Sentenza n. 161 del 1983

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SENTENZA N. 161

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino DE STEFANO, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 23 luglio 1980 e riapprovata il 16 settembre 1980 dal consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia recante norme per la corresponsione di una indennità una tantum ad amministratori locali delle zone terremotate per attività extra-istituzionale svolta per conto dell'amministrazione regionale promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 3 ottobre 1980, depositato in cancelleria il 13 ottobre 1980, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 1980 e del quale é stata data notizia nella G.U. della Repubblica n. 291 del 22 ottobre 1980.

Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi l'avvocato dello Stato Sergio La Porta, per il ricorrente, e l'avv. Gaspare Pacia, per la Regione.

Ritenuto in fatto

Con atto 1 ottobre 1980, notificato il 3 successivo, e depositato presso questa Corte il 13 stesso mese, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedeva dichiararsi l'illegittimità costituzionale della l.r. Friuli-Venezia Giulia, riapprovata il 16 settembre 1980 nel testo già approvato il 23 luglio precedente. Tale legge reca norme per la corresponsione di una indennità a taluni amministratori di enti locali "in relazione all'attività extra- istituzionale dagli stessi svolta per conto dell'Amministrazione regionale medesima quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compiti di cui alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli eventi sismici del 1976": e ciò per il periodo intercorrente dall'attribuzione delle dette funzioni delegate al 31 dicembre 1978. L'indennità veniva fissata in misura diversa a seconda che si fosse trattato di comuni classificati disastrati, oppure gravemente danneggiati, o soltanto danneggiati, dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale 20 maggio 1976 n. 0714 e successive modificazioni. Per quanto poi riguarda i Presidenti delle Amministrazioni Provinciali di Udine e Pordenone, l'indennità va riferita a quella fissata per gli amministratori dei comuni classificati "gravemente danneggiati".

Esponeva l'Avvocatura Generale dello Stato che il Governo aveva già eccepito, nel telegramma 9 agosto 1980 col quale aveva rinviato davanti al Consiglio Regionale la legge approvata il 23 luglio precedente nello stesso testo, che l'indennità così attribuita dava luogo ad una sostanziale duplicazione dell'indennità temporanea già spettante, in base alla l.r. 13 luglio 1976 n. 31, agli amministratori degli enti locali delle zone colpite dal sisma; così concretando violazione del principio di cui al primo comma dell'art. 97 Cost.

Inoltre la prevista estensione dell'indennità in parola ai Commissari di Governo, nominati a seguito dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali, si poneva in contrasto colla riserva statale in tema di controllo sugli organi degli enti locali, di cui all'art. 4 D.P.R. 26 giugno 1965 n. 960.

Nel ricorso, l'Avvocatura, ribadendo i rilievi di cui sopra, precisava che la l.r. 13 luglio 1976 n. 31 era stata più volte prorogata e, da ultimo, fino al 31 dicembre 1981 con l.r. 18 agosto 1980 n. 36 che, all'art. 2 comma secondo, stabiliva la non cumulabilità dell'indennità concessa "con qualsiasi altra prevista per l'assolvimento di incarichi presso lo stesso Ente". Osservava inoltre l'Avvocatura che i compiti previsti dalle leggi ora citate imponevano un impegno "a tempo pieno", e che gli amministratori pubblici sono tenuti, per il fatto stesso della loro preposizione all'Ufficio, anche ad esercitare le funzioni loro eventualmente delegate. Sì che, né sul piano quantitativo né su quello qualitativo, le funzioni menzionate nella legge istitutiva della nuova indennità trovavano giustificazione all'asserita straordinarietà. Per tal modo, il nuovo compenso, che veniva ad aggiungersi eadem ratione a quelli già attribuiti in vista di un eccezionale impegno lavorativo profuso "a tempo pieno" (e perciò insuscettibile di ulteriore dilatazione), non poteva dirsi rispettoso del principio di cui all'art. 97 Cost.

