Sentenza n. 150 del 1982

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SENTENZA N. 150

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente 

 

SENTENZA

 

nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Emilia - Romagna, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Umbria, Piemonte, Puglia, Liguria e Lombardia, notificati il 5, il 7, il 9, l'11, il 12 ed il 13 marzo 1981, depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il 12, il 17, il 18, il 19, il 20 é il 27 marzo 1981, rispettivamente iscritti ai numeri da 5 a 14 del registro ricorsi 1981, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 1980, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1981, avente per oggetto: "Indirizzo e coordinamento degli interventi a favore del settore artigiano", nonché nel giudizio promosso con ricorso dalla Regione Liguria, notificato il 20 maggio 1981, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo, iscritto al n. 23 del registro ricorsi 1981, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 marzo 1981, avente per oggetto: "Modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 1980, recante norme di indirizzo e coordinamento degli interventi a favore del settore artigiano";

Visti agli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi gli avvocati Enrico Spagna Musso per la Regione Emilia - Romagna, Guido Viola per la Regione Veneto, Enzo Cheli per la Regione Toscana, Vito Bellini per la Regione Lazio, Francesco D'Onofrio per le Regioni Campania, Umbria e Piemonte, Giuseppe Guarino per la Regione Liguria e Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia;

udito l'avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Con decreto del 30 dicembre 1980 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 12 gennaio 1981), il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato norme di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative delle Regioni a Statuto ordinario in materia di agevolazioni creditizie alle imprese artigiane. Detto decreto é stato successivamente modificato e integrato - "anche in vista della particolare situazione del mercato monetario e dell'opportunità di favorire in tutti i modi l'accesso al credito da parte degli operatori economici del settore dell'artigianato" - con altro decreto del Presidente del Consiglio (20 marzo 1981, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 del 24 marzo 1981). Poco prima dell'emanazione del secondo decreto, le Regioni Emilia - Romagna, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Umbria, Piemonte, Puglia, Liguria e Lombardia, hanno impugnato il decreto del 30 dicembre 1980, promuovendo conflitto di attribuzione per invasione della sfera di competenza ad esse costituzionalmente garantita. Dette Regioni, ad eccezione del Veneto, della Toscana e della Puglia, hanno chiesto - prima che la declaratoria dell'invasione della competenza regionale e il conseguente annullamento del decreto impugnato - la sospensione del decreto stesso, ravvisando nella specie i motivi previsti a tal fine dall'art. 40 della legge n. 87 del 1953. Nel merito, la lesione della sfera costituzionalmente garantita alle ricorrenti vien dedotta, in sostanza, come si espone qui di seguito.
  2. - La Regione Emilia - Romagna, con ricorso notificato il 5 marzo 1981, lamenta che il Presidente del Consiglio dei ministri abbia esercitato la funzione dell'indirizzo e del coordinamento, com'è configurata dall'art. 3, primo comma, della legge n. 382 del 1975, mediante atto amministrativo, laddove la materia regolata ricade nella competenza del legislatore regionale e forma oggetto della disciplina normativa da questa prodotta, rispetto alla quale il decreto presidenziale impugnato - atto sicuramente sub - legislativo, nel sistema delle fonti - non può evidentemente prevalere. La funzione statale di indirizzo e coordinamento - osserva la ricorrente - si esercita, secondo le previsioni della citata norma della legge n. 382 del 1975, sempre con riguardo alle attività amministrative delle Regioni, ma ora con legge, o con atto avente forza di legge, ora con atto amministrativo. Dove sia intervenuta la legge regionale, alla quale l'attività amministrativa della stessa Regione é necessariamente subordinata, l'anzidetta funzione dovrebbe quindi ritenersi riservata agli organi legislativi dello Stato, difettando altrimenti il titolo di ordine costituzionale in base al quale l'esercizio dei poteri di autonomia può subire i vincoli previsti in sede di indirizzo e coordinamento. Tale interpretazione dell'art. 3, della legge n. 382 del 1975, discenderebbe dal disposto dell'art. 117, primo comma, Cost., nonché dal principio di gerarchia, stabilito nell'art. 1 delle disposizioni preliminari del codice civile; per l'ipotesi che essa sia disattesa, la Regione solleva questione di legittimità della stessa previsione del citato art.3 della legge n. 382, prospettando la violazione della riserva di legge statale configurata dall'art. 117, primo comma, Cost..

La ricorrente assume, ancora, che le disposizioni del decreto impugnato travalichino la funzione di indirizzo e di coordinamento, con il risultato di vulnerare le competenze regionali in materia di agevolazione del credito, configurate nell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. La funzione di indirizzo dovrebbe limitarsi a fissare gli obiettivi dell'attività pubblica dell'organo che ne é destinatario; quella di coordinamento servirebbe ad armonizzare, ed ordinare sullo stesso piano, le attività di organi o soggetti diversi: senza tuttavia che, nell'un caso e nell'altro, si sottragga alla Regione alcun settore delle competenze ad essa trasferite o comunque attribuite secondo Costituzione, e lo si riservi, in via generale e preventiva, allo Stato. Nella specie, però, la limitazione dell'oggetto della competenza regionale si sarebbe tradotta in un'illegittima violazione degli artt. 117 e 118 Cost.. L'art. 3, primo comma, della legge n. 382 del 1975, non potrebbe poi giustificare le restrizioni della competenza regionale disposte dal decreto impugnato. A ciò dovrebbe aggiungersi la violazione dell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, poiché il decreto del 30 dicembre 1980 sottrae alcuni dei settori trasferiti da quest'ultima norma alla competenza delle Regioni a Statuto ordinario: in particolare, sarebbero illegittimi gli artt. 1, 2, 3 e 7 del decreto impugnato. L'art. 1, si deduce, rinvia agli artt. 2, 3 e 7, che restringono non solo gli importi, ma anche la tipologia dei finanziamenti consentiti e delle "connesse prestazioni di garanzia". L'art. 2 riserva alle Regioni solo competenze residuali nel settore del credito a medio termine; l'art. 3 limita l'intervento regionale ad alcune materie, mentre il citato art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 prevede che "rientrino tra le funzioni amministrative regionali anche quelle concernenti ogni tipo d'intervento per agevolare l'accesso al credito". Da ultimo, si lamenta che l'art. 7 abbia imposto alle Regioni a Statuto ordinario di adeguare nel termine di un anno la propria legislazione alle norme di indirizzo e coordinamento "previsto negli articoli precedenti".

  1. - La Regione Veneto ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 12 marzo 1981 e adduce tre ragioni di illegittimità.

In primo luogo, il decreto del 30 dicembre 1980 avrebbe violato gli artt. 115, 117 e 118 Cost., l'art. 3 della legge n. 382 del 1975 e l'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977. Si assume, infatti, che l'esercizio del potere di indirizzo e di coordinamento, diverga nella specie dallo schema costituzionale del rapporto Stato - Regioni, il quale si atteggerebbe a come rapporto fra legge dello Stato e legge regionale, con esclusione di interventi da parte del potere esecutivo". Il decreto impugnato si sarebbe indebitamente sostituito alla legge statale; anzi, esso avrebbe deviato dalla funzione di indirizzo e di coordinamento, dettando per la Regione "un regime che non poteva essere legittimamente disposto neppure in via legislativa".

Precisa al riguardo la ricorrente che le stesse leggi quadro hanno lo scopo di conformare la legislazione regionale ai principi della legislazione statale, non già quello di "dettare regole che esulino da questo necessario coordinamento".

