Sentenza n. 205 del 1982
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SENTENZA N. 205

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 3, nn. 5 e 8, e 4, nn. 2 e 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), in relazione all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39, e dell'art. 523 del Codice penale, promossi con ordinanze 8 e 20 giugno del Tribunale di Agrigento, 21 dicembre e 23 novembre 1978 del Tribunale di Caltanissetta, 25 ottobre 1979 del Tribunale di Torino, 24 aprile 1980 del Tribunale di Marsala, 7 aprile 1981 del Tribunale di Busto Arsizio e 13 agosto 1981 del Tribunale di Brindisi, iscritte rispettivamente ai nn. 364 e 365 del registro ordinanze 1977, 80 del registro ordinanze 1978, 206 del registro ordinanze 1979, 4 e 688 del registro ordinanze 1980 e 417 e 750 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 265 dell'anno 1977, 105 dell'anno 1978, 119 dell'anno 1979, 71 e 332 dell'anno 1980, 248 dell'anno 1981 e 75 dell'anno 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 1 giugno 1982 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con due ordinanze, datate rispettivamente 21 dicembre 1977 (n. 80 del reg. ord. 1978) e 23 novembre 1978 (n. 206 del reg. ord. 1979), il tribunale di Caltanissetta sollevava in via incidentale identica questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 2, della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), nella parte in cui detta norma prevede il raddoppio della pena per le ipotesi delittuose previste dall'art. 3 della stessa legge, nel caso in cui il fatto sia commesso ai danni di persona minore degli anni ventuno, ma maggiore degli anni diciotto; ad avviso del collegio a quo l'avvenuto abbassamento della maggiore età a diciotto anni (art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39) determina un contrasto tra la norma della cui legittimità costituzionale si dubita e quella contenuta nell'art. 3, n. 5, che punisce l'induzione alla prostituzione della donna di maggiore età.

Da tale contrasto normativo risulterebbero violati gli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione; vi sarebbe infatti, una disparità di trattamento tra gli imputati del reato de quo ed una indiretta violazione del principio di legalità, in quanto la maggiorazione della pena rimarrebbe riferita ad una dimensione temporale, non più configurabile come minore età.

La rilevanza delle questioni sollevate veniva ampiamente motivata in entrambi i giudizi.

Le ordinanze venivano ritualmente notificate e comunicate; spiegava intervento il Presidente del Consiglio per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato.

Nell'atto di intervento si riconosceva che era dato riscontrare un difetto di coordinamento fra l'art. 4, n. 2 e l'art. 3, n. 5, della legge in esame; peraltro tale difficoltà potrebbe essere superata in forza di una "corretta ermeneutica", secondo la quale la locuzione "minore degli anni ventuno" dovrebbe essere intesa come minore età; in tal caso la proposta questione sarebbe superata sul piano interpretativo.

Per contro, sempre secondo l'Avvocatura, sarebbe non comprensibile l'iter logico seguito dal tribunale nel dedurre la possibile violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

2. - Con tre ordinanze, rispettivamente in data 24 aprile 1980 (n. 688 del reg. ord. 1980) del tribunale di Marsala, 7 aprile 1981 (n. 417 del reg. ord. 1981) del tribunale di Busto Arsizio, e 13 agosto 1981 (n. 750 del reg. ord. 1981) del tribunale di Brindisi, la questione sopra riassunta veniva prospettata con riferimento al solo art. 3 della Costituzione, sul presupposto che reati di diversa gravità siano assoggettati al medesimo regime sanzionatorio; i giudici a quibus argomentavano nel senso che la norma di cui all'art. 4, n. 2, si riferirebbe, oltre che a persone che trovansi in stato di inferiorità o minorazione psichica, a persone maggiorenni (perciò di età superiore a diciotto anni) e perciò pienamente capaci, con la conseguenza che i responsabili di reati di ben diversa gravità sarebbero soggetti alla medesima sanzione.

Devesi osservare che nelle tre ordinanze v'é esplicito accenno alla rilevanza, peraltro limitato alla mera affermazione di questa, senza riferimento ai fatti processuali; dai fascicoli emerge comunque che la questione é stata sollevata in corso di causa, dai difensori o dal P.M., con riferimento specifico alle imputazioni ascritte agli imputati.