Quanto al secondo motivo di ricorso, rilevava l'Avvocatura che le disposizioni di cui all'art. 3 della legge impugnata contrastano manifestamente coll'art. 4 del D.P.R. 26 giugno 1965 n. 960 che riserva allo Stato la funzione di controllo sui Commissari nominati dal Governo a seguito dello scioglimento dei Consigli degli enti locali. L'investitura statale determina lo "status" di tali organi e la connessa sfera di doveri e diritti, anche in ordine al trattamento economico. L'estensione, pertanto, dell'indennità ai Commissari comporta interferenza della Regione in materia riservata allo Stato.

Con atto 15 ottobre 1980, depositato il giorno successivo, si costituiva la Regione Friuli-Venezia Giulia in persona del Presidente in carica della Giunta Regionale, rappresentato e difeso dall'avv. Gaspare Pacia di Trieste.

Contestava innanzitutto la Regione che la nuova indennità istituita dalla legge impugnata rappresenti una sostanziale duplicazione di quella mensile straordinaria, da ultimo contemplata dalla l.r. 18 agosto 1980 n. 36. Questa, infatti, ha riguardo all'attività istituzionale propria degli enti locali considerati, per la parte che eccede il lavoro ordinario fino al limite del "tempo pieno".

La nuova indennità, invece, sarebbe stata istituita a remunerazione di un servizio singolare di "agente contabile" o di "funzionario delegato" per conto della regione ai sensi degli artt. 56 e segg. del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440. Non si tratterebbe, perciò, di funzioni delegate nell'ambito della regola generale di cui all'art. 11 dello Statuto d'autonomia, ma bensì di una delega a carattere straordinario, di natura contabile, che farebbe assumere uti singulus al funzionario investito particolari e pesanti responsabilità sul piano personale. Conseguentemente non sarebbe pertinente il riferimento al "tempo pieno", perché la distinzione non é da farsi sul piano quantitativo ma su quello qualitativo.

La nuova indennità, quindi, quale semplice corrispettivo di uno dei tanti incarichi che alla Regione é dato di conferire per il raggiungimento dei fini istituzionali, non solo non contrasta coll'art. 97 Cost., ma si giustifica anche nella sua estensione ai Commissari governativi perché non tocca, come tale, la sfera dei controlli riservata allo Stato.

Con successiva memoria, depositata il 28 dicembre 1982, la difesa della Regione sviluppava il concetto di "funzionario delegato od ordinatore secondario di spesa", a favore del quale l'ordinatore primario (l'organo cui istituzionalmente compete di ordinare la spesa) dispone aperture di credito. Spiegava altresì la difesa che l'apertura di credito a favore di organi di enti locali, anziché della stessa Amministrazione regionale, era giustificata dall'ultimo comma dell'art. 1 della l. 8 agosto 1977 n. 546. Questa infatti, consente alla Regione di determinare le procedure relative agl'interventi e alle iniziative assunti nell'ambito delle dette finalità, ove occorra anche in deroga alle norme vigenti, ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato.

Sarebbero, dunque, queste specialissime prestazioni extra ordinem, concernenti la liquidazione, l'ordinazione e l'erogazione di spese regionali che vengono compensate, agli Amministratori locali delegati, mediante l'indennità istituita dalla legge impugnata.

Colla stessa memoria la difesa produceva la relazione 15 settembre 1980 della I Commissione permanente del Consiglio Regionale colla quale si proponeva al Consiglio l'integrale riapprovazione della legge rinviata. Venivano altresì elencate sei delle leggi regionali che avevano previsto le speciali aperture di credito di cui s'é detto.

All'udienza dell'll gennaio 1983 l'Avvocatura dello Stato e il difensore della Regione insistevano nelle rispettive posizioni.

Considerato in diritto

Il ricorso non é fondato.

1. - La legge regionale 16 settembre 1980 n. 98 bis avverte già nell'intitolazione della rubrica, e precisa poi all'art. 1, che si tratta di indennità una tantum corrisposta a taluni sindaci, Presidenti di provincia, e Presidenti di comunità montane e collinari, per "attività extra istituzionale" svolta dai predetti "quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compiti di cui alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli eventi sismici del 1976".

