Sentenza n. 14 del 1983

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SENTENZA N. 14

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 20 luglio 1978 e riapprovata il 25 settembre 1978 dal Consiglio regionale della Campania avente per oggetto "Attività formative per la professione di ostetrica" promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 14 ottobre 1978, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 1978.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Giunta regionale della Campania;

udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1982 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avv. Giuseppe Abbamonte, per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso in data 10 ottobre 1978 (reg. ric. 29/1978) il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha impugnato la legge riapprovata dalla Regione Campania il 25 settembre 1978, recante "attività formative per la professione di ostetrica", chiedendo che ne fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione.

2. - Premesso che con la legge in questione la Regione ha inteso disciplinare le funzioni amministrative relative alla formazione degli operatori sanitari, e delle ostetriche in particolare, l'Avvocatura osserva che con essa si é stabilito: che i corsi di formazione professionale siano affidati ad enti ospedalieri che abbiano i necessari requisiti tecnici; che il personale docente sia tratto da quello già in organico presso l'ente ospedaliero gestore dei corsi stessi; che essi hanno durata biennale e che possono esservi iscritte le donne in possesso del diploma di infermiera professionale; che, infine, alla data di entrata in vigore della legge, decadono le convenzioni stipulate tra Università ed enti ospedalieri per la gestione delle scuole di ostetricia.

Tutto ciò costituirebbe, a parere dell'Avvocatura, un'invasione della sfera riservata allo Stato, essendo riservate allo Stato, sia la formazione professionale dell'ostetrica e l'ordinamento delle scuole di ostetricia universitaria ed autonome "da considerarsi equiparate al livello universitario (r.d.l. 15 ottobre 1936, n. 2128, e relativo regolamento 24 luglio 1940, n. 1630) e pertanto sottratte alla competenza regionale ai sensi dell'art. 27, lett. i), del d.P.R. n. 616 del 1977", sia la previsione dei requisiti di ammissione a dette scuole ex art. 30, lettera s), dello stesso d.P.R. Lo stesso r.d.l. n. 2128 del 1936 dispone pure: che "gli studi per il conseguimento del diploma di ostetrica si compiono nelle scuole di ostetricia annesse alle cliniche ostetrico - ginecologiche delle Università nonché in scuole di ostetricia autonome istituite con decreto presidenziale su proposta del Ministero della pubblica istruzione e vigilate dalle Università"; che "il direttore delle prime é lo stesso direttore della clinica ostetrico - ginecologica ed il relativo personale assistente tecnico e subalterno fa parte del personale universitario"; che, per "le scuole più sopra indicate per seconde, il decreto presidenziale di istituzione stabilisce il ruolo organico ed il trattamento economico del personale direttivo, assistente e tecnico che viene determinato in misura non superiore a quello del personale statale corrispondente".

Inoltre - continua il ricorso - identici a quelli dei professori universitari sono stato giuridico e modalità di nomina dei professori - direttori di tali tipi di scuole ed analogo a quello del personale universitario é lo stato giuridico del personale tecnico e subalterno, e l'accesso alla scuola é consentito solo a coloro che abbiano conseguito il diploma di Stato per l'esercizio della professione di infermiera in una delle scuole convitto di cui all'art. 35, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, o alle studentesse di medicina e chirurgia che abbiano già superato determinate prove di esame (art. 3, legge 23 dicembre 1957, n. 1252). E nulla rileva in contrario la sentenza n. 128 del 1977 di questa Corte, la quale ha affermato, sì che le scuole in questione non sarebbero di ordine universitario e che la formazione degli operatori sanitari in questione atterrebbe al settore dell'istruzione professionale di competenza regionale, ma perché era stata chiamata a decidere della costituzionalità del diverso trattamento economico dei direttori delle scuole autonome statali di ostetricia di Trieste e Venezia - determinato per legge in ragione della loro posizione di impiegati dello Stato - rispetto a quello dei professori - direttori delle altre scuole autonome di ostetricia, mentre nel caso in esame "é in questione un evidente straripamento della competenza regionale".

