Sentenza n. 204 del 1982

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SENTENZA N. 204

ANNO 1982

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 18, comma primo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) promossi con le ordinanze emesse dal Pretore di Parma il 23 ottobre e il 22 novembre 1976, dal Pretore di Treviso il 18 dicembre e il 27 novembre 1976, dal Pretore di Parma il 1 dicembre 1976 e dal Pretore di Treviso l'11 agosto 1977, rispettivamente iscritte ai nn. 739 e 758 del registro ordinanze 1976 ed ai nn. 38, 39, 57 e 468 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 31, 44, 66, 80, 87 e 334 del 1977.

Visti gli atti di costituzione di Bombardieri Gianni, della s.n.c. Dal Negro Teodomiro e di Faraoni Franca;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1982 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

udito l'avv. Luciano Ventura, per Bombardieri Gianni e per Faraoni Franca.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con ricorso, depositato il 1 e notificato l'8 luglio 1976, Gianni Bombardieri chiese in via principale dichiararsi illegittimo - tra l'altro per mancata affissione del codice disciplinare nell'unità di lavoro cui era addetto - il licenziamento intimatogli dalla datrice s.p.a. Alivar con lettera 31 maggio dello stesso anno e per l'effetto condannare la medesima a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni patiti e patiendi in misura pari a cinque mensilità di retribuzione globale, in via subordinata dichiarare insussistente la contestata giusta causa di recesso e condannare la Alivar al pagamento, in favore di esso ricorrente, della retribuzione per il periodo 1-15 giugno, nonché della indennità sostitutiva del preavviso nella misura di due mesi e mezzo di retribuzione, con ogni conseguente effetto sulle indennità periodiche e di fine rapporto. Nel contraddittorio della Alivar, costituitasi con memoria depositata il 6 agosto 1976, l'adito Pretore di Parma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza pronunciata il 23 ottobre 1976 (notificata l'8 e comunicata l'11 ' del successivo mese di novembre, pubblicata nella G. U. n. 31 del 2 febbraio 1977 e iscritta al n. 739 R.O. 1976), giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 comma primo l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto non sia applicabile ai licenziamenti disciplinari, sul riflesso che il principio di uguaglianza sarebbe violato dall'art. 7, se interpretato nel senso, prospettato dalla giurisprudenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che "nessuna delle disposizioni dell'art. 7 (e, quindi, neanche la disposizione di cui al primo comma di tale articolo, che si assume nella specie violata) sia applicabile ai licenziamenti disciplinari, con la conseguenza che le garanzie, da tali disposizioni assicurate al lavoratore in caso di adozione di sanzioni disciplinari, non sarebbero applicabili al licenziamento disciplinare, che costituisce indubbiamente la più grave di tali sanzioni".

1.2. - Avanti la Corte si é costituito per il Bombardieri l'avv. Luciano Ventura giusta delega in margine all'atto, depositato il 21 febbraio 1977, con il quale ha concluso per la dichiarazione di fondatezza della proposta questione ponendo in particolare rilievo che il licenziamento per violazione degli obblighi propri del lavoratore subordinato non differisce - nel contenuto, nelle finalità, nel rispetto del canone giuridico della proporzionalità tra infrazione e sanzione - da un provvedimento disciplinare e pertanto non merita diversa disciplina. Il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto.