Non vi é stata costituzione di parti, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - Con due ordinanze identiche, in data 8 e 20 giugno 1977 (nn. 364 e 365 del reg. ord. 1977), il tribunale di Agrigento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 3 (sic) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, perché in contrasto con l'art. 3, n. 8, (sic) della stessa legge, in relazione alla legge 8 marzo 1975, n. 39 e ciò in ordine alla "età di anni ventuno come circostanza aggravante". Nelle brevi ordinanze si dice che la detta questione é rilevante ai fini del decidere, ma non si indica il parametro costituzionale che sarebbe violato; si fa comunque riferimento alla eccezione di legittimità costituzionale sollevata dai difensori degli imputati nel corso del giudizio.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri rilevando l'erronea indicazione della norma impugnata (il n. 3 dell'art. 4), l'omessa indicazione del parametro costituzionale in ipotesi violato e l'assoluta carenza di motivazione; chiedeva perciò che la dedotta questione fosse dichiarata inammissibile.

4. - Con ordinanza in data 25 ottobre 1979 (n. 4 del reg. ord. 1980), il tribunale di Torino sollevava in via incidentale due questioni di legittimità costituzionale riferite la prima alla normativa testé esaminata e la seconda all'art. 523 c.p.

Articolatamente, il collegio a quo esamina le possibilità interpretative che pone il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della legge n. 75 del 1958; e, anche sulla base delle pronunce emanate in merito dalla Corte di cassazione, perviene alla conclusione che non può sussistere dubbio circa il reato previsto dal n. 5 dell'art. 3 della legge citata; infatti, detta norma parla di induzione alla prostituzione di donna di età maggiore. Tanto premesso, non sarebbe neppure ipotizzabile la sussistenza dell'ipotesi aggravata di cui al n. 2 dell'art. 4 (se il fatto é commesso in danno di persona minore degli anni ventuno) in relazione alla detta fattispecie, atteso che con l'abbassamento della maggiore età a diciotto anni, l'ipotesi semplice, quale deve essere letta alla luce della legge n. 39 del 1975, coincide con la previsione di cui al n. 2 dell'art. 4.

Questa essendo la retta interpretazione del combinato disposto degli artt. 3, n. 5 e 4, n. 2, della legge in questione, ne conseguirebbe una irrazionale disparità di trattamento sul piano sanzionatorio fra il reato di induzione alla prostituzione e quello di favoreggiamento risultando, nei confronti di donna di età compresa fra i diciotto e i ventuno anni, assai più gravemente punito il reato di favoreggiamento, ontologicamente meno grave rispetto a quello di induzione alla prostituzione, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Con riferimento invece al reato di cui all'art. 523 c.p., il tribunale di Torino osserva che il primo comma della norma in questione punisce tra l'altro il ratto a fine di libidine di un minore: ciò, alla stregua della più volte ricordata legge n. 39 del 1975, dovrebbe significare in danno di persona che non abbia ancora compiuto gli anni diciotto.

Ma il capoverso della stessa norma prevede un aumento di pena ove il fatto sia commesso in danno di soggetto che non abbia ancora compiuto i diciotto anni; vi sarebbe perciò una sovrapposizione del reato base con l'ipotesi aggravata. Interpretativamente, secondo il tribunale, potrebbe giungersi a ritenere implicitamente abrogato il capoverso della norma, in quanto non é razionale irrogare un aumento di pena ove la condotta sia divenuta identica a quella prevista per il reato non circostanziato.

Ma dovendo attenersi alla contraria interpretazione della Cassazione, il tribunale osserva che ne deriva la irrazionale conseguenza di prevedere un rigore sanzionatorio più grave per il reato in danno di persona compresa tra i diciotto e i ventuno anni di età, mentre in tutte le ipotesi dei reati contro la libertà sessuale non esiste, nel codice penale, una differenziazione di pena legata all'essere il soggetto passivo di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni.

Quanto alla rilevanza della questione sollevata il giudice a quo tace completamente: né nella motivazione, né nel dispositivo della ordinanza é riscontrabile riferimento alcuno alla rilevanza.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le otto ordinanze di cui in epigrafe sollevano, anche se sotto profili non tutti identici, due questioni di legittimità costituzionale relative rispettivamente agli artt. 3 e 4 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 e all'art. 523 c.p., entrambe in relazione all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39.

Le questioni, stante la loro connessione, possono essere decise con unica sentenza.

2. - Va in primo luogo dichiarata la inammissibilità della questione sollevata con due ordinanze testualmente identiche dal tribunale di Agrigento (nn. 364 e 365 del reg. ord. 1977). A parte l'errata indicazione delle norme di legge chiamate in causa (art. 4, n. 3 e art. 3, n. 8 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 - in luogo di art. 4, n. 2 e art. 3, n. 5), le ordinanze non contengono alcun cenno dei fatti di causa né alcuna indicazione delle norme costituzionali che si assumono violate. La questione é quindi inammissibile (art. 23 della legge il marzo 1953, n. 87).

3. - Va pure dichiarata la inammissibilità delle due questioni sollevate dal tribunale di Torino con l'ordinanza 25 ottobre 1979 (n. 4 del reg. ord. 1980), l'una relativa agli artt. 3, nn. 5 e 8 e 4, n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, l'altra relativa all'art. 523 c.p.