Basterebbe già questo a rendere evidente che si tratta di attività non confondibili con quelle "istituzionali" relative alla cura degl'interessi collettivi, sia pure concernenti la stessa opera di ricostruzione, che i detti amministratori hanno svolto nell'ambito e nell'esclusivo interesse dell'Ente cui sono preposti: attività cui appunto fanno non meno esplicito riferimento la l.r. originaria 13 luglio 1976 n. 31 e le successive proroghe, fino alla l.r. 18 agosto 1980 n. 36, che hanno concesso ai predetti un'indennità mensile straordinaria fino al 31 dicembre 1981.

Né la situazione muta quando si assuma in specifica considerazione l'aspetto relativo al rapporto di delega di funzioni da Regione ad ente locale.

É ben vero, infatti, che l'art. 11 dello Statuto regionale prevede - com'è ovvio - la delegazione a Province e Comuni di funzioni amministrative come espressione del normale esercizio delle funzioni regionali. Ma é evidente che si tratta delle ordinarie funzioni istituzionali, che le Regioni hanno appunto il potere di delegare agli Enti territoriali della propria circoscrizione.

La delega, invece, di cui si parla nell'art. 1 della legge impugnata, é di ben altra natura. Essa intanto non si riferisce agli Enti, come quella dell'art. 11 ora citato, bensì alle persone preposte a quelli e ad altri enti territoriali, e ad attività- come si é detto - "extra-istituzionali" - che gli stessi svolgono "per conto dell'Amministrazione regionale quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compiti di cui alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli eventi sismici del 1976".

Quali fossero in concreto siffatte speciali e straordinarie attività extra-istituzionali che la Regione, già prima, ma particolarmente dopo la L. statale 8 agosto 1977 n. 546, delegava ai singoli funzionari preposti a quegli Enti, risulta dalle disposizioni legislative richiamate sia nell'atto di costituzione della Regione che nella successiva memoria difensiva. Si tratta di un servizio singolare di funzionario delegato quale "ordinatore secondario di spesa": servizio che l'amministrazione regionale dovrebbe svolgere direttamente a mezzo di propri "agenti contabili" o di propri "funzionari delegati" à sensi dell'art. 56 e s. del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, ma che eccezionalmente il legislatore regionale ha consentito di attribuire anche a funzionari estranei all'organizzazione regionale. La possibilità di tale deroga, infatti, é prevista dalla lett. h dell'art. 1 della citata legge statale 8 agosto 1977 n. 546, dove é sancito che "con legge regionale saranno anche determinate le modalità degl'interventi e delle iniziative, nonché le procedure relative, anche in deroga alle norme vigenti, ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato".

Ebbene, le dette delegazioni agli ordinatori secondari di spesa sono state effettuate mediante aperture di credito a loro nome (e non dunque degli Enti), sulla base di particolari leggi regionali via via emanate, e gli ordinatori sono tenuti a risponderne personalmente e a rendere il conto direttamente alla Regione.

In proposito, sono state richiamate le leggi regionali 7 giugno 1976 n. 17, 26 luglio 1976 n. 34, 14 agosto 1976 n. 38, 30 agosto 1976 n. 49, 20 giugno 1977 n. 30, 23 dicembre 1977 n. 63, le quali rispettivamente agli artt. 11, 4 e 8, 5, 7, 14 e 16, 79, dispongono aperture di credito a favore dei Sindaci, Presidenti di Amministrazioni provinciali o di comunità montane o collinari, allo scopo di finanziare lavori di ricostruzione e di restauro, o per risanamento di zone, o acquisti di aule mobili etc.

Non si tratta, dunque, di duplicazione dell'indennità di cui alla legge regionale 31/1976 e seguenti.