2.1. - Con ricorso, depositato il 13 e notificato il 18 del mese di maggio 1976 alla datrice ditta Concari dott. Piero, il geom. Livio Sartori chiese dichiararsi illegittimo o comunque invalido il licenziamento intimatogli il 7 aprile 1976 e, di conseguenza, condannarsi la ditta, poi costituitasi con memoria depositata l'11 ' giugno 1976, al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento dei danni sofferti e alla corresponsione degli interessi. Con ordinanza pronunciata il 22 novembre 1976 (notificata il successivo 25 e comunicata il 2 dicembre, pubblicata nella G. U. n. 44 del 16 febbraio 1977 e iscritta al n. 758 R.O. 1976), l'adito Pretore di Parma, in funzione di giudice del lavoro, giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi primo, secondo e quinto l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto inapplicabili ai licenziamenti disciplinari: rilevante in quanto l'inadempimento del lavoratore, posto a base del licenziamento, sarebbe - in quanto motivato da colpa del medesimo - da qualificare licenziamento disciplinare, regolato dall'art. 7 che sostituirebbe di diritto l'art. 68 cap. C.C.N.L. 1 gennaio 1973 per i dipendenti delle imprese edili e affini, che giustificherebbe, ad avviso della ditta datrice, l'automatica risoluzione del rapporto di lavoro provocata dal fatto addebitato; non manifestamente infondata per le ragioni esposte nella ordinanza 23 ottobre 1976 (supra l. 1), cui il giudice "a quo" aggiunse che la diversità di trattamento non é giustificata dalla non omogeneità ontologica tra licenziamento e le altre sanzioni disciplinari in quanto "le garanzie di cui all'art. 7 dello Statuto sono dettate in funzione della tutela del lavoratore assoggettato all'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro e non pare perciò ragionevole escluderne l'applicabilità nel caso in cui venga adottata, nell'esercizio di tale potere, la più grave delle sanzioni disciplinari".

2.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1. - Miatto Maria, essendo stata licenziata sotto la data del 19 maggio 1976, chiese costituirsi il collegio di conciliazione e arbitrato previsto dall'art. 7, comma sesto, l. 20 maggio 1970 n. 300, ma la datrice s.n.c. Dal Negro Teodomiro non solo non procedé alla designazione del proprio arbitro, ma, a sensi dello stesso art. 7, comma settimo, adì il Pretore di Treviso, in funzione di giudice del lavoro, per la dichiarazione di legittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, come ché adottato per giusta causa o giustificato motivo. Con ricorso ex art. 700 c.p.c. la Miatto chiese ordinarsi alla datrice di reintegrarla d'urgenza nel posto di lavoro e di corrisponderle la retribuzione non erogatale dal 23 febbraio 1976 alla data della ordinanza e, in subordine, alla data del licenziamento. Il Pretore, con ordinanza pronunciata il 27 novembre 1976 (comunicata il 4 dicembre e notificata il 15 gennaio 1977, pubblicata sulla G. U. n. 80 del 23 marzo 1977 e iscritta al n. 39 R.O. 1977), giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 e segnatamente del comma settimo ultima parte l. 20 maggio 1970 n. 300: rilevante perché il provvedimento di reintegrazione, cui, in sede di cognizione sommaria, non potrebbe pervenirsi in considerazione dei complessi accertamenti tecnici resi necessari dall'apprezzamento delle ragioni di merito addotte dalle parti, potrebbe essere adottato se, in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, l'art. 7 l. 300/1970 fosse applicato ai licenziamenti disciplinari ovvero se l'art. 7, interpretato così come inteso dalla Cassazione, fosse ritenuto incostituzionale; non manifestamente infondata 1) non solo perché ad una sanzione, che, come il licenziamento, implica la perdita del costo di lavoro, non si applicherebbe l'art. 7 comma settimo - a tenor del quale le sanzioni disciplinari sono sospese sino alla definizione del giudizio le quante volte il datore di lavoro, come nella specie, adisca il giudice e la sanzione disciplinare viene di conseguenza sospesa per la durata del giudizio - che pur si applica ad altre sanzioni disciplinari meno gravi, II) ma anche perché non agevole é l'accertamento, in concreto, della gravità delle mancanze del lavoratore, e, III) infine, perché l'art. 7 somministrerebbe al lavoratore mezzi di difesa più efficienti di quelli previsti dagli artt. 2 e 7 l. 15 luglio 1966 n. 604, che si limitano l'uno a conferirgli la facoltà di interpellare la controparte sui motivi del licenziamento e l'altro a prevedere la possibilità, per il lavoratore, di promuovere il tentativo di conciliazione presso l'ufficio provinciale del lavoro, cui per un verso non é il lavoratore tenuto a parteciparvi e per altro verso non seguirebbe la sospensione dell'intimato licenziamento.

