Sentenza n. 229 del 1982

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SENTENZA N. 229

 

ANNO 1982

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Leopoldo ELIA

 

Prof. Antonino DE STEFANO

 

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

 

Avv. Oronzo REALE

 

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

 

Avv. Alberto MALAGUGINI

 

Prof. Livio PALADIN

 

Dott. Arnaldo MACCARONE

 

Prof. Antonio LA PERGOLA

 

Prof. Virgilio ANDRIOLI

 

Prof. Giuseppe FERRARI

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 68, 69, 72 e 86 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e dell'art. 666 cod. pen. (Spettacoli o trattenimenti pubblici senza la licenza) promosso con ordinanza emessa il 13 settembre 1976 dal Pretore di Padova, nel procedimento penale a carico di Schiavo Paolo, iscritta al n. 677 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 346 del 29 dicembre 1976.

 

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1982 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

 

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Nel corso del procedimento penale contro Paolo Schiavo imputato - ai sensi degli artt. 81 e 666 c.p., del reato di aver detenuto e fatto funzionare senza licenza, in un pubblico esercizio, un flipper solitario automatico ed un elettrogrammofono a gettone - il Pretore di Padova sollevava di ufficio, assumendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza, questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni di legge: gli artt. 68, 69 e 86 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 T.U. leggi P.S. e 666 c.p. in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte, Cost., nella parte in cui le disposizioni censurate subordinano all'apposita licenza di pubblica sicurezza il funzionamento anche di un solo apparecchio automatico o semiautomatico da trattenimento in un pubblico esercizio, già regolarmente autorizzato; l'art. 72 del citato T.U. in riferimento agli artt. 3, prima parte, 24, secondo comma, 41, prima parte, 97, secondo comma, Cost., nella parte in cui quest'ultima norma condiziona il rilascio dell'anzidetta licenza al previo pagamento dei diritti di autore. La questione così posta é stata già dichiarata infondata dalla Corte con sentenza n. 110/73; si prospetterebbero tuttavia, sulle tracce della più recente dottrina, nuove argomentazioni, rispetto a quelle prese in considerazione dalla pronuncia testé richiamata.

 

Nella specie si tratta di un juke-box, e di un flipper "solitario", l'uno e l'altro installati senza l'apposita licenza in un pubblico esercizio regolarmente autorizzato, in quanto tale.

 

Quanto al primo di detti congegni, il giudice a quo riterrebbe per parte sua che l'obbligo della relativa licenza di esercizio non risulti da alcuna prescrizione di legge. A suo avviso, precisamente, il caso in esame non ricade nelle previsioni del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, le quali tutte, si assume, riguardano licenze afferenti ad altre e diverse attività: rappresentazione di opere musicali (art. 72), installazione di giuochi (art. 86), audizioni all'aperto (art. 69), luoghi di pubblico spettacolo (80). Inapplicabile alla specie, si afferma, é anche l'art. 68, in cui é prevista la licenza per l'esercizio non del singolo juke-box, ma di sale appositamente o prevalentemente destinate al pubblico ascolto della musica. L'ipotesi che qui interessa sarebbe se mai assimilabile a quella dell'apparecchio di ricezione radiofonica, in merito alla quale la giurisprudenza aveva a suo tempo chiarito che, se l'apparecchio é situato in un bar o altro pubblico esercizio, non vi é obbligo dell'esercente di munirsi della licenza prescritta per i pubblici spettacoli. Inconferente, al riguardo, sarebbe poi il rilievo che la licenza per tenere e far funzionare l'elettrogrammofono a gettone figuri espressamente prevista in un apposito paragrafo della tabella annessa al Testo Unico sulle tasse di concessione governativa, fra le altre che l'autorità di P.S. concede ai sensi dell'art. 68 del T. U. di P.S., giacché si tratta di disposizione prettamente fiscale, dalla quale non potrebbe correttamente argomentarsi l'assoggettamento di alcuna attività ad interventi di polizia. Il caso in esame non sarebbe, d'altra parte, nemmeno coperto dal disposto dell'art. 110 T. U. di P.S. Questa statuizione vieta ogni possibilità di licenza nei confronti di congegni automatici o semiautomatici da giuoco. Né il juke-box né il flipper solitario ricadono, si assume, nell'ambito della proibizione: ma con ciò non sarebbe per converso stabilito l'obbligo della licenza per l'esercizio dell'uno o dell'altro apparecchio. La norma in parola, osserva il giudice a quo, é anzi diretta ad abrogare il previgente sistema, in quanto, appunto, fondato sulla licenza, e andrebbe quindi intesa nel senso che essa faculta, senza necessità di alcun provvedimento autorizzativo, le attività che non vieta espressamente.

