Sentenza n. 240 del 1982
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SENTENZA N. 240

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Avv. Oronzo REALE        

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 73 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari) promosso con ordinanza emessa il 2 febbraio 1976 dal Pretore di Bergamo, nel procedimento civile vertente tra la "Compagnia Latina di Assicurazioni" S.p.a. e l'INPS, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 118 del 5 maggio 1976.

Visti l'atto di costituzione della "Compagnia Latina di Assicurazioni" S.p.a. e dell'INPS e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1982 il Giudice relatore Oronzo Reale;

uditi l'avv. Renato Scognamiglio per la Soc. "Compagnia Latina di Assicurazioni", l'avv. Leonardo Lironcurti per l'INPS e l'avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento civile di opposizione ad ingiunzione per pagamento di differenze contributive e relative sanzioni civili, promosso da Luciano Perticucci, quale agente generale della Compagnia di Assicurazioni Latina, nei confronti dell'INPS e concernente il mancato versamento dei contributi previdenziali relativi agli assegni familiari nei confronti dell'impiegata Ermenegilda Facoetti, assente per maternità dal 1 luglio 1971 al 14 aprile 1972, il pretore di Bergamo sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 73 del testo unico 30 maggio 1955, n. 797, in relazione agli artt. 3, 38 e 53 della Costituzione.

Il giudice a quo, partendo dall'esame della normativa concernente la materia, osservava che, a norma dell'art. 27 del citato d.P.R. n. 797 del 1955, il datore di lavoro é tenuto a versare i contributi previdenziali allorché corrisponde effettivamente la retribuzione, mentre a ciò non é tenuto ove non paghi al lavoratore alcuna mercede, sul cui ammontare va peraltro calcolata la base imponibile. Tale disciplina é però derogata dal citato art. 73, contenuto nel titolo III relativo al credito, l'assicurazione ed i servizi tributari appaltati; tale ultima norma prevede infatti che la contribuzione previdenziale CUAF sia dovuta per tutto il periodo per cui perdura il rapporto di lavoro, anche dove gli emolumenti non debbano o debbano solo in parte (come nel caso di specie) essere corrisposti al lavoratore e detta altresì norme circa l'ammontare dei contributi da versare, che vanno calcolati sulla base della retribuzione intera.

Ad avviso del pretore di Bergamo, questa norma ingenera una irrazionale disparità di trattamento tra la disciplina generale e quella riservata alle categorie contemplate nell'art. 73; egli prospetta pertanto il dubbio che la norma de qua contrasti con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di eguaglianza "tra cittadini che svolgono funzioni imprenditoriali in settori differenti... in relazione all'obbligo della contribuzione per assicurare ai lavoratori adeguata assistenza in caso di bisogno" (art. 38 della Costituzione); ed infine con riguardo "al più generale obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva" (art. 53 della Costituzione).

Si costituiva la Compagnia di Assicurazioni Latina, la quale, nell'atto di costituzione aderiva sostanzialmente alle ragioni contenute nell'ordinanza di rimessione concludendo per l'accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale. Prospettava altresì l'eventualità che la norma impugnata, tenuto conto del suo originario carattere di norma corporativa, potesse essere disapplicata dal giudice ordinario, siccome "contrastante con norme di rango superiore, inserite nello stesso testo unico".

Si costituiva altresì l'INPS osservando che é normale nel sistema previdenziale il diverso atteggiarsi dell'onere contributivo a seconda della diversa natura delle aziende, cosa questa che trova ragione nelle "caratteristiche proprie di ciascuna categoria di imprese".

Ricordata la genesi della normativa in parola, che si rifà a quella relativa agli assegni familiari ed é stata conseguentemente estesa all'intero obbligo contributivo, si sottolinea anche che la disciplina in questione risponde a finalità di ordine sociale. Secondo la difesa dell'INPS pertanto non solo non vi sarebbe contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ma neppure con l'art. 38, atteso che i destinatari di tale precetto costituzionale sono i lavoratori, non i datori di lavoro.

Quanto al prospettato contrasto con l'art. 53 della Costituzione, si evidenzia che la norma costituzionale tutela i rapporti giuridici aventi carattere tributario (e tale carattere non hanno i contributi assicurativi); ed anche che la giurisprudenza della Corte, riferita al richiamato art. 53 della Costituzione, ha univocamente affermato che non é sindacabile dalla Corte stessa l'entità e la proporzionalità di un tributo fissato in base a calcoli appositi, purché non si versi in casi di assoluta arbitrarietà o irrazionalità, cosa questa da escludersi nel caso che ne occupa.