3.2. - Avanti la Corte si sono costituiti per la s.n.c. Dal Negro gli avv.ti Paolo Pantaleoni e Rosario Flammia, in virtù di mandato ad litem 7 gennaio 1977 per notar Spinelli di Treviso (rep. n. 25395), deducendo, con la memoria depositata il 23 febbraio 1977, l'inammissibilità dell'incidente oggetto del quale sarebbe la interpretazione di una disposizione avente forza di legge ordinaria, della quale la Cassazione ha per giunta reputato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale che ne originerebbe, e soggiungendo che, se fossero esatte le argomentazioni del giudice "a quo", si perverrebbe alla conclusione, sempre ad avviso della parte costituita paradossale, di ritenere affetta da illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., anche la disciplina dei licenziamenti di cui alla l. 604/1966, dal momento che i vizi d'incostituzionalità per mancata applicazione dell'art. 7 ai licenziamenti c.d. disciplinari sono stati dedotti dal Pretore di Treviso sulla base del raffronto in parte qua tra le leggi del '66 e del '70. Il Presidente del Consiglio dei sinistri non ha spiegato intervento.

4.1. - Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 23 settembre 1976, Leone Pietro chiese al Pretore di Treviso: "nel merito: Accertato che il rapporto di lavoro tra il sig. Leone Pietro e la Ditta Filatura San Lorenzo S.p.a. era un rapporto definitivo e a tempo indeterminato e quindi che la volontà espressa dalla ditta con lettera 27-7-1976, diretta a troncare il rapporto di lavoro, ha valore di lettera di licenziamento, dichiararsi inefficace il licenziamento stesso per la mancata comunicazione dei motivi e in ogni caso invalido per mancanza di una giusta causa o di un giustificato motivo, condannarsi conseguentemente la Filatura San Lorenzo S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla reintegrazione del sig. Leone Pietro nel proprio posto di lavoro, condannarsi inoltre la Filatura San Lorenzo S.p.a. al risarcimento dei danni subiti dal sig. Leone Pietro nella misura che verrà quantificata e comunque non inferiore a 5 mensilità, e, in caso di mancata riassunzione, a corrispondere al ricorrente la retribuzione dalla data della sentenza a quella della reintegrazione". Nel contraddittorio della datrice, che si oppose alla domanda dando atto di occupare più di trentacinque dipendenti, l'adito Pretore, in funzione di giudice del lavoro, escluso che nella specie ricorressero gli estremi del rapporto a termine o del lavoro in prova, e premesso che il licenziamento per scarso rendimento (come quello nella specie intimato), collegandosi alla inosservanza da parte del lavoratore dell'obbligo di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione, costituisce licenziamento disciplinare, con ordinanza pronunciata il 18 dicembre 1976 (comunicata il successivo 31 e notificata il 15 gennaio 1977, pubblicata nella G. U. n. 66 del 9 marzo 1977 e iscritta al n. 38 R.O. 1977), giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 l. 300/1970 nella parte in cui l'applicabilità dei commi secondo, terzo e quinto dello stesso ai licenziamenti disciplinari era da ritenersi esclusa, sulla base della motivazione svolta nella ordinanza 27 novembre 1976 (supra 3.1.).

4.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

5.1. - Con sentenza 7 giugno 1976 depositata il successivo 2 luglio il Pretore di Borgo Val di Taro, in funzione di giudice del lavoro, seguendo l'orientamento giurisprudenziale in virtù del quale anche al licenziamento é applicabile l'art. 7 l. 300/1970, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento, intimato a Faraoni Franca dalla datrice Ditta Solange di Patrizzi Santina, con la conseguente reintegrazione della medesima nel posto di lavoro e condannato la datrice al risarcimento dei danni sofferti dalla Faraoni sulla premessa che nella specie non erano stati osservati i vari momenti della procedura prevista dall'art. 7 (affissione delle sanzioni ecc.).

