) - nei casi di trasferimenti di immobili da parte di entità soggette ad IVA - un'autonoma procedura di accertamento per la determinazione dei valori di confronto non é censurabile sotto i denunziati profili di legittimità costituzionale. Uno degli obiettivi perseguiti dalla riforma fiscale é stato quello della semplificazione del metodo di prelievo, in maniera da ridurre il troppo elevato costo del sistema di riscossione delle imposte. In questa logica va vista l'unificazione delle procedure di accertamento dei tributi, di cui appositamente é riservato l'esercizio esclusivamente agli uffici finanziari dello Stato, ed in cui non può non farsi rientrare la tendenza ad evitare, in linea di principio, ogni duplicazione di accertamento che non appaia necessaria, e che pertanto potrebbe conseguire il risultato di ritardare ingiustificatamente la riscossione, specie tenendo conto della lentezza e dell'imperfezione funzionale degli uffici fiscali. É a questo criterio, non privo di giustificazione, che si é ispirato il legislatore nel dettare sul punto la disciplina in oggetto. Di conseguenza, non può riconoscersi pregio alla censura, non solo per la suesposta considerazione, ma anche per il rilievo che essa é rivolta ad un aspetto squisitamente tecnico, attinente alla realizzazione del tributo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) ordina la restituzione degli atti alla commissione tributaria di primo grado di Sanremo perché riesamini, alla luce delle modifiche normative intervenute, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost, con ordinanza del 21 aprile 1977 (R.O. n. 586/1982);

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria di primo grado di Firenze con ordinanza del 20 novembre 1980 (R.O. n. 433/1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI – Giuseppe FERRARI -Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 20 settembre 1983.