Sentenza n. 228 del 1982

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SENTENZA N. 228

 

ANNO 1982

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Leopoldo ELIA

 

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

 

Avv. Oronzo REALE

 

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

 

Avv. Alberto MALAGUGINI

 

Prof. Livio PALADIN

 

Prof. Antonio LA PERGOLA

 

Prof. Virgilio ANDRIOLI

 

Prof. Giuseppe FERRARI

 

Prof. Giovanni CONSO

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 376 cod. pen. (ritrattazione) promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 23 marzo 1977 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di Cancelli Mario ed altro, iscritta al n. 296 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 del 27 luglio 1977;

 

2) ordinanza emessa l'1 luglio 1977 dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Infantino Andrea ed altri, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 del 19 luglio 1978;

 

3) ordinanza emessa il 26 giugno 1978 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di Malossi Arnaldo ed altri, iscritta al n. 506 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 del 17 gennaio 1979;

 

4) ordinanza emessa il 9 gennaio 1981 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Santangelo Lucia ed altri, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 234 del 26 agosto 1981.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica dell'1 giugno 1982 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

 

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Ferri, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Nel corso di taluni procedimenti penali a carico di persone che avevano reso mendaci dichiarazioni alla polizia giudiziaria ed erano state chiamate a rispondere del reato di cui all'art. 378 c.p. (favoreggiamento personale) benché avessero successivamente ritrattato, i Tribunali di Grosseto, con distinte ordinanze del 23 marzo 1977 (r.o. 296/77) e del 26 giugno 1978 (r.o. 506/78), e di Reggio Calabria, con ordinanza in data 1 luglio 1977 (r.o. 221/78), hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 376 c.p. nella parte in cui prevede l'esimente della ritrattazione solo per il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e non anche per il reato di favoreggiamento personale integrato da false dichiarazioni, in riferimento all'art. 3 Cost.

 

2. - Il Tribunale di Torino, con ordinanza in data 9 gennaio 1981 (r.o. 293/81), ha denunciato inoltre la medesima norma anche in riferimento all'art. 24 Cost. In tale ordinanza si osserva che sovente il favoreggiamento personale é "commesso in forme del tutto coincidenti, quanto alla condotta realizzata dal colpevole, con il reato di falsa testimonianza, da questo differenziandosi unicamente per la diversa natura dell'autorità che riceve le dichiarazioni del reo", costituendo consolidato orientamento giurisprudenziale che "integra il delitto di cui all'art. 378 c.p. il fatto di chi, durante le indagini di polizia giudiziaria, si rifiuta di fornire notizie essenziali per l'identificazione del colpevole, ovvero fornisce notizie false per aiutarlo".

 

Ad avviso del Tribunale, l'addurre una diversa obiettività giuridica degli interessi offesi, rappresentato l'uno dall'interesse dell'amministrazione della giustizia all'accertamento ed alla repressione dei reati (art. 378 c.p.) e l'altro dall'interesse alla verità ed alla completezza della testimonianza (art. 372 c.p.), non costituirebbe argomento idoneo ad escludere l'addotta disparità di trattamento. Su tale diversità, infatti, si fonda l'orientamento di quella giurisprudenza che ravvisa concorso formale di reati nella condotta di chi rende falsa testimonianza all'autorità giudiziaria con lo scopo di aiutare taluno ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche, conseguentemente ritenendo, in caso di ritrattazione, l'imputato non punibile solo in ordine al reato di falsa testimonianza. L'argomento di cui sopra trascurerebbe di considerare, sia che i due interessi vengono in pratica a coincidere (anche la veridicità della testimonianza essendo funzionale all'accertamento dei reati), sia l'estrema difficoltà di individuare una falsa testimonianza che non sia dettata dall'esigenza di evitare un pericolo a se stessi o di aiutare taluno. Talché, essendo il primo caso previsto come non punibile a mente dell'art. 384 (primo comma) c.p., ne conseguirebbe che "la falsa testimonianza punibile ha come elemento naturale intrinseco l'intenzione di favorire qualcuno". E ciò renderebbe ancor più evidente la disparità di trattamento in ordine agli effetti riconosciuti alla ritrattazione solo per il reato di falsa testimonianza, che pure condivide con quello di favoreggiamento personale i casi di non punibilità previsti dall'art. 384 (primo comma) c.p.

