Sentenza n. 15 del 1983

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SENTENZA N. 15

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 gennaio 1976 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Ferlini Dino e Aerhotel Executive, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 28 aprile 1976;

2) ordinanza emessa il 6 ottobre 1976 dal Tribunale di Avezzano nel procedimento civile vertente tra la Società S.I.L. e Cicchetti Guido, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 94 del 6 aprile 1977;

3) ordinanza emessa il 31 gennaio 1978 dal Pretore di Legnano nel procedimento civile vertente tra Lo Cicero Gaetano e la S.n.c. Conceria Gaiera Giovanni, iscritta al n. 169 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 dell'8 giugno 1978.

Visti l'atto di costituzione di Cicchetti Guido e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso della causa di lavoro in grado di appello, vertente avanti al Tribunale di Avezzano fra la Soc. S.I.L. (Società Idroelettrica Liri) e Cicchetti Guido, ed avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento ad nutum intimato al Cicchetti in applicazione dell'art. 11, primo comma della legge del 15 luglio 1966 n. 604 - che esclude l'operatività delle limitazioni e condizioni poste dalla stessa legge in generale per i licenziamenti individuali - , la detta società affermava la legittimità del licenziamento, osservando che l'ex dipendente era titolare di una pensione statale quale maresciallo dei CC. in congedo e sostenendo, in tesi principale, che ai sensi della detta norma, dovrebbero ritenersi equivalenti alla pensione di vecchiaia tutti i trattamenti pensionistici che abbiano analoga struttura e funzione economico-sociale. In subordine eccepiva l'illegittimità costituzionale della ripetuta norma ove la si interpretasse nel senso della applicabilità ristretta alla sola pensione di vecchiaia, con esclusione quindi degli altri trattamenti pensionistici.

Il Tribunale con ordinanza del 6 ottobre 1976 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata detta questione affermando che la norma impugnata deve interpretarsi restrittivamente, cioè come esclusivamente riferita alla pensione di vecchiaia, trattandosi di norma che fa eccezione alla regola generale di garanzia del posto di lavoro sancita dalla legge n. 604/66, e non suscettibile, quindi, di interpretazione analogica, a norma dell'art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile.

 Ciò posto, prosegue il Tribunale, la norma in esame apparirebbe contraria al principio di eguaglianza perché la differenza di trattamento ivi sancita favorirebbe il datore di lavoro che intende licenziare il dipendente avente diritto alla pensione di vecchiaia, rispetto al datore di lavoro che intenda invece licenziare il dipendente pensionato statale. Tale differenza non potrebbe trovare giustificazione, specialmente nel caso in cui il pensionato statale abbia raggiunto il limite di età di sessanta anni, valido per il conseguimento della pensione di vecchiaia, e ciononostante seguitino ad essere applicabili a suo favore le garanzie stabilite dalla legge n. 604 del 1966 per i soli dipendenti che tale diritto non abbiano maturato. Il lavoratore sessantenne, che abbia maturato il diritto al minimo di pensione di vecchiaia, invero, verrebbe a trovarsi in una situazione di minor tutela di quella garantita invece al lavoratore che abbia maturato o conseguito altro tipo di pensione, di consistenza economica anche notevolmente superiore. Vero é che in base a tali considerazioni emergerebbe ancor più evidente la disparità di trattamento fra lavoratori piuttosto che fra datori di lavoro, ma non per questo la prima perderebbe rilievo e comunque spetterebbe alla Corte stabilire se l'eventuale violazione del principio di eguaglianza vada eliminata con l'estensione al pensionato statale del licenziamento ad nutum, ovvero con l'esclusione di tale possibilità anche per l'avente diritto alla pensione di vecchiaia.

2. - Nel corso di analogo giudizio promosso da Ferlini Dino, titolare di pensione di vecchiaia, contro la ditta Aerhotel Executive, il Pretore di Milano, con ordinanza 10 gennaio 1976 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, suddetto, prospettandone il contrasto con gli artt. 3 e 4 della Costituzione.

