Sentenza n. 151 del 1982
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SENTENZA N. 151

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo comma, lett. d), e ultimo comma, e 15, terzo comma, n. 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) promosso con ordinanza emessa il 13 maggio 1981 dalla Commissione tributaria di 1 grado di Rovereto, sul ricorso proposto da Zorzi Siria, iscritta al n. 710 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 47 del 17 febbraio 1982.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1982 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

Udito l'avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 13 - 5 - 1981 in sede di esame del ricorso proposto da Zorzi Siria avverso l'iscrizione a ruolo dell'IRPEF per l'anno 1977 notificatale dall'ufficio distrettuale delle II.DD. di Riva del Garda, la Commissione Tributaria di 1 grado di Rovereto rilevava: 1) che la Zorzi, tenuta agli alimenti nei confronti del padre, ex art. 433 c.c., aveva dimostrato di aver erogato nell'anno 1977 in favore di costui (affetto da paralisi e ricoverato in una casa di riposo) la somma di L. 2.771.000 per spese di degenza ed infermieristiche; 2) che peraltro ella non poteva includerla tra gli oneri deducibili in quanto il genitore fruiva di un reddito proprio (pensione di L. 1.421.000 annue) che, pur se insufficiente a far fronte a tale spesa, superava il limite massimo di 960.000 lire annue oltre il quale - per il combinato disposto degli artt. 10, 1 comma, lett. d) e ult. comma e 15, 2 comma, n. 3 d.P.R. 29-9-1973,n. 597, nel testo sostituito dagli artt.5 e 6 l. 13-4-1977, n. 114 le spese sanitarie e di assistenza a favore delle persone aventi diritto agli alimenti non sono deducibili dal reddito del contribuente.

In riferimento a tale situazione, la Commissione ravvisava un possibile contrasto delle norme ora citate con gli artt. 3, 32, 38 e 53 Cost..

La situazione di chi é obbligato a prestazioni in favore di familiare fruente di reddito inferiore a L. 960.000 annue é secondo il giudice a quo - sostanzialmente uguale a quella di chi vi sia tenuto in favore di familiare con reddito superiore atale cifra ma insufficiente a sopperire alle proprie necessitàfondamentali: sicché sarebbe ingiustificato il trattamento differenziato previsto dalle norme in questione.

Sarebbero inoltre violati: 1) l'art. 32 Cost., "venendo a costituire materia imponibile somme destinate a realizzarne le finalità, tenuto anche conto del principio di deducibilità totale delle spese sanitarie affermatosi nella recente legislazione"; 2) l'art. 38 Cost. "per l'ostacolo che la delineata situazione frappone al raggiungimento delle finalità di tutela dell'individuo previste dall'articolo medesimo"; 3) l'art. 53 Cost., "non potendosi ravvisare nei ricordati esborsi, resi obbligatori dall'art. 433 c.c., una manifestazione di capacità contributiva".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 17 febbraio 1982.

Intervenendo nel giudizio così instaurato, l'Avvocatura dello Stato in relazione alla prima censura rilevava: 1) che, essendo indispensabile l'apposizione di limiti per l'applicazione di determinate normative, non vi é possibilità logico - giuridica di far ricorso al principio di uguaglianza rispetto alle situazioni che si trovino immediatamente a contatto con il limite, l'una al di sopra e l'altra al di sotto di esso; 2) che nella specie é pienamente giustificata l'apposizione di un limite al reddito dell'assistito analogo a quello fissato per considerare a carico del contribuente il coniuge e i figli maggiorenni che si trovino in particolari situazioni; 3) che la determinazione in concreto del limite di 960.000 lire annue é frutto di una complessa valutazione - concernente sia l'individuazione del minimo vitale che considerazioni di ordine finanziario - la quale sfugge al sindacato di costituzionalità.

