Sentenza n. 221 del 1982
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SENTENZA N. 221

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino DE STEFANO

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 120 e 124 del codice penale e dell'art. 304 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 febbraio 1976 dal Pretore di Chiavenna nel procedimento penale a carico di Dell'Adamino Massimo, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3 giugno 1976;

2) ordinanza emessa il 7 novembre 1978 dal Pretore di Chiavenna nel procedimento penale a carico di Nesossi Florinda ed altra, iscritta al n. 272 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 175 del 27 giugno 1979;

3) ordinanza emessa il 16 gennaio 1979 dal Pretore di Chiavenna nel procedimento penale a carico di Tavasci Lorenzo, iscritta al n. 273 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Dell'Adamino Massimo, imputato dei reati di ingiurie e di percosse, il Pretore di Chiavenna, con ordinanza 3 febbraio 1976, ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale: la prima nei confronti dell'art. 124 c.p., in quanto tale norma fa decorrere il termine per la presentazione della querela dal giorno del fatto, senza tener conto della conoscenza che l'una delle due parti possa avere della querela presentata dall'altra parte, e la seconda nei confronti dell'art. 304 c.p.p., in quanto l'avviso di procedimento é spedito (quando ciò avvenga) non al più presto dopo l'iscrizione nei registri del procedimento penale, ma solo all'inizio dell'istruzione, quando già sono trascorsi mesi, e talvolta anni, dal fatto.

L'art. 124 c.p. violerebbe gli artt. 3 e 24 della Costituzione (entrambi congiuntamente richiamati nel dispositivo dell'ordinanza, senza distinguere tra le due questioni) dato che nei più frequenti reati perseguibili a querela (ingiurie, percosse, lesioni, minacce), essendo "per lo più il reato commesso in danno reciproco", "avviene che la parte che mostra maggior correttezza, quella più disposta a perdonare, quella che capisce che é meglio lasciar correre, é quella che si trova ad essere danneggiata perché la controparte (che non di rado la trae in inganno con promesse di accomodamento) facendo la querela alla scadenza dei termini, o comunque, senza che il querelato abbia modo di essere informato, riesce a trascinarlo a giudizio nella incomoda posizione d'imputato".

Quindi, conclude sul punto il giudice a quo, "l'accorto querelante che normalmente dovrebbe comparire anch'egli nelle vesti di imputato, può testimoniare e costituirsi parte civile; l'altro, invece, che avrebbe eguali ragioni da far valere, può solo difendersi come imputato e non può far valere ragioni risarcitorie in compensazione".

Anche l'art. 304 c.p.p. violerebbe, sempre stando al dispositivo, le indicate norme costituzionali, giacché é fatto di esperienza quotidiana che i processi "giacciono per mesi e talvolta per anni" negli uffici giudiziari, prima che si dia l'avvio ad un atto di istruzione: per tutto questo tempo l'imputato può ignorare di essere tale, "con la conseguenza che quando l'istruzione inizia egli può non essere più in grado di ricordare i particolari del fatto, di rintracciare testi e documenti, di organizzare, in poche parole, utilmente la sua difesa".

L'ordinanza é stata ritualmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 1976.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Quanto alla prima questione, deduce l'Avvocatura che gli offensori sono trattati in modo eguale, giacché ad entrambi é imposto l'onere di proporre querela entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto; se uno di essi rimane inerte, "tale inerzia la imputi a sé, così come le conseguenze che eventualmente ne derivano". Conseguenze che - aggiunge l'Avvocatura - non sarebbero così negative come asserito dal giudice a quo, perché la causa speciale di non punibilità di cui all'art. 599, primo comma, c.p., si applica anche all'offensore: ciò significa che pure nel caso in cui uno solo degli offensori si sia querelato l'ordinamento offre al giudice gli strumenti per tener conto delle offese che il querelante abbia rivolto al querelato, e per dichiarare, quindi, non punibile il querelato che non abbia invece proposto querela.

