Sentenza n. 143 del 1983

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SENTENZA N. 143

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 201 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 maggio 1980 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Tugnoli Rino ed altri e la s.p.a. Centrale Assicurazioni, iscritta al n. 500 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 10 settembre 1980;

2) ordinanza emessa il 14 luglio 1982 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Venturi Viviana ed altri e la s.p.a. Centrale Assicurazioni, iscritte al n. 620 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 344 del 15 dicembre 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1983 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

udito l'avvocato dello Stato Dante Corti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con ricorso, depositato il 25 febbraio 1980, Tugnoli Rino e altri trenta già dipendenti della Centrale Assicurazioni s.p.a., posta in liquidazione coatta amministrativa con d.P.R. 11 agosto 1976 n. 602, (più precisamente presso la delegazione bolognese) chiesero al Pretore di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, a) accertare e dichiarare, in contraddittorio del commissario liquidatore della Società, che i crediti di essi ricorrenti per indennità di anzianità erano produttivi di rivalutazione e interessi anche durante la fase di liquidazione coatta amministrativa, b) accertare che il commissario liquidatore aveva l'obbligo di imputare le spese di gestione proporzionalmente a tutti i cespiti attivi, mobiliari e immobiliari, c) accertare e dichiarare che i ricorrenti avevano diritto di vedere soddisfatti i loro crediti di lavoro subordinato sull'attivo mobiliare, con posposizione esclusivamente ai crediti per spese di giustizia, e che a tale criterio sarebbe il commissario liquidatore dovuto attenere nei riparti parziali, con vittoria di spese e onorari, e, a sostegno di tali conclusioni, allegarono, tra l'altro, A) in punto di fatto che non solo dopo tre anni e mezzo dal provvedimento di messa in l.c.a. non era stato depositato lo stato passivo (adempimento per il quale l'art. 209 l. fall. prevede il termine di novanta giorni dalla messa in liquidazione), ma neppure era stata ricevuta dai lavoratori la comunicazione delle somme risultanti a loro credito, alla quale il commissario liquidatore, a sensi dell'art. 207 l. fall., avrebbe dovuto provvedere entro un mese dalla sua nomina, e che il commissario liquidatore, all'uopo interpellato, aveva precisato che al realizzo mobiliare di lire 324.000.000 e a quello immobiliare di lire 1.117.352.000 facevano riscontro spese per la gestione liquidativa di lire 3.098.151.811, e affacciavano la preoccupazione che l'accumularsi di passività, da pagarsi in prededuzione, finisse con assorbire tutto l'attivo, e B) in punto di diritto che per tutta la fase amministrativa, e cioè fino al deposito dello stato passivo a sensi dell'art. 209 l. fall., si apriva un "vuoto" di giurisdizione che la Corte costituzionale, nella sent. 87/1969, aveva reputato non illegittimo per la sua transitorietà, che in fatto era smentita dalla vicenda della liquidazione de qua.