A sostegno della censura il giudice a quo afferma che, pur tenendo presente che questa Corte, con la sent. n. 174/71, ha escluso l'illegittimità della detta norma perché la diversità di trattamento ivi sancita a sfavore dei lavoratori che hanno maturato il diritto a pensione di vecchiaia trova adeguata giustificazione quale riflesso di una necessità pratica emergente dalla attuale situazione di incompleta realizzazione della piena occupazione, tale giustificazione non sarebbe valida nel caso in cui, come nella specie, la maturazione del diritto a pensione sia precedente all'instaurazione del rapporto controverso. Invero nell'economia della previsione legislativa in esame dovrebbe ravvisarsi come elemento necessario all'operatività della esclusione la sopravvenienza del diritto a pensione "nel corso del rapporto" in quanto la disparità di trattamento non potrebbe più giustificarsi nel caso in cui il lavoratore abbia già conseguito il diritto a pensione all'inizio del rapporto, data la difficoltà di ravvisare una effettiva differenza economica fra il lavoratore che, già pensionato, si induce tuttavia a riprendere il lavoro per assicurarsi una esistenza libera e dignitosa non garantitagli dalla pensione, ed il lavoratore che non abbia invece ancora conseguito il diritto a pensione. Inoltre escludendo la limitazione ipotizzata, si porrebbe un incentivo all'assunzione dei lavoratori anziani già pensionati, con pregiudizio per l'occupazione dei lavoratori più giovani.

3. - Sempre nel corso di una causa di lavoro, questa volta vertente fra Lo Cicero Gaetano e la Soc. ConceriaGaiera Giovanni, avente parimenti ad oggetto l'impugnativa del licenziamento ad nutum intimato verbalmente al Lo Cicero, a norma dell'art. 11, primo comma, l. 604 del 1966 in quanto pensionato per vecchiaia, il Pretore di Legnano con ordinanza del 31 gennaio 1978 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della detta norma per presunto contrasto con gli artt. 3 e 35 della Costituzione.

Il giudice a quo ritiene che l'esclusione della forma scritta per i licenziamenti individuali consentita dalla norma impugnata nei confronti dei lavoratori pensionati per vecchiaia in deroga a quanto disposto in linea generale dall'art. 2 della detta legge, concreterebbe una irrazionale disparità di trattamento rispetto agli altri lavoratori in quanto la forma scritta oltre a consentire il controllo della sussistenza di legittimi motivi di licenziamento, tenderebbe a garantire la certezza del rapporto giuridico ed il rispetto della dignità del lavoratore, esigenze queste che sussisterebbero in egual modo per tutti i lavoratori, pensionati o no.

Le ordinanze di cui sopra, ritualmente notificate e comunicate, sono state rispettivamente pubblicate sulla G. U. nn. 112 del 28 aprile 1976, 94 del 6 aprile 1977, 158 dell'8 giugno 1978.

4. - Nel giudizio proveniente dal Tribunale di Avezzano si é costituita la parte privata, rappresentata e difesa dall'avv. prof. Natalino Irti che nelle deduzioni tempestivamente depositate si limita a concludere per l'accoglimento della questione, riservandosi di presentare memoria illustrativa.

In tutti i giudizi sopra menzionati si é poi ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nel giudizio proveniente dal Pretore di Milano, dopo aver richiamato la sent. n. 174/71 della Corte con cui, come sopra si é detto, é stato riconosciuto che la licenziabilità dei lavoratori di cui all'art. 11, primo comma, non contrasta con gli artt. 3 e 4 della Costituzione, per cui nella situazione sociale di disoccupazione e sottoccupazione la ridotta tutela del lavoro sancita dalla norma predetta costituisce il riflesso giuridico di una necessità pratica autonomamente valutabile dal legislatore, l'Avvocatura afferma che, comunque, la disposizione dell'art. 11, primo comma, in esame, deve essere interpretata nel senso che debba intendersi riferita oggettivamente al possesso dei requisiti per avere diritto a pensione indipendentemente dal momento in cui tale possesso si sia realizzato, giacché essa si fonda appunto sull'acquisizione del diritto stesso da parte del lavoratore, e sulla garanzia che viene assicurata la soddisfazione dei suoi bisogni, per cui ovviamente non può influire la circostanza che detta acquisizione sia avvenuta prima o durante il rapporto di lavoro controverso.

