Sentenza n. 261 del 1983

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SENTENZA N. 261

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico) promossi con le ordinanze emesse il 22 aprile 1976 dal Pretore di Pizzo e il 26 maggio 1980 dal Tribunale di Rovigo iscritte al n. 478 del registro ordinanze 1976 e al n. 607 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 del 1976 e n. 304 del 1980; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella pubblica udienza del 25 gennaio 1983 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Pizzo Calabro, con ordinanza emessa il 22 aprile 1976, ha nel corso del procedimento penale a carico di Iellimo Giacomo, sollevato - in riferimento agli artt. 13 e 24 della Costituzione - questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152.

Il 9 dicembre 1975, i carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia sottoponevano a perquisizione il suddetto Iellimo, perché dava segni "di irrequietudine, destando sospetti".

Nel corso della perquisizione veniva rinvenuto un coltello del tipo vietato. Di tale atto di polizia non é stata avvertita, entro il termine di 48 ore, l'autorità giudiziaria competente.

Osserva il giudice a quo che questa Corte ha con sentenza n. 173/74 ritenuto applicabili le norme poste negli artt. 224 e 227, 304 bis e ter del codice di procedura penale - i quali concernono, rispettivamente, le perquisizioni di polizia giudiziaria, la trasmissione di atti di informazione all'autorità giudiziaria, gli atti cui possono assistere i difensori dell'imputato in sede di istruzione formale, l'avviso al difensore - alle ipotesi previste nell'art. 41 del T.U. leggi di pubblica sicurezza. Quest'ultima disposizione abilita ad effettuare perquisizioni e sequestri gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, i quali abbiano notizia, anche per indizio, dell'esistenza, in qualsiasi locale pubblico o privato, o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunciate, non consegnate o comunque abusivamente detenute.

Non potendo il caso di specie ricondursi a tale previsione, l'atto di polizia, che qui viene in rilievo, sarebbe stato adottato in base al disposto dell'art. 4 della legge n. 152 del 1975. Ivi si configura, con riguardo ad eccezionali situazioni di necessità ed urgenza, che non consentono il tempestivo provvedimento dell'autorità giudiziaria, l'immediata perquisizione sul posto - ad opera di ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria o della forza pubblica, e al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione - di soggetti, il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo, non appaiono giustificabili; si prevede altresì che la perquisizione possa estendersi ai mezzi di trasporto utilizzati dalle persone suindicate per giungere sul posto; si prescrive infine che il verbale della perquisizione, redatto in apposito modulo, debba essere trasmesso entro quarantotto ore al Procuratore della Repubblica.

La giurisprudenza di questa Corte - ricorda il giudice a quo - muove dal presupposto che la perquisizione debba effettuarsi in conseguenza dell'esistenza di elementi indiziari e non solo di meri sospetti, per affermare che non può essere lasciato all'iniziativa e alla valutazione degli organi di polizia giudiziaria "un potere che la Costituzione riserva invece a casi che devono essere tassativamente indicati dalla legge".

Per contro, la formulazione della norma denunciata permetterebbe alle forze di polizia di operare le previste perquisizioni in base al loro semplice personale convincimento, e non a fatti oggettivamente certi, o a più fatti certi e concordanti fra di loro.

A parere del giudice a quo, la norma denunciata viene pertanto a violare l'art. 13, secondo comma, Cost.

Si deduce pure che l'art. 4 della legge n. 152 del 1975, disposizione eccezionale come l'atto legislativo in cui é contenuta, non prevede l'applicazione degli artt. 304 bis e ter c.p.p. invece, sicuramente applicabili, secondo la giurisprudenza di questa Corte, alle perquisizioni di polizia giudiziaria contemplate nell'art. 224 del c.p.p. Difettando la previsione dell'avviso al soggetto da perquisire, in ordine all'assistenza di un difensore, la norma in questione contrasterebbe anche con l'art. 24 Cost. La rilevanza della questione é dedotta sull'assunto che, in caso di sua fondatezza, dovrebbero essere dichiarati nulli tutti gli atti successivi alla perquisizione.

2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per tramite dell'Avvocatura dello Stato, la quale richiama anzitutto le gravi ed urgenti esigenze di ordine pubblico che hanno determinato l'emanazione della legge in esame.

