Sentenza n. 220 del 1982
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SENTENZA N. 220

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino DE STEFANO

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (Norme in materia di contratti agrari) e dell'articolo unico della legge 1 marzo 1968, n. 188 (Interpretazione autentica dell'art. 9 della legge 15 settembre 1964, n. 756) promossi con ordinanza 5 dicembre 1975 del Pretore di Lecce e con due ordinanze 21 dicembre 1981 del Pretore di Mesagne, rispettivamente iscritte al n. 123 del registro ordinanze 1976 e ai nn. 90 e 91 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 24 marzo 1976 e n. 150 del 2 giugno 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 ottobre 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Turco Costantino convenne in giudizio avanti al Pretore di Lecce Margiotta Beniamino per sentir dichiarare, ai sensi dell'art. 9 della l. 15 settembre 1964 n. 756, che il prodotto del fondo a lui concesso in colonia dal Margiotta, con obbligo di impianto di uliveto, doveva essere diviso in ragione del 20% al concedente e dell'80% ad esso istante, anziché del 45% e del 55% rispettivi in effetti praticati, avendo il concedente conferito soltanto "terreno nudo" ai sensi del cit. art. 9.

Detta norma invero stabilisce che:

1) Se il concedente conferisce terreno nudo (cioè privo di culture arboree o arbustive il valore netto della cui produzione non superi il 10% di quella ricavabile dalle culture erbacee), ha diritto ad un quinto del prodotto;

2) se partecipa alle "spese di coltivazione" per più della metà la divisione avviene in ragione dei 3/5 a favore del colono e dei 2/5 a favore del concedente;

3) se partecipa in misura superiore la quota é proporzionalmente modificata senza poter scendere però al di sotto del 50% a favore del colono;

4) se infine partecipa in misura inferiore alla metà della spesa di coltivazione o se comunque le spese da lui sostenute sono di scarsa entità, il colono, previo rimborso delle spese stesse alla chiusura dei conti, ha diritto ai 4/5 dei prodotti.

Il Pretore, con ordinanza 5 dicembre 1975, premesso che nella specie, a termini del contratto, il concedente era tenuto a proprie spese alla fornitura di olivi da impiantare nel fondo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 9 della l. n. 756 del 1964 e dell'articolo unico della l. 1 marzo 1968 n. 188 che aveva esteso anche alle colonie parziarie con clausola migliorataria e alla colonia migliorataria la disciplina della ripartizione dei prodotti come disposta dal menzionato art. 9 della l. n. 756 del 1964, per assunta violazione dell'art. 3 Cost.

Il Pretore osserva al riguardo che per l'attribuzione al concedente di una quota maggiore del 20% dei prodotti, secondo la migliore interpretazione della norma in esame, nessuna rilevanza avrebbero eventuali apporti iniziali da parte sua alle spese di trasformazione del fondo, non classificabili come concorso alle "spese di coltivazione", per cui in tale ipotesi il terreno dovrebbe considerarsi "nudo" ai sensi del cit. art. 9.

Con ciò peraltro, secondo il pretore, il legislatore avrebbe attribuito eguale trattamento a situazioni palesemente diverse, quali sono appunto quella del concedente che abbia con corso all'impianto e quella del concedente che si sia limitato a conferire nudo terreno. Si concreterebbe così un contrasto con il principio di eguaglianza garantito dall'art. 3 Cost. e nella censura incorrerebbe altresì l'articolo unico della l. 1 marzo 1968 n. 188 che ha esteso nel senso suddetto la regolamentazione in esame.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 24 marzo 1976.

In questa sede é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente presentato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che l'art. 10 della l. n. 756 del 1964, per l'ipotesi di conferimento di terreno con caratteristiche diverse da quelle indicate nell'art. 9 (terreno così detto "vestito") dispone che la quota spettante al colono é aumentata del 10%, senza peraltro poter superare il 90% della intera produzione lorda vendibile, restando quindi garantito in ogni caso al concedente il 10%.

Nell'ipotesi invece di sua partecipazione alle spese di impianto di nuove culture su terreno nudo il concedente ricaverà utili e prodotti diversi da quelli che avrebbe ricavato dal nudo terreno, perché, pur restando immutata la quota di spettanza prevista dall'art. 9, diversa sarà la quantità degli utili e dei prodotti. Pertanto non sussisterebbe in concreto la denunciata irrazionale uniformità di trattamento.