L'art. 24 Cost. sarebbe poi puntualmente osservato "versando ambedue gli offensori, il querelante e l'altro che non si é querelato, nella stessa pratica possibilità di difendersi, uno come persona offesa (testimone) e l'altro come offensore (imputato)".

Circa, poi, "l'impossibilità, ritenuta dal Pretore, per l'offensore offeso querelato e non querelante di far valere ragioni in compensazione"' l'Avvocatura, richiamato l'art. 599, terzo comma, c.p., deduce che, nel caso in cui il giudice ritenga prevalenti le offese pronunciate dal querelato, non escludendo che anche il querelante abbia pronunciato offese, l'illecito di quest'ultimo non solo non cesserà di essere tale, ma per il risarcimento del danno conseguente potrà essere adito il giudice civile.

Con riferimento alla pretesa illegittimità costituzionale dell'art. 304 c.p.p., l'Avvocatura, premesso che la ratio legis della disciplina della comunicazione giudiziaria fa sì che non se ne debba estendere l'ambito di operatività al di là dei limiti ritenuti congrui dallo stesso legislatore, si richiama alla sentenza n. 197 del 1972 della Corte costituzionale, con la quale venne affermato che prima della "novella" n. 93 del 1969, istitutiva dell'avviso di procedimento, "non si era mai denunziata, per violazione del diritto d'azione e di difesa, la mancata previsione, nel nostro sistema processuale, dell'avviso di procedimento: una violazione che avrebbe - in ipotesi e per assurdo - riguardato, per diffusa situazione d'incostituzionalità, l'intero sistema del momento dell'esercizio dell'azione penale".

D'altra parte, aggiunge l'Avvocatura, non sembra corrispondere alla logica delle cose ritenere che una persona la quale ha commesso un fatto che può avere rilevanza penale non abbia dubbio alcuno sulle conseguenze che le possono derivare, fino al punto da restare sorpresa dall'avviso di procedimento che le pervenga quando non sia più in grado di ricostruire convenientemente, ai fini della sua difesa, il fatto di cui é stato protagonista.

Lo stesso Pretore di Chiavenna, con ordinanza 7 novembre 1978 emessa nel procedimento penale a carico di Nesossi Florinda e altro, imputati del reato di ingiuria - rilevato che "il sistema dei termini stabilito dall'art. 124 c.p." (nel dispositivo é, però, erroneamente indicato l'art. 126 c.p.) "appare tale da danneggiare ingiustamente il querelato" e che l'art. 304 c.p.p., disponendo che "l'avviso di procedimento sia inviato solo all'inizio dell'istruzione ovvero che non debba essere inviato se di istruzione non possa esservi necessità", fa sì "che la persona che può querelarsi non venga a conoscenza dell'esistenza del procedimento fino alla di lei citazione in giudizio" - ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 1979.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato ed ha chiesto che le questioni siano dichiarate non fondate.

Deduce l'Avvocatura che, da un lato, non sono comprensibili le ragioni per cui il sistema dei termini stabilito dall'art. 124 c.p. apparirebbe tale da danneggiare il querelato e dall'altro, che nessun danno può derivare a quest'ultimo nel caso in cui l'avviso di procedimento non gli sia inviato.

Ancora il Pretore di Chiavenna, con ordinanza del 16 gennaio1979, pronunciata nel corso del procedimento penale a carico di Tavasci Lorenzo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 120 e 124 c.p. e dell'art. 304 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Le indicate disposizioni del codice penale sarebbero incostituzionali in quanto, facendo decorrere i termini per proporre la querela dal giorno del fatto senza tener conto della conoscenza che l'una delle due parti possa avere della querela presentata dall'altra, danneggerebbero "ingiustamente il querelato, tanto più che frequenti reati perseguibili a querela (ingiurie, percosse, lesioni) vengono commessi in danno reciproco delle parti stesse".