L'art. 4, con il prevedere che la perquisizione personale possa essere compiuta "al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione" durante "operazioni di polizia" in determinate circostanze e quando non possa chiedersi ed ottenersi tempestivamente un provvedimento dell'autorità giudiziaria verso un soggetto, il cui comportamento o la cui presenza non sia giustificabile, definirebbe chiaramente, in conformità all'art. 13 Cost., la sfera in cui agisce la polizia giudiziaria.

Precisa poi l'Avvocatura che la garanzia accordata alla libertà personale serve a delimitare l'opposto potere di coazione dello Stato ma non é per questo indiscriminata, una volta che lo stesso precetto costituzionale fissa espressamente l'ambito entro il quale il diritto dell'individuo può essere qui esercitato.

Peraltro, il dubbio di costituzionalità sollevato appare incomprensibile, dato che proprio nella fattispecie la persona perquisita é stata trovata in possesso di un coltello vietato. Non appare congruo - osserva l'Avvocatura - parlare di "personali convincimenti" in riferimento ad un caso nel quale il senso del dovere degli agenti ha portato all'accertamento di un reato.

In riferimento poi alla pretesa violazione dell'art. 24 Cost., l'Avvocatura osserva che il diritto di difesa é garantito davanti all'autorità giudiziaria cui si perviene a seguito del provvedimento emesso dall'autorità di polizia, ai sensi dello stesso art. 13 Cost.

3. - Identica questione é posta dal Tribunale di Rovigo, nel corso di un procedimento penale a carico di tre imputati di furto pluriaggravato.

Il 10 aprile 1980, i carabinieri della stazione di Ficarolo (Rovigo) venivano informati che tre zingare introdottesi in una abitazione, avevano rubato 55.000 lire ed erano fuggite con un'auto. Poco dopo una pattuglia dell'Arma si imbatteva nelle tre donne, sempre a bordo della stessa auto e le conduceva in caserma; sottoposte a perquisizione personale, esse risultavano avere in loro possesso una banconota di 5.000 lire, ed altra di 50.000 lire. La somma era comunque corrispondente a quella rubata. Pertanto si procedeva al loro arresto e successivamente al rinvio a giudizio per furto pluriaggravato.

Rileva il Tribunale che la norma denunciata, mentre ricalca nella prima parte il dettato dell'art. 13 Cost., adopera nella seconda parte una formula "generica e fumosa", che consente le perquisizioni personali sul posto, anche in caso di semplice sospetto: il che non basterebbe, però, a legittimare le perquisizioni, come esige la sentenza n. 173 del 1974.

Il Tribunale di Rovigo nota come sia ritenuto atteggiamento sospetto la mancata adesione spontanea alla perquisizione. Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il giudizio relativo alla sussistenza dei presupposti di fatto giustificativi della perquisizione spetta insindacabilmente agli organi di polizia.

Il provvedimento restrittivo della libertà personale, come si atteggia nella specie, non sarebbe, del resto, sorretto da quelle esigenze di pronta ed efficace tutela dell'ordine sociale, che soccorrono nel caso delle perquisizioni domiciliari, previste nell'art. 41 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, di cui la Corte ha in altra occasione (sentenza n. 173/74) ritenuto la legittimità costituzionale. Osserva al riguardo il giudice a quo che la perquisizione ai sensi della disposizione censurata serve anche ad accertare il possesso di strumenti di effrazione: il che ben difficilmente appare suscettibile di costituire grave pericolo per la sicurezza e l'ordine pubblico. Pare quindi al Tribunale che la norma sacrifichi la libertà personale a valori, quali quelli patrimoniali, di minor rilievo costituzionale, anche di fronte al semplice sospetto di una loro lesione. Quanto alla perquisizione illegittima, viene osservato che la nullità delle perquisizioni, prive di convalida da parte dell'autorità giudiziaria, non determina, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'inefficacia del contestuale sequestro. L'art. 4 della cit. legge n. 152 avrebbe quindi dovuto espressamente prevedere l'inutilizzabilità processuale delle perquisizioni illegittime. Così, per esempio, dispone l'art. 226 quinquies c.p.p., introdotto dalla legge 18 aprile 1974, n. 98, a proposito delle intercettazioni telefoniche.