La diversità del trattamento economico dei direttori delle scuole in questione rispetto a quello dei professori universitari (trattamento che non può essere superiore a quello del personale statale corrispondente ex art. 7, r.d.l. 15 ottobre 1936, n. 2128) non escluderebbe, insomma, in relazione agli obblighi di insegnamento dei professori - direttori di dette scuole (quali fissati dal regolamento 24 luglio 1940, n. 1630) ed alla possibilità data ai professori delle scuole autonome di ostetricia di passare a domanda nel ruolo dei professori universitari (ex legge 30 novembre 1973, n. 766; e si veda, per gli assistenti, l'art. 4, legge 24 giugno 1950, n. 465), che entrambe le categorie appartengono "a due ruoli dell'insegnamento universitario".

Ulteriori argomenti a suffragio del livello universitario dei corsi di formazione delle ostetriche vengono infine indicati nelle circostanze che i diplomi abilitanti all'esercizio della professione vengono rilasciati dall'Università a firma del Rettore; che l'art. 18, r.d.l. 15 ottobre 1936, n. 2128 dispone che "il parto deve essere assistito da una levatrice o da un medico chirurgo"; che "il tutto si svolge, per legge, sotto la vigilanza del Ministero della pubblica istruzione, mentre con la legge impugnata la vigilanza passerebbe all'Assessore alla sanità". E ciò sarebbe in insanabile contrasto con la citata legge n. 766 del 1973 che, proprio in considerazione del livello universitario dei corsi di ostetricia, ha ritenuto di inquadrare nel ruolo universitario i direttori delle scuole in questione, i quali avevano peraltro già superato un concorso a livello universitario.

3. - La Regione Campania, costituitasi in giudizio, ha chiesto che il ricorso venga rigettato, ed ha negato in particolare, che l'inquadramento nel ruolo universitario dei direttori delle scuole di ostetricia - i cui corsi, peraltro, "non possono considerarsi a livello universitario", secondo quanto statuito dalla Corte con la citata sentenza - possa comportare limiti di sorta alla potestà legislativa regionale, nella specie esplicatasi allo scopo di disciplinare le funzioni amministrative relative alla formazione degli operatori sanitari, svincolando gli enti ospedalieri dalle convenzioni con le università. Altro, invero, é la qualificazione dei docenti nelle scuole di formazione professionale, altro la qualificazione del corso come universitario o post - universitario, a caratterizzare il quale non valgono certo i doveri che all'ostetrica incombono in base all'art. 11, r.d. 26 maggio 1940, n. 1364, al D.M. 11 ottobre 1940 ed al T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, i quali trovano comunque "il proprio limite nell'intervento del medico, in attesa del quale l'ostetrica medesima deve essa stessa astenersi da ogni intervento".

Ulteriore argomento contrario alla qualificazione delle scuole di formazione degli operatori sanitari - ed in particolare delle scuole di ostetricia - come di livello universitario deriva poi dagli artt. 40 e 41, d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, nella parte in cui equiparano le attribuzioni del personale di assistenza ostetrica a quelle del personale infermieristico.

In conclusione, con il realizzarsi della riforma sanitaria, al diffuso regime di convenzioni con le università per la gestione delle scuole di formazione degli operatori sanitari ed alla conseguente osmosi tra istruzione universitaria ed insegnamento in dette scuole, si va sostituendo la gestione autonoma di tali servizi da parte delle regioni. Il che, appunto, con la legge denunziata si é inteso fare.

4. - Alla pubblica udienza del 14 aprile 1982, mentre la difesa dello Stato si é richiamata, sviluppandoli, ai motivi già esposti nel ricorso, la difesa della Regione, della quale non era stata accolta per tardività una memoria illustrativa, ha fatto osservare che, distinguendosi l'ostetricia in diagnostica e terapeutica, l'ostetrica, da comprendersi tra gli "operatori sanitari" secondo l'art. 27, lett. I, del d.P.R. n. 616 del 1977, si limita ad assistere, senza alcuna possibilità di diagnosticare. E tale posizione troverebbe conferma nel d.P.R. n. 761 del 1979 sullo "stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali", che nella tabella allegato 2 colloca l'ostetrica tra il "personale infermieristico" sotto la specifica voce "operatore professionale di prima categoria".