Con ordinanza emessa il 1 dicembre 1976 (notificata il successivo 29 e comunicata il 10 gennaio 1977, pubblicata nella G. U. n. 87 del 30 marzo 1977 e iscritta al n. 57 R.O. 1977), il Tribunale di Parma (Sezione per le controversie di lavoro), al quale la Ditta Solange aveva proposto appello con ricorso depositato il 27 luglio 1976, giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi primo, secondo e quinto, nonché 18 comma primo l. 300/ 1970 in quanto quest'ultimo non prevede anche la invalidità e inefficacia dei licenziamenti disciplinari intimati senza l'osservanza prevista dall'art. 7. Dimostrata la correttezza della interpretazione dell'art. 7 intesa a dirlo inapplicabile ai licenziamenti disciplinari, e negata l'idoneità dell'art. 24 Cost. a fungere da parametro per riferirsi la norma ai soli procedimenti giudiziali, il giudice "a quo" richiamò gli artt. 2 e 3, il primo perché la disciplina normativa, così come interpretata, sacrifica diritti inviolabili della persona entro la formazione sociale della comunità di lavoro, e il secondo perché non risponde al canone di eguaglianza una normativa che non riserva per la sanzione più grave del licenziamento garanzie previste per le altre sanzioni; per quel che attiene alla rilevanza, la ravvisò nella natura disciplinare del licenziamento precisando che la Corte veniva adita non già per risolvere un dubbio interpretativo, bensì per provocare, traverso l'individuazione del significato delle disposizioni impugnate, il controllo di legittimità sulle medesime.

5.2. - Avanti la Corte si é costituito per la Faraoni, giusta delega in margine all'atto depositato il 15 aprile 1977 l'avv. Luciano Ventura concludendo per l'accoglimento della questione sulla base delle riassunte motivazioni del Tribunale di Parma. Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

6.1. - Con ricorso depositato il 27 novembre 1976, di cui non é agli atti la copia notificata alla datrice Ditta Panto s.a.s. Industria Serramenti, Bruno Dal Col chiese dichiararsi inefficace il licenziamento intimatogli perché privo di giusta causa e giustificato motivo e condannarsi la datrice a riammetterlo in servizio ex art. 18 l. 300/1970, previa assunzione di prove per interpello e per testi. Nel contraddittorio della Ditta, la quale, con memoria depositata il 5 febbraio 1977, aveva chiesto respingersi la domanda del ricorrente, l'adito Pretore di Treviso, in funzione di giudice del lavoro, assunto l'interrogatorio libero delle parti ed escussi i testi e autorizzato il ricorrente a modificare parzialmente le conclusioni nel senso della richiesta di declaratoria d'illegittimità del licenziamento anche "per violazione dell'art. 7 legge 300/1970", in relazione alla circostanza che la datrice non aveva provveduto alla nomina del proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione e arbitrato promosso dal lavoratore ai sensi del comma sesto dell'art. 7, con ordinanza emessa l'11 ' agosto 1977 (notificata il 30 e comunicata il 31 dello stesso mese, pubblicata nella G. U. n. 334 del 7 dicembre 1977 e iscritta al n. 468 R.O. 1977) giudicò rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del ripetuto art. 7 nella parte in cui non debba ritenersi applicabile anche ai licenziamenti disciplinari, limitandosi a richiamare le precedenti due ordinanze (supra 3.1.; 4.1.) nonché la ordinanza n. 119/ 1976 resa sulla controversia tra l'Amm.ne provinciale di Treviso e l'INAIL, e negando l'applicabilità dell'art. 17 C.C.N.L. 1 settembre 1973 della categoria, il quale si limiterebbe a dire applicabile la procedura delineata nell'art. 7 "nei casi dalla medesima previsti".