A fugare i prospettati dubbi di costituzionalità non gioverebbe, d'altra parte, nemmeno l'opinione della dottrina, secondo la quale la perquisizione sul posto va compiuta solo su iniziativa od autorizzazione dell'autorità giudiziaria, e cioè in caso di flagranza o di fondato sospetto dell'avvenuta commissione di un reato. Secondo la lettera e lo spirito della legge, il provvedimento in questione ha invero - rileva il Tribunale di Rovigo - natura spiccatamente preventiva e può essere emesso dalle forze di polizia in genere e non solo dalla polizia giudiziaria. In ogni caso la censurata disciplina mancherebbe di distinguere tra atti di polizia di sicurezza ed atti di polizia giudiziaria, diretti all'acquisizione di prove per il futuro processo, e mancherebbe conseguentemente di prevedere, con riguardo a questi ultimi atti, il possibile intervento del difensore, quale invece sancito, nei confronti delle perquisizioni su iniziativa della polizia giudiziaria, dagli artt. 224 e 304 ter, terzo comma, del c.p.p. Con ciò si delinea un ulteriore motivo di illegittimità, in riferimento all'art. 24 Cost.

4. - Anche in questo giudizio, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, spiega intervento il Presidente del Consiglio. Le deduzioni sono del tutto identiche a quelle prodotte in relazione all'ordinanza del Pretore di Pizzo Calabro.

5. - All'udienza pubblica del 25 gennaio 1983 l'Avvocatura dello Stato ha insistito sulle conclusioni già prese.

Considerato in diritto

1. - La statuizione all'esame della Corte, posta nell'art. 4 della legge n. 152 del 1975, é così formulata: "In casi eccezionali di necessità e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell'autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all'identificazione, all'immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili.

Nell'ipotesi di cui al comma precedente la perquisizione può estendersi per le medesime finalità al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone suindicate per giungere sul posto.

Delle perquisizioni previste nei commi precedenti deve essere redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma, consegnato all'interessato".

Il Pretore di Pizzo Calabro ed il Tribunale di Rovigo denunziano il testé citato disposto di legge per le seguenti considerazioni:

a) La forza pubblica e la polizia giudiziaria, si deduce anzitutto, sono abilitate ad eseguire la perquisizione sul posto solo che "l'atteggiamento" o la "presenza" di chi é perquisito non appaiano giustificabili in relazione alle circostanze di luogo e di tempo. Il provvedimento restrittivo della libertà personale, che così si configura, sarebbe adottato sulla base non di elementi indiziari, ma di meri sospetti, ed in definitiva della discrezionale e soggettiva determinazione degli organi di polizia: spetta, si soggiunge, invero a questi ultimi, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, di valutare se sussistano i presupposti di fatto giustificativi della perquisizione, mentre tale apprezzamento non é sindacabile dal giudice. La riserva di legge stabilita nell'art. 13 Cost. rimarrebbe nel caso in esame insoddisfatta anche alla stregua delle pregresse decisioni di questa Corte, sull'assunto che difetta la predeterminazione tassativa della fattispecie legale, indispensabile perché la prevista restrizione della libertà personale possa operare in conformità del dettato costituzionale.

b) La violazione dell'art. 13 é dedotta dal Tribunale di Rovigo anche sotto questo riflesso: che la perquisizione serve secondo legge al pronto ed efficace intervento della forza pubblica e della polizia giudiziaria, in eccezionali situazioni di necessità ed urgenza, nelle quali la sicurezza e l'ordine sociale risultano esposti a grave pericolo; senonché, tolto il caso della flagranza di reato, simili estremi difficilmente ricorrerebbero quando si tratta di accertare il possesso non di armi o di esplosivi, bensì, come pur prevede il disposto censurato, di strumenti di effrazione. Per questa via, si asserisce, l'inviolabilità della libertà personale é posposta alla tutela che invece sussiste riguardo alla lesione, anche solo sospetta, di beni di minor rilievo costituzionale, quali sono quelli patrimoniali.

