Sentenza n. 162 del 1982
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SENTENZA N. 162

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente 

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1981) promossi con i ricorsi proposti dalla Regione Liguria, dalle Province autonome di Bolzano e di Trento e dalle Regioni Sardegna, Sicilia, Veneto, Trentino - Alto Adige, Toscana, Emilia - Romagna e Piemonte, notificati il 7 e l'8 maggio 1981, depositati in cancelleria il 12, il 15, il 16 e il 21 maggio 1981, rispettivamente iscritti ai nn. 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23 e 24 del registro ricorsi 1981 e dei quali é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 137 e 144 del 1981.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1982 il giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino, per le Provincie autonome di Bolzano e di Trento e per la Regione Sardegna, Lorenzo Acquarone, per la Regione Liguria, Giuseppe Fazio, per la Regione Sicilia, Alberto Predieri, per le Regioni Veneto e Piemonte, Alessandro Pace, per la Regione Trentino - Alto Adige e l'avvocato dello Stato Paolo Vittoria, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Le Regioni Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna,in persona dei rispettivi presidenti delle Giunte, rappresentati e difesi dall'avv. Alberto Predieri di Roma, con ricorsi notificati il 7 e 8 maggio 1981, hanno impugnato di legittimità costituzionale gli artt. 35 e 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) per contrasto con gli artt. 5, 117 e 119 Cost.

Assumono le tre Regioni che i suddetti articoli invadono la competenza finanziaria ed organizzativa delle Regioni, restringendo il già esiguo spazio della loro autonomia finanziaria e ponendosi così in contrasto con le citate norme della Costituzione. Si osserva, infatti, che gli artt. 119 e 117 Cost., assicurando alla regione autonomia finanziaria, le attribuirebbero necessariamente sia il potere di organizzare il servizio di tesoreria e disciplinarne i procedimenti, sia quello di regolare i flussi di cassa, come dimostrerebbero le disposizioni dettate con la legge 19 maggio 1976, n. 335, che ha fissato i principi fondamentali e le norme di coordinamento in materia di bilancio e contabilità delle regioni.

Ora l'art. 40, quarto comma, della legge n. 119/1981, così come i commi 1 e 2, priverebbero la regione di tale autonomia ledendo gli artt. 119 e 117 Cost. Inoltre, in violazione dell'art. 130 Cost., introdurrebbero forme non previste di controllo su un aspetto dell'attività regionale. Gli stessi profili di illegittimità emergerebbero nelle altre disposizioni connesse dell'art. 40 ed in particolare al comma ottavo, che rimette ad una determinazione del Ministro per il tesoro la possibilità di variare la percentuale delle disponibilità di cui é consentito il deposito presso i tesorieri regionali.

Quanto all'art. 35 della legge citata, esso viene impugnato per le stesse ragioni, ma anche per violazione dell'art. 117 Cost. con riguardo alla competenza regionale in materia sanitaria, quale disciplinata dagli artt. 15 e 61 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

2. - Anche il Presidente della Regione Siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giuseppe Fazio, ha proposto ricorso con atto notificato il 7 maggio 1981, impugnando di legittimità costituzionale il citato art. 40 1.119, per contrasto con gli artt. 1, 19, 20 e 36 dello Statuto regionale (R.D.L.vo 15 maggio 1946, n. 455) in quanto priverebbe la Regione della potestà di disporre liberamente del gettito dei tributi ad essa riservati dall'art. 36 St., sottraendole la possibilità di utilizzare direttamente ed immediatamente le somme disponibili nelle casse del proprio tesoriere, eccedenti il 12% delle entrate previste dal bilancio, per completare il procedimento di spesa con la fase del pagamento.

La stessa norma - secondo la Regione - le impedirebbe di esercitare la propria potestà amministrativa in esecuzione della legge di bilancio, attraverso la quale sono pur sempre gestiti i fondi provenienti dal bilancio statale. Consentendo, inoltre, l'ingerenza ispettiva del ministro del tesoro e l'intervento nelle convenzioni stipulate dalla Regione con il proprio tesoriere, l'intero sistema dell'art. 40 inciderebbe sul servizio di tesoreria regionale e sul diritto al bilancio, violando sotto vari aspetti il principio fondamentale dell'autonomia.

3. - Lo stesso art. 40 della legge n. 119/1981 é ancora impugnato di legittimità costituzionale nelle disposizioni dettate dai commi 1, 4, 5 ed 8 dalla Regione Sardegna in persona del suo presidente, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giuseppe Guarino, con ricorso notificato l'8 maggio 1981, nel quale si denuncia il contrasto delle norme richiamate con gli artt. 1, 3, 4, 6,7 ss. della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, in relazione agli artt. 32 ss. e 45 D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, recante le relative norme di attuazione.

Si assume nel ricorso che, ai sensi dell'art. 7 dello Statuto, la Regione ha una finanza propria e che la disciplina della finanza regionale - quale si desume dalle norme di attuazione dello stesso Statuto - prevede una particolare e completa regolamentazione della contabilità regionale, che affida la gestione dei fondi ad un servizio di tesoreria della Regione.

La norma denunciata violerebbe, quindi, l'autonomia finanziaria della Regione, prima attraverso l'obbligo di depositare la quasi totalità delle sue disponibilità finanziarie presso la tesoreria dello Stato, poi condizionandone l'utilizzazione ad adempimenti propri (presentazione di preventivi di cassa) e da modalità rimesse all'arbitrio del Ministro del tesoro. Un ulteriore svilimento dell'autonomia finanziaria della Regione va ravvisato - secondo la Regione stessa - nell'obbligo imposto alle aziende di credito di trasferire alla tesoreria dello Stato le disponibilità eccedenti, senza alcuna autorizzazione da parte della stessa Regione.