L'ordinanza di rimessione, infatti, si diffonde a spiegare le ragioni della ritenuta illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ma né nell'ampia motivazione, né nel dispositivo contiene affermazione alcuna della rilevanza delle questioni nel giudizio cui l'ordinanza si riferisce. Pertanto le questioni, sempre a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sono inammissibili.

4. - Il tribunale di Caltanissetta, con due ordinanze di eguale contenuto nella motivazione e identiche nel dispositivo (nn. 80 del reg. ord. 1978 e 206 del reg. ord. 1979), dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini dei relativi giudizi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, in relazione all'art. 3, n. 5 della stessa legge e all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39, "nella parte in cui prevede il raddoppio della pena stabilita per le ipotesi indicate nell'art. 3 della legge n. 75 del 1958 nel caso in cui il fatto sia commesso ai danni di persona maggiore degli anni 18 ma minore degli anni 21"; e ciò "per contrasto della norma citata con gli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione".

Il tribunale rileva che la legge n. 39 del 1975, portando il compimento della maggiore età dal ventunesimo al diciottesimo anno, ha operato nell'art. 3, n. 5 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 dove l'espressione "donna di età maggiore", che precedentemente alla legge del 1975 significava donna che ha compiuto il ventunesimo anno, viene a significare donna che ha compiuto il diciottesimo anno; non ha, invece, operato nell'art. 4, n. 2 della stessa legge n. 75 del 1958, dove l'espressione "persona minore degli anni ventuno" continua a valere come persona che non ha compiuto il ventunesimo anno di età. Il tribunale esclude, infatti, che diversamente il giudice possa interpretare, dopo la legge del 1975, quanto é scritto nell'art. 4, n. 2 della legge del 1958.

Ne consegue, secondo il tribunale, una violazione del principio di eguaglianza fra imputati che abbiano indotto alla prostituzione una donna di età compresa tra i diciotto e ventuno anni (ai quali si applica l'aggravante dell'art. 4, n. 2) e imputati che abbiano indotto alla prostituzione una donna di età superiore ai ventuno anni (ai quali si applica la pena base dell'art. 3), mentre in entrambi i casi il soggetto passivo del reato, avendo superato il diciottesimo anno, é maggiorenne.

E sarebbe pure indirettamente violato l'art. 25, secondo comma, della Costituzione in quanto si avrebbe per l'imputato che ha indotto alla prostituzione una donna di età superiore ai diciotto ma non ai ventuno anni "una notevole maggiorazione di pena riferita ad una dimensione temporale del soggetto passivo del reato (oltre il diciottesimo anno di età) non più configurabile come minore età".

5. - La questione non é fondata.

L'Avvocatura dello Stato nel suo intervento ha concluso in questo senso, in quanto "sembrerebbe conforme alle regole di una corretta ermeneutica ritenere che il giudice debba interpretare detta formula ("minore degli anni 21") come equivalente a " minore età".

Senonché, né il giudice che ha sollevato la questione ha adottato tale interpretazione contro la lettera del testo, né essa, in sua vece, é consentita alla Corte, tanto più quando la giurisprudenza della Cassazione é ferma nella interpretazione opposta, quella cioè che la legge del 1975 non abbia modificato la previsione letterale dell'art. 4, n. 2 della legge n. 75 del 1958.

Pertanto la questione va decisa, nel senso della non fondatezza, partendo dalla interpretazione del giudice a quo.

Una volta riconosciuto infatti, come fa il giudice a quo, che la legge n. 39 del 1975 non ha modificato l'art. 4, n. 2 della legge n. 75 del 1958, non si vede come possano essere messe a raffronto, ai fini di verificare il rispetto del principio di eguaglianza, due situazioni che non sono eguali: quella di chi ha indotto alla prostituzione una donna di oltre ventuno anni e quella di chi ha indotto alla prostituzione una donna di età inferiore ai ventuno anni, sebbene superiore ai diciotto anni.

É vero che il nuovo testo dell'art. 2 del codice civile (stabilito dalla legge n. 39 del 1975) fissa la maggiore età al compimento del diciottesimo anno; ma ciò non importa l'impossibilità che la legge penale espressamente attribuisca rilevanza, nell'ambito della maggiore età, a distinzioni ulteriori (nella specie: al disotto o al disopra dei ventuno anni), così come ne stabilisce nell'ambito della minore età (confr. artt. 519, 522, 524 e 530 c.p.). Ciò é stato già ritenuto dalla Corte (sentenza n. 90 del 1979).