Anche l'art. 304 c.p.p. contrasterebbe con gli indicati parametri costituzionali perché il querelato, "contro il quale si procede con rito sommario, per effetto della mancata comunicazione giudiziaria, non viene posto in grado di approntare tutti i mezzi di difesa e di utilizzare, a sua volta, il diritto di querela"; vi sarebbe, in sostanza, "violazione di diritti costituzionali", non prevedendo la norma impugnata "l'invio di comunicazione giudiziaria nel caso di non effettuazione di mezzi istruttori".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 168 del 1979.

In questo ultimo giudizio non vi é stato intervento dell'Avvocatura dello Stato, né costituzione della parte privata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le tre ordinanze in epigrafe, tutte emesse dal Pretore di Chiavenna, rispettivamente alle date del 3 febbraio 1976, del 7 novembre 1978 e del 16 gennaio 1979, sollevano questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse; i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Oggetto comune di censura da parte delle ordinanze sono, da un lato, l'art. 124 c.p. (erroneamente indicato come art. 126 nel dispositivo, ma non nella motivazione, dell'ordinanza del 7 novembre 1978) e, dall'altro, l'art. 304 c.p.p., denunciati entrambi sotto il profilo dei rapporti con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, congiuntamente richiamati in ciascuno dei tre dispositivi senza ulteriori specificazioni formali, anche se dalle rispettive motivazioni emerge evidente il riferimento all'esigenza di un pari trattamento fra le parti ed al rispetto dei diritti della difesa.

Per maggior precisione, si deve rilevare che l'ordinanza del 16 gennaio 1979, nel prospettare i suoi dubbi sulla legittimità dell'art. 124 c.p., gli affianca l'art. 120 c.p., ma ciò - va subito notato - non già con l'intento di coinvolgere anche questo secondo articolo nell'eventuale declaratoria di illegittimità (si tratta, infatti, della disposizione con la quale il legislatore determina i soggetti legittimati alla querela, istituto che l'ordinanza in parola, ben lungi dal discutere quanto a legittimità costituzionale, si preoccupa, allo stesso modo delle altre due, di non vedere compromesso nei tempi d'esercizio del relativo diritto), bensì semplicemente perché l'art. 120, rappresentando il presupposto di ogni altra norma regolatrice del diritto di querela, può pur assurgere a punto di partenza di qualunque discorso sull'esercizio di tale diritto.

Proprio questa precisazione in ordine agli esatti termini di una delle questioni in esame - chiaramente imperniata (come, del resto, le altre, comprese quelle concernenti l'art. 304 c.p.p.) sul pregiudizio che al querelato per lesioni o percosse reciproche deriverebbe dalla decorrenza del termine per proporre a sua volta querela sempre e soltanto dal giorno del fatto, anziché dalla conoscenza della querela presentata contro di lui, pregiudizio tanto più grave nella carenza di una immediata, tempestiva, comunicazione giudiziaria - consente di individuare le disposizioni effettivamente oggetto di censura: cioè, l'art. 124, primo comma, c.p. (l'unico dei quattro commi di tale articolo che sia dedicato al termine per proporre la querela, occupandosi i tre seguenti della rinuncia alla querela) e l'art. 304, primo comma, c.p.p. (l'unico degli otto commi di tale articolo che concerna il momento dell'invio della comunicazione giudiziaria).

3. - Ciò chiarito per quel che riguarda le disposizioni di legge al centro delle questioni dedotte, la Corte non può sottacere l'assenza di qualsiasi indicazione da parte dell'ordinanza del 7 novembre 1978 circa gli estremi della fattispecie concreta da cui sarebbero emersi i relativi dubbi di legittimità: nulla vi si dice né quanto al reato oggetto di querela, né quanto alla reciprocità dei pretesi danni, né quanto allo stato del procedimento. Si impone, conseguentemente, una declaratoria di inammissibilità per carenza di motivazione sul punto della rilevanza.