Rispetto alla censura fondata sull'art. 32 Cost., l'Avvocatura osservava che tale norma non impone un trattamento fiscale di particolare favore riguardo alle spese sanitarie, dovendo l'osservanza della direttiva in essa contenuta essere valutata in relazione al complesso delle disposizioni emanate in materia di assistenza sanitaria. Il principio della capacità contributiva impone certo di considerare materia imponibile solo quella parte del reddito che supera la quota ritenuta indispensabile per fronteggiare i bisogni primari della persona e, tra questi, anche quelli relativi all'integrità fisica e alla salute del contribuente e dei suoi familiari. Ma, secondo l'Avvocatura, il sindacare in concreto quali di tali bisogni e, in che misura, siano presi in considerazione attraverso i sistemi all'uopo predisposti (deduzione di certi oneri e detrazioni) significherebbe annullare ogni discrezionalità del legislatore. Né potrebbe ipotizzarsi una violazione dell'obbligo di solidarietà verso i cittadini in stato di bisogno (art. 38 Cost.), non potendo annoverarsi tra questi coloro che abbiano "una sia pur minima capacità contributiva".

Quanto all'asserito contrasto con l'art. 53 Cost., l'Avvocatura osservava infine che, nella considerazione del legislatore, se il reddito dell'avente diritto agli alimenti é inferiore al minimo vitale, l'esborso fatto in adempimento dell'obbligo correlativo deve andare esente da imposizione proprio perché viene ad integrare tale minimo. Se invece il reddito é superiore al minimo vitale, l'esborso del contribuente va al di là di esso ed é quindi erogato con la quota di reddito che fa parte della sua capacità contributiva. Vi sarebbe, quindi, corretta applicazione del principio costituzionale invocato.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Commissione tributaria di primo grado di Rovereto dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10, primo comma, lettera d) ed ultimo comma, e 15, terzo comma, n. 3, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, ritenendone il contrasto con gli artt. 3,32,38 e 53 Cost.

La questione é stata sollevata nel corso di un giudizio nel quale venivano in discussione la dichiarazione dei redditi di una contribuente e la conseguente liquidazione dell'imposta IRPEF relative all'anno 1977. É bene, perciò, precisare che le disposizioni denunziate del d.P.R. n. 597 del 1973 vanno lette nel testo sostituito dagli artt. 5 e 6 della legge 13 aprile 1977 n. 114, così che oggetto dell'impugnazione risulta in combinato disposto degli artt. 10, primo comma, lettera d) e terzo (non ultimo) comma, 15, secondo (non terzo) comma, numero 3, del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito rispettivamente dagli artt. 5 e 6 della legge n. 114 del 1977.

2. - Il giudice a quo muove da una interpretazione dei sopra indicati disposti di legge per cui sono ritenuti deducibili dal reddito complessivo, nella misura ivi stabilita, gli oneri, risultanti da idonea documentazione, per le "spese mediche e chirurgiche", nonché' per quelle "di assistenza specifica necessaria nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione", sostenuti dal contribuente (art. 10, primo comma lettera d), anche quando erogate in favore di una delle persone indicate nell'art. 433 del codice civile, diversa dai figlio affiliati, purché tale persona non possieda redditi propri superiori a lire novecentosessantamila e conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria (art. 15, secondo comma, numero 3, cui fa rinvio l'art. 10, terzo comma).

Nella fattispecie dedotta avanti la Commissione Tributaria di primo grado di Rovereto, la parte privata pretendeva di dedurre dal reddito denunziato, nella misura legislativamente determinata, le spese erogate per l'assistenza specifica al padre, titolare di un reddito proprio di poco superiore alle lire novecentosessantamila, e il giudice a quo ha dubitato della legittimità costituzionale delle precitate norme di legge, ostative, nella interpretazione da lui accolta, all'accoglimento del ricorso del contribuente.

3. - La questione non é fondata.