 

Posto ciò, si osserva tuttavia che la Corte di Cassazione e le concordi pronunce di questa Corte hanno ricavato dalle disposizioni oggetto di censura, e così introdotto nel diritto vivente, la norma, in forza della quale l'obbligo della licenza viene ad essere prescritto anche per il caso di specie. Il giudice a quo promuove quindi la presente questione perché si dichiari che una simile prescrizione configura un onere burocratico superfluo, in contrasto con gli invocati precetti costituzionali. La Carta fondamentale esige, egli ritiene, che l'iniziativa economica, garantita come produttiva, sia libera da ingiustificate compressioni e che si rimuovano altresì gli ostacoli all'effettiva attuazione del diritto all'eguaglianza e del diritto al lavoro sia degli esercenti sia dei produttori e dei noleggiatori. Andrebbe quindi disattesa, assume il Pretore di Padova, l'affermazione, contenuta nella sentenza n. 110 del 1973 e secondo la quale per il presente caso valgono le stesse ragioni giustificative dell'obbligo della licenza concernente le sale di audizione. In primo luogo, sala di audizione ed esercizio pubblico, ancorché provvisto di un juke-box, si distinguerebbero in base al sicuro criterio della rispettiva destinazione funzionale. La trasmissione della musica é elemento fondamentale di trattenimento nell'un caso, come attesta la crescente diffusione delle discoteche, marginale e di sottofondo nell'altro. Dove l'esercizio pubblico sia stato, come nella specie, previamente autorizzato, l'interesse di polizia dovrebbe allora ritenersi compiutamente soddisfatto dalla scelta demandata all'autorità che concede la licenza per l'apertura del locale. Compete a tale autorità, si soggiunge, tener conto anche delle considerazioni che possono riflettersi sull'eventuale installazione del juke-box (per esempio, il presumibile maggiore afflusso di avventori e l'intralcio che ne deriverebbe all'ingresso o all'uscita del locale), nonché di adottare, ex art. 9 del T.U., le prescrizioni che si ritengano opportune per la collocazione ed il funzionamento dell'apparecchio in seno all'esercizio pubblico. Anche per questa via, dunque, sarebbe già apprestata un'adeguata tutela delle ragioni che si adducono per giustificare la previsione di un autonomo e specifico provvedimento autorizzativo per il caso di specie. Dedotto che l'apposito provvedimento autorizzativo prescritto dalla legge sarebbe privo di giustificazione, viene chiesto alla Corte di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 666 del codice penale, nella parte in cui configura come penalmente illecita - in difetto della relativa licenza di P.S. - l'ipotesi di trattenimenti non meglio individuati. La pronuncia verrebbe a stabilire il principio secondo cui la sfera individuale garantita al privato, in virtù dell'art. 41 Cost., non può essere sottoposta a limitazioni inutili o sproporzionatamente gravose. Ne seguirebbe che l'interprete é tenuto a considerare come tassativo l'elenco, finora ritenuto esemplificativo, delle ipotesi per le quali, a norma delle disposizioni censurate, é richiesta la licenza.

