Sentenza n. 171 del 1982
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 171

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 102 cod. proc. pen. (Casi in cui la costituzione di parte civile si considera revocata) promossi con le ordinanze dei Pretori di Torino, Terracina e Locri rispettivamente emesse in data 25 novembre 1976, 20 aprile 1977 e 14 luglio 1981, iscritte ai nn. 166 e 264 del registro ordinanze 1977 e al n. 685 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 141 e 190 del 1977 e n. 33 del 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri:

udito nell'udienza pubblica del 15 giugno 1982 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale davanti al pretore di Torino a carico di Gentile Giuseppe, la parte civile non compariva nell'udienza dibattimentale fissata per la discussione, ed il difensore, deducendo che essa era impedita a comparire per motivi di salute, chiedeva il rinvio del dibattimento.

Il difensore dell'imputato, opponendosi, affermava l'equivalenza della mancata comparizione alla revoca della costituzione, ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen.

Il pretore, con ordinanza del 25 novembre 1976 - regolarmente notificata e comunicata, nonché pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 25 maggio 1977 - sollevava questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 102 per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Rilevata la propensione della dottrina e della giurisprudenza a ritenere prevalente l'interesse pubblico alla speditezza del processo penale rispetto all'interesse (privato) della parte civile e, di conseguenza, a considerare revocata la costituzione di parte civile anche quando l'allontanamento dall'udienza fosse dovuto a legittimo impedimento, il giudice riteneva che la detta interpretazione potesse dar luogo a una ingiusta disparità di trattamento tra parte civile e imputato, il quale ultimo ha diritto al rinvio del dibattimento in caso di giustificato impedimento a comparire.

Lo stesso art. 102, interpretato nel modo sopra detto, sembrava al pretore pregiudicare il diritto di difesa della parte civile, tutelato dall'art. 24 Cost., ed in particolare il suo interesse ad evitare un giudicato penale sfavorevole.

2. - La parte privata non si é costituita.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta, nega la sussistenza dell'illegittimità costituzionale prospettata dal pretore.

In proposito deduce che il principio di eguaglianza impone il pari trattamento di situazioni giuridiche omogenee, mentre eterogenee sono le situazioni dell'imputato e della parte civile, titolari di posizioni processuali non assimilabili. Né potrebbe ravvisarsi una lesione del diritto di difesa della parte civile, considerata la sua posizione accessoria nel processo penale.

3. - La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dai pretori di Terracina, con ordinanza del 20 aprile 1977 (nel procedimento penale a carico di Lo Mastro Maria) e di Locri, con ordinanza 14 luglio 1981 (nel procedimento penale a carico di Spilinga Antonio).

Il pretore di Locri, nel motivare la propria ordinanza in modo analogo a quella del pretore di Torino, aggiungeva di non ignorare la sentenza del 26 giugno 1974 n. 193, con cui la Corte costituzionale dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; rilevava, però, la diversità della questione attuale, riguardante la mancata comparizione della parte civile non già all'inizio del dibattimento, come nel caso già deciso dalla Corte costituzionale, bensì nel prosieguo del dibattimento stesso.

Nel caso di assenza della parte civile non dovuta ad impedimento, il pretore prospettava una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dell'imputato, per cui é previsto l'istituto della contumacia.

Le due ordinanze, regolarmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella G.U. n. 190 del 13 luglio 1977 e n. 33 del 3 febbraio 1982.

Le parti private non si sono costituite.

La Presidenza del Consiglio dei ministri é intervenuta in entrambe le cause, riportando gli argomenti già addotti nei riguardi dell'ordinanza del pretore di Torino.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze in epigrafe (emesse, rispettivamente, dai pretori di Torino, Terracina e Locri) sottopongono all'esame della Corte la medesima questione e, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Preliminarmente si osserva che l'ordinanza del pretore di Terracina difetta della prescritta motivazione sulla rilevanza della questione nel giudizio di merito: essa, infatti, manca completamente di ogni riferimento al caso concreto e il suo contenuto si esaurisce in mere considerazioni astratte e apodittiche, per cui, risultando non osservato il disposto dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, si impone una pronuncia di inammissibilità.

3. - In relazione alle altre due ordinanze, di cui va esaminato il merito, si rileva che la questione sollevata concerne l'art. 102 cod. proc. penale, il quale dispone, nel primo comma, che "se la parte civile, citata per il dibattimento di primo grado, non compare per qualsiasi motivo nel corso del dibattimento stesso o si allontana dall'udienza senza aver presentato nel momento prescritto le sue conclusioni, la costituzione di parte civile si considera revocata"; ed aggiunge, nel secondo comma, che "la mancata comparizione o l'allontanamento della parte civile non può determinare il rinvio del dibattimento".

Precisamente, i giudici a quibus contestano la legittimità costituzionale della norma sotto il profilo che la revoca automatica, da essa disposta come conseguenza della mancata comparizione o dell'allontanamento dall'udienza, violerebbe l'art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dell'imputato, nonché l'art. 24, 1 e 2 comma, Cost., relativi rispettivamente al diritto di tutela giurisdizionale e al diritto di difesa.

4. - Giova anzitutto ricordare come, secondo il "diritto vivente", la norma su indicata va intesa in maniera restrittiva, nel senso cioè che non ogni assenza o allontanamento della parte civile importano la revoca della costituzione, ma soltanto quelli verificatisi al momento in cui essa ha l'onere di presentare le conclusioni nel giudizio di primo grado: ciò perché lo scopo della legge é quello di evitare che la parte civile, con il suo comportamento omissivo, possa ritardare la conclusione del procedimento penale, sicché la revoca non é applicabile allorquando, essendosi l'assenza o l'allontanamento verificati in momenti diversi dall'anzidetto, l'inconveniente in parola rimane di fatto escluso.