Ciò che viene anzitutto in discussione é la legittimità della determinazione ad opera del legislatore di un limite di reddito - nel caso specifico, della persona nei cui confronti il contribuente é tenuto agli alimenti - per l'applicazione di una determinata normativa.

Ora, é evidente che la fissazione di un limite quantitativo, ai fini considerati, qualifica, di per sé, in modo diverso la situazione di coloro i cui redditi rientrano nel limite stesso, rispetto a quella di coloro i cui redditi, viceversa, quel limite superano, non rileva di quanto. Ne consegue che un problema di uguaglianza di trattamento tra fattispecie quali quelle considerate, nelle quali decisivo e scriminante é il livello del reddito della persona che ha diritto alla prestazione degli alimenti da parte del contribuente interessato, neppure può prospettarsi, dal momento che ne manca l'indispensabile presupposto.

Quanto alla legittimità della fissazione di una quantità minima di reddito che escluda la capacità contributiva del soggetto percettore (perché il reddito in quella misura, appare appena sufficiente a soddisfare i bisogni elementari della vita) ovvero, come nella fattispecie legale considerata, sia tale da far ritenere, sul piano fiscale, il soggetto medesimo vivente a carico di altro, obbligato nei suoi confronti, così da consentire la detraibilità, in misura data, degli oneri sopportati dal secondo a beneficio del primo per scopi determinati; una tale determinazione rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario, che solo può provvedervi "in riferimento a complesse situazioni economiche e sociali" (cfr. sent. n. 97 del 1968), che sfuggono al sindacato di questa Corte, salvo "il controllo di legittimità sotto il profilo dell'assoluta arbitrarietà o irrazionalità della norma" (ibidem).

4. - Tanto ritenuto, si deve osservare che la disposizione dell'art. 15, secondo comma, n. 3, del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito dall'art. 6 della legge n. 114 del 1977, stabilisce appunto i criteri, tra i quali il limite di reddito di lire novecentosessantamila, posti dal legislatore perché una delle persone indicate dall'art. 433 del codice civile, diversa dai figli o affiliati, possa considerarsi fiscalmente a carico del contribuente, obbligato agli alimenti nei suoi confronti; abilitando perciò quest'ultimo ad una detrazione d'imposta per carico di famiglia e, coerentemente, anche alla deduzione di alcuni degli oneri, tra quelli dichiarati deducibili dal precedente art. 10, che il contribuente documenti di aver sopportato in favore del vivente a carico. Decisiva é, dunque, lasituazione di quest'ultimo, mentre quella dell'obbligato nei suoi confronti ex art. 433 del codice civile viene in considerazione unicamente se si verificano i presupposti di cui al precitato art. 15, secondo comma, n. 3 della normativa denunziata, nel senso che soltanto in questo caso il legislatore ritiene il primo fiscalmente a carico del secondo.

Perciò, gli scopi per i quali il contribuente documenti di aver sopportato determinate spese in favore dell'alimentando possono acquistare rilievo soltanto se ricorrono i presupposti testé ricordati; in difetto, i beni la cui tutela viene invocata in particolare quelli di cui agli artt. 32 e 38 Cost. - neppure entrano in gioco, dal momento che é indifferente, dal punto di vista fiscale, lo scopo per il quale, sia pure ad opera di chi é tenuto per legge alla prestazione degli alimenti, vengono erogate somme in favore di soggetto dotato di un reddito proprio che la legge giudica eccedente le necessità minime vitali.

Quanto alla adombrata violazione dell'art. 53 Cost., con riguardo questa volta alla capacità contributiva del soggetto obbligato ex art. 433 c.c., essa non può che essere valutata alla stregua dei medesimi criteri dettati per la generalità dei contribuenti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo comma, lettera d) e terzo comma, e 15, secondo comma, numero 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, nel testo sostituito rispettivamente dagli artt. 5 e 6 della legge 13 aprile 1977, n. 114, sollevata dalla Commissione Tributaria di primo grado di Rovereto con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 luglio 1982.