4. - La Regione Trentino Alto Adige, in persona del suo presidente, rappresentato e difeso dal prof. avv. Alessandro Pace, con un suo ricorso notificato l'8 maggio 1981, impugna di legittimità costituzionale gli artt. 35 e 40 della legge n. 119 del 1980: il primo per contrasto con l'art. 4 n. 7 dello Statuto della Regione nonché con gli artt. 6 del D.L. 30 dicembre 1979,n. 663 e 2 D.P.R. 28 marzo 1975, n. 474; il secondo per contrasto con gli artt. 5 n. 1 e 66 ss. dello stesso Statuto.

Quanto all'art. 35 si deduce che lo Stato, avendo con esso dettato norme incidenti sulla contabilità e sullo stesso ordinamento delle unità sanitarie locali, ha invaso la competenza regionale in materia di ordinamento degli enti sanitari ed ospedalieri (art. 4 n. 7 St. T.A.A.).

La denuncia dell'art. 40 riguarda diversi profili. Il primo comma invaderebbe sia la competenza legislativa secondaria in materia di ordinamento dei comuni (art. 5 n. 1 St.) sia l'autonomia finanziaria, contabile e patrimoniale della Regione. Di tale autonomia sarebbe anche lesivo il quarto comma, giacché le somme che alla Regione provengono dal bilancio dello Stato, una volta entrate nelle disponibilità della prima, dovrebbero ritenersi sottratte alla disciplina legislativa statale.

5. - Altri due ricorsi, entrambi notificati l'8 maggio 1981, sono stati proposti dalle Provincie autonome di Trento e Bolzano, nella persona rispettivamente del presidente e del vicepresidente, rappresentati entrambi e difesi dall'avv. Giuseppe Guarino.

Con essi si impugnano l'art. 35, commi 4 e 9, e l'art. 40, commi 1, 2,5 e 10 della legge n. 119 del 1981: il primo perché le disposizioni in esso contenute dovrebbero considerarsi inapplicabili alle province autonome di Trento e Bolzano. Secondo le norme previste dallo Statuto di autonomia (cui hanno fatto riferimento l'art. 801 23 dicembre 1978, n. 833, nonché l'art. 6 bis D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33) le quote del fondo sanitario nazionale ad esse assegnate perverrebbero immediatamente alle province che, trattenute le somme per il finanziamento dei servizi e presidi non delegati, disporrebbero poi per il pagamento, a carico del bilancio provinciale, delle somme a favore delle unità sanitarie locali. Un'interpretazione diversa dell'art. 35 lo porrebbe in contrasto con la competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli Uffici e competenza legislativa secondaria in materia di igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera e le connesse potestà amministrative.

In ordine all'art. 40 vengono svolte nei ricorsi argomentazioni analoghe a quelle esposte dalla Regione Sardegna, denunciandone il contrasto con gli artt. 8 n. 1, 16, 70 e ss. del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nonché con il D.P.R. 5 aprile 1949, n. 172; l'art. 57 ss. D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; il D.P.R. 28 marzo 1975, n. 470 e il D.P.R. 28 marzo 1975, n. 472.

6. - Anche le Regioni Veneto e Liguria, in persona dei presidenti delle rispettive giunte, rappresentati e difesi il primo dall'avv. prof. Giorgio Berti e dall'avv. Guido Viola, il secondo dall'avv. Enrico Romanelli e dall'avv. prof. Lorenzo Acquarone, con ricorsi notificati l'8 maggio 1981, hanno impugnato di legittimità costituzionale l'art. 35 e la Regione Veneto anche l'art. 40 della citata legge n. 119/1981.

Nel primo ricorso si denuncia il contrasto delle norme impugnate con gli artt. 5, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost., in quanto attuerebbero una compressione o riduzione dell'autonomia regionale, sia sul piano della finanza della Regione, che su quello più generale delle potestà regionali legislative ed amministrative, per ciò che riguarda le sottomaterie della contabilità e del servizio di tesoreria, ricollegabili all'autonomia finanziaria, come per quanto attiene al complesso delle materie elencate nell'art. 117, considerate sotto il profilo della copertura delle relative spese.

Con il secondo ricorso la Regione Liguria denuncia l'art. 35 per contrasto con gli artt. 3,97 e 117 Cost., in quanto renderebbe impossibile l'esercizio di competenze normative ed amministrative proprie della regione (art. 117 Cost. e artt. 11,51 e 61 legge 23 dicembre 1978, n. 833) nella costituzione dei servizi di tesoreria delle unità sanitarie locali e del controllo sulla loro gestione.

7. - É intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atto 25 maggio 1981, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Riguardo alla denuncia dell'art. 35 legge n. 119 del 1981 la difesa dello Stato osserva che il nucleo centrale della questione é costituito dal modo dell'accredito delle quote assegnate alle regioni sul fondo sanitario nazionale.

Il sistema dell'accreditamento delle risorse in conti fruttiferi o infruttiferi presso la tesoreria centrale, anziché mediante versamento diretto alle regioni - si rileva - é strumento di coordinamento della finanza regionale con quella statale, sul versante della spesa, cui il legislatore ha più volte fatto ricorso (art. 21 D.L. 13 agosto 1975, n. 376, conv. in legge 16 ottobre 1975, n. 492 e 20 D.L. 13 agosto 1975, n. 377, conv. in legge 16 ottobre 1975, n. 493; legge 27 dicembre 1977, n. 984).

Tale sistema - secondo l'Avvocatura - non ha intaccato la competenza sostanziale delle regioni ad essere giudici delle occorrenze locali e della distribuzione territoriale delle risorse. L'accredito in conti correnti fruttiferi, anziché il versamento diretto, non altera il ruolo della regione nel funzionamento del servizio sanitario nazionale, quale prefigurato dalla legge n. 833 del 1978. D'altra parte questo meccanismo non é tale da creare intralcio nell'utilizzazione dei fondi da parte delle unità sanitarie locali.