In tali sensi é ferma la giurisprudenza della Cassazione, ed appunto sulla base dì tale orientamento questa Corte, in precedenza (sent. 26 giugno 1974 n. 193), ha ritenuto non fondata la stessa questione sollevata su diverso presupposto: e, precisamente, in un caso in cui l'assenza della parte civile era avvenuta all'inizio del dibattimento e non già nel momento in cui dovevano essere presentate le conclusioni.

5. - Precisato, così, l'ambito della norma denunziata, rileva la Corte che la proposta questione non é fondata.

Per quanto concerne il principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3 della Costituzione, é jus receptum che esso postula l'omogeneità delle situazioni giuridiche messe a confronto e pertanto non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee; in tal caso, invero, una disciplina differenziata non può essere ritenuta arbitraria, in quanto giustificata dalla diversità suddetta.

Nella fattispecie considerata dalle ordinanze di rimessione non sussiste all'evidenza l'indicata omogeneità, essendo profondamente diversa la posizione dell'imputato e quella della parte civile.

Il processo penale, infatti, ha per oggetto principale l'esercizio della pretesa punitiva nei confronti del prevenuto, al quale spettano, a tutela dei suoi diritti fondamentali (in primo luogo, quello della libertà personale), le massime garanzie difensive: tra di esse va compresa anche la facoltà della partecipazione personale al giudizio, in funzione dell'esercizio della "difesa materiale", la quale, aggiungendosi alla " difesa tecnica", può riuscire utile in ordine all'accertamento dei fatti presumibilmente meglio conosciuti dall'imputato.

Da ciò l'origine delle norme sulla contumacia secondo le quali il dibattimento non può svolgersi in caso di legittimo impedimento dell'imputato (si veda, per un altro caso di rinvio obbligatorio, l'art. 88 cod. proc. pen.), mentre, anche in caso di assenza volontaria, il giudice ben può disporre il rinvio del dibattimento ove avverta la necessità o anche soltanto l'utilità della presenza personale dell'imputato medesimo.

Invece, l'azione di restituzione o risarcitoria, esercitata mediante costituzione di parte civile, ha carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, sicché essa subisce tutte le conseguenze derivanti dalla funzione e struttura del processo penale. La costituzione di parte civile, come é stato avvertito in dottrina, si differenzia notevolmente dalla domanda proposta avanti il giudice civile, sicché non é soggetta alle norme e principi propri del processo che si svolge avanti a quest'ultimo, ma trova il suo regolamento unicamente nella disciplina processuale penale.

Da ciò deriva il già rilevato carattere della subordinazione della posizione della parte civile, subordinazione che, nell'ipotesi considerata, si realizza con la prevalenza data dal legislatore, nell'interesse pubblico e dell'imputato, all'esigenza di una rapida conclusione del processo penale.

Il legislatore, trattandosi di situazioni non omogenee e anzi addirittura collegate mediante un rapporto di subordinazione, era ben libero, nell'ampio potere discrezionale spettantegli, di regolare nella maniera ritenuta più opportuna gli effetti dell'assenza o dell'allontanamento della parte civile; non può, quindi, essere considerata arbitraria la norma che sancisce la revoca della costituzione nelle ipotesi su ricordate (ancorché trattisi di legittimo impedimento), e il trasferimento dell'azione restitutoria o risarcitoria avanti il Giudice civile.

6. - L'altra disposizione indicata nelle ordinanze di rimessione quale norma - parametro é quella contenuta nell'art. 24 Cost., sia nel primo (diritto alla tutela giurisdizionale) sia nel secondo comma (diritto alla difesa).

Per quanto concerne il primo comma di detta norma é sufficiente ricordare che l'art. 103, 2 comma, cod. proc. penale testualmente recita: "La parte civile la cui costituzione deve considerarsi revocata a norma dell'art. 102 conserva il diritto di proporre la sua azione in sede civile".

La tutela giurisdizionale rimane, quindi, integra e precisamente rimane quella stessa di cui il danneggiato dal reato avrebbe potuto giovarsi se avesse preferito non costituirsi parte civile e far valere separatamente il proprio diritto.

La separazione dell'azione civile dal processo penale non può essere considerata come esclusione o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale: essa costituisce una modalità di detta tutela, che generalmente é alternativa, ma che il legislatore, nell'ambito del suo potere discrezionale, può scegliere come esclusiva in vista di altri interessi da tutelare, quale, come nella specie, quello, già ricordato, alla speditezza del processo penale.

Rispetto al secondo comma dello stesso art. 24 Cost., é evidente come l'autonomo esercizio dell'azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile.

Per quanto concerne, poi, il rapporto tra giudicato penale e processo civile, in ordine al quale si coglie un generico cenno in una delle ordinanze di rimessione, non può, nella specie, prospettarsi un problema di costituzionalità con riferimento all'art. 24, 2 comma, della Costituzione. E ciò in quanto tale rapporto resta assoggettato alla disciplina generale stabilita dagli artt. 25, 27 e 28 cod. proc. penale come modificati dalle pronunce di questa Corte 22 marzo 1971 n. 55, 27 giugno 1973 n. 99 e 26 giugno 1975 n. 165.

7. - Conclusivamente, deve dirsi che non ricorre alcuna violazione delle norme costituzionali suindicate, e, pertanto, deve dichiararsi non fondata la questione proposta dai pretori di Torino e di Locri.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3 e 24 Costituzione, sollevata dal pretore di Terracina con l'ordinanza in epigrafe.

2) Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 Costituzione, sollevata dai pretori di Torino e di Locri con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 ottobre 1982.