4. - Nello scendere al merito delle due restanti ordinanze, occorre sottolineare, anzitutto, l'esistenza di un innegabile legame logico sia tra le questioni sollevate dall'ordinanza del 3 febbraio 1976, sia tra le questioni sollevate dall'ordinanza del 16 gennaio 1979. Ed invero, per entrambe le ordinanze, la denunciata illegittimità dell'art. 124, primo comma, c.p. - illegittimità che deriverebbe dal decorrere del termine per la presentazione della querela sempre ed unicamente dalla conoscenza del fatto anche in caso di offese reciproche e di querela presentata da una sola delle parti, senza che il querelato possa tener conto dell'avvenuta presentazione di questa prima querela ai fini dell'eventuale esercizio del diritto a sua volta spettantegli - potrebbe trovare, se riconosciuta e dichiarata, il proprio completamento e superamento nella concomitante declaratoria di illegittimità dell'art. 304, primo comma, c.p.p., illegittimità che deriverebbe, a sua volta, dall'obbligo per il magistrato inquirente di spedire la comunicazione giudiziaria soltanto in occasione del compimento di atti istruttori. Più precisamente, l'ordinanza del 3 febbraio 1976 si duole che la comunicazione giudiziaria non abbia luogo fin dall'iscrizione del procedimento (rectius, della querela) nei registri degli uffici giudiziari, mentre, più genericamente, l'ordinanza del 16 gennaio 1979 addebita alla mancanza di comunicazione giudiziaria il fatto che il querelato non sia posto in grado "di utilizzare a sua volta il diritto di querela". Tuttavia, poiché le questioni aventi ad oggetto l'art. 304, primo comma, c.p.p. non si limitano a prospettare le incidenze negative sul diritto di querela, ma allargano il discorso alle incidenze negative sul come "organizzare... utilmente" l'intera difesa (ordinanza del 3 febbraio 1976) o sul come "approntare tutti i mezzi di difesa" (ordinanza del 16 gennaio 1979, che conclude lamentando, altresì, ancor più in generale, la non previsione dell'invio della comunicazione giudiziaria nell'ipotesi, assai frequente nei procedimenti pretorili, di "non effettuazione di mezzi istruttori"), con conseguente riguardo per questi aspetti a qualsiasi tipo di reato, indipendentemente dalla procedibilità a querela, così da assumere autonomo rilievo, tali questioni vanno affrontate separatamente da quelle aventi ad oggetto l'art. 124, primo comma, c.p. e successivamente ad esse. Tanto più che, in ogni caso, e cioè anche limitando la prospettiva ai soli reati perseguibili a querela, un'eventuale declaratoria di illegittimità dell'art. 124, primo comma, c.p. non comporterebbe necessariamente l'illegittimità dell'art. 304, primo comma, c.p.p., come, all'inverso, un'eventuale declaratoria di non fondatezza in ordine all'art. 124, primo comma, c.p. non comporterebbe necessariamente un'analoga declaratoria nei confronti dell'art. 304, primo comma, c.p.p.

5. - Per quanto attiene all'art. 124, primo comma, c.p., le due ordinanze di rimessione, emanate l'una in un procedimento con imputazioni di ingiurie e di percosse, l'altra in un procedimento con imputazione di sole ingiurie, muovono dalla considerazione che i reati in questione, ed altri come le minacce e le lesioni personali perseguibili a querela (art. 582, secondo comma, c.p.), sovente "vengono commessi in danno reciproco": di qui il possibile determinarsi di una sperequazione processuale, con gravi ripercussioni sul diritto di difesa, qualora uno solo dei due protagonisti dello "scontro fisico o verbale" abbia presentato querela entro il termine perentorio dei tre mesi dal giorno del fatto (giorno che in tali casi coincide con il giorno della "notizia del fatto", dalla quale l'art. 124, primo comma, c.p. fa decorrere, salvo che la legge disponga altrimenti, il suddetto termine per l'esercizio del diritto di querela), a tutto danno dell'altro protagonista, più disposto a perdonare e fiducioso di un accomodamento, magari promesso, e poi disatteso, dalla "controparte".