In secondo luogo, il decreto impugnato avrebbe violato l'art. 2 del d.P.R. n. 2 del 1972, gli artt. 63, 64 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, l'art. 1, terzo comma, n. 1, della legge n. 382 del 1975. Il decreto del 30 dicembre 1980 si approprierebbe infatti - in contrasto con il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni - del settore dell'artigianato, che esso assoggetta ad esauriente disciplina normativa. La restrizione del credito prevista dal decreto in esame incide sulla sfera già trasferita alla Regione, e che aveva formato oggetto di copiosa legislazione regionale, diretta a "regolare l'incentivazione delle attività artigianali mediante contributi e agevolazioni finanziarie".

In terzo luogo, il decreto in esame avrebbe violato l'art. l09 del d.P.R. n. 616 del 1977, l'art. 10 della legge n. 62 del 1953, gli artt. 15 e 16 della legge n. 183 del 1976, gli artt.8, 10 e 28 del d.P.R. n. 902 del 1976, l'art. 5 della legge n. 675 del 1977; nonché numerose leggi regionali (n. 24 del 1973, n. 7, 31 e 50 del 1974, n. 2 del 1973 e successive modificazioni). Si deduce anche qui che il decreto impugnato invade la sfera dei poteri normativi ed amministrativi regionali sovrapponendosi alla stessa legislazione statale. Questo assunto troverebbe conferma nei precedenti legislativi a livello statale e regionale in materia di artigianato, con particolare riguardo all'incentivazione del credito. Le censure in esame investono soprattutto gli artt. 2, 3, 6 e 7 del decreto impugnato (v. n. 2 in fine). In pratica - osserva la ricorrente - il Governo si é arrogato il potere di ordinare l'adeguamento della legislazione regionale alle norme del decreto, che é atto del potere esecutivo, senza tener conto di questa legislazione regionale e rispettarla.

  1. - La Regione Toscana ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 9 marzo 1981. L'impugnativa involge un doppio ordine di profili di illegittimità, generali e specifici.

Quanto ai profili generali, si lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., dell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977,dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, nonché della legge statale n. 675 del 1977 e della legge regionale n. 22 del 1980. Si comincia con il rilevare che l'art. 7 del decreto impugnato é in contrasto con la natura degli atti di indirizzo e coordinamento. Infatti, detto art. 7 pone alle Regioni l'obbligo di adeguare la propria legislazione alle norme di indirizzo e coordinamento del decreto, e così introduce un limite alla legislazione regionale, che non é sancito da alcuna norma costituzionale. In secondo luogo, sempre l'art. 7 stabilisce che fino a quando le Regioni non abbiano provveduto ad esercitare le proprie funzioni di cui all'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 non saranno operanti le leggi regionali del settore, con conseguente applicazione della sola legislazione statale. In terzo luogo, gli artt. 2, 3 e 4 del decreto in esame dispongono in difformità della legislazione statale del settore, che prevede "strumenti articolati di intervento", mentre le predette norme tracciano "un sistema chiuso" dovendo gli interventi esplicarsi solo attraverso la Cassa per il credito alle imprese artigiane o il Fondo per le cooperative di garanzia.

Quanto ai profili specifici, la Regione ricorrente lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., degli artt. 11, 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, dell'art. 2 del d.P.R. n. 2 del 1972, dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, in relazione all'art. 37 della legge n. 949 del 1952 come modificata dalla legge n. 385 del 1971, nonché dalle leggi regionali n. 20 del 1973, n. 37 del 1975 e n. 22 del 1980 (art. 8). Soprattutto, l'art. 3 del decreto impugnato, circoscrivendo l'intervento regionale al settore del credito a breve termine, riduce notevolmente i settori di intervento amministrativo assegnati alla sfera regionale. Ulteriori controlli e restrizioni sono posti, senza alcun titolo giustificativo, dagli artt 4, 5 e 6 del predetto decreto.

  1. - La Regione Lazio ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 12 marzo 1981, adducendo la violazione dell'art. 117 Cost. e degli artt. 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. In particolare, l'art. 2 del decreto impugnato limita drasticamente gli importi ed i tipi dei finanziamenti consentiti, vanificando in sostanza i programmi regionali di intervento. Altre limitazioni sono apportate dall'art. 3, che esclude le agevolazioni sui tassi per il credito a breve termine. Così statuendo, il decreto in esame avrebbe travalicato la funzione di indirizzo e di coordinamento, alla quale doveva attenersi. Al pari delle altre Regioni, la Regione Lazio considera inammissibile "l'effetto paralizzante dei provvedimenti legislativi regionali vigenti in materia di artigianato". Il decreto impugnato, infatti, finirebbe per incidere sui numerosi provvedimenti legislativi della Regione in materia di artigianato, riguardo ai quali il Governo non ha a suo tempo formulato rilievi.
  2. - La Regione Campania ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 7 marzo 1981, adducendo quattro motivi:
  3. a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto impugnato per contrasto con gli artt. 70, 117 e 118 Cost., con l'art. 10 della legge n. 62 del 1953, con l'art. 3 della legge n. 382 del 1975 e con gli artt. 4, 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. In particolare si contesta la pretesa dello Stato di obbligare le Regioni a conformare la propria legislazione alle norme di indirizzo e coordinamento previste nel decreto stesso. La Regione Campania osserva al riguardo che il legislatore regionale é soggetto soltanto ai principi fondamentali della legislazione statale, e non anche a norme poste da atti amministrativi, sia pure in funzione di indirizzo e coordinamento. Quest'assunto della Regione troverebbe conferma nella precedente legislazione statale e nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Già l'art. 10 della legge n. 62 del 1953 aveva disposto che l'abrogazione di leggi regionali in contrasto con i principi della legislazione statale avvenisse solo mediante atto legislativo dello Stato; del pari, solo quest'ultimo atto poteva obbligare le Regioni ad adeguare la propria normativa ai principi della legislazione statale. In questo senso si é espressa la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 1972, proprio in riferimento alle funzioni di indirizzo e coordinamento. Lo stesso ordine di idee ha ispirato il legislatore statale delegato nel dare attuazione all'art. 17 della legge n. 281 del 1970: infatti, nei decreti di trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni a Statuto ordinario, adottati nel 1972, é stabilito che la funzione di indirizzo e coordinamento può essere esercitata "sia con atti governativi, sia con atti legislativi". In questo senso é orientato l'art. 3 della legge n. 382 del 1975, la cui formula é riprodotta nell'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977. La Regione ricorrente conclude che gli atti statali di indirizzo e coordinamento possono vincolare la legge regionale solo, se a loro volta, adottati in via legislativa. Nella specie si é invece preteso di conseguire un simile risultato con un semplice atto amministrativo. Di qui la dedotta illegittimità dell'art. 7, in cui é previsto che le Regioni adeguino la propria legislazione alle disposizioni del decreto impugnato;

b)l'illegittimità dell'art. 2 del decreto in esame, per contrasto con gli artt. 70, 117 e 118 Cost. La disposizione censurata stabilisce che l'intervento regionale nel settore del credito all'artigianato a medio termine sia coordinato attraverso la Cassa di credito per le imprese artigiane. Tale previsione non ha alcuna base nella legislazione statale. Ne consegue l'invasione della competenza amministrativa regionale, sottoposta al coordinamento generale di un organismo non previsto per tali compiti dalla legislazione dello Stato;