6.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

7. - Nella memoria depositata il 5 maggio 1982, comune all'incidente iscritto al n. 739 R.O. 1976 (supra 1.), la difesa della Faraoni e del Bombardieri, premesso che la inapplicabilità dell'art. 7 ai licenziamenti disciplinari é stata ribadita dalle Sezioni Unite della Cassazione con sent. 28 marzo 1981 n. 1781 e che la l. 300/1970 tende a mutare progressivamente lo stato di subordinazione funzionale e soggettiva del lavoratore in aderenza ad orientamenti già accolti dalla giurisprudenza (Cass. 24 ottobre 1969 n. 3490, Giust. civ., 1970, 1, 211) sul tema della esclusione dell'associato da rapporti associati e dalla giustizia amministrativa nel campo della irrogazione di sanzioni disciplinari a impiegati pubblici, nega fondamento agli argomenti addotti a confutazione della fondatezza delle proposte questioni di costituzionalità perché 1) l'art. 7 incide sulla situazione, come prima prospettata, nel senso che la giusta causa opera con immediatezza ma nei limiti consentiti dall'assetto procedurale in particolare previsto dai commi secondo, terzo e quinto dell'art. 7, e II) la Cassazione ha affermato che il principio dell'immediatezza condizionante validità e tempestività del licenziamento in tronco per giusta causa deve essere inteso in senso relativo e può essere nei casi concreti compatibile con un intervallo di tempo reso necessario dall'accertamento (anche a mezzo di procedimento disciplinare) dei fatti da contestare" (sent. 31 marzo 1969 n. 106).

8. - Alla pubblica udienza del 5 maggio 1982, nella quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv. Ventura ha ampiamente illustrato le ragioni del Bombardieri e della Faraoni.

Considerato in diritto

9. - Sebbene il Pretore di Treviso, con le ordinanze 27 novembre 1976 e 11 agosto 1977, abbia coinvolto l'intero art. 7 l. 20 maggio 1970, n. 300 nel sospetto d'incostituzionalità per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., la motivazione delle due ordinanze individua l'oggetto della censura nel solo comma settimo ("Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio").

Degli altri commi dell'art. 7 il primo é impugnato dal Pretore di Parma con le ordinanze 23 ottobre e 22 novembre 1976 in riferimento all'art. 3 e dal Tribunale di Parma con l'ordinanza 1 dicembre 1976 in riferimento agli artt. 2 e 3, il secondo é impugnato dal Pretore di Parma con l'ordinanza 22 novembre 1976 e dal Pretore di Treviso con l'ordinanza 18 dicembre 1976 in riferimento all'art. 3, e dal Tribunale di Parma con l'ordinanza 1 dicembre 1976 in riferimento agli artt. 2 e 3, il terzo dal Pretore di Treviso con l'ordinanza 18 dicembre 1976 in riferimento all'art. 3, il quinto dai Pretori di Parma e di Treviso, rispettivamente, con le ordinanze 22 novembre e 18 dicembre 1976 in riferimento all'art. 3 e dal Tribunale di Parma in riferimento agli artt. 2 e 3, di tal che i soli commi quarto, sesto e ottavo dell'art. 7 sono immuni da censura.

Infine, il Tribunale di Parma ha, con la ordinanza 1 dicembre 1976, giudicato rilevante e, in riferimento agli artt. 2 e 3, non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 18 comma primo l. 20 maggio 1970, n. 300.

Tale essendo la sostanza dei sei procedimenti incidentali, se ne appalesa più che opportuna la riunione.