Le norme impugnate presentano un reale effetto limitativo solo per quanto attiene al profilo della redditività delle quote assegnate alle regioni e da queste trasferite alle unità locali, per il tempo che intercorre tra l'originario accredito alle prime ed il prelievo a favore del tesoriere delle seconde.

Questo costo trova una duplice legittimazione. Innanzitutto l'autonomia finanziaria, come ogni altra manifestazione della autonomia, anche delle regioni a statuto speciale, deve svilupparsi in armonia con le norme fondamentali delle riforme economico - sociali della Repubblica e, in secondo luogo, trova i suoi limiti nel coordinamento con la finanza dello Stato. Il servizio sanitario nazionale é stato appunto istituito con il preciso obiettivo riformatore di superare gli squilibri nelle condizioni socio - sanitarie del Paese, assicurando in primo luogo una certa uniformità delle strutture e creando nel contempo un fondo sanitario nazionale, alimentato di anno in anno attraverso il bilancio dello Stato.

Sulle questioni relative all'art. 40 l'Avvocatura dello Stato osserva come tale norma si collochi nel solco di una direttiva di legislazione che ha la sua origine nella legge 6 agosto 1966, n. 629 e si é sviluppata nelle norme sulle giacenze di tesoreria delle regioni e degli enti pubblici, dettate con gli artt. 31 e 32 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e poi con gli artt. 52 e 55 del D.L. 9 luglio 1980, n. 301 e 83 a 86 del D.L.30 agosto 1980, n. 503.

Anche la facoltà di limitare in percentuale l'ammontare dei depositi che gli enti pubblici territoriali e istituzionali possono mantenere presso le banche rientra - secondo l'Avvocatura - tra le prerogative dello Stato. L'attuale momento storico - si osserva - registra infatti la presenza del sostegno economico statale in quasi tutti i settori della vita sociale, cui fa riscontro l'impegno di risorse sempre crescenti a sostegno delle attività del cittadino. Il drenaggio delle risorse e il flusso della spesa pubblica generano fenomeni recessivi e inflazionistici insieme. La regolamentazione di questi fenomeni non può che essere di competenza dello Stato.

8. - Hanno presentato memorie difensive le Regioni Piemonte, Toscana ed Emilia - Romagna, con atti del 23 febbraio 1982, la Regione Trentino - Alto Adige con atto del 25 febbraio 1982 e la Regione Liguria con atto del 2 marzo 1982. Nelle memorie le Regioni ribadiscono le tesi sostenute in sede di ricorso, sviluppandone le argomentazioni.

Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria, con atto del 18 febbraio 1982, nella quale, riassumendo le tesi contenute nel primo atto di intervento, aggiunge ulteriori argomentazioni su questioni particolari.

Per quanto riguarda i ricorsi delle Provincie autonome di Trento e Bolzano relative all'art. 35 della legge n. 119/1981, l'Avvocatura contesta l'assunto dei ricorrenti, che si basa sulla considerazione che la norma impugnata avrebbe riprodotto con modifiche il sistema già delineato dall'art. 8 D.L. n. 663 del 1979, che non avrebbe però operato in confronto delle due province autonome, alle quali si sarebbe dovuto applicare il diverso sistema dell'art. 6 bis aggiunto allo stesso decreto in sede di conversione. Quest'ultimo, autorizzando le province a "trattenere", anziché a "prelevare", le somme per il finanziamento dei servizi e presidi sanitari gestiti direttamente, dimostrerebbe che con l'accredito delle quote alle province le relative somme diverrebbero integralmente disponibili per essere poi trasferite alle unità sanitarie secondo procedure disciplinate dalla stessa provincia.

Anche in ordine alla denuncia dello stesso art. 35 da parte della Regione Trentino - Alto Adige l'Avvocatura osserva che nell'ambito del servizio sanitario nazionale istituito con la legge n. 833 del l978 le unità sanitarie locali si presentano come una struttura operativa dei comuni (art. 15), attraverso la quale si realizza in modo uniforme sull'intero territorio nazionale la gestione unitaria della tutela della salute (artt. 10 e 14), mentre gli ospedali hanno perso la loro natura di enti per divenire organi tecnici delle U.S.L. (artt. 17 e 66).

Pertanto la legittimità della disciplina statale di aspetti dell'ordinamento delle unità sanitarie non si presterebbe ad essere indagata alla stregua degli artt. 4 n. 7 e 16 St., ma alla stregua degli artt. 5 n. 1 e 16 St., cioè avendo riguardo ad una figura di competenza legislativa concorrente in materia di ordinamento dei Comuni, con funzioni amministrative corrispondentemente limitate.

Sulle questioni relative all'art. 40 legge n. 119/1981, l'Avvocatura si richiama infine a due recenti sentenze di questa Corte, le nn. 94 e 95/1981 (questioni di legittimità costituzionale degli artt. 31 e 36 legge 5 agosto 1978, n. 468), la prima delle quali ha statuito, tra l'altro, che l'art. 119 Cost., pur affermando l'autonomia finanziaria regionale, non impone affatto che le somme spettanti alle Regioni e defluenti dal bilancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate alle competenti tesorerie regionali, pur quando le Regioni stesse non dimostrino di doversene servire per l'esercizio delle loro attribuzioni. Essenziale é soltanto - come la Corte ha già chiarito nella sentenza n. 155/1977 - che i conti correnti istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in un "anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale".