  1. c) l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto impugnato, per violazione degli artt. 70, 117 e 118 Cost., nonché degli artt. 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. L'art. 3 non consente alle Regioni di disporre agevolazioni sui tassi di interesse nel credito a breve termine. Ciò, si assume, é chiaramente in contrasto con le sentenze nn. 208 e 221 del 1975, nelle quali la Corte ha riconosciuto alla competenza delle Regioni l'agevolazione sui tassi di interesse. La Regione, si dice, ha appunto esercitato questa competenza, che ad essa spetta anche in forza della giurisprudenza costituzionale, con l'emanare le leggi n. 23 del 1973 e n. 60 del 1977. Di conseguenza, l'art. 3 del decreto in esame non soltanto viola la legislazione statale in materia, ma anche invade la "sfera di attribuzioni regionali in materia di competenza regionale piena";
  2. d) l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 del decreto impugnato, per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. e con gli artt. 11, 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. L'art. 5 pone una norma di indirizzo per la determinazione dei criteri di ammissibilità alle agevolazioni, statuendo che "il credito dovrà essere orientato verso categorie e zone non sufficientemente sviluppate" e che a tal fine si potranno prevedere criteri preferenziali e/o condizioni differenziali di agevolazione "per categorie, zone e investimenti". La Regione ricorrente ritiene che la disposizione sia contraddittoria: nella prima parte si prevede un obbligo, nella seconda una mera facoltà. Ora, se questo contrasto vuotasse la portata dell'art. 5, non vi sarebbero doglianze da sollevare; se, invece, si ritiene che anche l'art. 5 sia richiamato dall'art. 7 dello stesso decreto, esso sarebbe illegittimo per aver trascurato i programmi regionali di sviluppo "nel cui contesto soltanto lo Stato può porre vincoli di destinazione per le politiche regionali di sostegno ai diversi settori produttivi".
  3. - La Regione Umbria ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 7 marzo 1981, adducendo quattro motivi. Le argomentazioni sono analoghe a quelle viste sub 6.
  4. - La Regione Piemonte ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 5 marzo 1981.

In primo luogo , si deduce l'illegittimità dell'art. 7 non essendo stata adottata la forma corretta richiesta dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975. Tale norma, infatti, prevede una deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio d'intesa con il Ministro o i ministri interessati. Nel caso di specie, ritiene la ricorrente, il concerto non riguarderebbe l'atto di impulso, bensì la sola fase finale del procedimento. Senza contare che non essendo noto il contenuto della deliberazione del Consiglio dei ministri non é chiaro se la forma del decreto sia una conseguenza di una delega risultante dalla deliberazione oppure sia una "forma" assunta come sostitutiva della deliberazione del Consiglio dei ministri, "priva di delega". In secondo luogo, l'art. 7 del decreto impugnato appare illegittimo anche perché stabilisce "un effetto abrogante della normativa regionale" disponendo che continueranno ad applicarsi le norme previste dalle leggi statali. Se non si tratta di una vuota formula, nel senso che "si limiti adire che se mancano leggi regionali continuano ad applicarsi le leggi statali", l'art. 7 comporta "di considerare non più operanti le leggi regionali già promulgate e vigenti" (v. la legge regionale n. 47 del 28 luglio 1978) "se non limitatamente ai procedimenti iniziati", laddove ciò sarebbe precluso dalla gerarchia delle fonti.

In secondo luogo, si adduce l'illegittimità dell'art. 2 del decreto impugnato, nella parte in cui affida alla Cassa per il credito alle imprese artigiane il coordinamento delle funzioni regionali. Le argomentazioni sono sostanzialmente analoghe a quelle viste al n. 6.

  1. - La Regione Puglia ha sollevato conflitto con ricorso notificato l'11 marzo 1981, adducendo tre motivi.

In primo luogo, si deduce la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. in riferimento all'art. 3 della legge n. 382 del 1975. É, questa, una censura di carattere generale: si dice, infatti, che il decreto contiene disposizioni troppo minuziose e dettagliate per assolvere alla funzione di indirizzo e coordinamento. In secondo luogo, per quanto riguarda l'invasione della sfera di competenza legislativa e amministrativa della Regione, la ricorrente si sofferma soprattutto sul contenuto degli artt. 2, 3 e 7 del decreto impugnato. Le argomentazioni sono analoghe a quelle viste al n. 6 (anche se non vi sono i riferimenti alla legislazione statale ed alle due sentenze della Corte costituzionale).

  1. - La Regione Liguria ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 13 marzo 1981.

Si osserva preliminarmente nel ricorso che la materia delle agevolazioni creditizie alle imprese artigiane (é sicuramente di competenza regionale. Ciò si evince dal d.P.R. n. 2 del1972, nonché dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Dal canto suo, la Regione Liguria ha provveduto ad esercitare la sua competenza legislativa in materia, emanando la legge n. 19 del 1973, la prima di una numerosa serie di cui buon ultima é la legge regionale n. 17 del 1980. Nelle materie oggetto del decreto impugnato vige così una articolata disciplina regionale, che attiene alle agevolazioni per il credito a medio termine, alla costituzione di cooperative artigiane, al conferimento di un "plafond" al Fondo per il concorso nel pagamento degli interessi sui finanziamenti a favore delle imprese artigiane istituito presso la Cassa per il credito alle imprese artigiane, ai contributi a favore delle imprese artigiane consorziate in numero non inferiore a cinque. Queste leggi regionali, regolano assai minuziosamente la materia, ed hanno anche abrogato "differenti normative statali precedenti", senza che sia stato mai mosso alla Regione alcun rilievo, né in sede di visto del Commissario di Governo, né in sede di impugnativa costituzionale.

Il decreto impugnato invade la competenza costituzionalmente riservata alle Regioni e non risponde per giunta alle norme legislative in vigore. Pertanto, la Regione Liguria ne denuncia l'illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 117, 118, 97 e 127 Cost.

Un primo aspetto di illegittimità del decreto impugnato é quello dell'art. 7 che obbliga le Regioni ad adeguare la propria legislazione alle disposizioni del decreto stesso. Ora, ciò comporta una violazione della competenza legislativa regionale, essendo il decreto del 30 dicembre 1980 un mero atto amministrativo. Di qui, la necessità di una pronuncia della Corte che dichiari che un atto del Governo non può vincolare quelle Regioni, come la Liguria, che hanno disciplinato con "una propria legislazione legittima e quindi inderogabile l'esercizio delle proprie funzioni di agevolazione creditizia". Del resto, siffatto vincolo non potrebbe essere posto neanche dal legislatore statale, se non nei limiti di una legge cornice, ex art.117 Cost.

Un secondo aspetto di illegittimità riguarda il contenuto tecnico delle norme che precedono il citato art. 7. In particolare, l'art. 2 riserva allo Stato di determinare l'importo massimo di fido erogabile alla singola impresa artigiana: si ha, in tal modo, una nuova ripartizione di compiti tra Stato e Regioni, che non risulta da nessuna disposizione di legge. Analoga censura si può muovere per i crediti di esercizio di durata non superiore a diciotto mesi: anche qui, l'art. 3 del decreto impugnato "dispone non atti di coordinamento o di indirizzo bensì una ripartizione di competenze". Tra l'altro, l'art. 3 preclude alle Regioni di disporre agevolazioni sui tassi di interesse per le cooperative di garanzia fra imprese artigiane, senza che preclusioni del genere siano previste dalla legislazione statale in vigore. Altre invasioni della sfera di competenza regionale conseguono a quanto é disposto dagli artt. 4, 5 e 6 del decreto in esame. La Regione Liguria ribadisce che il limite della legislazione regionale é soltanto quello del rispetto dei principi generali della legislazione (art. 117 Cost.); non se ne possono configurare altri, a mezzo di atto amministrativo.