D'altra parte, pur convenendo che ritenere applicabili a coloro che sono già pensionati al momento dell'assunzione le garanzie degli altri lavoratori potrebbe in effetti consolidare la situazione dei lavoratori già occupati a scapito delle forze di lavoro più giovani, in difformitàdello scopo perseguito in realtà dal legislatore, l'Avvocatura afferma tuttavia che la limitazione dell'applicabilità della norma ai soli lavoratori che maturano il diritto a pensione durante il rapporto di lavoro concreterebbe una patente violazione del principio di eguaglianza perché, a parità di condizioni (garanzia del sostentamento attraverso la pensione) si determinerebbe una discriminazione irrazionale in quanto collegata solo al momento della maturazione del relativo diritto.

Nella causa proveniente dal Tribunale di Avezzano l'Avvocatura contesta l'interpretazione della norma impugnata seguita dal giudice a quo ed afferma che l'applicabilità della norma stessa dovrebbe ritenersi estesa anche ai lavoratori che abbiano maturato il diritto ad una pensione diversa da quella di vecchiaia.

Invero l'art. 11, primo comma, predetto, non potrebbe considerarsi norma eccezionale, ma dovrebbe semplicemente riguardarsi come una limitazione posta in via generale alle garanzie stabilite dalla legge a favore dei lavoratori, chiaramente ispirate ad evitare il pregiudizio di essere privati della retribuzione e del trattamento di quiescenza, pregiudizio ovviamente non ipotizzabile a danno di lavoratori già aventi diritto a pensione.

Comunque, diversamente da quanto affermato dal giudice a quo, ritenere applicabile la norma in relazione a tutte le forme di pensione, non sarebbe frutto di interpretazione analogica, ma meramente estensiva in quanto si tratterebbe di un caso in cui il legislatore minus dixit quam voluit, e sarebbe quindi lecito, in vista della ratio legis, applicare la disposizione ad un numero di casi più ampio di quello che la dizione letterale comporterebbe. E la ratio legis emergerebbe chiaramente dalla sent. n. 174/71 di questa Corte ove si affermerebbe appunto che il motivo di fondo della disposizione deve ricercarsi nella insussistenza, per i lavoratori aventi diritto a pensione, del pericolo di restare senza sostentamento per effetto del licenziamento.

Con ciò la denunziata diversità di trattamento non sussisterebbe e di conseguenza la censura dovrebbe essere dichiarata infondata.

Nella causa proveniente dal Pretore di Legnano, l'Avvocatura osserva infine che la questione ivi proposta non differirebbe sostanzialmente da quella esaminata e risolta con la ripetuta sentenza n. 174/71 con cui é già stata valutata positivamente la razionalità del diverso trattamento riservato ai lavoratori pensionati. Comunque, poiché la previsione della forma scritta avrebbe solo carattere strumentale rispetto all'esigenza di tutela sostanziale nei confronti del licenziamento, già ritenuta dalla Corte non in contrasto con la Costituzione, l'inapplicabilità della tutela comporterebbe necessariamente l'inapplicabilità delle disposizioni ad essa strumentali, e non avrebbero quindi rilevanza le affermazioni al riguardo del giudice a quo.

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni sulle quali la Corte deve pronunciarsi riguardano tutte l'art. 11, primo comma, della l. 15 luglio 1966, n. 604, e pertanto, anche se viene fatto riferimento a diversi parametri costituzionali, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Con l'ordinanza del Tribunale di Avezzano si denunzia l'art. 11, primo comma, suddetto, affermandosi che esso sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza nella parte in cui consentirebbe il licenziamento ad nutum del prestatore di lavoro che abbia maturato il diritto alla pensione di vecchiaia ed escluderebbe, invece, tale facoltà nei confronti del prestatore di lavoro che sia titolare di pensione per servizio prestato allo Stato o ad altro ente pubblico. In particolare, secondo quanto risulta dall'ordinanza, la fattispecie da cui trae origine il giudizio principale si riferisce al licenziamento ad nutum intimato ad un prestatore di lavoro, titolare di pensione statale quale maresciallo dei C.C. in congedo, titolarità che il giudice a quo riteneva non ostativa alla conservazione del posto di lavoro, che, come si é detto, sarebbe esclusa soltanto nei confronti di coloro che abbiano i requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia.