Si conclude pertanto perché la proposta questione sia dichiarata infondata.

Spiegava altresì intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato; nell'atto di intervento si osserva preliminarmente come risulti dagli atti del giudizio a quo che la sospensione del rapporto di lavoro della dipendente Facoetti sia stata determinata da maternità. Tanto premesso, l'Avvocatura ritiene che la sollevata questione sia irrilevante, in quanto l'art. 17 del testo unico n. 797 del 1955 garantisce alle lavoratrici l'integrale trattamento assistenziale in caso di assenza dal lavoro per gravidanza o puerperio; tale trattamento trova ovviamente il suo corrispettivo nel versamento dei contributi da parte dei datori di lavoro, sicché l'art. 73, nel caso di specie, non deroga affatto alla normativa generale.

É in altri casi (malattia, infortunio, richiamo alle armi) che la disciplina speciale opera, non in quello dell'assenza per maternità; il che comporta che la sollevata questione sarebbe irrilevante nel giudizio.

Nel merito, si rileva l'obiettiva diversità in cui operano le diverse aziende, le condizioni particolari di lavoro riscontrabili nei diversi settori, oltreché la genesi di contrattazione sindacale che é alla base della norma impugnata. Se ne deduce che eventuali maggiori benefici assistenziali previsti per i lavoratori del settore bancario-assicurativo non sarebbero irrazionali perché rispecchianti particolari condizioni di lavoro legate a quei rami di attività.

Verrebbe perciò meno la prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione; ma anche quella dell'art. 38 della Costituzione, perché le maggiori contribuzioni poste a carico dei datori di lavoro, corrispondono ad una migliore assistenza previdenziale.

Quanto all'asserita violazione dell'art. 53 della Costituzione, si osserva che nella specie non si tratta di un onere tributario e che in ogni caso la particolare capacità contributiva delle banche (e degli altri operatori economici cui la disciplina si applica) é dimostrata "dal fatto che le stesse associazioni sindacali di categoria ne hanno effettuato esplicito riconoscimento, accettando l'obbligo della maggiore contribuzione assistenziale".

Si conclude perché la proposta questione venga dichiarata infondata.

Con successiva memoria, presentata nell'imminenza della discussione, la Compagnia Latina ribadiva le tesi già ricordate, chiedendo l'accoglimento della proposta questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza riassunta in narrativa il pretore di Bergamo chiama la Corte a decidere se non sia lesivo del principio di eguaglianza (nonché dei precetti degli artt. 38 e 53 della Costituzione) il diverso trattamento che, quanto al versamento dei contributi dovuti all'INPS per gli assegni familiari, é riservato dall'art. 73 del testo unico delle norme sugli assegni familiari (d.P.R. n. 797 del 1955) ai datori di lavoro dei settori del credito, dell'assicurazione e dei servizi tributari appaltati, rispetto ai datori di lavoro degli altri settori. I primi, infatti, sono tenuti (art. 73) a versare il contributo anche in caso di assenza dal lavoro, "per tutto il tempo per il quale perdura il rapporto di lavoro... sull'ammontare della retribuzione intera, come se fosse corrisposto al lavoratore"; i secondi (artt. 26 e 27) sono tenuti a versare il contributo su "tutto ciò che il lavoratore riceve... direttamente dal datore di lavoro per compenso dell'opera prestata": con la conseguenza che "in caso di assenza dal lavoro per gravidanza o puerperio" nel quale "gli assegni familiari sono dovuti per tutto il periodo di astensione dal lavoro" (art. 17), le aziende di cui all'art. 73 del testo unico n. 797 sono tenute a versare il contributo, le altre no.

2. - Benché il giudice a quo abbia dichiarato che "il giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione", e tale dichiarazione sia giustificata dai termini della controversia sottoposta al pretore, termini ampiamente esposti nell'ordinanza di rimessione, l'Avvocatura dello Stato nel suo intervento in rappresentanza del Presidente del Consiglio nega la rilevanza. La sua dichiarazione da parte del pretore sarebbe frutto di un giudizio "manifestamente viziato" in quanto l'art. 73 del testo unico n. 797 non doveva essere applicato nella fattispecie di assenza dal lavoro per gravidanza e puerperio: caso nel quale, essendo gli assegni familiari dovuti per l'intero periodo di astensione, e "siccome tale trattamento trova il suo corrispettivo nei contributi a carico dei datori di lavoro", tutti i datori, a qualunque settore appartengano, debbono versare il contributo durante l'assenza dal lavoro per maternità.