 

Considerato in diritto

 

1. - I dieci ricorsi indicati in epigrafe sollevano questioni sostanzialmente identiche e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Con otto di tali ricorsi le Regioni Piemonte, Toscana, Emilia - Romagna, Veneto, Liguria, Trentino - Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano impugnano l'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che contiene una serie di prescrizioni con le quali si disciplinano i modi con cui vengono finanziate le unità sanitarie locali, le modalità attraverso le quali esse potranno usufruire del finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria.

In particolare con il primo comma dell'art. 35 citato si stabilisce che le U.S.L. devono affidare il loro servizio di tesoreria solo a determinate aziende di credito che abbiano i requisiti fissati da un decreto ministeriale. Il secondo comma stabilisce invece che le U.S.L. - nel momento in cui stipuleranno con le predette aziende di credito le relative convenzioni - debbono uniformarsi a criteri generali che verranno fissati con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro della sanità e sentita la Commissione interregionale. Con il terzo comma si prescrive che all'inizio di ciascun trimestre, con Decreto del Ministro del tesoro e di quello per la programmazione economica, verranno trasferite alle Regioni le quote di finanziamento loro spettanti per il funzionamento del servizio sanitario nazionale e tali quote verranno versate in conti correnti fruttiferi intestati alle Regioni presso la Tesoreria Centrale dello Stato. Il quarto comma a sua volta stabilisce che ogni tre mesi le Regioni trasmetteranno alla Direzione generale del Tesoro e alle sezioni provinciali di tesoreria copia del provvedimento mediante il quale esse Regioni trasferiranno alle varie U.S.L. la quota loro assegnata in conformità al piano sanitario regionale, mentre il quinto comma prescrive che la Direzione generale del Tesoro, una volta ricevuta copia del provvedimento regionale, preleverà dai conti correnti intestati alle singole regioni presso la Tesoreria Centrale dello Stato, gli importi complessivi destinati alle varie unità sanitarie della Regione e li verserà in conticorrenti infruttiferi presso le sezioni provinciali di tesoreria nel cui territorio di competenza si trovano le singole unità. Ai sensi del sesto comma sarà la sezione di tesoreria provinciale ad accreditare a ciascuna unità la somma ad essa spettante, istituendo un'apposita contabilità speciale distinta in spese correnti e spese in conto capitale. Il settimo comma stabilisce quindi che le U.S.L., all'inizio di ogni trimestre, potranno prelevare fino al 50% delle somme loro attribuite in conto spese correnti mentre il rimanente potrà essere prelevato in caso di necessità di cassa. Con l'ottavo comma, inoltre si prevede che le sezioni provinciali di tesoreria possono effettuare anticipazioni in favore delle U.S.L., previa autorizzazione della Direzione generale del Tesoro e nella misura non superiore a un terzo della quota trimestrale precedente. Il nono comma stabilisce che con decreto del Ministro del tesoro verranno emanate norme per il funzionamento dei conti correnti speciali anche in deroga alla legge sulla contabilità generale dello Stato e del relativo regolamento. Il decimo comma, infine, abroga l'art. 8 D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (convertito nella legge 19 febbraio 1980, n. 33), il quale stabiliva che le Regioni prelevassero dai loro conti correnti, aperti presso la Tesoreria Centrale dello Stato, le quote destinate alle U.S.L., alle quali poi le assegnavano nella misura del 50% all'inizio di ogni trimestre, mentre il rimanente veniva erogato secondo le effettive necessità delle U.S.L.

Il nuovo sistema viene ora impugnato per illegittimità costituzionale dalle Regioni Piemonte, Toscana, Emilia - Romagna, Veneto e Liguria, che, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 155/1977, denunciano la menomazione della loro autonomia finanziaria che tale sistema comporterebbe, giacché le priverebbe dell'autonomia decisionale sui flussi di cassa, onerandole di un compito di ripartizione dei fondi tra le unità sanitarie locali, senza alcuna possibilità di controllo della loro gestione.

Sostengono le cinque Regioni a statuto ordinario che l'art. 35 violerebbe in particolare: l'art. 117 Cost., per cui spetta alle Regioni la competenza di emanare norme legislative in materia di assistenza sanitaria "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato"; l'art. 118, che conferisce alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria; l'art. 119, che riconosce alle Regioni l'autonomia finanziaria.

2. - Nessuna delle questioni proposte dalle cinque Regioni a statuto ordinario é fondata.

Invero il sistema di accreditamento delle risorse per il funzionamento del servizio sanitario nazionale, disciplinato dall'art. 35, prevede che tale accreditamento avvenga mediante conti correnti fruttiferi aperti in favore delle Regioni presso la Tesoreria Centrale anzinché mediante versamento diretto alle Regioni stesse. A tale sistema, diretto a coordinare la finanza regionale con quella statale, il legislatore ha già fatto ricorso in altre occasioni, quando ha stabilito specifici programmi di sviluppo. Ad esempio nei DD.LL. 13 agosto 1975, nn. 376 e 377, convertiti nelle leggi 16 ottobre 1975, nn. 492 e 493 (rispettivamente artt. 20 e 21), si é previsto che i contributi assegnati alle Regioni venissero versati in conti correnti aperti presso la Tesoreria Centrale dello Stato e che i prelievi venissero attuati a richiesta delle Regioni sulla base di relazioni indicative dei fabbisogni. Le stesse modalità sono state previste in tema di coordinamento degli interventi pubblici in vari settori dell'economia agricola (legge 27 dicembre 1977 n. 984, art. 17).

Tale meccanismo non viola l'autonomia costituzionale garantita alle Regioni, in quanto resta integro il potere di ripartire le risorse finanziarie disponibili tra le diverse destinazioni.