 

Analoghi rilievi vengono dedotti con riferimento al c.d. flipper "solitario". Ad avviso del giudice a quo esso costituisce, al pari del juke-box, un congegno di svago e non un giuoco, sia pur lecito, come si é invece tenuto nella sentenza n. 110 del 1973. In detta pronuncia - si osserva nel provvedimento di remissione - la Corte é incorsa nell'erronea prospettiva di tenere distinti il trattenimento, genericamente ipotizzato dalla disposizione incriminatrice dell'art. 666 c.p., ed il congegno automatico in cui resta esclusa qualsiasi possibilità di scommessa o ripetizione della partita, di ritenere che l'installazione di questo congegno sia subordinato all'apposita licenza, prevista per l'esercizio delle sale di giuochi, e di configurare come giustificative di detto provvedimento autorizzativo le ragioni che stanno invece alla base del divieto assoluto del giuoco illecito: tutela dei minori e prevenzione dell'ozio o di altro possibile comportamento antisociale. Così, dice il giudice a quo, si é trascurato che, nella specie, si ha solo un innocuo mezzo di trattenimento, riguardo al quale non sussiste alcun autonomo interesse di polizia, diverso da quello che legittima la licenza per l'apertura del pubblico esercizio. Sempre nella sentenza n. 110 del 1973, la Corte ha rilevato il continuo incremento nella produzione e nella vendita degli apparecchi in questione per fugare ogni sospetto che l'obbligo della licenza possa aver sostanzialmente nociuto agli imprenditori del settore, e ai loro dipendenti. Ma una simile notazione in linea di fatto non scalfirebbe il rilievo che l'esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti degli esercenti, dei noleggiatori, o produttori degli apparecchi in questione ingiustificatamente vincolato da un limite privo di utilità sociale, in assenza del quale si sarebbe evidentemente registrata una espansione ancora maggiore delle attività produttive e commerciali or ora menzionate.

 

Altre considerazioni vengono infine svolte con riferimento alla presunta illegittimità costituzionale dell'art. 72. L'attuale disciplina del diritto di autore é stata nella giurisprudenza della Corte costituzionale giustificata (cfr. le sentenze 65/72 e 119/70) in vista delle difficoltà che presenterebbe la tutela di questo diritto, se essa fosse disgiunta da un'organizzazione capillare, atta a controllare operazioni che si svolgono nei luoghi più disparati e remoti. Ma ciò non toglie, soggiunge il giudice a quo, che la SIAE abbia avuto assegnata una posizione di preminenza, la quale, nel caso attuale, verrebbe in rilievo, sotto vario riguardo: in quanto é garantita mediante la previsione che la concessione della licenza di pubblica sicurezza sia subordinata all'avvenuto pagamento dei diritti di autore e dei diritti erariali, con il risultato di investire l'autorità di polizia, in violazione dell'art. 97 Cost., di compiti estranei ai suoi fini istituzionali; ed in quanto si instaurerebbe un'ingiustificata disparità nel potere negoziale a danno dei produttori e noleggiatori degli apparecchi di svago, con la conseguente offesa dei precetti posti, sebbene indirettamente, a tutela dell'autonomia contrattuale, quale strumento della libera iniziativa economica. In conclusione, per avere l'art. 72 previsto la riscossione anticipata dei diritti di autore, senza previo accertamento dell'an e del quantum, risulterebbero offesi gli artt. 24, 97, 3 e 41 Cost., nel senso che é compressa, e quasi annullata, la libertà di determinazione e l'autonomia del contraente più debole, configurandosi un "solve et repete" imposto di autorità.

 

2. - Interviene in giudizio, a difesa della legittimità delle norme censurate, il Presidente del Consiglio, per tramite dell'Avvocatura dello Stato, la quale anzitutto rileva che, con la sentenza 110/73, la Corte ha rigettato identica eccezione, sollevata dal medesimo giudice a quo.

 

In precedenza, rileva ancora l'Avvocatura, la Corte aveva già avuto modo di chiarire che l'obbligo della licenza non può dipendere dal numero degli apparecchi installati nel pubblico esercizio.

