Ordinanza n. 147 del 1983

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ORDINANZA N. 147

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, della legge 10 maggio 1978, n. 170 (Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20) e gli artt. 17,18 e 26 del Regolamento parlamentare, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1979 dal Pretore di Genova, nella procedura relativa alla mancata rinnovazione delle cariche direttive della Cassa di Risparmio di Genova, iscritta al n. 576 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 17 ottobre 1979. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto che con ordinanza 30 maggio 1979 i1 Pretore di Genova ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, della legge 10 maggio 1978, n. 170, e degli artt. 17, 18 e 26 del relativo regolamento parlamentare in riferimento agli artt. 90 e 96 Cost. e 12 legge cost. n. 1 dell'11 marzo 1953;

 

che detta questione é sollevata dal giudice a quo nel corso di indagini da lui condotte sul mancato rinnovo delle cariche direttive della Cassa di Risparmio di Genova, perché si configurerebbero indizi di reati (omissione ed abuso innominato di atti di ufficio) in capo ai ministri componenti il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio all'epoca in cui la Banca d'Italia aveva, in relazione al caso in esame, trasmesso gli elementi necessari e sufficienti per l'emanazione dei provvedimenti di loro competenza;

che, ad avviso del Pretore di Genova, pur trattandosi nella specie di un'ipotesi di reato ministeriale, di fronte alla quale egli é "sul punto di spogliarsi degli atti" (per trasmetterli al Parlamento), sussiste la rilevanza della dedotta questione: le norme denunciate, che disciplinano il giudizio in sede parlamentare, si applicherebbero al medesimo fatto, "che é stato oggetto del giudizio in questa prima fase"; l'assetto delle competenze, sarebbe poi così congegnato, che il giudice ordinario, trasmessi gli atti in Parlamento, può essere successivamente smentito dalla Corte Costituzionale - davanti la quale la Commissione inquirente abbia intanto promosso conflitto negativo di attribuzioni - e così "riavere il processo, eventualmente modificato dalle deliberazioni adottate dalla Commissione", anche con riguardo alla riunione o separazione dei procedimenti, rispettivamente a carico dei ministri e dei cosiddetti coimputati laici; infine, la rilevata continuità del processo innanzi agli organi parlamentari e al giudice ordinario conferirebbe a quest'ultimo il titolo per promuovere il giudizio di costituzionalità anche "in limine", come accade nella specie, all'instaurazione, in sede parlamentare, delle procedure di accusa per gli illeciti ministeriali;

che la non manifesta infondatezza della questione é sostanzialmente argomentata in base al rilievo che l'art. 4 della legge n. 170 del 1978, e le connesse statuizioni del regolamento parlamentare sui giudizi di accusa, attribuiscono alla Commissione poteri deliberanti che, secondo Costituzione, spetterebbero esclusivamente al Parlamento in seduta comune;

che l'art. 26, ultimo comma, di detto regolamento é poi censurato in quanto prescrive la maggioranza assoluta per la messa in stato di accusa dei ministri, mentre si assume che tale aggravamento procedurale valga soltanto per le accuse elevate nei riguardi del Capo dello Stato;

ritenuto altresì che nel presente giudizio ha spiegato intervento il Presidente del consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura dello Stato;

che l'Avvocatura eccepisce in via preliminare l'inammissibilità della questione, la quale investirebbe disposizioni, che non possono venir applicate nel giudizio a quo, o che addirittura, dove le censure di incostituzionalità riguardano previsioni del regolamento parlamentare, devono ritenersi sottratte al sindacato della Corte;

che l'Avvocatura così deduce, nel merito, l'infondatezza della questione: a) la disciplina in esame ha sostanzialmente modificato quella in precedenza dettata dalla legge n. 20 del 1962, ai sensi della quale la Commissione disponeva dei poteri del pubblico ministero nell'istruzione e dello stesso giudice istruttore, mentre ora risulta accentuata la sua fisionomia di organo referente, che può soltanto archiviare le notizie manifestamente infondate o altrimenti riferire al Parlamento, per le deliberazioni di sua competenza; b) l'aver previsto il suddetto potere di archiviazione, a parte le cautele procedurali che ne circondano l'esercizio, non urterebbe comunque contro l'art. 12 legge costituzionale n. 1 del 1953, dovendosi detta statuizione intendere nel senso che essa prescriva l'intervento del Parlamento in seduta comune solo nel caso in cui la Commissione abbia deciso per la messa in stato d'accusa degli inquisiti; c) il parametro testé richiamato non sarebbe offeso nemmeno dal disposto dell'art. 26 del regolamento parlamentare, che per l'accusa dei ministri stabilisce il requisito della maggioranza assoluta: l'invocata statuizione, di rango costituzionale, consentirebbe, invero, la censurata soluzione procedurale, del resto non preclusa dagli artt. 90 e 96 Cost., abilitando specificamente la fonte regolamentare a prevedere nella specie l'adozione di qualsiasi maggioranza, anche aggravata;

considerato che occorre preliminarmente esaminare le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Avvocatura dello Stato;

che il giudice a quo denuncia norme afferenti alle attribuzioni della Commissione inquirente e alle modalità del procedimento di messa in stato di accusa dei ministri; epperò qualsiasi procedimento che, ai fini di un eventuale giudizio di accusa, fosse instaurato avanti agli organi parlamentari, sarebbe, diversamente da come si asserisce nell'ordinanza di rinvio, del tutto autonomo da quello di cui conosce il Pretore di Genova;

che é allora evidente come nel giudizio a quo non possano trovare applicazione le norme oggetto del presente giudizio;

che ciò basta ad escludere che la questione sia stata ritualmente prospettata alla Corte, e quindi assorbe ogni altro rilievo dedotto, in punto di ammissibilità, dall'Avvocatura.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, della legge 10 maggio 1978, n. 170, e degli artt. 17,18 e 26 del relativo regolamento parlamentare, in riferimento agli artt. 90 e 96 Cost. e 12 legge cost. n. 1 dell'll marzo 1953, sollevata dal Pretore di Genova con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1983.

Leopoldo ELIA -  Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 31/05/1983.