1.2. - Nel contraddittorio del commissario liquidatore, il quale, nella memoria difensiva di costituzione depositata l'11 aprile 1980, ebbe ad eccepire il difetto di giurisdizione - competenza dell'adito giudice, obiettò che per tre dei ricorrenti si era provveduto alla comunicazione, di cui all'art. 207 l. fall., sotto la data del 7 febbraio 1980 e a numerosi altri, ultimati i conteggi, la si sarebbe tra breve inviata, che la corresponsione degli interessi e la rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, di cui al novellato art. 429, comma terzo c.p.c., poteva formare oggetto di sentenza (non, come dai ricorrenti si faceva istanza, di mero accertamento, ma) di condanna, e che l'art. 2751 bis c.c. si opponeva all'accoglimento delle altre domande attrici, l'adito Pretore, con ordinanza emessa il 24 maggio 1980, comunicata il 9 e notificata il 15 del successivo mese di giugno, pubblicata nella G.U. n. 249 del 10 settembre 1980 e iscritta al n. 500 R.O. 1980, ha giudicato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24 comma primo Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 201 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui, richiamando il comma secondo dell'art. 52 e rendendo applicabili all'accertamento dei crediti anche privilegiati vantati nei confronti dell'ente assoggettato a liquidazione coatta amministrativa le norme riguardanti lo stato passivo stabilite nel Capo V, tit. II r.d. 267/1942, con gli adempimenti di cui agli artt. 207, 208 e 209, attribuisce al liquidatore il potere di procedere entro un termine non perentorio all'iscrizione di crediti ammessi e vieta nel frattempo l'esercizio di azioni individuali a tutela dei crediti stessi, sollecitando il riesame delle ragioni - poste a base della sent. 87/1969 dalla Corte costituzionale - che sarebbero tecnicamente inadeguate (l'azione di responsabilità é proponibile non dai creditori ma dal nuovo liquidatore previa revoca del precedente) o praticamente inefficaci (come la denunzia all'autorità di vigilanza stante la tradizionale lentezza e la scarsa sensibilità dell'amministrazione centrale) anche perché, a) il principio, affermato dalla Corte, secondo cui esigenze generali e superiori finalità di giustizia possono legittimare l'obbligatorio esperimento di preventivi procedimenti amministrativi, perderebbe la sua efficacia giustificativa ove non sia in alcun modo assicurato il rispetto di ragionevoli limiti temporali, b) l'esigenza di contestuale accertamento di tutti i crediti, propria della procedura concorsuale, non sarebbe da porre in contrasto con i diritti dei singoli, ma vuole e deve costituire una modalità di tutela, c) non sarebbe risolutivo il rilievo della Corte, secondo cui i principi generali impediscono l'estinzione dei diritti in pendenza della procedura, dal momento che tali principi, almeno sotto il profilo della garanzia, sono in realtà assoggettati a progressivo svuotamento per effetto della protrazione della procedura medesima, e d) i rimedi indiretti (come la denunzia all'autorità di vigilanza e le stesse sanzioni di natura penale) non potrebbero comunque sostituire "sotto il profilo strutturale e costituzionale la garanzia dell'azione giudiziaria, la quale, in definitiva, per effetto dell'impugnata normativa, é condizionata alla discrezionalità della pubblica amministrazione".

2.1. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 30 settembre 1980, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato, al fine di concludere per la infondatezza della proposta questione, ha osservato che a) tratterebbesi nella specie non di discrezionalità amministrativa ma di adempimenti vincolati della Pubblica Amministrazione anche se la durata ne può variare in relazione alla complessità del compito, b) il coordinamento tra interessi pubblici (che giustificano l'affidamento al commissario della redazione dello stato passivo) e interessi dei creditori sarebbe rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, la cui scelta (orientata verso ipotesi di controlli sulla correttezza dello svolgimento della procedura anziché verso la previsione di termini rigidi) non é del tutto irrazionale e, quindi, sfugge a censure d'incostituzionalità, c) il giudice a quo non avrebbe accertato se il lungo tempo trascorso sia stato richiesto dalla complessità degli adempimenti, d) non risulterebbe che siano stati utilizzati tutti i rimedi (in specie le denunzie penali) che avrebbero potuto sollecitare lo svolgimento della procedura.

2.2. - Nel corso della pubblica udienza dell'8 febbraio 1983, in cui il giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv. dello Stato Corti ha illustrato i già svolti argomenti e le già formulate conclusioni.

3.1. - Con ricorso, depositato l'11 gennaio 1982, Venturi Viviana e altri otto ex dipendenti della Centrale Assicurazioni s.p.a. posta in liquidazione coatta amministrativa con d.P.R. 11 agosto 1976 n 602, (più precisamente presso la delegazione bolognese) chiesero dichiarare e accertare in contraddittorio con il commissario liquidatore che essi ricorrenti avevano diritto al pagamento, come crediti verso la massa pagabili in prededuzione ex art. 111 l. fall., delle somme, che venivano quantificate, spettanti a titolo di indennità di anzianità e, a sostegno di tali conclusioni, allegarono A) in linea di fatto che a) la messa in l.c.a. era stata disposta a seguito della sentenza 4 agosto 1976 dichiarativa dello stato d'insolvenza della Società, pronunciata dal Tribunale di Roma, b) il rapporto di lavoro era stato poi risolto a seguito di licenziamenti a far tempo dal 16 ottobre 1976 con pagamento delle indennità di mancato preavviso, c) tre commissari liquidatori si erano succeduti alla testa della procedura, d) a quasi cinque anni dall'inizio della procedura non ancora era stato depositato lo stato passivo, e) i vari commissari avevano giustificato il rifiuto di prestare anticipi sulle spettanze di indennità di anzianità, perché non era prevedibile alcuna capienza per i crediti retributivi privilegiati in primo grado nell'attivo, da destinare, per contro, essenzialmente alle stesse spese di procedura costituenti oggetto di prededuzione, e B) in linea di diritto che a) i crediti per indennità di anzianità di essi ricorrenti, per essere stati licenziati in tempo successivo alla dichiarazione di stato di insolvenza e alla messa della datrice in l.c.a., alla stessa guisa di ogni altro debito contratto dal commissario liquidatore (così come dal curatore di fallimento e dai commissari giudiziali alle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata), rientrerebbero nelle previsioni dell'art. 111 l. fall., b) tale interpretazione, accolta solo da minoranza giurisprudenziale e dottrinale, sarebbe stata recepita dall'art. 4 d.l. 31 luglio 1981 n. 414 (conv. in l. 2 ottobre 1981 n. 544), il quale, con riferimento alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, prescrive che "Le indennità di anzianità dovute ai dipendenti delle imprese sottoposte alla procedura di amministrazione straordinaria il cui rapporto di lavoro sia cessato dopo l'emanazione del provvedimento che dispone la continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte del commissario, sono considerate per il loro intero importo come debiti contratti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa agli effetti dell'art.111 n. 1 r.d. 16 marzo 1942 n. 267": disposizione di cui la difesa dei ricorrenti s'indugiava a dimostrare la portata comune a tutte le procedure concorsuali, non esclusa quindi la liquidazione coatta amministrativa.