La critica, che é stata rivolta al legislatore del 1975, di non avere armonizzato l'art. 1 della legge n. 39 con le disposizioni del codice penale, così come ha fatto rispetto a varie disposizioni del codice civile, non può assurgere al livello di negazione della costituzionalità delle norme penali rimaste immutate.

Le considerazioni sopra esposte valgono a confutare la censura di incostituzionalità anche sotto il suo secondo profilo fondato sull'art. 25 della Costituzione, giacché non ha alcun pregio riferirsi ad una "dimensione temporale del reato non più configurabile come minore età", una volta dimostrato che ben può la legge penale, fino a diverso avviso del legislatore, mantenere rilevanza a distinzioni nell'ambito della maggiore età.

6. - Le tre ordinanze dei tribunali di Marsala, Busto Arsizio e Brindisi (nn. 688 del reg. ord. 1980 e 417 e 750 del reg. ord. 1981), sempre partendo dalla constatazione che l'art. 4, n. 2 della legge n. 75 del 1958 é rimasto immutato dopo la legge n. 39 del 1975 che ha portato la maggiore età a diciotto anni, e che in conseguenza l'aggravante che il detto art. 4, n. 2 della legge n. 75 del 1958 prevede per i reati indicati nell'art. 3 della stessa legge si applica quando il soggetto passivo del reato non ha raggiunto i ventuno anni pur essendo maggiore di anni diciotto e avendo quindi acquistato la capacità di agire, sospettano di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza l'art. 4, n. 2 della legge n. 75 del 1958 in quanto esso parifica, ai fini della sanzione penale, il reato commesso contro un maggiorenne che non ha compiuto i ventuno anni con quello commesso ai danni di "persona in istato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata".

7. - La questione non é fondata.

Come si é già ricordato esaminando la questione proposta dal tribunale di Caltanissetta, il legislatore ben può ragionevolmente stabilire soglie diverse dal compimento della maggiore età per determinare la capacità psicofisica dei soggetti attivi o passivi di determinati reati. Non é quindi privo di razionalità fino al punto da ferire il principio di eguaglianza, che il legislatore continui a considerare i minori degli anni ventuno più gravemente esposti, per il loro grado di maturità psichica, a subire i reati indicati nell'art. 3 della legge n. 75 del 1958 e questi, pertanto, ed anche per le loro conseguenze, più gravi e degni di sanzione aggravata al pari dei reati a danno di persone in istato di infermità o minorazione psichica.

A parte il principio più volte enunciato dalla Corte, che la valutazione della congruenza fra reato e pena appartiene alla politica legislativa e non può essere oggetto di sindacato di legittimità tranne nei casi di disparità talmente rilevanti da apparire non suscettibili di una qualsiasi giustificazione (sentenza n. 162 del 1981) - e nella specie si finirebbe proprio con il sindacare la congruità della pena aggravata prevista dal legislatore in una determinata ipotesi - va riaffermato che discipline differenziate rispetto a situazioni non arbitrariamente ritenute diverse (o eguali per situazioni non arbitrariamente ritenute assimilabili) possono essere stabilite discrezionalmente dal legislatore per fini conformi a Costituzione: fini riscontrabili nella lotta alla prostituzione e al suo sfruttamento.

Poiché nella situazione all'esame della Corte non si può rilevare una palese irrazionalità dell'eguale trattamento delle due ipotesi aggravate (soggetto passivo di età inferiore a ventuno anni o in istato di infermità o minorazione psichica), la questione deve dichiararsi infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale "dell'art. 4, n. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75" proposte dal tribunale di Agrigento con le ordinanze 8 e 20 giugno 1977 di cui in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, nn. 5 e 8, e 4, n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 in relazione all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39; nonché dell'art. 523 c.p., proposte dal tribunale di Torino in relazione all'art. 3 della Costituzione con l'ordinanza 25 ottobre 1979 di cui in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, in relazione all'art. 3, n. 5 della stessa legge e all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39, nella parte in cui prevede il raddoppio della pena stabilita per le ipotesi contemplate dall'art. 3 della legge n. 75 del 1958 nel caso in cui il fatto sia commesso ai danni di persona maggiore degli anni diciotto ma minore degli anni ventuno, questione sollevata dal tribunale di Caltanissetta, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, con le ordinanze 21 dicembre 1977 e 23 novembre 1978 di cui in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 2 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 in relazione all'art. 1 della legge 8 marzo 1975, n. 39, nella parte in cui prevede il raddoppio della pena stabilita per le ipotesi contemplate dall'art. 3 della legge n. 75 del 1958 nel caso in cui il fatto sia commesso ai danni di persona maggiore degli anni diciotto ma minore degli anni ventuno, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dai tribunali di Marsala, Busto Arsizio e Brindisi con le ordinanze 24 aprile 1980, 7 aprile 1981, 13 agosto 1981 di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1982.