La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833) prevede all'art. 51 il relativo finanziamento attraverso l'apposito fondo, determinato annualmente con la legge di approvazione del bilancio dello Stato. Tale fondo viene ripartito tra tutte le regioni con delibera del CIPE (Comitato Interministeriale per la programmazione economica), su proposta del Ministro della Sanità e sentito il Consiglio Sanitario nazionale. All'inizio di ogni trimestre le quote così ripartite vengono trasferite alle Regioni con provvedimenti dei Ministri del tesoro e del bilancio. Spetta poi alla Regione il compito di ripartire tra le unità sanitarie locali la quota ad essa assegnata per le spese correnti, sulla base di parametri numerici che devono essere determinati con legge regionale, sentiti i comuni; mentre per la quota destinata alle spese in conto capitale, la Regione provvede sulla base delle indicazioni formulate dal piano sanitario nazionale.

Alla luce di tale normativa l'intervento della Regione si esplica all'atto della ripartizione delle risorse tra le unità sanitarie locali, effettivi organi di erogazione dei servizi e perciò della spesa e destinatarie necessarie delle quote assegnate alle regioni.

Tale intervento decisionale non é minimamente intaccato dal meccanismo previsto dall'impugnato art. 35, il quale rispetta pienamente il potere che le Regioni hanno di ripartire le risorse del fondo loro assegnate fra le varie unità sanitarie locali, a seconda delle loro esigenze finanziarie, che a loro volta vengono valutate discrezionalmente dalle Regioni con autonomo provvedimento, senza alcun controllo o interferenza da parte dello Stato che ne possa condizionare l'autonomia. La norma impugnata, pertanto, non viola la sostanziale sfera di competenza che spetta alle Regioni quanto alle occorrenze locali ed alla distribuzione territoriale delle risorse.

Certamente l'art. 35 ha l'effetto di limitare la redditività delle somme corrispondenti assegnate alle Regioni per il funzionamento del servizio sanitario, ma si tratta di un effetto privo di implicazioni costituzionali, non riguardando l'autonomia finanziaria, in quanto potestà di gestione autonoma delle risorse, che é oggetto del principio costituzionale sancito dall'art. 119. Nel caso in esame tale potestà di gestione, riferita alle risorse assegnate alle Regioni per il servizio sanitario, é pienamente rispettata quando ne viene assicurata loro la piena disponibilità, nel senso di poterne effettuare l'autonoma utilizzazione qual che siano le modalità del relativo deposito.

D'altra parte l'aver il legislatore creato un più stretto coordinamento temporale fra il momento del prelievo dalla Tesoreria Centrale e il momento della spesa effettuata dagli organi erogatori del servizio sanitario risponde alla esigenza obiettiva, nell'interesse dell'intera comunità nazionale, di un opportuno coordinamento del flusso della spesa sanitaria con quello delle entrate destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento infatti si risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale senza per altro apportare alcun danno al funzionamento del servizio sanitario nazionale.

Né vi é violazione dell'art. 118 Cost. nella parte in cui vengono riconosciute alle Regioni le funzioni amministrative in materia sanitaria giacché l'aver regolamentato il modo di accreditamento delle risorse alle unità sanitarie locali nei limiti indicati dalle stesse Regioni non impedisce a queste ultime di esercitare il loro potere di controllo sul funzionamento delle U.S.L., sia sotto il profilo dell'attività che sotto quello dei risultati, già previsto dagli artt. 11 e 51 della legge n. 833/1978.

Non é violato nemmeno l'art. 117 Cost. perché, avendo l'art. 35 prescritto alle U.S.L. che il loro servizio di tesoreria venga affidato ad aziende di credito aventi determinati requisiti, non ha invaso la sfera di competenza delle Regioni ad emanare norme legislative in materia di assistenza sanitaria, giacché tale potestà trova un limite nei principi stabiliti dalle leggi dello Stato; limite che proprio l'art. 35 ha inteso fissare anche per uniformare sul piano nazionale il servizio di tesoreria delle unità sanitarie locali.

3. - Neppure sono fondate le questioni proposte dalla Regione Trentino - Alto Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in riferimento all'art. 35.

La Regione, in particolare, impugna la norma sostenendo che essa, là dove disciplina l'organizzazione delle U.S.L. sul piano contabile, violerebbe la competenza primaria della Regione ad emanare leggi in materia di enti sanitari ed ospedalieri (con le relative autonome funzioni amministrative), riconosciuta dall'art. 4 n. 7 dello Statuto speciale. Per contro, l'Avvocatura dello Stato replica che le U.S.L. vanno considerate quali strutture operative dei Comuni (in base all'art. 15 della legge n. 833/1978), rientrando pertanto nella competenza legislativa concorrente prevista dall'art. 5 n. 1 del detto Statuto. Ma l'impugnativa regionale va respinta, comunque si qualifichi la competenza spettante alla Regione, quanto all'organizzazione delle U.S.L. Le disposizioni dell'art. 35 trovano infatti fondamento, sia nella già rilevata esigenza di soddisfare interessi di portata nazionale in tema di spese da sostenere per le prestazioni sanitarie, sia nell'interferenza fra le attribuzioni regionali e l'indiscussa competenza spettante allo Stato in materia di credito.

Quanto alle Province di Trento e Bolzano, esse sostengono in via preliminare che l'art. 35 impugnato non é loro applicabile. Esso, infatti, riproduce - con modifiche - l'art. 8 del D.L. 30 dicembre l979, n. 663 (convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33) che viene nel contempo dichiarato espressamente abrogato (comma 10 dell'art. 35). Secondo la tesi sostenuta nei ricorsi l'art. 8 non avrebbe trovato applicazione per le Province autonome di Trento e Bolzano, per le quali valeva invece l'art. 6 bis, aggiunto in sede di conversione, in virtù del quale le province autonome erano autorizzate a "trattenere" - e non a prelevare - le somme occorrenti per il finanziamento dei servizi sanitari gestiti direttamente. Poiché il citato art. 6 bis sarebbe ancora in vigore, per non essere stato abrogato, ne deriverebbe che le quote accreditate alle province autonome diverrebbero integralmente e immediatamente disponibili per essere poi trasferite alle unità sanitarie secondo le procedure fissate con legge dalle stesse Province.