Con ordinanza del 21 dicembre 1981 il pretore di Mesagne, nel giudizio civile promosso da Chionna Francesco contro De Nitto Vittorio, avente oggetto analogo al precedente, ha sollevato questione di legittimità dei citati artt. 9 l. n. 756 del 1964 e unico legge n. 188 del 1968 in relazione agli artt. 3 e 42 Cost.

Al riguardo il pretore osserva che le varie ipotesi di ripartizione del prodotto fra colono e concedente svalorizzerebbero l'apporto di quest'ultimo perché non riconoscerebbero al conferimento del terreno un valore giuridico-economico pari al contributo del colono.

Ciò risulterebbe evidente dal fatto che il terreno viene considerato "nudo" anche se é rivestito da culture arboree od arbustive il cui prodotto non superi il 10% di quello ricavabile dalle culture erbacee, e comunque anche se esistono case coloniche ed altre costruzioni adibite a fini di coltivazione.

Inoltre il concedente verrebbe ingiustamente penalizzato in relazione al trattamento usatogli nel caso di contributo alla spesa inferiore alla metà, con evidente preferenza a favore del colono, ed uguale preferenza sarebbe riscontrabile nella regolamentazione del caso di partecipazione del concedente alle spese in misura superiore alla metà.

Si verificherebbe così una "compressione ed un immiserimento" del diritto di proprietà, garantito dall'art. 42 Cost. In particolare la riduzione al 20% della quota spettante al concedente finirebbe col negare la funzione sociale della proprietà, portando alla distruzione del capitale fondiario per l'irrisorietà della remunerazione.

Con ciò risulterebbe violato anche l'art. 3 Cost. per la discriminazione indotta dalla norma impugnata in danno dei concedenti.

In analogo giudizio promosso da Distante Antonio contro il De Nitto Vittorio lo stesso Pretore, con ordinanza pure in data 21 dicembre 1981, ha sollevato identica questione.

Le ordinanze debitamente notificate e comunicate, sono state entrambe pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 150 del 2 giugno 1982.

In entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva essere del tutto infondata la censura sollevata sotto il profilo dell'art. 3 Cost., trattandosi di situazioni palesemente diverse le quali, come tali, postulerebbero un diverso trattamento. La posizione economica del concedente sarebbe invero privilegiata rispetto a quella del colono, e le norme in esame tenderebbero appunto a garantire quest'ultimo quale parte più debole del rapporto.

Parimenti infondata sarebbe poi la censura proposta in riferimento all'art. 42 Cost.

La legislazione speciale agraria, di cui la norma impugnata fa parte, sarebbe infatti conforme all'art. 44 Cost., il quale, in materia di proprietà terriera privata, fissa il principio secondo cui é compito del legislatore promuovere lo stabilimento di più equi rapporti sociali fra le parti interessate al processo produttivo agrario, principio da intendere ovviamente in senso coordinato a quello della tutela della proprietà privata in genere.

E d'altra parte, secondo l'Avvocatura, le denunziate limitazioni del diritto di proprietà non ne comprometterebbero la sostanza. L'ipotesi più frequente della ripartizione dei 3/5 a favore del colono e dei 2/5 a favore del concedente corrisponderebbe infatti alla misura ritenuta congrua di regola in ogni tipo di contratto associativo agrario e premierebbe comunque la riconosciuta preminenza del fattore lavoro nel processo di produzione.

Ed anche nei casi di ripartizione meno favorevoli al concedente, si tratterebbe sempre di un utile, sia pure lordo, tale da garantire una sufficiente remunerazione della proprietà, che mai potrebbe condurre alla distruzione del capitale fondiario, come invece affermato dal giudice a quo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze indicate in epigrafe prospettano questioni identiche o strettamente connesse ed i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Il Pretore di Lecce, per dubitare della legittimità delle norme impugnate (art. 9 l. 15 settembre 1964 n. 756 e articolo unico l. 1 marzo 1968 n. 188) - nella parte in cui, ai fini della ripartizione del prodotto del fondo (trattasi di immobile concesso in colonia con obbligo di impianto di uliveto) negano rilievo al contributo del concedente ai miglioramenti attribuendolo solo alla partecipazione del predetto alle spese di coltivazione - istituisce un confronto, per ritenere poi violato il principio di uguaglianza, tra il concedente che abbia contribuito alle spese di miglioramento e quello che tale contributo non abbia dato, ravvisando, nella esclusione di entrambi dalla maggiorazione nella ripartizione dei prodotti del fondo, una ingiustificata parità di trattamento, essendo diverse le due situazioni comparate, che richiederebbero perciò un trattamento differenziato.