La questione non é fondata, né sotto il profilo dell'art. 3 Cost. né sotto il profilo dell'art. 24 Cost.

A parte gli ostacoli che si frappongono all'enucleazione di una categoria dei "reati in danno reciproco" nell'ambito dei reati perseguibili a querela (solamente per le ingiurie il legislatore penale sostanziale prende in specifica considerazione, nell'art. 599 c.p., l'eventualità di "offese reciproche", secondo un concetto di reciprocità peraltro sganciato, nell'interpretazione giurisprudenziale corrente, da una necessaria concomitanza delle offese e, quindi, riscontrabile anche a distanza, mentre l'ipotesi di reati commessi "da più persone in danno reciprocamente le une alle altre" é prevista in via generalissima, compresi, pertanto, i reati perseguibili d'ufficio, pure con sganciamento dall'unità di tempo e di luogo, dal legislatore processuale penale, nell'art. 45 n. 1 c.p.p., ai fini della connessione dei procedimenti), nessuna violazione dell'art. 3 Cost., come puntualmente osserva l'Avvocatura dello Stato, é ravvisabile nei confronti di una disposizione che colloca i due "offensori reciproci", in identiche condizioni cronologiche per quanto riguarda l'esercizio del rispettivo diritto di querela.

La "disponibilità al perdono", la speranza in un "accomodamento" ed altri simili atteggiamenti (che, ovviamente, non devono essersi tradotti in un comportamento riconducibile a rinuncia tacita, fatto giuridico cui l'art. 124, secondo e terzo comma, c.p. attribuisce forza preclusiva assoluta, attraverso l'estinzione del diritto di querela), pur moralmente apprezzabili, non sono valori che il legislatore ordinario, anche a prescindere dalle difficoltà di ordine probatorio (potrebbe, ad esempio, essersi trattato di una dimenticanza o trattarsi di un atteggiamento pretestuoso, invocato a posteriori da chi ben sapeva che non vi era stata "reciprocità" di offese), sia tenuto a tutelare mediante appositi congegni normativi. Nessun precetto costituzionale, certamente non l'art. 3, esige tanto.

Si potrebbe, caso mai, aggiungere che il meccanismo auspicato dalle ordinanze di rimessione non tarderebbe a degenerare in strumento foriero di inconvenienti ben più gravi di quelli che pretenderebbe di eliminare: ogni querelato si vedrebbe incoraggiato a presentare querela contro il querelante, invocando una "reciprocità" fittizia, e ciò qualunque fosse il reato addebitatogli, data la già rilevata difficoltà di enucleare tra i reati perseguibili a querela una più ristretta sotto-categoria di reati che si prestino a reciprocità di offesa.

Parimenti, nessuna violazione é riscontrabile sotto il profilo del diritto di difesa, ai sensi dell'art. 24, secondo comma, Cost.

Già sul piano formale sarebbe agevole rispondere alle ordinanze di rimessione (e, in particolar modo, a quella del 16 gennaio 1979, che esplicitamente lamenta violazioni dei diritti della difesa, mentre l'ordinanza del 3 febbraio 1976 insiste piuttosto su una disparità di posizioni difensive, che si ritorcerebbe a tutto danno del querelato), che, nonostante l'uso da esse fatto dell'espressione "parti" e, più specificamente, di "parte" con riguardo al querelato, non é sufficiente la presentazione della querela per determinare l'instaurarsi del procedimento penale, donde la non operatività dell'art. 24, secondo comma, Cost. sino a che la polizia giudiziaria oppure l'autorità giudiziaria non dia inizio alle indagini O, comunque, non addivenga al compimento di atti che facciano assumere la qualità di imputato alla stregua dell'art. 78, primo comma, c.p.p.