3.2.- Nel contraddittorio del commissario liquidatore, il quale, nella memoria difensiva di costituzione depositata il 19 febbraio 1982, eccepì in linea preliminare il difetto di giurisdizione - competenza del giudice adito e nel merito contestò la portata generale dell'art. 4 d.l. 414/1981 per il collegamento fra tale norma e la continuazione dell'esercizio dell'impresa soggiungendo che la sent. 139/1981 della Corte costituzionale non consentirebbe l'ammissione del credito per danni da svalutazione monetaria e per interessi, l'adito Pretore, con ordinanza emessa il 14 luglio 1982, notificata e comunicata il 23 dello stesso mese, pubblicata nella G.U. n. 344 del 15 dicembre 1982 e iscritta al n. 620 R.O. 1982, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 201 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 per la parte in cui, richiamando il secondo comma dell'art. 52 e rendendo applicabili all'accertamento dei crediti nei confronti dell'ente assoggettato a liquidazione coatta amministrativa le norme riguardanti lo stato passivo di cui al Capo V, tit. II dello stesso r.d. con gli adempimenti di cui agli artt. 207, 208,209, attribuisce al liquidatore il potere di procedere senza un termine perentorio alla iscrizione dei crediti e alla formazione dello stato passivo, vietando per lo stesso periodo indeterminato l'esercizio di azioni individuali a tutela dei crediti stessi, per il contrasto con l'art. 24 comma primo Cost. a) aggiungendo ai motivi, che avevano rinvenuto collocazione nella precedente ordinanza, il richiamo ad una relazione del commissario liquidatore della Società - datata 30 gennaio 1982 ed acquisita agli atti del giudizio pretorile -, nella quale si faceva parola di 15 anni per il deposito dello stato passivo e di ulteriori 15-20 anni per la definizione delle opposizioni e si concludeva nel senso della "inesistenza di basi concrete di fattibilità della procedura allo stato della legislazione", b) precisando che, in concomitanza con la pronuncia della precedente ordinanza, era stato inoltrato rapporto alla Procura della Repubblica di Roma, che peraltro non aveva smosso la situazione esaurentesi in sostanza nella progressiva alienazione degli immobili per fronteggiare le spese di gestione della procedura, c) invocando l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il quale prevede il "diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge", e d) rilevando che "la pratica interpretativa delle norme (in esame), ove non dichiarate illegittime costituzionalmente, costituirebbe una fonte di responsabilità per lo Stato italiano".

4.1. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 4 gennaio 1983, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato a sostegno della eccezione di inammissibilità della proposta questione, ha dedotto che non apparirebbe chiaro se si denunci l'attribuzione della prima fase di accertamento del passivo (non ad un organo giurisdizionale come il giudice delegato, ma) al commissario liquidatore, ovvero la mancata soggezione dell'attività del commissario al rispetto di termini perentori, e, a sostegno della eccezione d'irrilevanza della questione, ha osservato che i crediti da soddisfarsi in prededuzione (quali sarebbero, a giudizio del Pretore, i crediti per indennità di anzianità) non formerebbero oggetto della procedura di ammissione al passivo di crediti concorsuali, mentre per la infondatezza della questione si é rimessa al precedente atto di intervento.