Da ultimo. se si dovesse ritenere valido il decreto impugnato, la Regione Liguria eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975 e dell'art. 109 del d.P R. n. 616 del 1977, che ne costituirebbero il fondamento. In tale caso, infatti, queste due norme verrebbero a confliggere con gli artt. 117 e 118 Cost.: e ciò perché un attività di indirizzo statale, da formularsi con atti amministrativi, é ammissibile solo nei confronti delle funzioni amministrative delegate alle Regioni; negli altri casi, cioé per le materie di competenza legislativa regionale, una funzione di indirizzo e di coordinamento é ammissibile nei limiti in cui esiste una legislazione quadro, ed a condizione che il coordinamento sia il mezzo di attuazione dei principi generali, in essa stabiliti.

Infine, poiché la legislazione regionale ha puntualmente disciplinato ogni aspetto degli interventi di agevolazione creditizia, destinando anche le somme necessarie per gli adempimenti previsti, l'applicazione del decreto impugnato creerebbe una situazione di grande incertezza, con gravi conseguenze economiche, sociali ed occupazionali.

  1. - La Regione Lombardia ha sollevato conflitto con ricorso notificato il 12 marzo 1981, adducendo due motivi.

In primo luogo, si lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione all'art. 2 del d.P.R. n. 2 del 1972 e dagli artt. 63 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Premesso che nella materia delle agevolazioni creditizie dell'artigianato le Regioni a Statuto ordinario hanno competenza legislativa ed amministrativa, il decreto impugnato sarebbe sicuramente illegittimo poiché impone l'osservanza di limiti non previsti dalla Costituzione, né da altre leggi costituzionali. Tanto più che il decreto impugnato é un atto meramente amministrativo, che non potrebbe mai sovrapporsi alle leggi regionali. Se ciò si voleva fare, si sarebbero dovute emanare vere e proprie norme di legge, come, del resto, risulterebbe dall'art. 10 della legge n. 62 del 1953.

In secondo luogo, la Regione ricorrente assume la violazione degli artt. 117 e 118 anche in riferimento all'art. 3 della legge n. 382 del 1975 ed agli artt. 4 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Ciò per il fatto che le norme del decreto impugnato solo formalmente sono norme di indirizzo e coordinamento; in realtà, il decreto in esame detta una completa e minuziosa disciplina delle agevolazioni creditizie all'artigianato. Ma a tal scopo sarebbe stata necessaria una legge formale, non bastando un atto di (sia pure alta) amministrazione.

  1. - In tutti e dieci i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri. Nella breve memoria illustrativa si deduce che il decreto impugnato é stato modificato con successivo decreto del 20 marzo 1981, sicché la materia del contendere é venuta in gran parte a cessare. Nel merito, si conclude per l'infondatezza dei ricorsi.
  2. - La Regione Piemonte ha prodotto nuove deduzioni, in seguito all'emanazione del decreto del 20 marzo 1981. In quest'ultimo scritto difensivo si osserva che, le modifiche ed integrazioni apportate con il decreto testé richiamato al testo del decreto 30 dicembre 1980 già impugnato dalla ricorrente, hanno determinato solo una parziale cessazione della materia del contendere. Precisamente, sarebbero venute meno le censure mosse alla formula "vista la deliberazione del Consiglio dei ministri", che é adoperata nelle premesse del decreto impugnato, nonché alle statuizioni ivi poste nel primo comma dell'art. 2 e nell'art. 7. Resta però ferma l'impugnativa degli altri vizi di legittimità già denunziati. Così, prima di tutto, si lamenta che nelle premesse permanga l'ambigua statuizione, collegata con la disposizione dell'art. 7, secondo la quale le norme di indirizzo e coordinamento adottate servono per l'esercizio delle funzioni regionali relative agli interventi creditizi a favore del settore artigiano, senza precisare se, tra dette funzioni siano incluse quelle legislative: la Regione avverte di aver interesse a che scompaia ogni traccia di invasione delle proprie competenze e si affermi dalla Corte che il potere amministrativo di indirizzo e coordinamento non può porsi in contrasto con gli atti legislativi regionali. Il che, si soggiunge, implica che delle due modalità di esercizio previste nell'art. 3 della legge n. 382 deli l975 della funzione di indirizzo e coordinamento - da un canto, la legge o l'atto avente forza di legge, dall'altro, l'atto amministrativo - occorreva, nella specie, aver adottato la prima, ponendo le disposizioni di cui si controverte con atto legislativo, dato che la materia é appunto regolata da legge regionale. Il Governo avrebbe dovuto dunque promuovere, con apposito disegno di legge, l'intervento del Parlamento, in difetto del quale il decreto censurato non potrebbe spiegare alcuna efficacia, se non negli spazi lasciati liberi dalla legislazione regionale. In quest'ultima, d'altra parte, é contenuto un corpo di norme (leggi nn. 10/74, 24/76, 13/77, nn. 7 e 47/78) che prevedono finanziamenti e rifinanziamenti sia per contributi costanti, sia per concorso nella formazione del patrimonio sociale delle cooperative artigiane di garanzia, e negli interessi sui crediti garantiti da dette cooperative. L'anzidetta normativa demanda, altresì, al Consiglio regionale la determinazione di criteri prioritari e selettivi in relazione ai contributi previsti nelle citate leggi regionali del Piemonte 47/78 (art. 2) e 24/76 (art. 1), ed abilita la Giunta regionale a stipulare convenzioni con istituti di credito operanti nella Regione (art. 5 legge 47/78).

Del resto, il decreto del Presidente del Consiglio emesso nel 1980, é censurato non solo per la lamentata imprecisione delle disposizioni che avrebbero dovuto consentire all'interprete di individuarne con certezza la sfera e il grado di efficacia, ma anche sotto altro riguardo. In essa - si osserva infatti - permangono norme di estrema minuzia, le quali sconfinano nei minimi dettagli della tecnica bancaria, regolando puntualmente l'erogazione dell'accordo di contributo in caso di riscontro, o il controllo dell'erogazione dei mutui riscossi. Simili disposizioni esorbiterebbero dalla funzione di indirizzo e coordinamento; a ciò si aggiunge che, pur avendo il decreto del 1981 espunto dall'art. 2, primo comma, le disposizioni istitutive dell'Artigiancassa come organo del coordinamento delle funzioni regionali, la cui illegittimità era stata dedotta dalla Regione, esso lascia tuttavia in vigore altre norme, le quali demandano ai comitati tecnici regionali della Cassa funzioni concernenti le modalità operative, nonché le attività creditizie e di controllo, previste negli artt. 4 e 6 del decreto impugnato. Tale previsione é ingiustificata, si soggiunge, perché le attribuzioni dei comitati sono evidentemente connesse con quelle conferite alla Cassa in materia di coordinamento, le quali, invece, vengono soppresse. Si tratterebbe, anzi, di un residuo del primo assetto della normativa che ormai confligge con la nuova formulazione dell'art. 3, ultimo comma. Ai sensi di tale disposizione, il controllo sulle destinazioni delle agevolazioni, in ordine al quale gli anzidetti comitati erano abilitati ad intervenire, é riservato esclusivamente alla Regione. Illegittime come norme di coordinamento, le disposizioni in esame lo sarebbero, parimenti, anche quando si voglia configurarle quali norme di indirizzo, giacché un decreto di indirizzo emanato sulla base dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, non può, si assume, contenere norme di dettaglio, ed avere per destinatari soggetti diversi dalle Regioni, come accade nella specie. Tale ultimo rilievo assorbe - si conclude - logicamente ogni altro motivo di legittimità che la Regione potrebbe far valere: l'atto impugnato avrebbe reale natura e portata regolamentare, appunto perché occupa illegittimamente il terreno della legge regionale, incidendo nella sfera di autonomia oltre i limiti consentiti all'esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento.