c) Osserva ancora il Tribunale di Rovigo che la norma in questione manca di vietare espressamente l'utilizzazione processuale delle perquisizioni illegittime. Tale divieto é stato per esempio introdotto nel codice di procedura penale, con riguardo alle intercettazioni telefoniche (226 quinquies c.p.p.) dalla legge 18 aprile 1974, n. 98. Il non averlo configurato per il caso di specie concreterebbe, sotto un ulteriore profilo, la lamentata infrazione all'art. 13 Cost.: e ciò - precisa il giudice remittente - in considerazione delle pronunzie, rese dalla Corte di Cassazione nel senso che la nullità per omessa convalida delle perquisizioni eseguite dalla polizia giudiziaria non implica l'inefficacia del contestuale sequestro. Così orientandosi, la giurisprudenza avrebbe disatteso il precetto, consacrato nell'art. 13 Cost., secondo cui qualsiasi provvedimento restrittivo della libertà personale, adottato in difformità dalle prescrizioni in detto articolo stabilite, resta necessariamente privo di effetto.

d) Nessun pregio, sempre ad avviso del suddetto giudice, ha poi l'interpretazione adeguatrice che della norma censurata propone una parte della dottrina, per la quale la perquisizione é consentita agli organi di polizia solo nei casi in cui può ai sensi del codice disporla l'autorità giudiziaria (flagranza o fondato sospetto dell'avvenuta commissione del reato). Tale tesi si assume contraddetta dalla prassi della polizia e, prima ancora, dalla natura spiccatamente preventiva che la perquisizione riveste nella disciplina in discorso; anche ad accoglierla, si asserisce, non risulterebbe d'altra parte eliminato un ulteriore ed autonomo motivo di censura, che deriva dall'avere la disposizione in esame indifferentemente contemplato, ai fini del provvedimento limitativo della libertà personale, atti ricadenti nella sfera sia della polizia di sicurezza, sia della polizia giudiziaria: senza, però, che, in ordine alla seconda categoria di questi atti, sia previsto il possibile intervento del difensore, pur sancito dal codice di rito, entro i limiti stabiliti dagli artt. 304 ter, terzo comma, e 224 c.p.p. Di qui l'asserita lesione dell'art. 24 Cost. Analoga censura, in relazione al parametro testé richiamato, prospetta il Pretore di Pizzo. Le perquisizioni della polizia giudiziaria, osserva infatti tale ultimo giudice, sono nel sistema del codice coperte dalle previsioni degli artt. 304 bis e ter, rispettivamente riguardanti gli atti cui possono assistere i difensori e l'avviso ai difensori. Diverso risultato si imporrebbe, invece, riguardo alle perquisizioni che vengono in rilievo nel presente giudizio. Le suddette disposizioni generali del codice non sono state espressamente richiamate dalla norma censurata, né possono, ad avviso del Pretore di Pizzo, venire estese alla specie in via d'interpretazione, essendo la disciplina del caso in esame contenuta in una normativa che tutela l'ordine pubblico ed ha carattere eccezionale. Si versa dunque, vien dedotto, in un'ipotesi in cui il perquisito non é avvertito della possibilità di farsi assistere da un difensore, mentre il difensore non ha, dal canto suo, diritto al preavviso. Il che, appunto, concreterebbe la prospettata lesione del diritto di difesa.

2. - Le ordinanze in epigrafe sollevano la stessa questione. I relativi giudizi sono pertanto riuniti e congiuntamente decisi.

3. - La Corte ritiene di dover preliminarmente controllare, in punto di rilevanza, l'ammissibilità della questione. Giova a questo riguardo considerare distintamente i due provvedimenti introduttivi del presente giudizio.

4. - Diversamente dal Pretore di Pizzo, il Tribunale di Rovigo non ha appositamente delibato la rilevanza della questione, ma non ha trascurato di descrivere il caso di specie, di cui esso é investito; e da tale descrizione risulta che le giudicabili - e l'autovettura, a bordo della quale si trovavano - sono state perquisite dai carabinieri subito dopo ricevuta notizia del reato alle stesse contestato (furto pluriaggravato). Il che basta per affermare che gli organi della polizia giudiziaria hanno agito nella quasi flagranza del reato, quindi nell'esercizio - e nell'ambito - dei poteri loro conferiti ai sensi degli artt. 224 e 237 del codice di procedura penale. Il censurato art. 4 della legge n. 152, che invece prevede, nei termini sopra testualmente riportati, l'altra ipotesi della perquisizione sul posto, non veniva per nessun verso in rilievo; e con ciò resta escluso che ne sia stata fatta, come assume il Tribunale di Rovigo, applicazione nella specie. La questione deve dunque ritenersi inammissibile.