4.2. - Nel corso della pubblica udienza dell'8 febbraio 1983, in cui il giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv dello Stato Corti ha illustrato i già svolti argomenti e le già formulate conclusioni.

Considerato in diritto

5. - La connessione strettissima che li vincola, impone la riunione dei due incidenti, nei quali il Pretore di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, ha sospettato d'incostituzionalità l'art. 201 l. fall. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), che, al fine di disciplinare gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, richiama le disposizioni del Titolo II, Capo III, Sezioni II (effetti del fallimento per i creditori) e IV (effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti) e dell'art. 66 (azione revocatoria ordinaria) sostituendo nei poteri del tribunale e del giudice delegato l'autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e in quelli del comitato dei creditori il comitato di sorveglianza.

Più precisamente, il giudice a quo ha puntualizzato l'impugnazione dell'art. 201 "per la parte in cui, richiamando il secondo comma dell'art. 52 e rendendo applicabili all'accertamento dei crediti anche privilegiati vantati nei confronti dell'ente assoggettato a l.c.a. le norme riguardanti lo stato passivo stabilite nel capo V, titolo II della legge, con gli adempimenti di cui agli artt. 207, 208 e 209, attribuisce al liquidatore il potere di procedere entro un termine non perentorio all'iscrizione di crediti ammessi e vieta nel frattempo l'esercizio di azioni individuali a tutela dei crediti stessi per il contrasto con l'art. 24, comma primo, Cost.".

6.- Senonché dalla ordinanza 14 luglio 1982 (p. 1 della copia pervenuta alla Corte) risulta che i nove lavoratori già dipendenti della Centrale Assicurazioni s.p.a., posta in liquidazione con d.P.R. 11 agosto 1976 n. 602, erano stati licenziati il 15 ottobre 1976 e, avendo ricevuto dal liquidatore soltanto l'indennità di preavviso e non anche l'indennità di anzianità, avevano, con ricorso presentato al Pretore di Bologna l'11 gennaio 1982, chiesto accertarsi il loro diritto ad ottenere il pagamento di varie somme "come crediti verso la massa pagabili in prededuzione ex art. 111 n. 1 r.d. 16 marzo 1942, n. 267".

Tale essendo la res in iudicium deducta, la questione si appalesa inammissibile per ciò che si pongono in concreta considerazione (non quei crediti concorrenti della impresa poi assoggettata a l.c.a. cui si riferisce l'impugnato art. 201, sibbene) crediti pagabili in via di prededuzione ex art. 111 n. 1 l. fall., né il giudice a quo ha speso parola per affermare l'estensibilità del procedimento di ammissione al passivo di creditori concorsuali ai creditori di massa.

7. - Sebbene né dalla motivazione dell'ordinanza 24 maggio 1980 né dai fascicoli della controversia di merito risulti provata la pertinenza della qualità di creditori concorsuali ai lavoratori ex dipendenti della Centrale Assicurazioni s.p.a., che viene data per pacifica, e, pertanto, non sussista la discrepanza avvertita nell'ordinanza 14 luglio 1982, non si può non constatare la sussistenza di altra ragione di inammissibilità provocata da ciò che il giudice a quo mai potrebbe fare applicazione della sentenza che questa Corte andrebbe a pronunciare perché - quali che siano le cadenze temporali dello "stato" amministrativo dell'accertamento del passivo dell'impresa in l. c.a. -lo "stato" giurisdizionale, dominato da concorsualità, compete al tribunale della sede principale dell'impresa (art. 209 l. fall.), né può darsi translatio judicii per non produrre le eventuali denunce dei creditori concorsuali al liquidatore quegli effetti propri della domanda giudiziale che l'art. 90 l. fall. riserva alla domanda di ammissione al passivo fallimentare

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i due incidenti iscritti ai nn. 500 R.O. 1980 e 620 R.O. 1982,

dichiara inammissibile, per irrilevanza, la questione d'incostituzionalità dell'art. 201 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 sollevata, in relazione agli artt. 207, 208 e 209 stesso r.d. e in riferimento all'art. 24, comma secondo Cost., con ordinanze 24 maggio 1980 e 14 luglio 1982 del Pretore di Bologna in funzione di giudice del lavoro.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1983.

Leopoldo ELIA -  Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 31 maggio 1983.