13 a). La Regione Umbria ha con nuove deduzioni contestato l'idoneità del decreto del Presidente del Consiglio del 20 marzo 1981, a far cessare la materia del contendere nel giudizio instaurato dalla Regione nei confronti del decreto del Presidente del Consiglio del 30 dicembre 1980. Il fine fondamentale del conflitto di attribuzione risiede infatti - osserva la Regione - nella preclusione che viene posta all'esercizio del potere amministrativo - dello Stato o delle Regioni, secondo i casi - mediante sentenza della Corte costituzionale. Alla pronunzia della Corte, con la quale é accolto il ricorso, consegue l'annullamento dell'atto impugnato: questo effetto soddisfa la pretesa fatta valere dall'organo, proprio in quanto la decisione del giudice costituzionale accerta che il potere non spetta all'organo che lo ha esercitato nella specie, o accerta, quanto meno, che esso é stato illegittimamente esercitato, col risultato di invadere o menomare la sfera di attribuzione garantita al ricorrente. Le fattispecie che hanno sin qui condotto a pronunce di cessazione della materia del contendere avevano come presupposto l'annullamento o la revoca del provvedimento impugnato, e così l'integrale realizzazione della pretesa dell'istanza del ricorrente. Diverso sarebbe il caso in esame. Il decreto del Presidente del Consiglio del 20 marzo 1981 non annulla, né revoca il precedente decreto in quanto tale, sibbene lo modifica o integra, senza riconoscere alcuno dei vizi di illegittimità costituzionale in precedenza denunziati dalla Regione. Si soggiunge che tale ultimo atto ha già avuto un inizio di attuazione, se non altro per il fatto che, in virtù della statuizione dell'ultimo comma dell'art. 7, é stato paralizzato - in tutto l'originario ambito dell'atto impugnato - l'esercizio delle potestà legislative e amministrative della Regione. Di qui la richiesta, avanzata anche alla stregua della giurisprudenza costituzionale (in particolare, delle sentenze n. 3 del 1962, n. 117 del 1967 e n. 96 del 1977), che il decreto del 30 dicembre 1980 sia comunque annullato per gli effetti prodotti ad opera del decreto 20 marzo 1981.

La Regione tiene poi ferme - pur in presenza della soppressione dell'art. 7 - le censure mosse al decreto del 1980 per asserita violazione degli artt. 70 e 117 Cost.. Si denunciala perdurante illegittimità dell'art. 2, sotto il riflesso che esso conferma il testo originario, con conseguente violazione dei precetti costituzionali a suo tempo invocati dalla ricorrente (artt. 70, 117 e 118 Cost.), per un verso innovando nell'ordinamento legislativo dello Stato, per l'altro conferendo valore di principio a disposizioni di leggi statali - quelle afferenti ai limiti massimi di importo e durata, nonché alla tipologia delle agevolazioni creditizie - le quali devono tuttavia ritenersi inefficaci entro la sfera della ricorrente, perché incompatibili con la normativa posta dalla Regione nel legittimo esercizio del suo potere di autonomia (cfr. leggi regionali nn. 11 e 35 del 1976, 16 del 1979 e 70 del 1980). Nessuna modifica o integrazione sarebbe stata poi introdotta con il secondo decreto nel testo originario dell'art. 5. La Regione ritiene dunque ancora attuale l'interesse all'annullamento di detta disposizione, ed insiste nella richiesta di annullamento del decreto 30 dicembre 1980, sia per le parti non modificate dal successivo decreto del 1981, sia per le parti che hanno invece formato oggetto di modifica, con riguardo agli effetti prodotti tra l'entrata in vigore del decreto impugnato e quella del decreto modificativo. Una volta rimosso l'art. 7, si assume, viene meno, sebbene solo per il futuro, la lesione della sfera legislativa dell'attribuzione della Regione; permane però la violazione della sfera delle competenze amministrative regionali, difettando alcun idoneo fondamento costituzionale perché il decreto del Presidente del Consiglio possa vincolare gli organi amministrativi della Regione in difformità da quanto disposto dalle leggi regionali di disciplina nel settore, e dagli stessi principi della legislazione statale. Infine, si reitera la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato per l'asserito perdurare delle gravi ragioni che la giustificavano, sia nei confronti dell'art. 2, per la parte confermata con il decreto 20 marzo 1981, sia dell'art. 5, rimasto immodificato.

13 b). La Regione Campania ha presentato ulteriore memoria. Le deduzioni della ricorrente sono analoghe a quelle esposte sub 13 a).

13 c). Anche la Regione Lombardia, con memoria in data 19 maggio 1981, deduce che l'emanazione del nuovo decreto del Presidente del Consiglio in data 20 marzo 1981 non ha determinato la cessazione della materia del contendere, ma é soltanto servita ad attenuare alcuni dei limiti posti in precedenza alla sfera della competenza regionale; gli altri limiti sarebbero rimasti fermi, risultando del tutto immutate le disposizioni che li configuravano. Il che, nel caso della Regione Lombardia, varrebbe in particolare, per quel che concerne i limiti massimi di importo e durata, entro i quali deve esplicarsi l'intervento regionale nel settore del credito medio, i limiti di garanzia sussidiaria, ed i controlli sull'effettiva destinazione delle agevolazioni previste dall'art. 6: quest'ultima disposizione, infatti, non é stata modificata, mentre il terzo comma dell'art. 3 demanda alle Regioni di accertare l'effettiva destinazione delle sole agevolazioni contemplate nel comma precedente dello stesso articolo. A determinare la cessazione della materia del contendere non basterebbe, d'altra parte, nemmeno la disposta soppressione dell'art. 7. Se da un canto, si dice, il nuovo decreto rimuove l'obbligo per le Regioni di adeguare entro un anno le proprie leggi alle prescrizioni del decreto originario, dall'altro sopravvivono gli effetti sostanziali che tale ultimo decreto ha prodotto nei confronti dell'attività amministrativa delle Regioni. Anzi, si osserva, gli effetti denunziati come lesivi dalla sfera di autonomia regionale sarebbero aggravati, dal momento che la soppressione dell'intero art. 7 ha travolto anche la disposizione transitoria, nella quale eran fatte salve le agevolazioni concesse alla data del 31 dicembre 1981, pur se difformi dalla norma del decreto, solo che il relativo procedimento avesse avuto inizio prima dell'entrata in vigore del decreto medesimo.

Secondo la difesa della Regione, la Corte resta dunque investita della questione - sollevata dalla Regione con il ricorso introduttivo del presente giudizio - se un atto amministrativo di indirizzo e coordinamento, emesso dal Governo, possa sostituirsi alla determinazione in via legislativa dei principi, che vincolano l'esercizio dei poteri di autonomia costituzionalmente garantiti alla Regione. Il decreto in esame sarebbe illegittimo in quanto si vorrebbe, mediante semplice deliberazione del Consiglio dei ministri, assoggettare l'attività amministrativa delle Regioni a limiti, che le leggi dello Stato avevano previsto con esclusivo riferimento agli interventi di competenza dell'Artigiancassa per il credito alle imprese artigiane. L'atto statale di indirizzo e coordinamento, adottato in forma amministrativa, non potrebbe certo prevalere, si soggiunge, su nuove leggi, che la Regione ritenesse di adottare; così, allo stesso titolo, esso deve ritenersi privo della forza di paralizzare gli effetti di leggi regionali già in vigore. Il caso in esame differirebbe, del resto, dall'altro già deciso da questa Corte con sentenza n. 191 del 1976, nel quale, alla base dell'atto amministrativo statale di indirizzo e coordinamento, stava l'espressa previsione legislativa, contenuta nell'art. 18 del decreto legge 8 luglio 1974, n. 264 (convertito nella - legge 17 agosto 1974, n. 386). Il difetto, nella specie, di analoga disposizione - la quale autorizzi l'esercizio del potere di indirizzo e coordinamento mediante un atto amministrativo, di cui si predetermina puntualmente il contenuto - comproverebbe quindi la correttezza dell'assunto difensivo della Regione.