 

Neppure varrebbe addurre - continua l'ordinanza - che i due reati, al di là delle analogie, individuano pur sempre fattispecie diverse, per dedurne che la diversa disciplina delle cause di non punibilità rientrerebbe nelle scelte discrezionali del legislatore, non censurabili sotto il profilo della legittimità. Tale diversità travalicherebbe invero il limite di ragionevolezza, nel senso che il motivo ispiratore della causa di non punibilità prevista dalla norma impugnata (che consiste nell'opportunità di incoraggiare il ravvedimento attuoso del reo, privilegiando l'accertamento della verità rispetto alla pretesa punitiva) si adatta perfettamente pure al favoreggiamento personale integrato da dichiarazioni mendaci. Anche questo, infatti, viene punito in quanto comporta rallentamento o vanificazione delle investigazioni, onde dovrebbe essere indifferente che l'intralcio venga rimosso manifestando il vero all'autorità giudiziaria ovvero alla polizia (se davanti a questa erano state rese le dichiarazioni mendaci) o al magistrato che avesse ricevuto le false dichiarazioni mentre compiva egli stesso atti di polizia giudiziaria ex artt. 231, 232 e 234 c.p.p.

 

Infine - conclude l'ordinanza - "sotto il profilo della politica criminale la disciplina vigente appare improduttiva e contrastante con le scelte che incoraggiano il pentimento del reo". L'autore delle dichiarazioni favoreggiatrici, infatti, non può manifestare il vero davanti al giudice, ove lo voglia, se non sotto pena di rivelare il proprio reato precedentemente commesso (rimasto, in ipotesi, ignoto). Ne scaturisce, quindi, un incentivo alla perpetuazione ed all'estensione degli effetti del primo reato; e si può profilare, altresì, una lesione del diritto di difesa, inteso nell'accezione del "difendersi provando", vale a dire "nell'interesse di addurre tutte le circostanze che possano giovare al dichiarante".

 

3. - Nessuna ulteriore argomentazione viene addotta nelle ordinanze del Tribunale di Grosseto ed in quella emessa dal Tribunale di Reggio Calabria che, come s'é accennato, denunciano la norma in riferimento al solo art. 3 della Costituzione.

 

Nelle prime si afferma, peraltro, che il "bene giuridico (retto funzionamento della giustizia) tutelato dalle due norme incriminatrici" di cui agli artt. 372 e 378 sarebbe identico e che la fattispecie criminosa dell'art. 372 c.p. - per la quale é prevista l'efficacia esimente della ritrattazione - sarebbe più grave sotto il profilo sia sanzionatorio che sostanziale; nella seconda, che difetta di una qualsiasi razionale giustificazione una disciplina penale che "regoli l'indagine di polizia giudiziaria in modo più rigoroso e restrittivo rispetto a quella condotta davanti all'autorità giudiziaria".

 

4 - L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nei giudizi promossi con la prima delle ordinanze emesse dal Tribunale di Grosseto e con quella del Tribunale di Reggio Calabria ha chiesto che le questioni vengano dichiarate infondate.

 

Negli atti di intervento sostanzialmente si osserva che la ritrattazione, mentre "interviene tempestivamente ad impedire la definitiva lesione del bene oggetto di tutela penale nei delitti di cui agli artt. 372 e 373 c.p.", "nel delitto di favoreggiamento personale commesso mediante mendaci e reticenti dichiarazioni, interverrebbe quando il bene oggetto di tutela penale é già stato definitivamente leso, nel senso che l'aiuto ad eludere le investigazioni dell'autorità od a sottrarsi alle ricerche di questa ha già ottenuto il risultato voluto: cioè, le investigazioni dell'autorità già sono state eluse o la sottrazione alle ricerche dell'autorità già é stata favorita".