5.1 - Nell'ordinanza del Pretore di Pizzo, la rilevanza della questione forma invece, come si é premesso, oggetto di espressa e puntuale delibazione, ed é così argomentata: a) la norma dedotta in giudizio costituisce, nel vigente ordinamento, la sola base sulla quale la perquisizione possa nel caso in esame ritenersi eseguita; b) detta statuizione - norma eccezionale, si dice, e contenuta in una legge sull'ordine pubblico (v. sopra, n. 1) - priverebbe il soggetto delle garanzie di difesa, che lo assistono secondo le generali previsioni del codice di rito (artt. 304 bis e ter e 224 c.p.p.): con il risultato che il perquisito non sarebbe avvertito della possibilità di farsi assistere da un difensore, e il difensore, dal canto suo, non avrebbe diritto al preavviso; c) un'eventuale pronunzia di accoglimento, in relazione alla prospettata lesione dell'art. 24 Cost., estenderebbe alla specie le garanzie di cui si lamenta la mancata previsione; d) l'imputato sarebbe stato tuttavia perquisito senza l'osservanza di tali garanzie, con conseguente nullità "assoluta ed insanabile" della perquisizione e di tutti gli altri atti compiuti.

Le deduzioni testé esposte non possono essere accolte. Soccorrono in proposito le riflessioni svolte qui di seguito.

5.2 - Lo stesso giudice a quo, com'è riferito in narrativa, asserisce che il verbale dell'avvenuta perquisizione non é stato redatto e trasmesso, nell'apposito modulo ed entro il termine previsto dalla disposizione censurata, alla competente autorità giudiziaria. Si potrebbe, quindi, già per questo dubitare che nella specie difettino gli estremi contemplati dal legislatore perché detta norma riceva applicazione. Anche, poi, a voler condividere l'assunto del giudice a quo, non si può consentire sulle conseguenze che egli ne trae, quanto alla rilevanza della questione sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. Posto, infatti, che la perquisizione nella specie cada sotto la previsione dell'art. 4 della legge n. 152, si versa nel caso eccezionale di necessità ed urgenza ivi configurato, che legittima l'esercizio dell'attività di polizia, anche nella sfera della prevenzione; tale sfera si atteggia peraltro, nella stessa prospettazione del giudice a quo, come estranea e irriducibile al sistema del processo penale: e se così é, una violazione del diritto di difesa non é neppure ipotizzabile.

Invero, dove sussistano gli estremi della necessità ed urgenza, con la conseguente impossibilità del tempestivo provvedimento dell'autorità giudiziaria, la previa autorizzazione di quest'ultima non é prescritta - occorre ricordare - nemmeno ai sensi dell'art. 224 del codice di rito, che ha riguardo, in via generale, alle perquisizioni della polizia giudiziaria. In relazione all'ipotesi qui considerata, il sistema processuale penale non esige né che il perquisito sia avvertito della possibilità di avvalersi del diritto di difesa, né che alcun preavviso sia dato al difensore: per il quale ultimo la facoltà di intervento resta aperta se ne é in concreto possibile l'esercizio, come risulta anche dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze 63/72; 173/74). La richiesta estensione delle previsioni del codice di procedura penale (artt. 224 e 304 ter) al caso di specie - e così all'ambito in cui operano le eccezionali esigenze di necessità ed urgenza, sottostanti alla legge n. 152 - non potrebbe, allora, avere le conseguenze prospettate nell'ordinanza di rinvio. Ammesso pure che il perquisito non sia stato avvertito della possibilità di farsi assistere dal difensore, e che il difensore non fosse presente nel luogo in cui sono intervenuti gli organi perquirenti, ciò non implicherebbe la nullità della perquisizione: e dunque, nemmeno la nullità di tutti gli atti successivi. La dedotta rilevanza della questione, in conclusione, non sussiste.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, sollevata dal Pretore di Pizzo Calabro e dal Tribunale di Rovigo, in riferimento agli artt. 13 e 24 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI – Giuseppe FERRARI – Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 20 settembre 1983.