Altri e più specifici argomenti conforterebbero le conclusioni della ricorrente, riguardo al disposto dell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, che concerne il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di agevolazioni del credito. Ivi si riserva alla legge della Repubblica di stabilire i limiti massimi, entro i quali la Regione può disporre ogni tipo di intervento agevolativo. Lo stesso art. 109, d'altra parte, riserva testualmente alla funzione di indirizzo e coordinamento soltanto la fissazione dei tassi minimi di interesse agevolato a carico dei beneficiari; alla Regione residuerebbe allora tutta la sfera delle altre funzioni, non espressamente mantenute nella competenza degli organi statali, in base al secondo comma dell'art. 109. Il che, ad avviso della ricorrente, precludeva al Governo sia di esercitare in forma amministrativa il potere di coordinamento, sia di prevedere per i comitati tecnici regionali dell'Artigiancassa, compiti di accertamento, o di diversa natura, i quali, ai sensi della norma citata, restano invece affidati alle Regioni.

Se la Corte disattendesse i rilievi svolti a sostegno del ricorso, verrebbe, del resto, a prospettarsi un ulteriore e più generale problema di legittimità costituzionale, che investe il fondamento dello stesso art. 3 della legge n. 382 del 1975, e del potere di indirizzo e coordinamento, com'é ivi configurato. L'art. 3, precisa la difesa della Regione, si limita ad instaurare una competenza dello Stato, l'esercizio della quale va tuttavia, secondo Costituzione, necessariamente a conformarsi al principio di legalità della pubblica Amministrazione.

Quest'esigenza sarebbe chiaramente avvertita in altra decisione della Corte, là dove si afferma che "disposizioni normative in bianco, non potrebbero mai autorizzare il Governo a comprimere l'autonomia regionale"; a tal fine si richiedono previsioni di legge che definiscano con adeguata chiarezza le competenze amministrative della Regione e dello Stato (sentenza n. 15 del 1957). Diversamente, conclude la Regione, risulterebbero altresì vulnerate tutte le disposizioni costituzionali, a cominciare dall'art. 118, che distribuiscono le competenze tra Stato e Regione, e assicurano la certezza delle relative sfere di attribuzione.

13 d). - La Regione Toscana, ha presentato nuove deduzioni, nelle quali si precisa che la materia del contendere é cessata - dopo l'emanazione del nuovo decreto del 1981, e come risultato delle modifiche da esso apportate al previgente decreto - con riguardo sia ai profili generici dell'impugnativa, concernenti l'illegittimità dell'art. 7 e la conseguente violazione dei parametri invocati nel ricorso, sia ai profili specifici delle censure mosse all'art. 2, sotto il riflesso dei compiti ivi attribuiti alla Cassa per il credito alle imprese artigiane. La ricorrente ritiene invece di dover insistere su tutte le altre precedenti deduzioni, per le quali non rileverebbero le disposizioni del più recente provvedimento.

  1. - La Regione Liguria, con ricorso notificato il 20 maggio 1981, ha sollevato conflitto di attribuzione per invasione della sfera di competenza regionale in materia di agevolazioni creditizie alle imprese artigiane, impugnando anche il decreto emesso il 20 marzo 1981, che assume adottato in violazione degli artt. 117, 118, 97 e 127 Cost..

Richiestasi preliminarmente la riunione del presente ricorso a quello già proposto avverso il d.P.C.M. 30 dicembre 1980 (n. 13/1981 Reg. confl.), si sostiene anzitutto in ricorso che le modifiche apportate al decreto già precedentemente impugnato rispettano solo in parte le competenze regionali, mentre appaiono senz'altro illegittime, in riferimento all'art. 109, terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, quelle norme del secondo decreto che confermano le disposizioni del primo, alle quali andrebbero quindi riferite le medesime eccezioni già sollevate e da aversi per integralmente riprodotte. Soprattutto per quanto concerne la "pretesa" di regolare puntualmente le funzioni amministrative regionali con disposizioni che solo nominalmente possono essere considerate espressione della funzione "di indirizzo e coordinamento", tra l'altro in ipotesi esercitata con atto amministrativo, in assenza di una legge quadro ed in contrasto con la disciplina dettata dalla stessa Regione mediante "leggi regionali che hanno in parte anche modificato, abrogandole, differenti normative statali precedenti, senza che lo Stato abbia mai mosso rilievi né in sede di controllo di visto del Commissario del Governo, né in sede di impugnativa costituzionale o di merito, e senza che mai sia stato sollevato incidente di costituzionalità".

Illegittima sarebbe quindi la norma di cui all'art. 2 del d.P.C.M. 30 dicembre 1980, in parte de qua sostanzialmente non modificata dal secondo decreto, laddove, stabilendo che "l'intervento regionale nel settore del credito si esplica entro i limiti massimi di importo... di cui all'art. 34.., settimo comma, della legge 25 luglio 1952, n. 949, modificato dall'art. 2 della legge 19 dicembre 1956, n. 1524 e dalla legge 31 ottobre 1966, n. 947" fissa in definitiva in dieci milioni di lire il limite massimo del singolo fido che alla Regione é consentito di agevolare.

Ma nessun dato normativo giustifica l'imposizione di siffatto limite, concernente un aspetto affatto diverso da quello considerato dall'art. 109, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, che riserva allo Stato la determinazione dei soli "tassi massimi" praticabili dagli istituti di credito. La circostanza, poi, che non si sia tenuto conto del disposto di cui all'art. 3 legge 24 dicembre 1974, n. 713, che ha innalzato a lire 25 milioni il limite di importo del fido, costituirebbe in equivoco sintomo della volontà di imporre alle agevolazioni creditizie regionali un limite diverso da quelle concesse da enti diversi della Regione e, con essa, "di ingiustificata inammissibile riduzione della sfera di competenza garantita alla Regione" in palese violazione dell'assetto delle attribuzioni, come da ultimo fissato con d.P.R. n. 616 del 1977, il quale pone regole di attuazione e di integrazione del disposto di cui all'art. 117 Cost., in quanto tali non suscettive di essere modificate neppure con legge ordinaria.

Considerazioni analoghe varrebbero per quanto riguarda i limiti di durata massima del credito (dieci anni) e della garanzia fideiussoria (70 per cento delle perdite sofferte dagli istituti di credito), il secondo in particolare talmente riduttivo (a causa delle difficoltà delle banche ad accettare garanzie solo parziali) che la Regione Liguria, con legge regionale n. 38 del 1978, come successivamente modificata, aveva esteso la garanzia fideiussoria alla totalità delle perdite, così superando i limiti di cui alla legge n. 1068 del 1964, richiamata dall'art. 2 del decreto impugnato.

A non diverse conclusioni dovrebbe giungersi in ordine a quelle disposizioni non modificate del precedente decreto relative ai rapporti con gli istituti di credito (art. 4), ai criteri di ammissibilità alle agevolazioni (art. 5), ai controlli sulla destinazione degli incentivi (art. 6).