La questione, così come é formulata, non é ammissibile.

Invero dall'ordinanza risulta soltanto, genericamente, la qualifica del lavoratore ed il godimento di una pensione collegata al servizio prestato, ma difetta qualsiasi altra univoca e concreta indicazione atta a definire in modo più preciso la natura della pensione stessa, in particolare per quanto riguarda l'età in cui il collocamento a riposo é avvenuto.

Deve ricordarsi in proposito che i sottufficiali delle forze armate possono essere collocati in pensione per cause varie, collegate sia all'età sia alle vicende della loro carriera. La cessazione dal servizio di detti soggetti si verifica in conformità delle norme concernenti il loro stato giuridico (art. 4 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092) e può avvenire in presenza di varie circostanze tra cui, principalmente: 1) il raggiungimento dei limiti di età (anni 56 ex art. 3 legge 11 dicembre 1971 n. 1090) dopo il periodo minimo di servizio effettivo (art. 52 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092); 2) infermità, dipendente o non da causa di servizio, che determini l'inabilità permanente al servizio incondizionato (art. 29 l. 31 luglio 1954 n. 599); 3) sopravvenuta inidoneità a disimpegnare le attribuzioni del grado per insufficienza delle qualità necessarie (art. 33 l. 31 luglio 1954 n. 599); 4) a domanda dell'interessato, che ha diritto in tal caso alla pensione risultante dall'anzianità conseguita.

Ora é evidente che il raffronto tra la fattispecie dedotta ed il tertium comparationis, cioè la situazione dell'avente diritto alla pensione per vecchiaia, é reso impossibile dalla mancata individuazione della situazione da esaminare nell'ambito delle variabili che possono realizzare il diritto a pensione dei sottufficiali dei C.C., segnatamente per quanto riguarda l'età del titolare, rispetto alla costanza ed univocità degli elementi che stanno invece alla base del diritto a pensione di vecchiaia, identificabili sempre e soltanto nel raggiungimento di una età fissa (anni 60 per l'uomo) e nel versamento dei contributi assicurativi corrispondenti all'anzianità minima (anni quindici).

Ed é chiaro che detta individuazione é indispensabile ai fini della pronuncia, investendo elementi di fondamentale importanza per il giudizio di comparazione demandato alla Corte ed anche per accertare il requisito della omogeneità delle situazioni dedotte.

Si impone pertanto la declaratoria di inammissibilità della questione in esame.

3. - Con l'ordinanza del Pretore di Milano la questione di legittimità del citato art. 11, comma primo, é stata prospettata sotto il profilo della pretesa disparità di trattamento che deriverebbe dalla esclusione delle garanzie della stabilità del posto di lavoro anche per i lavoratori già pensionati per vecchiaia prima della costituzione del rapporto di lavoro, oltre che dei lavoratori che conseguano il diritto a pensione nel corso del rapporto, disparità che si evidenzierebbe sulla base della ritenuta omogeneità fra la situazione dei lavoratori già pensionati che riprendono il lavoro per necessità e quella degli altri lavoratori che tale diritto non abbiano ancora conseguito.

L'assunto non é fondato.

Con la sentenza n. 174/1971 questa Corte ha invero affermato che, nei riguardi dei lavoratori che si trovino ad avere conseguito il diritto a pensione di vecchiaia, un trattamento diverso da quello previsto per i lavoratori non anziani risponde a ragioni ben concretamente coerenti ed adeguate in quanto la loro licenziabilità "non ha riscontro nell'eventualità che essi possano rimanere senza retribuzione e senza trattamento di quiescenza per vecchiaia" onde "in una società come quella attuale in cui si hanno disoccupazione e sottocupazione, la mancata piena tutela del diritto al lavoro, per quei lavoratori, é il riflesso giuridico di una necessità pratica autonomamente valutabile dal legislatore".