Ma, anche spostando l'attenzione sulle situazioni processuali che vengono a determinarsi in un secondo momento per effetto degli interventi della polizia giudiziaria e dell'autorità giudiziaria, non rimane posto per altra soluzione se non quella della non fondatezza, pur non essendo esatto quanto afferma l'Avvocatura dello Stato circa il ritrovarsi del querelato "nella stessa pratica possibilità di difendersi" propria del querelante, un'affermazione che, fra l'altro, sembra riecheggiare ancora la preoccupazione di escludere qualsiasi contrasto con l'art. 3 Cost.

Parlare di "stessa" possibilità pratica di difendersi per querelante e querelato é indubbiamente eccessivo, date le consistenti differenze tra le rispettive posizioni processuali. Né per superare le differenze basta richiamarsi, come si legge nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, alla possibilità che "anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute" (art. 599, terzo comma, c.p.) sia applicata dal giudice quella speciale causa di non punibilità, definita ritorsione, che é prevista dall'art. 599, primo comma, c.p. Tale causa di non punibilità ha una portata estremamente limitata, avendo trovato riconoscimento legislativo soltanto nel caso di ingiurie reciproche, e, comunque, non vale ad elidere tutte le differenze tra la posizione del querelante e la posizione del querelato.

Ciò non significa, peraltro, che queste differenze - comunque conseguenti ad atti di libera scelta dei due "offensori reciproci", l'uno che ha deciso di presentare querela e l'altro che ha optato per la non presentazione - comportino per il querelato una violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., considerato sia di per sé, sia in correlazione con l'art. 3 Cost.: il querelato si trova a fruire di tutte le garanzie difensive riconosciute all'imputato, innegabilmente e doverosamente maggiori di quelle riconosciute al querelante, che va anche incontro al rischio di una condanna alle spese e ai danni in dipendenza del proscioglimento o dell'assoluzione dell'imputato (artt. 382 e 482 c.p.p.), salve soltanto le formule ivi espressamente eccettuate (si vedano altresì le declaratorie di illegittimità costituzionale di cui alle sentenze n. 165 del 1974 e n. 52 del 1975). Se é pur vero che la persona offesa dal reato é sempre chiamata a testimoniare, non é meno vero che questa Corte (v. le sentenze n. 190 del 1971 e n. 3 del 1973) ha già avuto occasione di dichiarare non fondate le questioni di legittimità proposte, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nei confronti delle disposizioni (artt. 106, 350, secondo comma, 366, 408, 441, 447, 448 e 449 c.p.p.) da cui proviene questa disparità tra l'imputato che viene interrogato ed altri soggetti processuali, come la persona offesa dal reato, il querelante, la parte civile, che vengono assunti come testimoni.

Quanto all'impossibilità per l'imputato di far valere ragioni risarcitorie in compensazione, cui si richiama l'ordinanza del 3 febbraio 1976, quasi a sottointendere una violazione del diritto di azione ex art. 24, primo comma, Cost., sono senz'altro da condividere le considerazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato circa il fatto che nulla vieta al querelato di intentare azione avanti al giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito delle offese ricevute in via di reciprocità dal querelante.

6. - Per quanto riguarda l'art. 304, primo comma, c.p.p., le due ordinanze - muovendo dalla considerazione che la comunicazione giudiziaria, con il venire inviata solo all'inizio dell'istruzione, anziché subito dopo l'iscrizione "del procedimento penale... nei registri degli uffici giudiziari" (ordinanza del 3 febbraio 1976), così da poter addirittura mancare allorché il giudizio non sia preceduto da alcuna attività istruttoria (ordinanza del 16 gennaio 1979), finirebbe con il pregiudicare, nei casi di "offese reciproche", un utile esercizio del diritto di querela da parte del querelato, almeno quando la "controparte" abbia presentato la querela con un congruo anticipo rispetto alla scadenza del termine massimo consentito - ripropongono sotto una nuova, particolare, angolatura, che é, appunto, quella del diritto di querela, la questione, già più volte affrontata da questa Corte e sempre risolta in termini di non fondatezza (v. le sentenze n. 197 del 1972, n. 29 del 1974 e n. 208 del 1976), della legittimità costituzionale della normativa concernente "il quando" debba farsi luogo alla spedizione della comunicazione giudiziaria.