2. - Rileva, tuttavia, altresì l'Avvocatura che queste ultime leggi regionali hanno elargito un emolumento a compenso di compiti svolti "a tempo pieno" il quale, non essendo evidentemente ulteriormente dilatabile, postula la ricomprensione nel suo ambito di ogni altra attività conferita ai detti amministratori. Tant'è vero - si soggiunge - che le ulteriori disposizioni contenute nella legge regionale 18 agosto 1980 n. 36, che detta la nuova disciplina dell'indennità straordinaria, esplicitamente prescrivono la non cumulabilità della predetta con qualsiasi altra indennità, proprio perché corrispettivo di un incarico a tempo pieno.

Il rilievo é penetrante ma non puntuale.

A parte, infatti, la considerazione che esso sarebbe esclusivamente riferibile agli amministratori che lo hanno avuto conferito, l'ovvia indilatabilità del cosiddetto "tempo pieno" presuppone il confronto con attività omogenee su di un piano quantitativo. Ma, quando si tratti di attività qualitativamente diverse, non sussiste incompatibilità coll'espletamento di quelle a tempo pieno. La riprova si ha in una più attenta lettura proprio dell'art. 2 comma secondo della invocata l.r. 18 agosto 1980 n. 36, il quale effettivamente divieta la cumulabilità dell'indennità straordinaria con qualsiasi altra indennità, ma sempreché si tratti di "indennità previste per l'assolvimento di incarichi presso lo stesso Ente o presso enti, comunità, aziende, consorzi cui partecipi l'Ente di appartenenza". S'è visto, invece, che si tratta di incarichi extra- istituzionali di "ordinatori secondari di spesa", conferiti dalla Regione nell'ambito di attività sue proprie, di norma riferibili all'area della sua stessa organizzazione.

Non esiste, pertanto, contrasto della legge impugnata con l'art. 97 Cost.

3. - Col secondo motivo, il Governo ha investito anche l'art. 3 della legge in esame, in quanto estende i benefici di cui sinora si é detto ai Commissari nominati a seguito di scioglimento dei Consigli comunali o provinciali.

Secondo il ricorso, la norma contrasta con l'art. 4 del d.P.R. 26 giugno 1965 n. 960 che riserva allo Stato i provvedimenti concernenti la sospensione e lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali, nonché la sospensione, rimozione e revoca dei Sindaci.

Sostiene, infatti, l'Avvocatura che i Commissari, ancorché organi straordinari dell'ente locale, desumono la loro investitura da un atto statuale, che ne determina altresì lo status e la connessa sfera di doveri e di diritti, anche in ordine al trattamento economico.

Ma l'assunto non é accoglibile.

Trattandosi, come la stessa Avvocatura riconosce, dell'ipotesi di sostituzione totale, e non ad acta il Commissario é sicuramente organo dell'ente presso il quale viene inviato, benché di nomina statale, per cui non sembra plausibile l'illazione che se ne vuole trarre. In nessun modo, infatti, interferisce nei poteri riservati allo Stato il riconoscimento da parte della Regione di un compenso al Commissario, per un'attività extra-istituzionale che egli presta per delega, quale ordinatore secondario di spesa, nell'esclusivo interesse della Regione ed in relazione ad attività di pertinenza dell'organizzazione amministrativa di questa. Se il Commissario può essere delegato, così come il Sindaco, sembra anzi giusto che l'onere di quell'attività ricada sull'Ente nel cui interesse viene prestata: così come, del resto, ricadono sul Comune o sulla Provincia le spese per le indennità dovute al Commissario e alla Commissione straordinaria (art. 255 T.U. 1934).

 

É da escludere, pertanto, che la legge impugnata comporti, nel suo art. 4, la dedotta violazione da parte della regione della riserva a favore dello Stato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge regionale Friuli-Venezia Giulia 16 settembre 1980 impugnata con ricorso 1 ottobre 1980 dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento all'art. 97 Cost., nonché agli artt. 5 n. 4 Statuto speciale della Regione Friuli- Venezia Giulia e 4 D.P.R. 26 giugno 1965 n. 960.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1983.

Antonino DE STEFANO – Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 13 giugno 1983