La ratio della disposizione così identificata dalla Corte in ragioni generali di politica sociale deve ritenersi valida ed operante anche nei confronti dei lavoratori già pensionati per vecchiaia al momento della costituzione del rapporto di lavoro. Il diritto a pensione rappresenta invero per il lavoratore anziano una sufficiente ed obiettiva ragione di esclusione della garanzia di stabilità dell'impiego, indipendentemente dalla circostanza che esso venga conseguito prima o durante il rapporto di lavoro. E ciò senza che ovviamente possano influire in contrario i motivi per cui il lavoratore già pensionato per anzianità si sia indotto a riprendere il lavoro, ed ai quali fa riferimento l'ordinanza di rinvio nell'intento di rafforzare le argomentazioni a sostegno della pretesa irrazionalità della dedotta disparità di trattamento.

L'inconveniente pure lamentato, secondo cui il datore di lavoro sarebbe indotto a preferire lavoratori pensionati, licenziabili, rispetto ai giovani disoccupati non licenziabili, non é d'altra parte determinante perché trattasi di eventuale pregiudizio di fatto inidoneo a sorreggere una pronuncia di illegittimità.

L'art. 4 Cost. pure invocato é poi chiaramente fuori causa, in quanto la disposizione ivi contenuta non si estende fino alla garanzia della occupazione a favore di ciascun cittadino né al diritto alla conservazione del lavoro (sentt. 45/65; 174/71); non può quindi ritenersi operante nella fattispecie, anche a voler prescindere dalla considerazione che, per le ragioni sopra enunciate, sussistono motivi adeguati per legittimare la cessazione del rapporto.

4. - Secondo l'ordinanza del Pretore di Legnano, la norma impugnata, consentendo l'esclusione della forma scritta per il licenziamento dei lavoratori aventi diritto alla pensione di vecchiaia, in difformità da quanto previsto in generale dall'art. 2 della stessa legge per i licenziamenti individuali, concreterebbe una irrazionale disparità di trattamento rispetto agli altri lavoratori, a favore dei quali é prevista detta condizione.

La forma scritta, invero, tenderebbe sostanzialmente a garantire, con la possibilità di controllo dei relativi motivi, la certezza del rapporto giuridico di lavoro e la dignità del lavoratore; la disposizione impugnata si porrebbe quindi in contrasto con gli artt. 3 e 35 Cost.

Il giudice a quo ripropone così nella sostanza la questione già risolta dalla Corte con la citata sent. n. 174/71, e la diversa opinione espressa nell'ordinanza di rimessione rispecchia alcuni rilievi dottrinali, i quali, appunto, si fondano principalmente sulla importanza decisiva che assumerebbe la garanzia del posto di lavoro per l'anziano come tutela della dignità dell'uomo.

Ma la citata giurisprudenza della Corte chiarisce che sussistono valide ragioni per sancire la differenziazione di trattamento fra lavoratori pensionati e non, e rende manifesto come il legislatore, in materia, si sia mosso nell'ambito della discrezionalità che gli é propria, limitata soltanto dall'osservanza del criterio della ragionevolezza. La evidente strumentalità della forma scritta del licenziamento ai fini della attuazione della garanzia della stabilità del posto di lavoro rende palese che la modalità in questione non ha ragione di essere osservata in relazione alla intimazione del licenziamento effettuata in un rapporto di lavoro che la legge, per gli esposti giustificati motivi, non ha ritenuto di tutelare.

Tali considerazioni, ovviamente, si riflettono anche sulla censura riferita alla pretesa violazione dell'art. 35 Cost., il quale si limita ad enunciare il criterio generale ispiratore di tutte le disposizioni comprese nel tit. III Cost. una volta stabilito che, come sopra si é già affermato, la affievolita tutela del rapporto di lavoro del pensionato non contrasta con le previsioni degli altri precetti costituzionali invocati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma l. 15 luglio 1966 n. 604 sollevata con ordinanza del Tribunale di Avezzano del 6 ottobre 1976 in riferimento all'art. 3 Cost.;

2) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della detta norma sollevate con ordinanza del Pretore di Milano del 10 gennaio 1976 in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost. e con ordinanza del Pretore di Legnano del 31 gennaio 1978 in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 1 febbraio 1983.