L'assunto non é fondato, in quanto la nuova normativa sull'accreditamento delle quote assegnate alle U.S.L. non contrasta con la precedente disciplina in tema di riparto delle quote del fondo sanitario nazionale assegnate alle Province autonome (art. 6 bis D.L. n. 663/1979). Rimane salva, infatti, la facoltà delle Province di "trattenere" sulle quote di riparto le somme occorrenti per il finanziamento di servizi e presidi sanitari che esse gestiscono direttamente, ma ciò non impedisce che sia il Ministero del tesoro ad accreditare alle Province stesse, in un conto corrente aperto presso la Tesoreria centrale, le somme loro attribuite per il funzionamento del servizio sanitario. Sarà poi su questo conto corrente che la Provincia effettuerà il prelevamento delle quote ad essa dovute, "trattenendo" le somme da impiegare per i servizi gestiti direttamente dall'amministrazione provinciale e trasferendo su un conto corrente aperto presso la sezione provinciale di tesoreria le somme residue, da destinare alle U.S.L. esistenti nel territorio della provincia.

Alla luce di tale interpretazione, appare infondata la questione sollevata dalle Province autonome, non essendovi alcuna violazione dell'art. 9, n. 10 dello Statuto delle Province stesse, da parte della norma impugnata. In tema di assistenza sanitaria e ospedaliera le Province autonome hanno, infatti, soltanto una competenza legislativa secondaria, riguardando quella primaria soltanto l'ordinamento degli uffici provinciali. Valgono quindi le stesse considerazioni già svolte a proposito delle questioni sollevate dalle Regioni a Statuto ordinario.

4. - L'altra norma che viene impugnata, con nove dei ricorsi indicati in epigrafe, é l'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, che detta una serie di prescrizioni sulla contabilità degli enti pubblici.

Recita, infatti, il primo comma dell'art. 40 che agli enti di cui agli artt. 25 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Comuni, Province, relative aziende autonome, enti pubblici non economici, enti ospedalieri, aziende autonome dello Stato, enti portuali, ENEL, Regioni a statuto ordinario e speciale) con un bilancio di entrata superiore al miliardo é vietato mantenere disponibilità presso le aziende di credito per un importo superiore al 12% delle entrate previste dal bilancio di competenza.

Il secondo comma dell'articolo citato prescrive alle aziende di credito di versare nei conti aperti agli Enti sopraindicati presso le Tesorerie dello Stato le somme eccedenti il 12% ed esistenti nei conti correnti intestati ai predetti enti pubblici.

Mentre il successivo comma 3 detta istruzioni agli amministratori degli enti, il quarto comma stabilisce che le assegnazioni, i contributi e quant'altro proveniente dal bilancio dello Stato debbono affluire nei conti intestati agli enti presso le Tesorerie dello Stato. Viene fatta eccezione per i fondi di cui all'art. 38 dello Statuto siciliano e per quelli destinati alle altre Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano in base ai rispettivi statuti.

Il quinto comma dispone che gli enti che hanno conti correnti presso la Tesoreria centrale debbono comunicare alla Direzione generale del Tesoro all'inizio di ogni trimestre - tramite le aziende che esercitano il servizio di tesoreria - un preventivo di cassa relativo al trimestre stesso. Tale comunicazione é condizione per poter effettuare il prelevamento.

Dopo una disposizione transitoria dettata dal sesto comma, il comma successivo dispone che il Ministro del tesoro stabilisce con proprio decreto le modalità di funzionamento dei conti correnti aperti presso le Tesorerie dello Stato e i relativi tassi di interesse.

L'ottavo comma attribuisce al Ministro del tesoro la facoltà da esercitare con proprio decreto, di modificare la percentuale delle giacenze che possono essere trattenute presso le aziende di credito che esplicano il servizio di tesoreria per gli Enti in parola.

Con il comma 9 si prevede che il Ministero del tesoro possa effettuare verifiche per accertare l'osservanza delle predette norme e con il comma 10 si autorizzano le aziende di credito a chiedere l'adeguamento delle convenzioni già stipulate con gli enti.

Il comma 11 infine dispone l'abrogazione delle norme incompatibili con le disposizioni dell'art. 40.

Sia le Regioni a statuto ordinario (Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia - Romagna) sia quelle a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino - Alto Adige) impugnano il primo e il quarto comma dell'art. 40 in quanto violerebbero la sfera della loro autonomia finanziaria, sottraendo alle Regioni la possibilità di utilizzare direttamente e immediatamente le somme disponibili presso i rispettivi tesorieri eccedenti il 12% delle entrate. Inoltre, imponendo di versare alle tesorerie dello Stato le disponibilità eccedenti tale percentuale, la norma denunciata inciderebbe non solo sulle somme provenienti dal bilancio dello Stato, ma anche su quelle provenienti da altre fonti, fra le quali gli stessi proventi propri delle Regioni.

Ancora più lesiva della loro autonomia sarebbe per le stesse Regioni la disposizione dell'ottavo comma, che attribuisce al Ministro la facoltà di determinare la percentuale delle entrate regionali che devono essere fatte affluire alle tesorerie dello Stato in aperto contrasto con il primo comma dello stesso articolo, che determina nel 12% la soglia oltre la quale si concreta la considerata eccedenza.