Questa eccezione non può essere accolta sia perché la rilevanza é stata dichiarata e motivata dal giudice a quo, sia perché essa presuppone una interpretazione della normativa opposta a quella (non contestata da nessuna delle parti) del giudice di merito, interpretazione che per giunta non trova conferma nella lettera della legge e nella prassi applicativa di essa.

3. - Passando, pertanto, al merito della questione, la Corte ritiene che essa non sia fondata.

Isolata dal contesto della complessa normativa che governa la disciplina degli assegni familiari, della loro erogazione, dei modi di copertura della relativa spesa, la norma censurata dal giudice a quo può destare qualche perplessità per il diverso trattamento che essa stabilisce, in ordine al versamento del contributo dovuto nel periodo di assenza della dipendente per causa di maternità, fra diversi settori. Senonché questa norma, cioè l'art. 73, non é isolabile dal resto della normativa in cui é inserita. Tutto il titolo terzo del d.P.R. n. 797 del 1955 é dedicato alle "norme particolari" con le disposizioni per i singoli settori a ciascuno dei quali é dedicato un capo del detto titolo che regola i modi di corresponsione degli assegni, le categorie degli aventi diritto, il modo dei pagamenti dei contributi, i controlli ecc.; e tutto il capo terzo del titolo primo é dedicato alle "misure degli assegni e dei contributi" fissate nelle nove tabelle alle quali l'art. 33 fa rinvio, ciascuna corrispondente a un settore aziendale. Basta esaminare tali tabelle per vedere quale sia la varietà delle disposizioni e, nella specie, della entità dei contributi posti a carico delle aziende.

In particolare, mentre la misura del contributo dovuto nel settore dell'industria (tabella A) é del 28,50% sulla retribuzione lorda, del 31,25% per i dirigenti e impiegati nel settore dell'agricoltura (tabella B), del 21% per il commercio e le professioni (tabella C), essa é nettamente inferiore e cioè rispettivamente dell'11,20% per il settore del credito, del 16,50% per il settore assicurativo, del 15,50% per il settore dei servizi tributari appaltati (tabelle D, E, F), cioè per i tre settori ai quali si applica il censurato art. 73 del testo unico. Vero é che queste tabelle sono state poi con successive leggi modificate, aggiornate e ridotte a tre, unificando fra l'altro, in unica tabella, i settori del credito, assicurativo e dei servizi tributari appaltati, variando l'entità degli assegni e le percentuali dei contributi, stabilendo l'applicazione della percentuale contributiva sull'intera retribuzione, escluso ogni massimale ed ogni deduzione.

Ma la varietà delle disposizioni per le varie categorie, che fra l'altro si presterebbe ad ipotesi di intenti compensativi, presso ciascuna categoria, di vantaggi e svantaggi, dimostra l'estrema difficoltà di isolare, nel trattamento complessivo, singoli elementi di comparazione.

In realtà si tratta di una normativa differenziata, di un sistema non omogeneo che ha le sue origini nella contrattazione delle parti sociali, la sua spiegazione e la sua evoluzione nella evoluzione dello stato sociale.

Pertanto, la Corte non può seguire lo schema logico del giudice a quo di isolare questa o quella disposizione per la comparazione ai fini del giudizio di eguaglianza, né emergono elementi per concludere ad una palese irrazionalità dell'intero sistema, che costituisce uno degli strumenti di attuazione dell'art. 38 della Costituzione. Il quale art. 38, pertanto, non é violato, né mai potrebbe esserlo da norme (come quella denunciata) che non riguardano la protezione del lavoratore, ma la fonte dei mezzi per provvedervi.

Le considerazioni che precedono portano anche ad escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione e correlativamente quella dell'art. 53, quest'ultimo, inoltre, impropriamente chiamato in causa, sia perché non si versa in materia di tributi, sia perché l'elemento della capacità contributiva non può essere desunto dalla base (stipendi e salari erogati) per l'applicazione dei contributi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (T. U. delle norme concernenti gli assegni familiari) sollevata, in relazione agli artt. 3, 38 e 53 della Costituzione, dal pretore di Bergamo con l'ordinanza 2 febbraio 1976 (n. 234 del reg. ord. 1976) di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1982.