 

L'Avvocatura richiama quindi la giurisprudenza sulla legittimità dell'obbligo della licenza relativa agli apparecchi di puro trattenimento nei pubblici esercizi, collegata ad esigenze di ordine ed incolumità pubblica.

 

É poi da respingere, secondo la difesa dello Stato, la tesi sostenuta dal giudice a quo, secondo la quale la licenza medesima si risolverebbe in un doppione di quella per l'apertura dei pubblici esercizi; per la confutazione di tale tesi, l'Avvocatura si richiama alle argomentazioni addotte, nella sentenza 110/73, da questa Corte, nel senso che, in base al principio della pluralità delle licenze, é richiesta altra specifica autorizzazione per una attività anche affine, e però non compresa fra quelle cui si riferisce la licenza per l'apertura dell'esercizio.

 

Con riferimento infine alla questione concernente l'art. 72, viene ricordato che il legislatore ha ritenuto di tale rilevanza il diritto di autore, da prevedere forme particolari di reato; d'altro lato il pagamento di tributi soddisfa pubblici interessi e non viola norme costituzionali il principio che qualsiasi organo della pubblica amministrazione non possa emettere atti di propria competenza, in assenza del pagamento dei tributi dovuti.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Nel presente giudizio sono oggetto di censura gli artt. 68, 69 e 86 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza), nonché l'art. 666 del codice penale, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte, e 41, prima parte, Cost., nella parte in cui é prescritta un'apposita licenza per installare in un esercizio pubblico, già, in quanto tale, regolarmente autorizzato, un elettrogrammofono a gettone (cosiddetto juke-box e un bigliardino cosiddetto flipper "solitario"). E anche denunciato, per presunto contrasto con gli artt. 3, prima parte, 24, secondo comma, 41, prima parte, 97, secondo comma, Cost., l'art. 72 del citato T. U. n. 773 del 1931, in quanto subordina il rilascio della suddetta licenza al pagamento dei diritti erariali e dei diritti di autore.

 

La questione é, in sostanza, così prospettata:

 

1) l'obbligo di un'apposita licenza per il caso in esame costituirebbe un'ingiustificata compressione della sfera della iniziativa economica garantita, in virtù dell'art. 41 Cost., al gestore del pubblico esercizio, nonché ai produttori e noleggiatori degli apparecchi sopra menzionati ed ai relativi dipendenti. Da ciò seguirebbe che la norma censurata vulnera altresì il principio di eguaglianza e il diritto al lavoro di tutti gli anzidetti soggetti.

 

Precisamente, viene dedotto, con riguardo alla situazione di specie, che juke-box e flipper si trovano in un bar provvisto di licenza, il quale non muterebbe destinazione funzionale per il semplice fatto che vi é installato un solo esemplare dell'uno e dell'altro congegno. Sarebbe, quindi, ingiustificata, e lesiva degli invocati parametri costituzionali, la norma che subordina l'uso di questi singoli apparecchi ad un ulteriore provvedimento autorizzativo, diverso dalla licenza già concessa per l'apertura del bar, e dalla quale si assume compiutamente soddisfatto l'interesse di polizia concernente la conduzione del pubblico esercizio. Al riguardo, si osserva tra l'altro che, a norma dell'art. 9 del T. U. n. 773 del 1931, la competente autorità potrebbe sempre imporre all'esercente le necessarie prescrizioni perché l'apparecchio, pur in assenza di una previa e apposita autorizzazione, sia usato in conformità del pubblico interesse;

 

2) altre censure investono il citato art. 72 del T. U. del 1931, che condiziona il rilascio della contestata licenza al pagamento dei diritti di autore. Tale disposizione garantirebbe alla SIAE un'indebita posizione di preminenza, con il risultato che, per questo verso, si conferisce alla autorità di polizia una funzione estranea ai suoi compiti istituzionali, e si determina d'altro lato, come spiegato in narrativa, una situazione di disparità a danno dei produttori e noleggiatori degli apparecchi in questione. L'aver previsto la riscossione anticipata dei diritti di autore, senza previo accertamento dell'an e del quantum, vulnererebbe l'iniziativa e la libertà di determinazione costituzionalmente garantita al contribuente più debole, configurandosi un solve et repete imposto di autorità. Così si delinea la lesione degli artt. 3, prima parte, 24, secondo comma, 41, prima parte, 97, secondo comma, Cost.