La Regione Sardegna impugna anche il quinto comma dell'articolo citato per lo stesso ordine di ragioni, mentre la Regione Trentino - Alto Adige lamenta anche la violazione dell'art. 5 n. 1 dello Statuto speciale dal momento che l'art. 40, obbligando anche i Comuni a limitare le giacenze, invaderebbe la sfera di competenza legislativa - sia pure secondaria della Regione in tema di ordinamento dei Comuni.

Sotto gli stessi profili impugnano i commi 1, 2 e 5 dell'art. 40 le Province autonome di Trento e Bolzano.

5. - Tutte le questioni sollevate relative all'art. 40 della legge n. 119/1981 sono infondate, ad eccezione di quella riguardante l'ottavo comma (facoltà del Ministro del tesoro di variare con proprio decreto la percentuale massima delle disponibilità di cui é consentito il deposito presso le tesorerie delle Regioni).

Il precetto essenziale, contenuto nell'art. 40, da cui tutti gli altri discendono, é quello che obbliga le aziende di credito a versare nei conti aperti presso le tesorerie dello Stato le somme depositate presso le aziende stesse dagli enti pubblici (territoriali o meno) con bilanci di una certa importanza, quando tali depositi superino un determinato livello, che viene indicato nel 12% delle entrate previste dal bilancio di competenza.

La "ratio" della norma - che si inserisce in una precisa direttiva seguita dal legislatore (legge 6 agosto 1966, n. 629; artt. 31 e 32 legge 5 agosto 1978, n. 468; artt. 52 e 55 D.L.9 luglio 1980, n. 301 e 83 - 86 D.L. 30 agosto 1980, n. 503) é di consentire allo Stato il controllo e la regolamentazione della liquidità monetaria e quindi dei flussi della spesa pubblica, che su tale liquidità incidono - com'è noto - in misura determinante. Destinatari del precetto sono, quindi, non solo e non tanto gli enti pubblici, quanto piuttosto le aziende di credito che gestiscono i servizi di tesoreria degli enti stessi.

Si tratta pertanto di stabilire se, nel quadro della ripartizione delle funzioni tra Stato e Regioni delineato dalla Costituzione, competa allo Stato questo potere di controllo e di regolamentazione. La risposta al quesito non può essere che positiva, rientrando certamente tra i poteri di pertinenza statale- come questa Corte ha più volte dichiarato (sentt. 58/1958;221/1975) - quello della disciplina del credito, strettamente connessa alla stabilità del potere d'acquisto della moneta e quindi ad un interesse che travalica l'ambito regionale coinvolgendo la comunità nazionale.

Poiché parte rilevante della spesa pubblica avviene per il tramite degli enti locali ed istituzionali, non é pensabile che la regolamentazione e il controllo dei relativi flussi possa avvenire senza incidere sulle disponibilità contabili di tali enti. Per mantenere il necessario equilibrio tra il flusso delle risorse prelevate e quello delle spese erogate non si può, infatti, ignorare che l'assegnazione alle diverse persone giuridiche pubbliche di una quota di risorse, congiunta alla inevitabile gradualità delle erogazioni, produce un ristagno di disponibilità, con conseguenze gravemente negative nell'attuale situazione delle pubbliche finanze. É noto in linea generale che mentre lo Stato, attraverso il cui bilancio passano prevalentemente i flussi finanziari, non riesce a sostenere le erogazioni cui è tenuto ed é costretto a ricorrere all'indebitamento a tassi sempre più elevati, taluni enti pubblici possono avere eccedenze di disponibilità di cassa rispetto alle necessità immediate, disponibilità che resterebbero depositate presso le aziende di credito. Diventa, pertanto, un'esigenza fondamentale per lo Stato limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacità di spesa degli enti.

Del tutto funzionale rispetto a tali finalità e rispondente ai principi generali di solidarietà economica e sociale risulta la soluzione adottata dal legislatore di prescrivere alle aziende di credito di trasferire alle Tesorerie dello Stato le eccedenze di cassa degli enti pubblici rispetto alle loro occorrenze immediate.

Alla luce di tali principi la normativa adottata non é lesiva dell'autonomia finanziaria delle Regioni, che va intesa in termini sostanziali, come ha statuito questa Corte con le sentenze 22 dicembre 1977 n. 155 e 9 aprile 1981 nn. 94 e 95. Per la prima di tali decisioni una reale menomazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni si avrebbe soltanto se il meccanismo della giacenza obbligatoria dei fondi presso le tesorerie dello Stato si prestasse "a venire manovrato in modo da precludere od ostacolare la disponibilità delle somme occorrenti alle Regioni stesse per l'adempimento dei loro compiti istituzionali, nelle forme, nelle misure e nei tempi variamente indicati dalla legislazione statale sulla finanza regionale, in attuazione dell'art. 119 Cost.".

Ora la normativa impugnata non preclude alle Regioni la facoltà di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruità rispetto alle necessità concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalità istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilità di cassa, coordinandolo alle esigenze generali dell'economia nazionale, nel quadro di quella regolamentazione del credito che é dovere peculiare dello Stato.

Come si é osservato a proposito dell'art. 35, anche le disposizioni dell'art. 40 possono certamente comportare una minore redditività delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, ma si tratta di una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sulla autonomia finanziaria delle Regioni.

Se tale é la ratio della normativa in esame, del tutto ininfluente ai fini della disciplina contenuta nei primi tre commi dell'art. 40, é la distinzione tra risorse provenienti dal bilancio dello Stato e risorse proprie delle Regioni, non essendo possibile sul piano tecnico discriminare la provenienza delle giacenze di cassa eccedenti la percentuale consentita.

Né ha rilievo, alla luce delle finalità perseguite, distinguere tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario, tutte ugualmente tenute in materia di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato.