Considerato in diritto

1. - La legge riapprovata dal Consiglio regionale della Campania il 25 settembre 1978 ed impugnata dal Governo con ricorso notificato il 14 del successivo mese di ottobre e depositato il 24 dello stesso mese (reg. ric. n. 29/1978), ha inteso disciplinare "l'attività formativa per la professione di ostetrica" (art. 1, capoverso). All'uopo, essa ha stabilito di affidare l'esercizio di tale attività agli enti ospedalieri, traendo esclusivamente da questi il personale docente, assistente e subalterno (art. 2) e facendo rinvio, alle norme dell'anteriore legge regionale 30 luglio 1977, n. 40 per ciò che concerne, non solo "la formulazione, il finanziamento, l'attuazione", ma anche "il controllo dei programmi di formazione professionale, le prove di esame, gli attestati ed i diplomi di ostetrica", ed al regio decreto 24 luglio 1940, n. 1630, per ciò che concerne "l'ordinamento degli studi" (art. 3, penultimo ed ultimo comma); ha disposto altresì che "per il conseguimento del diploma di ostetrica", i corsi, cui possono iscriversi le donne "in possesso del diploma di infermiera professionale", hanno la durata di due anni, e che "la vigilanza compete alla Giunta regionale" a mezzo dell'Assessore alla sanità (art. 4, primo, secondo e quarto comma). La legge in parola risulta dichiaratamente emanata "ai sensi dell'art. 1, lett. b), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10 e degli artt. 27, lett. i), e 35 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nel quadro delle funzioni regionali in materia di formazione professionale".

2. - L'impugnativa del Governo poggia sul presupposto che la formazione professionale dell'ostetrica, nonché l'ordinamento delle relative scuole, pertengono esclusivamente al settore universitario, a norma del regio decreto legge 15 ottobre 1936, n. 2128 e del relativo regolamento 24 luglio 1940, n. 1630, "con la conseguenza che i corsi di cui tratta la legge regionale impugnata rientrano nella competenza statale e sono esclusi dalla competenza regionale a norma della lett. i) dell'art. 27 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della lett. s) dell'art. 30 stesso d.P.R.". Tanto é vero ciò - prosegue la difesa dello Stato - che: le scuole di ostetricia o sono annesse alle cliniche ostetrico - ginecologiche universitarie o sono istituite con decreto presidenziale e "vigilate dalle Università"; il direttore delle scuole annesse é lo stesso direttore della clinica universitaria e quello delle altre scuole é nominato, per concorso o per trasferimento, con le stesse modalità e con lo stesso stato giuridico prescritti per i professori universitari; "per quanto poi concerne lo stato giuridico del personale assistente tecnico e subalterno si applicano in quanto possibile, le disposizioni relative alle corrispondenti categorie universitarie"; alle suddette scuole sono ammesse le donne in possesso del diploma di infermiera rilasciato dallo Stato ovvero le studentesse in medicina e chirurgia che superino le "prove di esame di anatomia, fisiologia, patologia generale, elementi di igiene, tecnica assistenziale infermieristica" o abbiano già superato "gli esami dei corsi di medicina e chirurgia (art. 3, legge 23 dicembre 1957, n. 1252)"; "i diplomi abilitanti alla professione vengono rilasciati dall'Università a firma del Rettore"; "il parto dev'essere assistito da una levatrice o da un medico chirurgo" e, a norma dell'art. 18 del già menzionato r.d.l. n. 2128/1936, l'una é tenuta, al pari dell'altro, a redigere il prescritto certificato di assistenza, che deve poi essere prodotto all'ufficiale sanitario del Comune. Ancora secondo la difesa dello Stato, non sarebbe rettamente invocata dalla regione Campania la sentenza n. 128 del 1977, con la quale questa Corte ha negato che la formazione dell'ostetrica sia a livello universitario, giacché allora "la Corte era stata chiamata a decidere della costituzionalità o meno del diverso trattamento economico dei Direttori delle scuole autonome statali di ostetricia di Trieste e di Venezia - determinato per legge in ragione della loro posizione di impiegati dello Stato - rispetto a quello dei professori direttori delle altre scuole autonome di ostetricia". A sostegno, infine, della tesi dell'equiparazione tra professori universitari e Direttori di scuole di ostetricia, l'Avvocatura dello Stato ricorda che la legge 30 novembre 1973, n. 766 ha disposto il passaggio di questi ultimi, a domanda, nel ruolo dei professori universitari, e che già la legge 24 giugno 1950, n. 465 (art. 4) aveva consentito tale passaggio agli Assistenti delle medesime scuole.