 

In tal caso, quindi, non sembra possa prevedersi altro che l'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p. In conclusione, la disciplina impugnata costituirebbe espressione di scelte di politica legislativa e non porrebbe problemi di costituzionalità in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Poiché le questioni sollevate con le ordinanze di cui sopra sono sostanzialmente identiche, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

 

2. - I giudici a quibus dubitano tutti della legittimità costituzionale dell'art. 376 c.p. nella parte in cui non estende la causa di non punibilità ivi considerata (ritrattazione) all'imputato del reato previsto dall'art. 378 c.p. (favoreggiamento personale), allorché successivamente ritratti il falso e manifesti il vero, quantomeno nell'ipotesi in cui il fatto risulti commesso con condotta corrispondente a quella del reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.): nei casi di specie, con dichiarazioni mendaci rese alla polizia giudiziaria. La medesima condotta, consistente nel rifiuto di fornire notizie essenziali per l'identificazione del colpevole, ovvero nel fornire notizie false per aiutarlo, determinerebbe conseguenze opposte sotto il profilo dell'applicabilità dell'esimente della ritrattazione, secondo che le false dichiarazioni siano state rese all'autorità giudiziaria, nel qual caso il reato ipotizzabile sarebbe quello di falsa testimonianza, ovvero all'autorità di polizia giudiziaria, nel qual caso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il reato ipotizzabile sarebbe quello di favoreggiamento personale. Conseguentemente, l'inapplicabilità dell'esimente a quest'ultima ipotesi comporterebbe, in contrasto col precetto di cui all'art. 3, primo comma, Cost., un'ingiustificata disparità di trattamento in danno dell'imputato di favoreggiamento personale; inoltre, l'indagine di polizia giudiziaria risulterebbe disciplinata in modo irragionevolmente più rigoroso di quella condotta dalla stessa autorità giudiziaria.

 

Il Tribunale di Torino, poi, sulla scorta della considerazione che l'autore delle dichiarazioni favoreggiatrici (in ipotesi rese alla polizia giudiziaria) non potrebbe manifestare il vero al giudice che lo interroghi sugli stessi fatti, se non rivelando il reato precedentemente commesso, prospetta altresì la violazione dell'art. 24 Cost., dovendo intendersi ricompreso nel diritto di difesa l'interesse di addurre tutte le circostanze che possano giovare al dichiarante.

 

3. - Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono, sotto entrambi i profili, infondate.

 

Come in altre occasioni affermato da questa Corte, finalità dell'esimente della ritrattazione é di "dare soddisfazione all'interesse alla giusta definizione del giudizio principale" (sentenze n. 26 del 1974 e n. 206 del 1982). In funzione del perseguimento di questo scopo primario, con la norma di cui all'art. 376 c.p. il legislatore ha inteso incoraggiare il ravvedimento operoso del falso testimone, prevedendone la non punibilità, ove la ritrattazione del falso e la manifestazione del vero intervengano in tempo utile ad evitare il pericolo di una decisione fondata su presupposti non veritieri, con conseguente possibile pregiudizio del fine primario di cui s'è detto. Pregiudizio che, evidentemente, una testimonianza vedidica e completa, se pur "tardivamente" resa, può valere ad evitare, attesa l'intima connessione funzionale fra il suo oggetto ed i fatti sui quali é in corso un accertamento giudiziale non ancora compiuto.

 

Analoga attitudine della ritrattazione ad evitare la lesione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice di cui all'art. 378 c.p. difetta nel caso del favoreggiamento personale, anche se integrato da false o reticenti dichiarazioni rese all'autorità di polizia giudiziaria. L'aiuto "a eludere le investigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa", che costituisce l'elemento materiale del reato in esame, comporta invero per definizione - anche se non sempre la vanificazione o il rallentamento - comunque un intralcio all'opera di investigazione dell'autorità. Intralcio che, soprattutto nella fase iniziale delle indagini, cui sembra principalmente riferirsi la norma, é suscettibile di comportare la definitiva frustrazione del fine di assicurare l'accertamento e la repressione dei reati, essendo evidente che il pregiudizio arrecato alla pretesa punitiva dello Stato allorché, grazie alle false dichiarazioni rese dal favoreggiatore alla polizia giudiziaria, il reo si sia ad esempio sottratto all'arresto o alla cattura, non é tale da poter essere in sé eliso da una resipiscenza che intervenga, in ipotesi, quando egli é ormai lontano o non più altrettanto agevolmente reperibile.