10.1. - Nella pendenza degli or riuniti procedimenti avanti questa Corte, la disputa sulla estensione, ai licenziamenti disciplinari, dell'art. 7 nella sua interezza ha trovato, al livello d'interpretazione, quell'assetto unitario di cui nel biennio 1976-77 era priva perché l'ufficio giudiziario, cui compete il magistero della nomofilachia, componendo contrasti che sui limiti della incompatibilità tra i due corpi di norme si erano avvertiti anche in seno alla stessa Corte di Cassazione, ha negato che tra le sanzioni relative a infrazioni disciplinari, per le quali é dettato l'art. 7, sia da annoverare il licenziamento e, così rescrivendo, si é affiancato alla opinione di parte della dottrina. Più precisamente, le Sezioni Unite, con sent. 28 marzo 1981 n. 1781, pur riconoscendo che le innovazioni contenute nell'art. 7 "apprestano in definitiva al lavoratore una tutela più efficace di quella predisposta per i licenziamenti individuali con la legge n. 604 del 1966" (constatazione ribadita dalla Sez. Lav. 25 novembre 1981 n. 6269), hanno enunciato il principio di diritto che "il licenziamento intimato per inadempimento o mancanza del lavoratore é assoggettato alla disciplina contenuta nell'art. 2119 cod. civ. e nella legge 15 luglio 1966 n. 604, a meno che non sia applicabile all'atto una diversa disciplina (legislativa, collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) la quale, oltre ad includerlo fra le sanzioni disciplinari, lo sottoponga al regime giuridico per queste previsto dall'art. 7 legge 20 maggio 1970 n. 300 o da altra fonte equipollente", perché il giudice di merito, che aveva reso la sentenza cassata, "avendo constatato che l'attrice venne licenziata per giustificato motivo soggettivo, ha senz'altra indagine ravvisato nella vicenda l'applicazione di una sanzione disciplinare ed ha di questa dichiarato l'invalidità per contrasto con le disposizioni di cui ai primi tre commi dell'art. 7 della citata legge n. 300", ma hanno riservato al giudice di rinvio la verifica sul se "nella specie occorra procedere anche all'applicazione dell'ulteriore principio secondo cui la violazione delle prescrizioni dell'art. 7 citato e di quelle integrative o validamente sostitutive di esse rende nullo il licenziamento che sia da considerare sanzione disciplinare".

10.2. - Nessun dubbio che nel procedere allo scrutinio di costituzionalità dei commi primo, secondo, terzo, quinto, settimo dell'art. 7 sia questa Corte tenuta a prendere le mosse dal principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione, ma non meno certo si é che non la vincola né le somministra, nel merito, utili dati di convinzione l'apprezzamento di manifesta infondatezza, cui é addivenuta la Sez. Lav. con le sentt. 1) 20 gennaio 1977 n. 307, fondata su ciò che l'uniformità di trattamento tra licenziamenti disciplinari e licenziamenti che tali non sono sarebbe garantita dalla l. 604/1966 e dall'art. 18 l. 300/1970, e II) 3 marzo 1979 n. 1351, per la quale la contestazione e la discolpa del lavoratore sarebbero previste anche dalla l. 604/1966 e i principi di eguaglianza e del diritto al lavoro non sarebbero lesi dal ricorso all'uno o all'altro complesso di garanzie procedurali, rispettivamente poste dalle ll. 604/1966 e 300/1970 a disciplina dei licenziamenti, dappoiché non riesce arduo obiettare ad ambo le sentenze che la migliore funzionalità delle difese assicurate ai lavoratori dall'art. 7 rispetto al trattamento fatto al diritto di difesa dei medesimi dalla l. 604/1966 é stata, come si é già constatato, riconosciuta anche dalle Sezioni Unite, e che il canone - audiatur et altera pars - é realizzato, nel quadro disegnato nei commi secondo e terzo dell'art. 7, prima della irrogazione della sanzione (in ipotesi del licenziamento) disciplinare, laddove viene, a sensi della l. 604/1966 (non escluso l'art. 7), attuato a licenziamento disposto e mandato ad esecuzione.

11.1. - Pertanto, questa Corte procede ad accertare se siano conformi, oppure no, agli artt. 3, nonché - come ha sospettato il Tribunale di Parma - 2 Cost. i commi primo ("Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di essa può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia é stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano"), secondo ("Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa") e terzo ("Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato"), interpretati come non estensibili alla sanzione disciplinare del licenziamento, per la quale la normativa (legislativa, collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) si limiti ad includere il licenziamento medesimo tra le sanzioni disciplinari e non richiami espressamente il regime per queste previsto dall'art. 7 l. 300/1970.

La risposta affermativa deve essere data da chiunque ravvisi il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese civile nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le norme che ne fan parte degradano al livello di gregge privo di pastore: canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto é l'espressione del principio di eguaglianza di trattamento tra eguali posizioni sancito dall'art. 3.