In via subordinata, per il caso che dovesse ritenersi che il decreto impugnato legittimamente modifichi "la distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni" ovvero invada "le attribuzioni regionali imponendo all'amministrazione locale di disapplicare le leggi con le quali la Regione ha disciplinato gli interventi di propria competenza", viene eccepita l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 della legge n. 285 (ma si legga: 382) del 1975 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 per gli stessi motivi posti a base dell'identica eccezione sollevata col ricorso proposto avverso il d.P.C.M. 30 dicembre 1980.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato, ha concluso per il rigetto del ricorso e della domanda incidentale di sospensione, riportandosi alle difese già svolte in ordine al precedente ricorso proposto dalla Regione avverso il d.P.C.M. 30 dicembre 1980.

 

Considerato in diritto

 

  1. - Il presente conflitto é promosso dalle Regioni Campania, Emilia - Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto, Umbria, le quali tutte impugnano, deducendo la lesione delle rispettive sfere di attribuzioni, il decreto emesso dal Presidente del Consiglio in data 30 dicembre 1980. Il provvedimento impugnato reca disposizioni di indirizzo e coordinamento con riguardo all'esercizio delle funzioni regionali in materia di interventi creditizi a favore delle imprese artigiane. Di queste norme, alcune concernono l'intervento regionale nel settore del credito ivi definito rispettivamente come a medio e a breve termine, secondo che esso abbia durata superiore, o non, ai diciotto mesi; altre sono dettate per il coordinamento della disciplina afferente ai rapporti con gli istituti di credito; altre, ancora, dispongono intorno all'ammissibilità delle agevolazioni e ai controlli sull'effettiva destinazione delle agevolazioni concesse ai sensi dello stesso decreto. Più precisamente, l'art. 2 prescrive che l'intervento della Regione nel settore del credito a medio termine, finalizzato allo sviluppo delle imprese artigiane, sia coordinato attraverso la Cassa per il credito alle imprese anzidette; i limiti massimi di importo, durata e garanzia sussidiaria, nonché i limiti minimi di tasso, sono quelli stabiliti nelle leggi e negli altri atti statuali, che la norma citata richiama, per farne discendere altrettanti limiti all'esercizio delle funzioni regionali (cfr. art. 34, 5 e 7 comma, della legge 25 luglio 1952,n. 949, come modificato dall'art. 2 della legge 19 dicembre 1956, n. 1524 e dalla legge 31 ottobre 1966, n. 947, che fissano i limiti massimi di importo e durata per le operazioni della Cassa anzidetta; la legge 14 ottobre 1964, n. 1068, per quel che concerne i limiti di garanzia sussidiaria; il decreto ministeriale 7 aprile 1976, emesso in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 13 agosto 1975, n. 377 e della relativa legge di conversione 16 ottobre 1975, n. 493, che fa riferimento ai limiti di cassa). Lo stesso art. 2 conferisce alle Regioni talune attribuzioni in merito, sia alla concessione di contributi in conto interessi a valere sul fondo costituito ex art. 37 della legge 949 del 1952, presso la Cassa, sia alla determinazione delle modalità e dei criteri previsti nella legge n. 1068 del 1964 in ordine agli interventi del fondo di garanzia, anch'esso operante presso la Cassa. Quanto al settore del credito a breve termine, l'intervento della Regione, che é qui connesso con le occorrenze di esercizio delle imprese artigiane, deve, a norma dell'art. 3, essere esclusivamente diretto al regolamento delle cooperative di garanzia costituite tra le imprese agevolate, e della partecipazione regionale al relativo fondo, nonché alla gestione di tali cooperative, restando esclusa ogni agevolazione sui tassi di interesse. Gli articoli 4 e 6 contengono norme di coordinamento - rispettivamente con riferimento ai rapporti con gli istituti di credito e al controllo sull'effettiva destinazione delle agevolazioni concesse dalla Regione - nelle quali sono previsti compiti di vario genere per i comitati tecnici regionali della Cassa. L'art. 5 assume come norma di indirizzo che il credito vada orientato - nei modi che ivi si delineano, e sempre nell'ambito fissato dalle leggi statali - verso categorie e zone non sufficientemente sviluppate. Infine, l'ultimo articolo del decreto (art. 7) stabilisce che, fino a quando ciascuna Regione non abbia provveduto ad esercitare le funzioni amministrative ad essa trasferite in virtù dell'art. 109, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, - quelle che appunto riguardano gli interventi agevolativi del credito, a favore, nella specie, delle imprese artigiane - continuano ad applicarsi le norme previste dalla legislazione statale. Le Regioni sono dal canto loro tenute ad adeguare le proprie leggi alle disposizioni del decreto in esame, entro un anno dall'entrata in vigore di esso. Sono fatte salve le agevolazioni concesse alla data di scadenza di tale termine, purché i relativi procedimenti amministrativi abbiano avuto inizio prima che il decreto entrasse in vigore.
  2. - Dopo che il decreto 30 dicembre 1980 era stato impugnato dalle ricorrenti é intervenuto, a modificarne ed a integrarne sotto vario riguardo le previsioni, un nuovo decreto del Presidente del Consiglio, emesso il 20 marzo 1981. Quest'ultimo provvedimento contempla, tra l'altro, le modifiche seguenti:
  3. a) dall'art. 2 del decreto originario é eliminata la disposizione che demandava alla Cassa per il credito alle imprese artigiane il coordinamento e l'indirizzo degli interventi regionali nel credito a medio termine, il cui raggio temporale eccede, nel nuovo testo, non più i diciotto, ma i ventiquattro mesi;
  4. b) con riguardo al credito a breve termine (quello di durata infrabiennale) é soppressa la clausola dell'art. 3, che vietava alle Regioni di concedere agevolazioni sui tassi di interesse, mentre si estende, rispetto al previgente decreto, la sfera degli interventi regionali, includendovi la concessione di contributi in conto interessi e l'accertamento dell'effettiva destinazione dei provvedimenti agevolativi alle esigenze delle imprese beneficiarie;
  5. c) da ultimo, sono rimosse le disposizioni contenute nell'art. 7 del decreto del 1980.
  6. - I sopra citati decreti del Presidente del Consiglio risultano adottati in virtù dell'art. 3 della legge 22 luglio 1975,n. 382 ("Norme sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione"). Ivi, appunto, si stabilisce che la funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni a Statuto ordinario attiene alle esigenze di carattere unitario, spetta allo Stato e si esercita fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, d'intesa con i ministri competenti. É anche previsto che il Consiglio dei ministri possa delegarne l'esercizio, nei casi indicati nel secondo comma della testé citata disposizione di legge, al Comitato interministeriale per la programmazione economica, o al Presidente del Consiglio, insieme con il Ministro competente. Questa norma ha portata generale, ed infatti abroga le altre, poste nei decreti delegati, emessi a suo tempo in attuazione dell'art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281 ("Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a Statuto ordinario"), i quali avevano conferito l'anzidetta funzione agli organi centrali - talvolta con l'aggiunta di qualche criterio, che ne delimitava l'esercizio - in ciascun distinto settore delle materie trasferite alle Regioni.

Nel caso di specie, l'atto di indirizzo e coordinamento concerne il settore delle agevolazioni creditizie in favore dell'impresa artigiana, che le ricorrenti assumono loro espressamente attribuito all'art. 109 del decreto n. 616 del 1977, in quanto connesso con una materia, qual é l'artigianato, spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117 Cost.. Il citato art. 109, per parte sua, trasferisce a queste ultime le funzioni amministrative inerenti ad ogni tipo di intervento che agevoli l'accesso al credito nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato, la disciplina dei rapporti con gli istituti di credito, la determinazione dei criteri di ammissibilità del credito agevolato ed i controlli sulla sua effettiva destinazione. Alla Regione compete, altresì, di stabilire i criteri applicativi dei provvedimenti regionali di agevolazione creditizia, di prestazione di garanzie e di assegnazione dei fondi, anticipazioni e quote di concorso, sempre diretti ad agevolare l'accesso al credito, ancorché relativi a provvedimenti di incentivazione definiti in sede statale o comunitaria. Spetta d'altra parte allo Stato - sempre ai sensi della norma citata - la disciplina dell'ordinamento creditizio e degli istituti che esercitano il credito, e così la fissazione dei tassi massimi da questi praticati. É poi testualmente previsto che i tassi minimi di interesse agevolato carico dei beneficiari siano determinati in sede di indirizzo e di coordinamento. Il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di artigianato, già disposto con l'art. 2 del d.P.R. 1972, n. 2, é disciplinato, in seno al d.P.R. n. 616 del 1977, dall'apposita previsione dell'art. 63.