3. - L'art. 33, ultimo comma, Cost. comprende le Università tra "le istituzioni di alta cultura" e riconosce a queste "il diritto di darsi ordinamenti autonomi".

a) Appaiono conformi alla configurazione delineata dal legislatore costituente, non solo la legge 11 luglio 1980, n. 382, il cui art. 63, primo comma, recita testualmente che "l'Università é sede primaria della ricerca scientifica", ed il cui Capo V, Titolo I, prevede il ruolo dei "ricercatori", come il Titolo III é dedicato alla "ricerca scientifica", ma persino il testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 ed in larga parte ancora vigente. Anche questo, infatti, proclama solennemente all'art. 1, primo comma, che "l'istruzione superiore ha per fine di promuovere il progresso della scienza e di fornire la cultura scientifica necessaria per l'esercizio degli uffici e delle professioni". Ne deriva che non basta, perché una scuola attinga livello universitario, che ivi siano impartiti, sia pure da professori universitari, insegnamenti a fini professionali, ma occorre che vi venga svolta anche la ricerca scientifica. Sono due, insomma, ed inscindibili i compiti istituzionali delle Università: l'attività didattica e quella scientifica, là dove venga esercitata soltanto questa, si può avere un'istituzione di alta cultura - ed é il caso del Consiglio nazionale delle ricerche

- , e là dove venga esercitata esclusivamente attività didattica, non si ha Università.

b) Ancora dalla Costituzione si ottiene un altro elemento caratterizzante l'Università e, quindi, la istruzione superiore: é la potestà statutaria, sia pure "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato", come testualmente enuncia il già richiamato art. 33, ultimo comma, Cost. Si tratta di una potestà non conculcata neppure nel periodo autoritario, come comprovano: l'art. 17 del T.U. n. 1592 del 1933, a sensi del quale "ogni Università... ha uno speciale statuto" (primo comma), "gli statuti sono proposti dal Senato accademico, uditi il Consiglio di amministrazione e le Facoltà" (secondo comma), "le modificazioni sono proposte ed approvate con le medesime modalità" (terzo comma); l'art. 18, terzo comma, a sensi del quale "lo statuto di ogni Università determina, per ciascuna Facoltà..., le materie d'insegnamento, il loro ordine ed il modo con cui debbono essere impartite"; l'art. 20, ottavo ed ultimo comma, a sensi del quale "la durata degli studi per le scuole ed i corsi... é determinata dagli statuti", etc. E proprio nell'autonomia dell'ordinamento universitario può dirsi che trovi fondamento la regola, ancorché esplicitata mediante una norma regolamentare - art. 42, secondo e terzo comma, del regio decreto 4 giugno 1938, n. 1269 - , secondo cui le commissioni per gli esami, tanto di profitto, quanto di laurea o di diploma, possono costituirsi soltanto "di professori ufficiali..., di liberi docenti o cultori delle discipline che fanno parte della Facoltà", con esclusione di professionisti estranei. Da quanto precede discende che non possono considerarsi a livello universitario le scuole e gli istituti che siano assoggettati alla vigilanza del potere governativo, che non abbiano autonomia di determinazione per quanto riguarda le materie d'insegnamento, il loro ordine, la durata degli studi e che debbano comporre le commissioni per gli esami, o di profitto o di diploma, con membri non appartenenti alla stessa scuola od istituto.

4. - Compito esclusivo delle scuole di ostetricia, invece, é l'insegnamento, un insegnamento di carattere prevalentemente pratico, e perciò a fini esclusivamente professionali. Nel regio decreto 24 luglio 1940, n. 1630, infatti, col quale é stato approvato il regolamento, che in parte é ancora in vigore, per le scuole di ostetricia, come modificato con decreto ministeriale 12 novembre 1958, prima, e con d.P.R. 27 settembre 1980, n. 1029, poi, non é rintracciabile una sola norma che contenga qualche cenno all'attività di ricerca scientifica, la quale pertanto, almeno allo stato, é preclusa alle predette scuole. E sul punto non si registra alcuna innovazione sostanziale nel già menzionato d.P.R. n. 1029 del 1980, recante "modificazioni all'ordinamento degli studi delle scuole di ostetricia", ma solo la conferma della riduzione del corso di studi da un triennio ad un biennio, già disposta dall'art. 1 della legge n. 1252 del 1957.