 

2. - Nell'ordinanza di rinvio si assume che le disposizioni denunziate, come esse sono intese nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e nelle concordi pronunce di questo Collegio, sanciscono l'obbligo della licenza, sul quale verte la presente controversia. Non si spiega tuttavia perché la censura di illegittimità costituzionale sia stata proposta anche nei confronti dell'art. 69 del citato T. U. n. 773 del 1931. Infatti, lo stesso giudice a quo esclude espressamente che tale statuizione, posta con riferimento ai trattenimenti dati in pubblico per mestiere e alle pubbliche audizioni, possa applicarsi nel procedimento di cui egli é investito. Si deve quindi preliminarmente osservare che, per quanto concerne la denunzia della norma or ora menzionata, la questione é inammissibile.

 

Identica conclusione s'impone, in punto di ammissibilità, con riferimento alla questione che ha per oggetto l'art. 72 del citato T. U. Soccorre in proposito una duplice osservazione:

 

a) il Pretore di Padova ritiene che anche quest'ultima norma sia inapplicabile nel giudizio a quo, in quanto essa concernerebbe non l'esecuzione mediante elettrogrammofono, ma l'altra e distinta ipotesi della rappresentazione di opere musicali; e tuttavia promuove riguardo a questa medesima norma il giudizio della Corte, senza chiarire per alcun verso se essa opera nel diritto vigente in guisa da abbracciare, diversamente da come egli vorrebbe, il caso di specie;

 

b) a parte ciò, la statuizione in esame si limita a disporre che la licenza di P.S. é subordinata alla tutela dei diritti di autore, in conformità delle leggi speciali: ed é quindi la speciale normazione, alla quale qui si fa soltanto rinvio, che andava assunta come oggetto di diretta e puntuale censura in questa sede, giacché si asserisce che proprio essa abbia determinato la lamentata posizione della SIAE, dettando la disciplina investita dal provvedimento di rimessione.

 

3. - Le censure che residuano all'esame della Corte sono mosse sia agli artt. 68 e 86 del T. U. di P.S., sia all'art. 666 del codice penale. La questione che si prospetta in relazione a tali norme é stata dichiarata infondata in altro giudizio (cfr. sentenza n. 110 del 1973). Pur di fronte alla più diffusa motivazione dell'ordinanza in esame, la Corte non ritiene, per i rilievi che seguono, di doversi discostare dalla decisione in precedenza adottata.

 

Si é detto come il giudice a quo individui la disciplina che egli censura nella norma vivente ad opera della costruzione giurisprudenziale della specie. Si può osservare, peraltro, che, almeno, con riguardo all'uso del juke-box, l'apposita e qui contestata previsione della relativa autorizzazione trova testuale riscontro in altri vigenti atti normativi. Così, al n. 46.IV della tabella annessa al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 ("Disciplina delle tasse sulle concessioni governative") si contempla una specifica licenza - fra quelle rilasciate dall'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 68 del T.U. - "per tenere e far funzionare nei pubblici esercizi un elettrogrammofono a gettone"; licenza distinta dall'altra, che riguarda, nella stessa tabella, le "audizioni" in generale (n. 46.I). Detto ciò, si tratta di vedere se l'aver prescritto l'obbligo, penalmente sanzionato, della licenza configuri, nel caso in esame, quel "superfluo ostacolo di ordine burocratico", che limiterebbe indebitamente l'area costituzionalmente garantita all'iniziativa privata. Questo é anzi il nucleo della presente indagine, dal momento che il giudice a quo muove dalla prospettata violazione dell'art. 41 Cost., per denunziare di conseguenza le altre ipotesi di illegittimità sopra richiamate, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 Cost.