Al riguardo la Corte deve preliminarmente osservare che tale impostazione non appare corretta perché, prevedendo la norma che il vantaggio di cui si tratta spetti solo al concedente che contribuisca alle spese di coltivazione, per estendere il beneficio al concedente che abbia contribuito alle spese di miglioramento, avrebbe dovuto essere comparata la posizione di quest'ultimo con quella del concedente che gode del vantaggio stesso per aver contribuito alle spese di coltivazione.

Invero il controllo della osservanza del principio di eguaglianza, nei suoi termini logici, richiede che la comparazione delle posizioni raffrontate in ogni caso avvenga in vista del loro riequilibrio mediante parificazione della posizione assunta come discriminatoria a quella di cui si richiede l'applicazione.

Nella specie, data la peculiarità del raffronto operato dal giudice a quo, la pronuncia di questa Corte, che é lo strumento per ottenere la cennata parificazione di posizioni, non potrebbe aver tale risultato, poiché il termine di comparazione dedotto riflette la posizione del concedente del nudo terreno, a favore del quale non é ovviamente prevista nessuna maggiorazione delle quote di riparto, così come non é prevista a favore del concedente che partecipi alle spese di impianto.

Del resto la normativa censurata non può dirsi irrazionale. Invero, il concedente che contribuisce alle spese di miglioramento già trova un compenso nell'incremento del valore del fondo nonché del reddito di esso, poiché ne deriva anche un aumento della quantità del prodotto, alla cui ripartizione il concedente partecipa.

E ciò é di per sé sufficiente a giustificare la mancata considerazione specifica della situazione di cui si tratta da parte del legislatore.

3. - Le ultime considerazioni valgono ad evidenziare la non fondatezza anche della censura proposta con le ordinanze del Pretore di Mesagne sotto il diverso profilo di assunta violazione dell'art. 3 Cost. ivi delineato.

Il detto Giudice lamenta che le norme impugnate prevederebbero una ripartizione dei prodotti fra concedente e colono gravemente discriminatoria a danno del primo, che riceverebbe quote eccessivamente ridotte, con una ingiustificabile svalorizzazione del di lui apporto all'associazione colonica rispetto al contributo del colono.

Ma la ripartizione in esame, che prevede la riserva a favore del concedente di una quota minima del 20% dei prodotti, suscettibile di aumento fino al 50%, proporzionalmente alla misura della sua eventuale partecipazione alle spese di coltivazione, risponde invece certamente in modo adeguato alla già illustrata esigenza di tutela e miglioramento della situazione economica del colono, e salvaguarda altresì, seppure comprimendoli, i diritti del proprietario, al quale sono attribuite quote di prodotti che hanno una sensibile incidenza nell'economia generale dell'associazione colonica e, comunque, rispondono alla valutazione della sua posizione compiuta dal legislatore nell'ambito del discrezionale apprezzamento dei modi di attuazione delle finalità contemplate dall'art. 44 Cost., già illustrate.

La lamentata ingiustificata discriminazione a danno del proprietario pertanto non sussiste e la questione sollevata sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 3 Cost. deve essere dichiarata non fondata.

4 - Nello stesso senso deve concludersi per quanto riguarda l'altra censura sollevata nelle dette ordinanze del Pretore di Mesagne contro la norma impugnata per preteso contrasto con l'art. 42 Cost.

Invero, da quanto già detto sopra, deriva che le limitazioni censurate rispondono ad evidenti fini sociali e sono quindi in armonia con l'art. 42 Cost., il quale appunto consente al legislatore l'imposizione di limiti alla proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale. D'altra parte, se é vero che la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto ripetutamente che detti limiti possono legittimamente comprimere le facoltà che formano la sostanza del diritto di proprietà solo se non giungano ad annullarle, é anche vero che, nella specie, si é certamente fuori da tale ipotesi, poiché, per le considerazioni già esposte, la ripartizione dei prodotti denunciata non conduce certo all'annullamento del diritto del proprietario.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 15 settembre 1964 n. 756, nonché dell'articolo unico della legge 1 marzo 1968 n. 188, sollevate, in relazione all'articolo 3 della Costituzione con l'ordinanza del Pretore di Lecce in data 5 dicembre 1975 e in relazione agli articoli 3 e 42 della Costituzione con le ordinanze del Pretore di Mesagne del 21 dicembre 1981.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1982.

 

Antonino DE STEFANO - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

 

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1982.