Sentenza n. 213 del 1983

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SENTENZA N. 213

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 89, comma secondo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) promosso con ordinanza emessa il 13 febbraio 1976 dal Tribunale di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Oliveri Alfredo e l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 344 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 1976.

Visti gli atti di costituzione di Oliveri Alfredo e dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella pubblica udienza del 10 novembre 1982 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

uditi l'avv. Luciano Ventura per Oliveri Alfredo e l'avvocato dello Stato Emilio Sernicola, per l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 13 febbraio 1976, il Tribunale civile di Cagliari ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 89, secondo comma, della legge 30 giugno 1965, n. 1124 il quale, dopo aver statuito che l'istituto assicuratore può disporre che l'infortunato si sottoponga a speciali cure ritenute utili per la restaurazione della capacità lavorativa, al secondo comma stabilisce che durante il periodo di dette cure, fin quando l'infortunato non può attendere al proprio lavoro, l'istituto integra la rendita d'inabilità fino alla misura massima dell'indennità per inabilità temporanea assoluta.

L'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio di appello promosso dal ferroviere Oliveri Alfredo, titolare di rendita per inabilità permanente del 50% da infortunio sul lavoro - ricoverato, per cure, disposte dall'Azienda - ed al quale l'Azienda delle ferrovie aveva corrisposto (quale istituto assicuratore ex lege) l'intera retribuzione, di cui all'art. 91 della legge n. 425 del 1958 ma aveva sospeso l'erogazione della rendita in godimento. Il Pretore aveva rigettato la domanda escludendo il suo diritto a percepire tanto la rendita in godimento quanto il trattamento economico previsto dall'art. 91 della legge 26 marzo 1958, n. 425, nel presupposto che nel calcolo di questo, in base al secondo comma dell'art. 89 del citato d.P.R. n. 1124, doveva essere computato l'ammontare della rendita corrisposta, cosicché l'Oliveri aveva percepito per intero l'indennità spettantegli in base alla legge.

Proposto appello contro tale pronuncia, il Tribunale ha ritenuto senz'altro rilevante la su riportata questione di legittimità costituzionale.

A sostegno della sua non manifesta infondatezza, si afferma che il calcolo della rendita percepita per l'inabilità permanente nell'indennità da corrispondere in caso di assenza dal servizio per cure disposte dall'Azienda, costituisce discriminazione rispetto agli altri casi di assenza per malattia, in cui l'azienda deve corrispondere, oltre l'eventuale rendita in godimento per inabilità permanente, l'intera retribuzione, senza poter operare neppure le detrazioni di certe competenze come é previsto nei casi di inabilità temporanea assoluta causata da infortunio o malattia professionale (art. 91 l. 425/1958). La discriminazione sarebbe tanto meno fondata sia che si consideri l'origine professionale delle menomazioni che determinano l'esigenza delle cure, sia che si consideri la possibilità che di fronte all'inerzia dell'amministrazione queste stesse cure siano volute dall'interessato che, in tal caso, ha diritto di percepire, oltre la rendita, l'intera retribuzione.

Né varrebbe obiettare che il trattamento per i casi di assenza per infortunio o per riapertura di infortunio - non essendo stabilito alcun limite temporale alla erogazione delle prestazioni economiche - é complessivamente migliore di quello assicurato in caso di assenza per malattia (limitato per i ferrovieri dello Stato ad un periodo massimo di 270 giorni). Infatti le assenze dal servizio per riapertura d'infortunio statisticamente sono limitate a periodi di tempo inferiore a quelli in cui in caso di malattia é assicurato il trattamento economico previsto dall'art. 90 della l. n. 425/1958. Pertanto, entro questi limiti temporali la discriminazione operata nei casi di assenza per malattia nei confronti dei dipendenti, titolari di rendita per inabilità permanente, sottoposti a cure disposte dall'azienda, sarebbe di dubbio fondamento, atteso che, in relazione alle finalità della normativa, i diversi casi di assenza dal servizio per cure si traducono in una situazione eguale.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri eccependo in primo luogo che l'ordinanza non sarebbe motivata in ordine alla rilevanza, tenuto conto che l'oggetto della controversia, come configurato dal Tribunale, sarebbe l'accertamento di un eventuale diritto del ricorrente al pagamento della "intera retribuzione" del rapporto impiegatizio, in aggiunta alla rendita infortunistica.

Quanto al merito si sostiene la infondatezza della questione, giacché sarebbe evidente la differenza fra le situazioni regolate dalla norma impugnata del T.U. del 1965, n. 1124 e la tutela del lavoratore prevista per i casi di malattia dalle norme che regolano il rapporto di lavoro. Infatti le norme del citato testo legislativo del 1965 operano nell'ambito del rapporto tra Istituto assicuratore e lavoratore assicurato, in un autonomo sistema previdenziale assicurativo, mentre hanno fini del tutto diversi ed agiscono nel diverso rapporto tra datore e prestatore di lavoro le norme che tendono a garantire, entro determinati limiti di tempo, la protrazione di tale rapporto in caso di malattia del lavoratore ed un congruo trattamento economico.

Si osserva ancora che, a causa della natura assicurativa della tutela apprestata al lavoratore infortunato, la previsione legislativa delle prestazioni dell'istituto assicuratore esclude, di regola, che il datore di lavoro sia soggetto ad altri obblighi che non siano espressamente posti a suo carico dalla legge (art. 10, cit. T.U. del 1965 e art. 2110 c.c.).

