Sentenza n. 136 del 1983

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SENTENZA N. 136

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

          Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, lett. q, della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Protezione della fauna e tutela della caccia), promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1980 dal Pretore di Palermo, nel procedimento penale a carico di Passantino Giovanni Battista, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 25 gennaio 1983.

Visti l'atto di costituzione di Passantino Giovanni Battista e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 gennaio 1983 i1 Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. Michele Costa, per Passantino Giovanni Battista e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- In un procedimento penale avente ad oggetto un'ipotesi di maltrattamento di animali ai sensi dell'art. 727 cod. pen., il Pretore di Palermo ha rilevato che l'art. 20, lett. q, della legge 27 dicembre 1977, n. 968, consente "... di usare volatili di allevamento nelle gare di tiro a volo e, pertanto, funge da scriminante nel caso in esame". Ma lo stesso Pretore - con ordinanza emessa il 4 luglio 1980 - ha conseguentemente sollevato questione di legittimità costituzionale del citato disposto, in riferimento all'art. 3 Cost.. Per effetto della norma denunziata, il maltrattamento di animali nell'ambito del tiro a volo non potrebbe infatti esser punito, restando invece "penalmente censurabile" se realizzato in altre circostanze.

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito l'imputato, chiedendo anzitutto che la questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. Non avendo l'imputato stesso compiuto di persona e neppure ordinato di compiere alcuno degli atti incriminati, egli dovrebbe, cioè, essere comunque "assolto per non aver commesso il fatto".

Nel merito, d'altronde, la questione sarebbe infondata sotto molteplici profili. In primo luogo, la censurata disparità discenderebbe da una norma con la quale il legislatore, nella sua discrezionalità, avrebbe inteso "regolamentare in maniera diversa due diverse fattispecie". In secondo luogo, l'art. 727 cod. pen. non vieterebbe che "nei confronti degli animali si possano usare mezzi coercitivi", ma escluderebbe soltanto che "senza alcuna ragione si compiano delle crudeltà che ripugnano all'animo umano"; il che farebbe pensare - secondo la difesa dell'imputato - che l'art. 20 lett. q della legge n. 968 "non abbia creato una scriminante ma si sia limitato per praticità a codificare una situazione la cui liceità derivava direttamente dai principi generali". In terzo luogo, quanto ai fatti specifici che a giudizio del Pretore integrerebbero gli estremi del maltrattamento, il cosiddetto taglio della coda non concreterebbe una "operazione traumatica" e per di più avvantaggerebbe i piccioni che, proprio in seguito al taglio, più difficilmente potrebbero essere colpiti.

3. - É inoltre intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo che la questione in esame sarebbe, "prima ancora che palesemente infondata, irrilevante ai fini del decidere", poiché la norma denunciata non avrebbe il significato attribuitole dal giudice a quo. Dalla logica e dallo spirito di essa esulerebbe, infatti, "l'intendimento di introdurre una causa oggettiva di giustificazione delle condotte punibili ai sensi dell'art. 727 c.p."; per contro, la norma stessa si limiterebbe "a vietare l'impiego di volatili non di allevamento nelle esercitazioni nelle gare e nelle manifestazioni di tiro a volo, all'evidente scopo di sottrarre a questo uso la fauna selvatica".

Pertanto, la disposizione censurata lascerebbe "intatta la forza incriminatrice della norma penale sul maltrattamento degli animali", la quale potrebbe trovare applicazione in ogni caso di maltrattamento, quand'anche commesso in vista o nel corso di esercizi di tiro a volo.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Palermo ipotizza preliminarmente che la pratica del tiro su volatili, quale si era svolta nella specie sottoposta al suo giudizio, possa concretare il reato di "maltrattamento di animali, previsto e sanzionato dall'art. 727 cod. pen.

Nel caso in esame, l'irrogazione di queste sanzioni sarebbe tuttavia preclusa dalla disposizione dell'art. 20 lett. q della legge 27 dicembre 1977, n. 968, per cui é vietato a chiunque "usare volatili, esclusi quelli di allevamento, nelle esercitazioni, nelle gare e nelle manifestazioni sportive di tiro a volo". Nella parte in cui eccettua dal divieto i volatili di allevamento, la disposizione stessa avrebbe infatti "una indubbia rilevanza penale, potendo ... fungere da scriminante per illeciti che, sostanzialmente punibili ai sensi dell'art. 727 c.p., vengono sottratti all'applicazione di tale norma ... perché formalmente realizzati nell'ambito di una gara di tiro a volo". Ma, precisamente a questa stregua, ne deriverebbe una "palese violazione" del principio costituzionale di eguaglianza, data la discriminazione così operata a favore degli autori di certi maltrattamenti, rispetto alla generalità di coloro che commettano reati della medesima specie.

2. - Tanto la difesa dell'imputato quanto l'Avvocatura dello Stato eccepiscono l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza: ma sulla base di argomentazioni del tutto eterogenee.