6. - Per quanto poi riguarda la denuncia da parte delle Regioni Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia - Romagna le quali lamentano che il quarto comma dell'art. 40 dispone l'affluenza diretta alle tesorerie dello Stato delle risorse destinate alle Regioni e provenienti dal bilancio dello Stato stesso -, essa non é fondata, essendo del tutto simile a quella già decisa in tal senso da questa Corte con la citata sentenza n. 94 del 1981, che aveva ad oggetto l'analoga disposizione contenuta nell'art. 31 della legge n. 468 del 1978.

7. - Né risulta fondata la questione sollevata dalla Regione Trentino - Alto Adige nel senso che le somme provenienti dal bilancio dello Stato dovrebbero ritenersi sottratte alla disciplina statale una volta entrate nella disponibilità della Regione. La stessa norma impugnata dispone, infatti, espressamente che essa non si applica alle entrate provenienti dal bilancio dello Stato percepite dalle Regioni a statuto speciale in base alle rispettive norme statutarie.

Ugualmente infondata é la questione proposta al riguardo dalla Regione Sicilia, in quanto lo stesso quarto comma eccettua espressamente i fondi di cui all'art. 38 dello Statuto regionale, mentre per le altre entrate indicate nel ricorso valgono le stesse considerazioni già svolte da questa Corte nella sentenza n. 95 del 1981, a sostegno del rigetto dell'analoga impugnativa proposta dalla stessa Regione contro il citato art. 31 della legge n. 468 del 1978.

Ma altrettanto infondata é l'impugnativa dello stesso art.40, quarto comma, proposta dalla Regione Sardegna, poiché - a differenza di quanto disponeva l'art. 31 della legge 468/1978, dichiarato illegittimo nei confronti della Regione sarda con la sentenza di questa Corte n. 95 del 1981 - la norma impugnata esclude esplicitamente dal suo ambito di applicazione - come si é visto - i fondi destinati alle Regioni a statuto speciale in base ai rispettivi statuti.

Né ha fondamento l'argomentazione, ripetuta in alcuni ricorsi, che farebbe discendere l'incostituzionalità del primo, secondo e quarto comma dell'art. 40 da una presunta contraddittorietà dell'intera disciplina, che lascerebbe alle Regioni a statuto speciale maggiore autonomia di gestione per i fondi provenienti dallo Stato che non per le entrate proprie delle Regioni. Infatti anche le somme provenienti dallo Stato, una volta che siano depositate dalle Regioni presso le aziende di credito (che esercitano per esse il servizio di tesoreria), entrano a far parte di quelle disponibilità complessive di cassa, all'interno delle quali non é più possibile tecnicamente distinguere la provenienza e che sono pertanto complessivamente e indistintamente soggette al limite del 12%. Non sussiste, perciò, la lamentata contraddizione, avendo comunque il legislatore riservato alle Regioni a statuto speciale un sistema di accreditamento delle risorse provenienti dal bilancio statale meno vincolante di quello previsto per le Regioni a statuto ordinario, proprio in considerazione della diversa estensione delle rispettive sfere di autonomia.

8. - A diversa conclusione si perviene invece per quanto riguarda la denuncia dell'ottavo comma dell'art. 40.

Va riconosciuto, infatti, alla competenza legislativa dello Stato la regolamentazione della materia del credito, con il conseguente obbligo delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano di adeguarsi a tale regolamentazione - in nome del coordinamento finanziario previsto dal primo comma dell'art. 119 Cost. - anche in quanto essa si riflette sulla competenza regionale riguardante la disciplina dei servizi di tesoreria delle Regioni e delle Province autonome, nonché la stipula delle relative convenzioni con le aziende di credito. Ma è contraddittorio, rispetto alla logica che presiede alle rimanenti disposizioni dello stesso art. 40, la facoltà accordata al Ministro del tesoro di variare con suo semplice decreto - senza che il legislatore abbia prestabilito in proposito alcun limite ed alcun criterio - la percentuale o il livello massimo delle disponibilità delle Regioni (e delle predette Province) che le aziende di credito possono tenere presso di sé. Una volta che il legislatore ha fissato tale percentuale nella misura del 12% e nulla ha precisato circa il livello massimo, soltanto per legge o nell'ambito dei limiti e dei criteri indicati dalla legge possono essere variate le scelte legislative in questione, senza violare la riserva di legge della Repubblica, di cui al primo comma dell'art. 119 Cost. (si veda sul punto la sentenza di questa Corte n. 149 del 26 giugno 1981).

La questione relativa al comma 8 dell'articolo impugnato é, pertanto, fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionali dell'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe dalle Regioni Piemonte, Toscana, Emilia - Romagna, Veneto, Liguria, Trentino - Alto Adige e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in riferimento agli artt. 117, 119 della Costituzione; all'art. 4 n. 7, dello Statuto regionale speciale del Trentino - Alto Adige; agli artt. 8 n. 1, 9 n. 10, 16 e 78 del predetto Statuto per le Province autonome di Trento e Bolzano.

2) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 1, 2, 4, 5 e 10 dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, sollevate con i Toscana, Emilia - Romagna, Veneto, Liguria, Trentino - Alto Adige, Sicilia e Sardegna e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in riferimento agli artt. 117, 119, 130 della Costituzione ed agli artt. 1, 19, 20, 36 dello Statuto regionale siciliano; 1, 3, 4, 6, 7 ss. dello Statuto regionale sardo; 5 n. 1 e 66 dello Statuto speciale regionale del Trentino - Alto Adige; 8 n. 1, 16, 70 ss. del predetto Statuto per le Province autonome di Trento e Bolzano.

3) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'ottavo comma dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, nella parte in cui attribuisce al Ministro del tesoro la facoltà di variare con proprio decreto la percentuale o il livello massimo delle disponibilità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano che le aziende di credito, incaricate del servizio di tesoreria, possono tenere presso di sé.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1982.