Tali scuole, inoltre, non godono di alcuna autonomia: non solo non hanno la potestà statutaria che é riconosciuta alle Università per quanto attiene alla didattica, ma questa non risulta disciplinata neppure con legge, bensì con un regolamento, qual é il decreto presidenziale n. 1029 del 1980 e qual era appunto il già menzionato regio decreto n. 1630 del 1940, adottato di concerto tra il ministro per la educazione nazionale e "quelli per l'interno, per la grazia e giustizia, per le finanze e per le corporazioni"; "per l'esame di diploma, la commissione é composta", non solo del professore - direttore e di un professore o libero docente delle Facoltà o cultore della materia, ma anche "del medico provinciale e di un medico - chirurgo scelto dalla Facoltà in una terna proposta dal sindacato professionale medico" (art. 32, terzo comma, regio decreto n. 1630 del 1940); il regio decreto legge 15 ottobre 1936, n. 2128, convertito nella legge 25 marzo 1937, n. 921, statuisce all'art. 3, primo comma, che "spetta al Ministro per l'educazione nazionale la vigilanza sulle scuole di ostetricia autonome", anche se poi precisa nei due commi successivi che tale "vigilanza" é esercitata tramite una Università.

5. - Le rilevazioni ed i raffronti di cui sopra inducono a disattendere l'opinione, su cui si basa il ricorso de quo, che l'attività formativa per la professione di ostetrica e, quindi, l'ordinamento delle relative scuole siano da considerarsi equiparati al livello universitario. La conclusione cui si perviene nel presente giudizio trova, del resto, un precedente in termini nella pronuncia n. 128 del 1977, con la quale questa Corte ha testualmente sentenziato che le "scuole, ove si svolgono i corsi per il conseguimento del diploma di ostetrica, non possono considerarsi a livello universitario". E basta la trascritta proposizione della su ricordata sentenza a dimostrare quanto sia inesatta l'affermazione dell'avvocatura dello Stato, secondo cui, stante la diversità di quella fattispecie, "il richiamo alla citata sentenza non appare pertinente".

Certo, gli elementi più sopra evidenti non sono i soli caratterizzanti l'istruzione universitaria; altrettanto certamente, tuttavia, si deve ritenere che, se non sono sufficienti, sono peraltro necessari, perché possa ravvisarsi in una scuola dignità di istituzione di alta cultura.

Non varrebbe in contrario osservare che, per il conseguimento del diploma di ostetrica, la legge (art. 1 regio decreto legge n. 2128 del 1936) conosce, non solo le "scuole di ostetricia autonoma", ma anche le "scuole di ostetricia annesse alle cliniche ostetrico - ginecologiche delle Università", giacché allo stato attuale della legislazione la conclusione conserva validità anche nei confronti di queste ultime, che non mutano natura, fermi rimanendo la loro funzione, i loro insegnamenti ed il tipo di questi, sol perché inserite nelle strutture universitarie. Se fosse altrimenti, si dovrebbe riconoscere grado universitario persino a tutte quelle scuole dichiaratamente professionali che le Università sono autorizzate ad istituire, quali "le scuole - convitto professionali per infermiere" (artt. 2 regio decreto 21 novembre 1929, n. 2330; 130, primo comma, Testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; 1, secondo comma, legge 25 febbraio 1971, n. 124); le "scuole per infermiere generiche e per infermieri generici" (art. 1 legge 20 ottobre 1954, n. 1046); "le scuole per l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica" (art. 4, primo comma, legge 4 agosto 1965, n. 1103), etc. Ed i richiami testé fatti mostrano che una cosa é l'ambito universitario, altra cosa é il livello universitario, e che pertanto non basta operare nell'uno per conseguire il riconoscimento dell'appartenenza all'altro.

