Sentenza n. 228 del 1983

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SENTENZA N. 228

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) promosso con ricorso della Regione Sardegna, notificato il 25 giugno 1976, depositato in cancelleria il 5 luglio successivo ed iscritto al n. 24 del registro ricorsi 1976 e del quale é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 1976. Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1983 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avvocato Giuseppe Guarino, per la Regione Sardegna, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato il 25 giugno 1976, la Regione Autonoma della Sardegna ha impugnato la legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, chiedendone declaratoria, in via principale, di inapplicabilità nel territorio di essa Regione e, in via subordinata, di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, lett. i, 4, lett. i, e 6 dello Statuto di autonomia.

L'inquinamento delle acque, disciplinato dalla legge statale impugnata, rientra infatti, secondo la ricorrente, nella competenza legislativa ed amministrativa ad essa attribuita nelle materie "pesca" ed "igiene e sanità".

Nel quadro di tali attribuzioni, la Regione avrebbe ereditato dallo Stato le funzioni amministrative concernenti "la sorveglianza ed i permessi per il versamento nelle acque dei rifiuti industriali" (ex art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627). E, per di più, avrebbe con legge regionale 1 agosto 1973, n. 16, già posto a protezione delle acque pubbliche dall'inquinamento, una propria ed organica disciplina legislativa.

Tale ultima normativa - dettata appunto in attuazione di specifiche prerogative statutarie - dovrebbe, sempre ad avviso della ricorrente, ritenersi sottratta all'abrogazione disposta dal primo comma dell'art. 26 legge n. 319 del 1976 e quindi tuttora operante nel territorio sardo.

Qualora, però, il Parlamento avesse inteso assoggettare anche la Regione Sardegna alla normativa introdotta dalla legge impugnata, questa ultima sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 (lett. i), 4 (lett. i) e 6 già indicati, concretando un'arbitraria invasione della sfera di competenza legislativa ed amministrativa della Regione.

Tale assunto troverebbe puntuale conferma in una recente pronunzia della Corte: sentenza 4 luglio 1974 n. 204 (rectius 203), la quale - nello stabilire che spetta allo Stato il potere di autorizzare l'immissione nelle acque marine (al di là del mare territoriale) di rifiuti di lavorazione industriale - avrebbe d'altra parte riconosciuto che l'esercizio di tale potere rientra - fin dove investe la disciplina della salubrità delle acque territoriali - nella sfera di competenza della Regione.

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, per sostenere l'infondatezza del ricorso.

La difesa dello Stato richiama all'uopo le precedenti pronunzie di questa Corte nn. 203/1974 e 23/1957, dalle quali discenderebbe che la disciplina delle immissioni nelle acque del mare di rifiuti industriali, siano essi inquinanti o no, soddisfa un interesse che, indirettamente connesso con quelli caratterizzanti la pesca, é da essi pur sempre diverso; trattandosi in effetti - se si guarda alla materia in questione - di industria, piuttosto che di pesca.

Aggiunge l'Avvocatura che - se é pur vero che con d.P.R. 1965 n. 1627, 1975 n. 480 (art. 20) e 1972 n. 4 (art. 13) - sono state trasferite alla Regione Sardegna le funzioni amministrative concernenti i permessi per il versamento nelle acque (territoriali) dei rifiuti industriali - ciò é avvenuto (come viene precisato nelle sentenze citate) non in attuazione di una competenza statutaria, sibbene attraverso un ampliamento della stessa. Ciò posto, si deduce che un eventuale contrasto tra la legge n. 319 del 1976 ora impugnata ed i precedenti d.P.R. n. 480 del 1975, n. 4 del 1972 e n. 1627 del 1965 non potrebbe in alcun caso giustificare l'avvenuta proposizione, da parte della Regione Sardegna, della questione di legittimità costituzionale a norma dell'art. 32 della legge n. 87 del 1953: la sfera di competenza che la Regione assume invasa risulterebbe, quindi, "assegnata alla Regione stessa non dalla Costituzione e da leggi costituzionali", bensì da leggi ordinarie.

Lo stesso contrasto, se esistente, dovrebbe invece "essere risolto - dal giudice competente e da chiunque sarà chiamato a dare attuazione alla legge - applicando i principi generali in materia di successione delle leggi nel tempo".

3. - All'udienza pubblica del 10 maggio 1983 la difesa della Regione ha chiesto alla Corte di dichiarare la cessazione della materia del contendere, tenuto conto della sistemazione della materia, quale risulta dalla normativa di attuazione dello Statuto sardo, sopravvenuta alla legge statale dedotta in controversia. L'Avvocatura dello Stato si é associata alla richiesta.

Considerato in diritto

Il patrocinio della Regione e l'Avvocatura dello Stato hanno, come si precisa in narrativa, chiesto alla Corte di pronunziare la cessazione della materia del contendere. L'istanza va accolta. Alla normativa censurata é infatti seguito il d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382, e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616". Gli artt. 22 e ss. di tale decreto stabiliscono - direttamente o mediante il richiamo di altra normativa, e sempre con riguardo ai vari possibili aspetti del fenomeno dell'inquinamento - quali funzioni amministrative residuano allo Stato e quali altre, invece, sono rimesse alle Regioni, o agli enti territoriali minori. Queste disposizioni, prodotte in attuazione dello speciale Statuto di autonomia attribuito alla ricorrente, definiscono quindi l'assetto delle competenze, con specifico ed espresso riguardo alla materia, della quale si occupava la legge impugnata. Ciò basta per concludere che la materia del contendere é venuta meno.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.