Orbene, l'art. 7 comma primo ha sancito il principio fondamentale, per il quale chi é perseguito per una infrazione, deve essere posto in grado di conoscere l'infrazione stessa e la sanzione.

L'art. 7 commi secondo e terzo, poi, raccoglie il ben noto sviluppo - ad un tempo socio-politico e giuridico formale - che ha indotto ad esigere come essenziale presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un procedimento, di quella forma cioè di produzione dell'atto che rinviene il suo marchio distintivo nel rispetto della regola del contraddittorio: audiatur - lo si ripete - et altera pars. Rispetto che tanto più é dovuto per quanto competente ad irrogare la sanzione é (non già - come avviene nel processo giurisdizionale - il giudice per tradizione e per legge "super partes", ma) la una pars.

Una volta introdotta con i commi secondo e terzo l'osservanza del contraddittorio tra datore e lavoratore quale indefettibile regola di formazione delle misure disciplinari, l'escluderne il licenziamento disciplinare sol perché la sua normativa non richiama l'art. 7 suona offesa dell'art. 3 pur a prescindere dalla maggiore gravità del licenziamento rispetto alle altre misure disciplinari. Né ad attingere opposto avviso vale richiamare la tradizione legislativa o collettiva caratterizzata dalla posizione di distinti principi per il licenziamento e le altre misure disciplinari perché siffatta tradizione, se può essere di qualche peso sul piano dell'interpretazione, non é idonea a fare della l. 604/1966 (e dell'art. 18 comma primo l. 300/1970) una norma di grado superiore, che valga a porre in forse l'applicazione del canone di coerenza.

Così statuendo la Corte insiste nell'orientamento espresso con la sent. 69/1982, con la quale ha giudicato illegittimo, per violazione dell'art. 3, l'art. 99 u.c., r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento) interpretato nel senso che sancisse l'inappellabilità delle sentenze, rese in sede di opposizione allo stato passivo su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.

Ovviamente il constatato contrasto tra i commi primo a terzo dell'art. 7 e l'art. 3 Cost. esime dal verificare se anche l'art. 24 Cost. sia offeso dalla sinora dominante interpretazione dei commi primo a terzo dell'art. 7.

11.2. - A parametri della denunciata incostituzionalità del comma quinto ("In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa") si prospettano gli artt. 2, 3 e 24 Cost., ma le argomentazioni, con le quali i Pretori di Parma (ord. 22 novembre 1976) e di Treviso (ord. 18 dicembre 1976) e il Tribunale di Parma (ord. 1 dicembre 1976) hanno sostenuto le impugnazioni, non convincono: non l'art. 2 perché - quale che sia il significato da assegnarsi al vocabolo "applicati" (emanati o mandati ad esecuzione) - i diritti inviolabili del lavoratore sia come singolo sia nelle formazioni sociali non sono vulnerati dalla mancata procrastinazione dell'initium dell'una o dell'altra operazione, né l'art. 24 perché il comma quinto non incide sul diritto del lavoratore, colpito da ogni e qualsiasi sanzione disciplinare, di essere sentito a difesa avanti al giudice.

Le suesposte ragioni destituiscono di fondamento anche la censura sollevata sulla base dell'art. 3 Cost.

11.3. - A giudizio del Pretore di Treviso l'inefficacia della sanzione disciplinare (consecutiva alla mancata designazione, da parte del datore, del rappresentante in seno al collegio di conciliazione e arbitrato, di cui al comma sesto) e la sospensione della stessa per tutta la durata del giudizio promosso dal datore negligente, ove non siano estese ai licenziamenti disciplinari, provocherebbero la violazione degli artt. 3 e 24, ma ambo le norme sono a torto evocate.