 

Non sembra dubitare, insomma, che la diversa obiettività giuridica dei due reati comporta un diverso atteggiarsi della idoneità della ritrattazione ad evitare la definitiva lesione dell'interesse tutelato da ciascuna delle fattispecie, onde non appare irragionevole che la causa esimente sia contemplata solo per il reato di falsa testimonianza (e per quello di cui all'art. 373 c.p.) e non anche per il favoreggiamento personale.

 

4 - Che, poi, la prevalente giurisprudenza ritenga, in linea con talune opinioni espresse in dottrina, che la diversa obiettività giuridica dei due reati non impedisce di ravvisare nella falsa testimonianza ipotesi speciale di reato rispetto al favoreggiamento personale, con la conseguenza che le false e favoreggiatrici dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria comportano, in caso di tempestiva ritrattazione, la non punibilità dell'agente, é constatazione esatta, ma dipendente da valutazioni ermeneutiche sull'ambito applicativo del principio c.d. di specialità di cui all'art. 15 c.p. Ma si tratta di valutazioni che esulano dal giudizio di questa Corte, cui non compete stabilire se, nell'ipotesi descritta, ricorra un caso di concorso formale di reati o, invece, di concorso apparente di norme incriminatrici.

 

La diversità delle conseguenze che possono in ipotesi derivare all'agente in relazione alla non identità dei contesti nei quali le dichiarazioni favoreggiatrici siano rese non inficia, insomma, le raggiunte conclusioni sulla insussistenza del contrasto della norma in esame col principio di cui all'art. 3, primo comma, Cost. Ed invero, in caso di ritrattazione, l'impunità viene concessa al reo in funzione meramente strumentale al perseguimento del diverso fine primario di cui s'è detto più sopra, non già nell'interesse dell'imputato (sentenze n. 26 del 1974 e n. 206 del 1982). Se ne trova indiretta, seppur inequivoca conferma nella disciplina dettata dall'art. 384, primo comma, c.p., laddove non essendo l'esimente speciale ivi considerata funzionalmente collegata a fini ulteriori, ma venendo in rilievo esclusivamente la particolare condizione soggettiva dell'agente, i casi preveduti, tra gli altri, dagli artt. 372 e 378 c.p., sono stati, invece, logicamente accomunati.

 

5. - Non può dirsi infine che integri violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., la circostanza che il favoreggiatore - il cui reato sia rimasto in ipotesi ignoto - non possa manifestare il vero al giudice che lo interroga sugli stessi fatti, se non rivelando il reato precedentemente commesso. A parte l'ovvia osservazione che egli sarebbe escusso come testimone, onde il diritto di difesa non potrebbe venire in considerazione, deve rilevarsi che la situazione prospettata é comune a tutti i casi in cui il teste si trovi di fronte all'alternativa di manifestare il falso e di confessare, dichiarando il vero, un reato: in tale ipotetico contesto, l'assumere che la norma costituzionale, in tanto sarebbe rispettata, in quanto la manifestazione del vero comportasse l'impunità in ordine al reato confessato, é affermazione che avrebbe senso logico, solo se il diritto di difesa potesse legittimamente riguardarsi in un'accezione semantica che lo consideri sinonimo di rinuncia alla pretesa punitiva da parte dello Stato.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 376 c.p. nella parte in cui prevede l'esimente della ritrattazione solo per il reato di cui all'art. 372 c.p. (falsa testimonianza) e non anche per quello di cui all'art. 378 c.p. (favoreggiamento personale) sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dai Tribunali di Grosseto, Reggio Calabria e Torino con le ordinanze indicate in epigrafe;

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 376 c.p. sollevata, con la stessa ordinanza, dal Tribunale di Torino, in riferimento all'art. 24 Cost.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1982.