Anche sotto questa nuova, particolare, angolatura, la questione, sollevata sempre con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., deve dirsi non fondata.

Ferma restando l'argomentazione su cui hanno fatto leva le sentenze da ultimo ricordate, e cioè (v. specialmente la sentenza n. 208 del 1976) che "la comunicazione giudiziaria non é imposta dalla Costituzione", rispondendo "ad esigenze che il legislatore ordinario ha ritenuto, nella sua discrezionalità, di dover soddisfare", così che "rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario determinare la sfera di applicazione della comunicazione stessa" e che, comunque, la garanzia della difesa, posta dall'art. 24 Cost. per ogni "stato" del procedimento, non può ritenersi operante quando ancora manchi il procedimento (v. specialmente la sentenza n. 29 del 1974, che riprende sul punto la sentenza n. 197 del 1972), si deve, a maggior ragione, rilevare che il fatto giuridico della presentazione di una querela non é sufficiente a determinare l'instaurazione di un procedimento penale né nell'accezione ampia né , tanto meno, nell'accezione ristretta del termine, collocandosi tale fatto addirittura in un momento anteriore agli stessi atti di istruzione preliminare della polizia giudiziaria. Che l'ordinanza del 3 febbraio 1976 parli di iscrizione del procedimento penale nei registri degli uffici giudiziari e di inizio del procedimento in coincidenza con tale iscrizione, rappresenta il frutto di un'imprecisione, o, per lo meno, di una generalizzazione che non può adattarsi alle ipotesi di querela o di semplice denuncia, la cui iscrizione nel registro dell'ufficio giudiziario competente non significa né meno ancora comporta inizio del procedimento penale. Pretendere che il diritto di difesa costituzionalmente garantito debba trovare spazio fin da tale momento equivale a sostenere una tesi chiaramente esorbitante dai confini del dettato costituzionale.

7. - Rimane da esaminare la prospettazione più generale, in quanto indipendente dal diritto di querela, attraverso la quale l'ordinanza del 16 gennaio 1979 deduce, ancora con riferimento ai "diritti costituzionali" di cui agli artt. 3 e 24 Cost., l'illegittimità dell'art. 304 c.p.p. per la mancata previsione dell'"invio di comunicazione giudiziaria nel caso di non effettuazione di mezzi istruttori". La questione era già stata sollevata in relazione al testo dell'art. 304 c.p.p., quale novellato dall'art. 8 legge 5 dicembre 1969, n. 932, introduttiva dell'avviso di procedimento, cui l'art. 3 legge 15 dicembre 1972, n. 773, con ulteriore "novellazione" dell'art. 304 c.p.p., ha sostituito la comunicazione giudiziaria, lasciando, peraltro, immutata la prescrizione sul "quando" dell'informativa ("Sin dal primo atto di istruzione, il giudice istruttore é obbligato", diceva l'art. 304 c.p.p. nella versione introdotta dalla legge n. 932 del 1969; "Sin dal primo atto di istruzione" dice l'art. 304 c.p.p. nella versione introdotta dalla legge n. 773 del 1972), e dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 197 del 1972. Poiché non é stato addotto alcun argomento atto ad indurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza, la questione é da ritenere manifestamente infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 126 (rectius, 124) c.p. e 304 c.p.p. sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con l'ordinanza emessa il 7 novembre 1978 dal Pretore di Chiavenna;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 124 c.p. e 304 c.p.p. sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le ordinanze emesse il 3 febbraio 1976 ed il 16 gennaio 1979 dal Pretore di Chiavenna;

3) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 304 c.p.p., nella parte in cui non prevede "l'invio di comunicazione giudiziaria nel caso di non effettuazione di mezzi istruttori", sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con l'ordinanza emessa il 16 gennaio 1979 dal Pretore di Chiavenna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1982.

 

Antonino DE STEFANO - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1982.