6. - Da ultimo, le considerazioni che al riguardo precedono non appaiono scalfite dai residui argomenti della difesa dello Stato. E senz'altro vero che alle scuole di ostetricia sono ammesse, sia le donne in possesso del diploma di infermiera rilasciato dallo Stato, sia le studentesse in medicina e chirurgia, le quali sostengono o abbiano sostenuto positivamente taluni esami (artt. 2 e 3, primo comma, legge 23 dicembre 1957, n. 1252). Ma é vero altresì che, per conseguire il diploma di infermiera, previa ammissione alle apposite scuole - convitto professionali, basta possedere la "licenza di scuola media inferiore o... altro titolo equipollente" (art. 20, primo comma, regio decreto n. 2330 del 1929, come modificato con l'articolo unico del d.P.R. 13 ottobre 1959, n. 1354), e basta un "corso biennale teorico - pratico, con relativo tirocinio" (art. 135, primo comma, del T.U. n. 1265 del 1934). L'equiparazione tra studentesse al compimento del terzo anno della facoltà di medicina ed infermiere con licenza di scuola media inferiore che abbiano compiuto un corso biennale teorico - pratico - può anche ritenersi un'incongruenza, dalla quale peraltro non é corretto argomentare. E una delle tante incongruenze di una normazione a strati sovrapposti e di livelli diseguali - qual é appunto quella concernente il personale sanitario - , in cui, oltre a modifiche ed abrogazioni puntuali, a deroghe particolari e temporanee, a rettifiche (d.P.R. 5 maggio 1966, n. 280) di errori nel testo promulgato di una legge, alle abituali norme transitorie - per non dire del provvedimento che sostituisce il titolo di "ostetrica" a quello di "levatrice" (regio decreto legge 1 luglio 1937, n. 1520) - , accade di riscontrare persino l'abrogazione di un regolamento adottato con decreto del Capo dello Stato (r.d. n. 1630 del 1940) con un decreto ministeriale (12 novembre 1958) sostituito a sua volta con un decreto presidenziale (n. 1029 del 1980).

Nessun rilievo, contrariamente a quanto mostra di ritenere l'Avvocatura dello Stato, ha la "circostanza che i diplomi abilitanti alla professione vengono rilasciati dall'Università a firma del Rettore": competendo innegabilmente al Rettore di rilasciare i diplomi conseguiti presso le scuole di ostetricia annesse alle cliniche ostetrico - ginecologiche, il legislatore ha stimato che potrebbe apparire illogico - e dar motivo ad equivoci sul differente valore dei titoli - non estendere la competenza del Rettore ai diplomi conseguiti presso le scuole autonome, su cui del resto l'Università esercita la vigilanza per conto del Ministro. E si può per completezza aggiungere che nulla proverebbe in contrario il richiamo, peraltro non fatto dalla difesa dello Stato, all'art. 5 del d.P.R. n. 162 del 10 marzo 1982, il quale statuisce che "i corsi di studio delle scuole dirette a fini speciali sono corsi ufficiali universitari" ed "hanno durata biennale o triennale". A sensi dello stesso articolo, infatti, il rilascio del diploma é subordinato al "previo superamento di un esame di stato" (primo comma) e prevede esplicitamente "attività scientifica" (secondo e quarto comma), oltre che didattica. Bastano queste precisazioni a dimostrare la non assimilabilità delle scuole di ostetricia ai suddetti "corsi di studio delle scuole dirette a fini speciali".

Infine, non giova ed, anzi, nuoce all'assunto della difesa dello Stato il richiamo che questa fa al regio decreto legge n. 2128 del 1936, e propriamente all'art. 18, il quale dispone che "il parto deve essere assistito da una levatrice o da un medico chirurgo e che nell'un caso o nell'altro sarà redatto dalla levatrice o dal medico chirurgo apposito certificato di assistenza che deve essere prodotto all'ufficiale sanitario del Comune". Il "regolamento per l'esercizio professionale delle ostetriche" (regio decreto 26 maggio 1940, n. 1364) dispone che l'ostetrica ha il "compito specifico dell'assistenza alla donna durante la gestazione, il parto, il puerperio normale" (art. 1); che "coadiuva i sanitari" nell'assistenza domiciliare (art. 2); che "nei casi di aborto, anche se sospetto, deve astenersi da ogni riscontro vaginale" (art. 4, capoverso), con esplicito divieto di "praticare interventi manuali e strumentali" (art. 5), dovendosi limitare a "praticare tutto quanto é consentito dalle disposizioni in vigore alle infermiere generiche" (art. 9, prima parte) ed ancora "dovrà chiedere l'immediato intervento del medico" persino "nei casi di temperatura febbrile, di polso troppo frequente" (art. 6, capoverso). Altrettanto chiare sono norme di valore legislativo: così gli artt. 139, prima parte, del T.U. n. 1265 del 1934 e 40 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, i quali dispongono, rispettivamente, che "la levatrice deve richiedere l'intervento del medico chirurgo non appena nell'andamento della gestazione o del parto o del puerperio di persona alla quale presti la sua assistenza riscontri qualsiasi fatto irregolare", e che "la ostetrica capo é posta alle dirette dipendenze del primario e dei sanitari ostetrico - ginecologi... (ed) ha tutte le attribuzioni previste per il capo - sala".