 

Ora, la sfera di cui si lamenta la lesione é, certo, protetta dall'art. 41 Cost. Senonchè, questa stessa disposizione, al secondo comma, stabilisce che l'iniziativa economica privata "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana". Il legislatore può dunque discrezionalmente limitare lo svolgimento delle attività produttive dei singoli, finché adopera a questo scopo gli strumenti che, lungi dall'offendere i testé richiamati precetti del testo fondamentale, servono alla loro opportuna e razionale attuazione. Nel caso in esame, l'esercizio dell'iniziativa privata viene assoggettato ad un vincolo molteplice, nel senso che sono richieste distinte licenze, rispettivamente per l'apertura del bar, e per l'uso, in tale esercizio pubblico, del juke-box o del flipper. Ma non per questo la norma é costituzionalmente illegittima. Come la Corte ha chiarito nella sentenza n. 110 del 1973, occorre per vero un'ulteriore specifica autorizzazione in ordine a "qualsiasi attività, anche se affine, non compresa nella licenza di cui un esercizio sia già fornito". D'altra parte, questo principio di pluralità delle licenze - la cui conformità a Costituzione il giudice a quo non mette in dubbio - riceve ragionevole applicazione nella specie. La normativa denunziata é infatti prevista in funzione di un interesse pubblico, del quale gli organi amministrativi curano il perseguimento; essa trae così il suo titolo giustificativo dall'esigenza di mantenere l'iniziativa privata entro i limiti tracciati dal testo costituzionale: l'obbligo della licenza é, a tacer d'altro, sorretto da un criterio di utilità sociale, alla stregua del quale il legislatore ha ritenuto che le attività svolte in luogo pubblico (o aperto o esposto al pubblico) esigono il vaglio preventivo dell'autorità, e vanno penalmente sanzionate, dove tale prescrizione risulti inosservata.

 

Giova del resto ricordare come, con l'adottare l'anzidetto criterio, sia stato in sede normativa conferito rilievo, prima di tutto, all'ambiente spaziale della specifica attività, che deve essere autorizzata. Basta che si tratti di luogo pubblico, o a questo dalla legge assimilato. Non importa se esso, come accade nella specie, sia destinato anche ad altre attività, egualmente soggette ad autorizzazione, ma autonomamente prese in considerazione dal legislatore, anche in vista della loro distinta rilevanza penale. Se poi si guarda al caso in esame, la presenza, nell'esercizio pubblico, pur di un solo Juke-box, e di un solo flipper, può rilevare, ai fini della presente indagine, in varia guisa: può incidere sul flusso, o sullo stesso genere della clientela, o toccare per altro verso, secondo le circostanze, le esigenze della collettività, che l'organo competente al rilascio della licenza é tenuto a valutare. Il fatto, infine, che all'autorità di pubblica sicurezza é consentito di imporre a chiunque ottenga un'autorizzazione di polizia altre prescrizioni, oltre quelle stabilite dalla legge, nulla toglie all'utilità e giustificatezza dell'apposita licenza qui richiesta: giova, semmai, a meglio dimostrarla. Ogni ulteriore prescrizione eventualmente imposta all'esercente dall'autorità di pubblica sicurezza, non potrebbe, invero, che afferire alle modalità di impiego del juke- box e del flipper, per il quale fosse intervenuta l'apposita autorizzazione. Anche qui, allora, é sempre quest'ultimo ed autonomo provvedimento a venire in considerazione sul piano dell'interesse pubblico: non la licenza già concessa per l'apertura dell'esercizio, in cui l'apparecchio é collocato. Il che significa, semplicemente, che la legge non solo subordina, in via generale, le attività in discorso al regime della licenza, ma consente altri e più specifici controlli del loro svolgimento: e ciò nell'implicito ma evidente presupposto dell'utilità sociale, che si annette alla previsione del provvedimento autorizzativo.