Da un lato, si osserva che l'imputato "certamente non ha compiuto alcuno degli atti ritenuti reati dal Pretore di Palermo, né risulta che egli abbia ordinato di fare ciò, talché appare evidente la irrilevanza della questione di costituzionalità dedotta, perché in ogni caso il Passantino dovrà essere assolto per non aver commesso il fatto". Ma l'eccezione non può essere accolta, e non va nemmeno presa in considerazione dalla Corte, in quanto concerne valutazioni spettanti all'esclusiva competenza del giudice a quo.

D'altro lato, si afferma invece che il Pretore di Palermo avrebbe attribuito alla norma denunciata un significato che "esula totalmente dalla logica e dallo spirito" di essa, giacché l'impugnato art. 20 lett. q lascerebbe intatta "la forza incriminatrice della norma penale sul maltrattamento di animali". Ed in questi termini l'eccezione appare fondata, con la conseguenza che l'impugnativa dev'esser dichiarata inammissibile.

3. - Per intendere esattamente natura e portata del divieto in esame occorre tenere anzitutto presente che la legge n. 968 del 1977 ha per tema, oltre e prima ancora che la disciplina della caccia, la protezione e la tutela della fauna selvatica: fauna che l'art. 1 della legge stessa fa coerentemente rientrare nel "patrimonio indisponibile dello Stato", in nome dell'"interesse della comunità nazionale". Si spiega, pertanto, che l'impugnato art. 20 lett. q, al pari degli altri divieti contestualmente previsti, tuteli i soli volatili appartenenti a quel patrimonio faunistico. Ed é in ciò che si risolve l'effetto innovativo della norma in questione, la quale ha in tal senso allargato e generalizza il "divieto di usare pernici, starne e quaglie per i tiri a volo", specificamente stabilito dall'art. 33, primo comma lett. f, del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, laddove nell'art. 33, terzo comma, del previgente testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia si consentiva in modo esplicito "l'uso per i tiri a volo dei colombi, dei passeri e degli storni" allo stato selvatico, purché fosse documentata la legittimità della loro cattura.

Circa i volatili di allevamento, l'art. 20 lett. q si limita invece a riaffermare, in termini generali ed astratti, la possibilità di farne oggetto di esercitazioni, di gare e di manifestazioni sportive di tiro a volo: senza però regolare in nessun modo la materia, in quanto eccedente gli scopi e gli oggetti della legge n. 968 del 1977, e senza comunque interferire nell'applicazione di alcuna norma penale. Vero é che lo stesso divieto di praticare il tiro a volo sulla fauna selvatica non é più penalmente sanzionato come tale (al contrario di ciò che disponeva, per la "selvaggina stanziale protetta", l'ultimo comma del citato art. 33 del testo unico del 1939), ma corrisponde ad un semplice illecito amministrativo, colpito con la sanzione pecuniaria di cui all'art. 31 lett. n della legge n. 968: il che conferma la netta diversità dei piani sui quali si collocano, rispettivamente, la norma impugnata e l'art. 727 cod. pen.

Oltre tutto, nessuna delle modalità (taglio della coda, chiusura in cassette, e via dicendo nelle quali il giudice a quo fa consistere l'eventuale violazione dell'art. 727 cod. pen. ritrova il suo fondamento specifico nell'art. 20 lett. q della legge su la protezione e la tutela della fauna. Lo stesso taglio della coda dei volatili, che per l'ordinanza di rimessione concreterebbe una grave menomazione ed una causa di patimenti suscettibili di realizzare il predetto reato di "maltrattamento", viene previsto unicamente in un cosiddetto regolamento della Federazione italiana tiro a volo (FITAV): é infatti l'art. 42, secondo comma lett. i, del testo accluso agli atti del giudizio pendente dinanzi al Pretore di Palermo, che impone al "direttore di volo" l'obbligo di "controllare che il personale addetto recida la coda dei volatili con le apposite cesoie senza che questa venga, per nessun motivo, strappata od estirpata".

Giustamente, dunque, l'Avvocatura dello Stato conclude che l'art. 727 cod. pen. "deve trovare applicazione ogni qualvolta (e ciò é questione di fatto estranea al giudizio di costituzionalità) in occasione di esercizio del tiro a volo si adottino verso i volatili misure qualificabili come maltrattamenti". Viceversa, l'art. 20 lett. q della legge n. 968 del 1977, non solo non funge da scriminante in ordine agli illeciti penali in esame, ma non rileva affatto ai fini del giudizio a quo, nei termini prefigurati dall'ordinanza di rimessione. Ed é appunto per ciò che dell'impugnativa proposta dal Pretore di Palermo va pronunciata l'inammissibilità, senza affrontare il merito della questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 lett. q della legge 27 dicembre 1977, n. 968, in riferimento all'art. 3 Cost., sollevata dal Pretore di Palermo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 16 maggio 1983.