Invero il comma settimo, vuoi nel primo vuoi nel secondo periodo, esibisce una sorta di astreintes mediante le quali il legislatore mira a piegare l'intendimento, dal datore nutrito, di impedire la costituzione del collegio di conciliazione e di arbitrato e di indirizzare la controversia sulle rotaie della giustizia togata, sulle quali é massima di comune esperienza che non corrano frecce di qualsiasi colore: é una scelta di politica legislativa, che, se non estesa al licenziamento disciplinare, non sbarra al lavoratore, che siasi rivolto all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, la via del ricorso al presidente del tribunale di cui all'art. 810 c.p.c. al fine di conseguire - malgrado la indifferenza del datore - la integrazione del collegio.

Del tutto fuori luogo é il richiamo dell'art. 24 perché la sospensione legale dell'efficacia dell'atto, la cui eliminazione rappresenta il petitum della domanda che il lavoratore intende sottoporre al collegio di conciliazione e di arbitrato, incide non sul diritto di difesa ma sulla posizione sostanziale di cui il lavoratore medesimo pretende di essere titolare, né diversa é la diagnosi da stilarsi in merito alla domanda giudiziale del datore, obietto della quale altro non é che l'accertamento negativo della pretesa sostanziale del lavoratore.

12. - Rimane l'impugnazione dell'art. 18 comma primo 1.300/1970, mossa, sulla base degli artt. 2 e 3 Cost., dal solo Tribunale di Parma il quale ha lamentato che, ove fossero accolte le censure appuntate ai commi primo, secondo, terzo (nonché quinto e settimo), il lavoratore, fatto ingiustamente segno di licenziamento disciplinare, non conseguirebbe quella reintegrazione nel posto di lavoro che la disposizione impugnata assicura al lavoratore licenziato nelle ipotesi nella medesima elencate (inefficacia per inosservanza dei commi primo e secondo dell'art. 2 l. 604/1966, nullità per insussistenza di giusta causa o di giustificato motivo) e in siffatta discrepanza ha ravvisato violazione degli artt. 2 e 3 Cost..

Fermo quanto già esposto sull'art. 2 (supra 11.2.), la violazione dell'art. 3 si appalesa evidente ove si assuma a termine di paragone idoneo a coglierla l'ipotesi descritta nell'art. 2 l. 604/1966, accomunata alla vicenda in esame dalla natura formale delle due violazioni, la cui constatazione non vieta che il giustificato motivo sia successivamente comunicato al lavoratore con l'atto di licenziamento, così come il provvedimento di licenziamento disciplinare potrà essere rinnovato con il rispetto dei commi secondo e terzo (non poco dubbia é invece la novellazione nel caso di inosservanza del comma primo, ma é problema di natura interpretativa che la Corte può pur esimersi dal risolvere).

Di contro, é da osservare che, una volta estesi i commi primo a terzo ai licenziamenti disciplinari per i quali la normativa si limiti ad includerli tra le sanzioni disciplinari senza l'espresso richiamo dei ripetuti commi, la forza espansiva, di cui sono muniti testi suscettibili di esprimere più ampia norma, estende l'art. 18 comma primo alla fattispecie consecutiva alla pronuncia d'incostituzionalità che si sta per emanare, e l'osservazione giova a preferire alla tecnica della sentenza interpretativa di accoglimento l'altra della sentenza interpretativa di rigetto della proposta questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti gli incidenti iscritti ai nn. 738 e 758 R.O. 1976, 38, 39, 57 e 168 R.O. 1977,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi primo, secondo e terzo dell'art. 7 (sanzioni disciplinari) l. 20 maggio 1970, n. 300 (norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro;

2) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 comma primo l. 20 maggio 1970, n. 300, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con ordinanza 1 dicembre 1976 del Tribunale di Parma;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma quinto dell'art. 7 l. 20 maggio 1970, n. 300, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost., con ordinanze 22 novembre 1976 del Pretore di Parma, 18 dicembre 1976 del Pretore di Treviso e 1 dicembre 1976 del Tribunale di Parma;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma settimo dell'art. 7 l. 20 maggio 1970, n. 300, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con ordinanze 27 novembre 1976 e 11 agosto 1977 del Pretore di Treviso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 novembre 1982.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 30 novembre 1982.