La normativa sopra trascritta non abbisogna di interpretazione, tanto chiaramente i suoi dettati letterali mostrano quali sono, almeno allo stato attuale del sistema sanitario, la natura ed i limiti dell'assistenza che l'ostetrica é tenuta a prestare e quali, quindi, siano l'esatto significato e portata dell'art. 18 del regio decreto legge n. 2128 del 1936, che l'Avvocatura dello Stato a torto invoca nell'intento di convalidare l'asserita dimensione universitaria dell'attività formativa per la professione di ostetrica. Proprio la contraria conclusione, viceversa, sembra trovare convalida nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, recante la "ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina delle professioni stesse", il cui art. 1, disponendone la ricostituzione in ogni provincia, parla di "Ordini dei medici chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti", ma parla dei "Collegi delle ostetriche", come l'art. 14 della legge 4 agosto 1965, n. 1103 parla di costituzione in ogni provincia di un "Collegio degli esercenti l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica". Si deve pertanto ritenere che la formazione professionale dell'ostetrica e l'ordinamento delle relative scuole rientrano nella materia "istruzione artigiana e professionale", che l'art. 117 Cost. attribuisce alla competenza delle regioni.

7. - Con il ricorso de quo, il Presidente del consiglio ha denunziato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Campania, con la quale questa, in vista della "formazione degli operatori sanitari" (art. l, primo comma) e nell'ambito della "disciplina delle attività di formazione professionale per le professioni sanitarie ausiliarie" (art. 1, cpv.), ha inteso istituire "corsi di formazione per la professione di ostetrica" (artt. 2 cpv., e 4, primo comma) ed ha coerentemente disposto l'automatica decadenza delle sole "convenzioni in precedenza stipulate tra Università ed enti ospedalieri" (art. 5, primo comma). Premesso pertanto che non sono in discussione le altre scuole di ostetricia, tanto quelle autonome, quanto quelle annesse alle cliniche ostetrico - ginecologiche delle Università, le quali tutte continuano ad essere disciplinate dalla normativa statale, e riconosciuta, in base alle argomentazioni sopra svolte, la competenza regionale in tema di "attività formative per la professione di ostetrica", va rilevato che il ricorso, promosso per asserito contrasto con l'art. 117 Cost., fa richiamo agli artt. 27, lett. i), e 30, lett. s), del d.P.R. n. 616 del 1977. Senonché, a parte la considerazione che tali motivi, una volta dichiarata l'infondatezza della questione in riferimento all'art. 117 Cost., non hanno una loro propria autonomia, le norme in parola risultano a torto invocate.

L'art. 27, lett. i), infatti, attribuisce alla regione, in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, le funzioni amministrative "che tendono... alla formazione degli operatori sanitari", esclusa "la formazione universitaria e post - universitaria". Ma quest'ultima nella specie non ricorre, come si é più sopra motivatamente affermato ed é del resto esplicitamente dichiarata estranea all'indole dei corsi in parola dall'art. 1, p.p., della legge impugnata. In quanto, poi, all'art. 30, lett. s), che affida allo Stato "la determinazione dei livelli minimi di scolarità necessari per l'ammissione alle scuole per operatori sanitari", sembra corretto interpretare tale norma nel senso che essa demanda allo Stato il compito di enunciare i principi generali, cui il legislatore regionale deve ispirarsi. La legge impugnata, prescrivendo all'art. 4, secondo comma, che "possono essere iscritte ai corsi le donne che siano in possesso del diploma di infermiera professionale", ha appunto stabilito il livello minimo, senza divergere dai criteri già fissati con la normativa stataIe, e pertanto non può dirsi che violi il menzionato art. 30, lett. s).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della regione Campania ("attività formative per la professione di ostetrica"), riapprovata il 25 settembre 1978, proposta con ricorso 14 ottobre 1978 (reg. ric. 29/1978) dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117 Cost. ed in relazione agli artt. 27, lett. i), e 30 lett. s), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 1 febbraio 1983.