Sentenza n. 241 del 1982
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SENTENZA N. 241

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Avv. Oronzo REALE        

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355 (Esclusione dei rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilità derivante dagli artt. 528 e 725 del codice penale e dagli artt. 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47) promosso con ordinanza emessa il 6 marzo 1976 dal Pretore di Palermo, nel procedimento penale a carico di Ajello Simone, iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 16 giugno 1976.

Visti l'atto di costituzione di Ajello Simone e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1982 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 6 marzo 1976 (r.o. n. 360) il Pretore di Palermo ha sollevato, nel corso di un procedimento penale a carico di Simone Ajello, questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 21 e 31 della Costituzione, dell'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355, nella parte in cui esclude i rivenditori professionali della stampa periodica ed i librai dalla responsabilità derivante dagli artt. 528 e 725 c.p. e dagli artt. 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.

Dubita il giudice a quo che la norma impugnata, con l'esclusione automatica e generalizzata del dolo, e persino della colpa nel caso della contravvenzione di cui all'art. 725 c.p., riferita all'appartenenza a categorie professionali ed alla presunzione di inadeguatezza culturale, introduca un nuovo tipo di incapacità incompatibile coi principi fondamentali relativi alla persona umana e violi così l'art. 3 della Costituzione, escludendo la punibilità dell'autore di un fatto che oggettivamente integra gli estremi di un reato sulla base di inesistenti condizioni e circostanze soggettive, e ciò anche in contrasto con le pronunce di questa Corte, che non hanno ravvisato la difficoltà di ordine intellettivo riguardo alla possibilità e al dovere degli edicolanti di esaminare e valutare la merce ed hanno demandato al giudice, come é costituzionalmente e giuridicamente naturale, di stabilire caso per caso la responsabilità penale dell'imputato (sentt. nn. 159/1970 e 93/1972).

La norma sarebbe inoltre in contrasto - secondo l'ordinanza di rimessione - con l'art. 21 ultimo comma della Costituzione, che espressamente e categoricamente vieta le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume senza eccezione alcuna in ordine a fatti e a persone, sia direttamente attraverso l'anomala deroga alla punibilità della violazione di tale diritto, sia indirettamente attraverso la difficoltà che si é posta alla generale applicazione di alcune norme relative al buon costume, per la mancanza di coordinamento della norma impugnata con altre disposizioni di legge in materia. Quando infatti si esclude l'esonero di responsabilità solo nel caso in cui siano esposte parti "palesemente" oscene delle pubblicazioni, si rende praticamente inapplicabile l'art. 1 della legge 2 dicembre 1960, n. 1591, che, riguardo all'ipotesi più lata di esposizione di soggetti figurati, rapporta la nozione di osceno e di contrario alla pubblica decenza alla particolare sensibilità dei minori degli anni 18, con un parametro quindi più severo rispetto a quello della "palese oscenità", di cui alla norma impugnata.

Quanto al contrasto con l'art. 31 Cost. il giudice a quo lo ravvisa nel fatto che la norma impugnata anziché agevolare, ostacola e contrasta l'adempimento del compito educativo e formativo dei genitori riguardo ai figli e viene meno al dichiarato impegno di proteggere l'infanzia e la gioventù di cui al capoverso dell'art. 31.

La norma, infine, violerebbe i principi fondamentali della divisione dei poteri, essendosi arrogato il legislatore il compito di giudicare riservato al giudice, e della effettiva espressione della democrazia parlamentare, essendosi legiferato sotto la pressione della piazza.

2. - Si é costituita in giudizio la parte privata Simone Ajello, rappresentato e difeso dall'avv. Dario Di Gravio, con atto del 3 luglio 1976, sostenendo l'infondatezza della questione sollevata, in quanto il contrasto con i parametri costituzionali invocati sarebbe escluso dalla particolare ratio della norma impugnata. Questa, infatti, in tanto esclude la responsabilità di edicolanti e librai in quanto parte dalla constatazione della impossibilità che in astratto hanno i rivenditori di giornali di ingerirsi nelle situazioni che attribuiscono il carattere penale ad una determinata attività umana.

3. - É intervenuto nel giudizio anche il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atto del 23 giugno 1976, concludendo per l'infondatezza della questione proposta.

In particolare, quanto alla pretesa violazione dell'art. 3, l'Avvocatura osserva che la causa di non punibilità prevista dalla norma impugnata si inserisce tra i molti esempi che l'ordinamento offre di cause speciali di non punibilità per inesigibilità di comportamento diverso. Piuttosto che esprimere disistima nella capacità intellettiva dei beneficiari della norma, il legislatore ha ritenuto che non si possa da essi pretendere un comportamento tale da consentire loro di ben distinguere pubblicazione da pubblicazione, in quanto li assorbirebbe per intero ed anche oltre le proprie possibilità di lavoro. Si tratta - per la difesa dello Stato - di una valutazione di politica criminale che rientra nella discrezionalità del legislatore; valutazione che può anche mutare rispetto al passato, cosicché tale discrezionalità non é infirmata dall'ortodossia costituzionale di precedenti norme che regolavano la materia in modo diverso (ved. citate sentenze della Corte cost. nn. 159/1970 e 93/1972).

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sottoposta all'esame della Corte é se contrasti o meno con gli artt. 3, 21 e 31 della Costituzione l'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355, nella parte in cui esclude i rivenditori professionali della stampa periodica ed i librai dalla responsabilità derivante dagli artt. 528 e 725 c.p. e 14, 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.

Secondo il giudice a quo tale norma infatti:

a) violerebbe il principio di uguaglianza, sulla base di condizioni soggettive giuridicamente irrilevanti, escludendo la punibilità di fatti che obiettivamente integrano un reato;

b) renderebbe vano il divieto costituzionale delle pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume;

c) disattenderebbe il dovere dello Stato di proteggere moralmente l'infanzia e la gioventù;

d) violerebbe, infine, il principio della divisione dei poteri sottraendo al giudice l'indagine sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

2. - La questione é inammissibile per difetto di motivazione circa la sua rilevanza nel procedimento a quo.

In effetti, non solo l'ordinanza di rimessione non contiene alcuna motivazione circa l'influenza che la decisione della questione da parte della Corte costituzionale avrebbe nella fattispecie oggetto del giudizio penale pendente davanti al Pretore di Palermo, nel corso del quale l'eccezione di legittimità costituzionale é stata sollevata; ma non fa alcun riferimento al caso concreto sottoposto al giudice di merito e al contesto di fatto che é all'origine del rapporto processuale.

É rimasta, quindi, insoddisfatta la fondamentale esigenza, cui é preordinato l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (commi 2 e 3), di far conoscere con le dovute garanzie di pubblicità i termini e i motivi con i quali la questione é stata sollevata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355, sollevata in riferimento agli artt. 3, 21 e 31 Cost. con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1982.