Si osserva altresì che le norme per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro attribuiscono al lavoratore infortunato prestazioni, a ristoro del danno subito, con un sistema nel quale ad eventuali riduzioni della misura del risarcimento al danno dell'infortunato fa riscontro una serie di altre norme, le quali si risolvono in un sensibile beneficio per il lavoratore, sia sotto l'aspetto sostanziale, in quanto garantiscono a lui il risarcimento in ogni caso, pur quando l'infortunio sia occorso per caso fortuito o addirittura per colpa, sia sotto quello procedimentale, per l'automaticità della liquidazione dell'indennizzo, che giova a sottrarlo all'esigenza del promuovimento di apposita azione giudiziaria e della conseguente osservanza delle regole sull'onere della prova.

Del tutto estraneo alla disciplina in materia di infortuni sul lavoro sarebbe il problema circa la compatibilità con eventuali diverse provvidenze apprestate per altri fini da altri regimi previdenziali od assistenziali e la cumulabilità che si verifica durante i periodi di malattia del lavoratore per il trattamento previsto per tali periodi e la rendita infortunistica si spiegherebbe per la diversa natura di tali provvidenze.

Si sottolinea che il trattamento economico previsto per il caso di malattia del lavoratore subisce, nel tempo, una limitazione alla quale non é soggetta la prestazione dell'Istituto assicuratore nel caso di assenze per cure mediche o chirurgiche apprestate dallo stesso Istituto. Onde l'asserito svantaggio per il lavoratore infortunato sarebbe compensato da altri benefici previsti dalle citate norme sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e, nella fattispecie, anche dalle più vantaggiose disposizioni in favore del personale delle Ferrovie dello Stato.

Analoghe considerazioni ha svolto l'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, anch'essa costituitasi dinanzi a questa Corte, chiedendo la rimessione degli atti al giudice a quo e, in subordine, declaratoria di non fondatezza della questione.

Si é costituita pure la parte privata, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle dell'ordinanza di rimessione e sostenendo che il diritto a percepire tanto la rendita che la retribuzione potrebbe evincersi da una diversa interpretazione del collegamento fra l'art. 89, secondo comma, del d.P.R. n. 1124/1965 e l'art. 91 della legge n. 425 del 1958. Ha chiesto che in tale caso la questione sia ritenuta manifestamente infondata e in caso diverso che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se l'art. 89, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali") - il quale stabilisce che durante il periodo in cui l'infortunato non può attendere al proprio lavoro per sottoporsi a cure utili per la restaurazione della capacità lavorativa l'Istituto integra la rendita d'inabilità fino alla misura massima dell'indennità per inabilità temporanea - violi il principio d uguaglianza (art. 3 Cost.).

Ad avviso del giudice a quo tale trattamento sarebbe ingiustificatamente deteriore rispetto a quello previsto per altre ipotesi di assenza per malattia, in cui al lavoratore spettano tanto la rendita quanto la retribuzione.

La questione, però é inammissibile.

2. - Nella specie si trattava di un dipendente dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato ed il giudice a quo era chiamato a decidere se a tali dipendenti, sottoposti a ricovero e cura, spetti solo il trattamento ex art. 89 cit. o soltanto quello ex art. 91 della legge 26 marzo 1958, n. 425 ("Stato giuridico del personale delle ferrovie dello Stato"), come modificato con la legge 18 febbraio 1963, n. 304 ("Modifiche allo stato giuridico del personale dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato") o, addirittura, secondo quella che sembra essere il petitum dell'attore nel giudizio a quo, ambedue i trattamenti.

Nel quadro di tale situazione, il giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 89: ma tale questione, come si é accennato, é inammissibile sulla base di quanto esposto nella ordinanza del Tribunale di Cagliari.

Se, infatti, il giudice a quo opina che l'applicazione nella specie dell'art. 91 della legge n. 425 del 1958 possa comportare violazione del principio di uguaglianza, non é l'art. 89 del d.P.R. n. 1124 del 1965 che può meritare censura: l'art. 89 é norma generale per tutti gli assicurati (compresi i dipendenti delle ff.ss., per effetto dell'art. 190 dello stesso d.P.R. n. 1124) e garantisce a costoro, nel cennato caso di ricovero e cura, un determinato trattamento che, secondo il suo dettato letterale, é uguale per tutti.

Se deviazioni o eccezioni vi sono, queste possono essere apportate da altre norme di legge, le quali prevedano un trattamento diverso o pongano in essere un sistema assicurativo diverso per la medesima situazione: ma é del tutto evidente che, mentre il raccordare le norme generali con quelle speciali o eccezionali non costituisce problema di costituzionalità ma problema puramente interpretativo che deve essere risolto dai giudici competenti per il giudizio principale, l'eventuale disparità di trattamento (sempre che le situazioni non siano omogenee, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte) non può essere imputata (come fa il giudice a quo) alla norma generale, ma soltanto, se del caso, alla norma che se ne discosta.

Viceversa il giudice a quo, mentre non ha provveduto ad operare l'esatta interpretazione delle norme in parola attraverso il coordinamento fra il disposto dell'art. 89 e quello degli artt. 90 e 91 già citati, non ha in alcun modo precisato né l'esistenza di situazioni omogenee diversamente trattate dalle norme in parola né la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, semplicemente ed apoditticamente affermata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 89, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali") sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., con ordinanza 13 febbraio 1976 del Tribunale di Cagliari.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 1'l luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI – Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 1 luglio 1983.