 

4 - Una precisazione va per ultimo fatta, quanto alla questione che interessa, in particolare, l'uso del flipper "solitario". Il giudice a quo contesta che qui ricorrano, come questa Corte ha ritenuto nella sopra citata pronunzia, gli estremi del giuoco lecito: e cioè, non soltanto del giuoco comunque vietato in luogo pubblico, ai sensi dell'art. 110 del T. U. n. 773 del 1931 come modificato dall'art. 1 della legge n. 507 del 20 maggio 1965, ma anche di quello permesso in seguito ad espressa autorizzazione (cfr. art. 194 R.D. 6 maggio 1940, n. 635, regolamento di esecuzione del T. U. n. 773 del 1931). L'apparecchio, osserva il Pretore di Padova, é spoglio delle caratteristiche e delle possibilità automatiche di ripetizione o prolungamento della partita, che nel passato lo aveva reso un gioco illecito (cfr. sentenza n. 12 del 1970): e sarebbe ora ridotto a un semplice mezzo di trattenimento, che esula persino dalla categoria del giuoco permissibile. Anche se così fosse, tuttavia, i termini del quesito all'attenzione della Corte non si sposterebbero. La questione é infatti sollevata in relazione, non soltanto alle norme che prescrivono la licenza per le audizioni o i giuochi leciti in pubblico - rispettivamente agli artt. 68 e 86 del T. U. del 1931 - ma altresì all'art. 666 del codice penale. Quest'ultima norma incrimina, per l'appunto, i trattenimenti "in pubblico", "senza licenza" e "di qualsiasi natura". Le sopracitate prescrizioni del T. U. di P.S. formano, a loro volta, oggetto di censura, in quanto integrano la previsione del codice mediante un elenco delle attività soggette ad autorizzazione: il quale, ancorché non tassativo, come si osserva nell'ordinanza di rinvio, include tuttavia, oltre ai giuochi leciti (art. 86), i trattenimenti (art. 68). In questa prospettiva - osserva il giudice a quo - un'eventuale pronuncia di accoglimento dovrebbe investire sia l'art. 666 del codice penale, nella parte in cui esso sanziona indiscriminatamente l'inosservanza del requisito della licenza con riguardo ad ogni trattenimento in pubblico, sia la corrispondente previsione del T. U., che dei trattenimenti e delle altre attività soggette a licenza non dà, dal canto suo, una definizione esaustiva: di guisa che il caso in esame, in cui la necessità del provvedimento autorizzativo risulterebbe aver leso gli invocati parametri, venga ad essere escluso dall'ambito dell'impugnata statuizione incriminatrice. In definitiva, si denunzia l'obbligo della specifica licenza (e la sanzione penale della relativa inosservanza), quando in un esercizio pubblico debba installarsi quel certo tipo di bigliardino, che figura nella specie: si abbia giuoco lecito oppure trattenimento, il regolamento denunziato opererebbe comunque, e ad egual titolo. Ma l'obbligo della licenza si giustifica in ogni caso, sempre in ragione, come si é detto, della rilevanza che l'attività, illecita dove difetti il provvedimento autorizzativo, acquista in pubblico. Ci troviamo, allora, di fronte a una prescrizione razionalmente inquadrata nel sistema dei limiti che circondano l'iniziativa privata: e nel configurarla, anche con riguardo all'uso di un solo juke-box e di un solo flipper, il legislatore non ha travalicato dal corretto esercizio della discrezionalità che gli compete. Con ciò restano disattese le rimanenti censure, avanzate in dipendenza dalla pretesa lesione dell'art. 41 Cost.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara:

 

a) inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 69 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, del Testo Unico leggi P.S. e 666 del codice penale, sollevata dal Pretore di Padova, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte, e 41, prima parte, Cost.;

 

b) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72 del Testo Unico, sollevata dal Pretore di Padova, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, prima parte, 24, secondo comma, 41, prima parte, e 97, secondo comma, Cost.;

 

c) non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 68 e 86 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, del Testo Unico leggi P.S. e dell'art. 666 del codice penale, sollevata dal Pretore di Padova, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte, e 41, prima parte, Cost.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1982.