  1. - Com'è spiegato in narrativa, il decreto del 1980 é impugnato sotto molteplici profili, alcuni dei quali investono l'illegittimità dell'intero provvedimento, mentre altri afferiscono alle singole disposizioni in esso contenute. Se si guarda al complesso delle deduzioni che vengono all'esame della Corte, risultano per un rilievo o l'altro censurate tutte indistintamente le norme del decreto. Ai fini dell'indagine svolta in prosieguo, il quadro delle impugnative proposte può essere, in sintesi, così tracciato:
  2. a) un primo ordine di motivi - dedotti, secondo i casi, sotto il riflesso della violazione di legge, dell'incompetenza assoluta o dell'eccesso di potere - ha riguardo ai vizi che inficierebbero il decreto del Presidente del Consiglio in via pregiudiziale e nella sua interezza. Si osserva infatti che l'atto amministrativo ha nella specie innovato rispetto alla normativa posta dallo Stato, e nei rispettivi ambiti dalle ricorrenti, laddove il principio di legalità - e dunque della necessaria subordinazione del provvedimento dell'organo esecutivo alle previsioni del legislatore - avrebbe richiesto l'adozione della legge, o di atto a questo equiparato nel sistema delle fonti. L'illegittimità dell'atto, così prospettata, implicherebbe la lesione, della sfera garantita alle Regioni. Si lamenta quindi la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché di varie norme di legge, le quali, poste a garanzia dell'autonomia regionale ed in attuazione degli invocati precetti costituzionali, sono indicate come parametri della legittimità del decreto impugnato. Tra queste ultime disposizioni figura, in primo luogo, l'art. 3 della legge n. 382 del 1975, che si asserisce abbia nella specie precluso - in forza del principio di legalità - l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento mediante atto amministrativo. Si soggiunge da talune ricorrenti che, se non fosse così intesa, la statuizione testé richiamata verrebbe essa stessa ad offendere gli artt. 117 e 118 Cost.: e si prospetta allora l'ipotesi che la Corte sollevi, incidentalmente avanti a sé medesima, la relativa questione di costituzionalità, non manifestamente infondata e rilevante per la definizione del presente giudizio.

Per le ragioni già viste, si denunzia poi l'incompatibilità dell'atto impugnato, da un lato con le norme che attribuiscono esclusivamente alla legge statale - sia in via generale (art. 10 legge 10 febbraio 1953, n. 62), sia con specifico riguardo al settore in esame (art. 109 d.P.R. n. 616 del 1977) - la forza di caducare le confliggenti disposizioni del legislatore regionale; dall'altro, con la normativa prodotta in concreto dalla fonte legislativa - non importa se statale, o regionale - che il decreto del Presidente del Consiglio non potrebbe, in nessun caso, validamente contrastare. Del resto, prosegue la difesa delle ricorrenti, la costituzionalità della disciplina dettata con legge regionale nella materia sulla quale incide il decreto é pacifica, e non é stata in precedenza contestata ad alcun titolo dagli organi statali.

  1. b) Altro profilo generico dell'impugnativa riguarda le sostanziali prescrizioni dell'atto impugnato: il quale avrebbe, per il suo dettagliato contenuto precettivo di portata e natura regolamentare, deviato dalla funzione alla quale doveva attenersi, scendendo ben oltre la formulazione dei criteri, che occorrono per l'indirizzo e coordinamento delle attività regionali. L'autonomia delle ricorrenti si assume dunque lesa anche per questo verso. Nella stessa prospettiva, si deduce che il provvedimento in esame non indirizza, né coordina le funzioni amministrative della Regione, ma esaurisce immediatamente la disciplina del settore, che viene dunque riappropriato alla competenza dello Stato e indebitamente sottratto alla sfera dei poteri di autonomia. Ancora: il decreto sconfinerebbe dall'ambito funzionale ad esso assegnato perché configura vari compiti della Cassa per il credito alle imprese artigiane, e dei relativi comitati tecnici regionali, e così si dirige a soggetti diversi dall'organo amministrativo della Regione, che ne deve essere il solo destinatario. L'atto amministrativo, si osserva peraltro, é qui adoperato non per esercitare, ma per organizzare addirittura - con nuove strutture, e fuori dalle sedi competenti - la funzione della quale esso costituisce semplice mezzo di esercizio. Infine, si assume che il provvedimento statale abbia comunque ecceduto la sfera delle specifiche previsioni dell'art. 109 del d.P.R. n.616 del 1977. Questa disposizione limiterebbe espressamente l'impiego della funzione di indirizzo e coordinamento al solo caso in cui si tratti di stabilire i casi limiti di interesse a carico del beneficiario, prevedendo una riserva di legge per l'ipotesi in cui gli organi centrali vogliano invece determinare i limiti massimi di alcun tipo di intervento della Regione, e altrimenti rinviando alle norme che attribuirebbero la materia in discorso alla competenza regionale. Così, in sostanza, viene sempre denunziata la violazione delle norme e dei principi indicati sub a).
  2. c) I motivi di ricorso fin qui visti sono dedotti, in riferimento a vari parametri, anche sotto specifici profili, che concernono l'illegittimità di singole disposizioni del decreto. In particolare, costituiscono oggetto di censura: l'art. 1, perché richiama altre norme, a loro volta impugnate; l'art. 2, per aver adottato un sistema di restrizioni, nel settore del credito a medio termine, quanto ai limiti di importo e durata degli interventi regionali, e alle connesse prestazioni di garanzia, nonché per avere attribuito compiti di indirizzo e coordinamento all'anzidetta Cassa; l'art. 3, in quanto configura, in violazione del vigente assetto delle competenze, un sistema chiuso e tassativo dei possibili tipi di intervento regionale nel settore del credito a breve termine, vietando altresì l'agevolazione del tasso di interesse; gli artt. 4 e 6, per via delle attribuzioni ivi conferite ai comitati tecnici regionali della Cassa, in ordine alla disciplina dei rapporti con gli istituti di credito e ai controlli sull'effettiva destinazione dei provvedimenti agevolativi: mentre, più in generale, si deduce l'estraneità delle prescrizioni di dettaglio contenute in tali articoli rispetto alla funzione propria delle norme di indirizzo e di coordinamento; l'art. 5, in quanto, nel porre vincoli riguardo alle zone e alle categorie verso le quali va orientato il credito, non tien conto del ruolo riconosciuto alle Regioni, dove si tratti di determinare gli obiettivi della programmazione economica, ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. n. 616 del 1977. L'art. 7, infine, é al centro delle argomentazioni svolte in tutti i ricorsi per affermare che il decreto impugnato vulnera il fondamentale principio, in forza del quale il disposto di un atto amministrativo non può prevalere nei confronti di alcuna previsione legislativa dello Stato o della Regione.
  3. - Il decreto emanato dal Presidente del Consiglio il 20 marzo 1981, recante le sopra accennate modificazioni ed integrazioni del decreto 30 dicembre 1980, é impugnato dalla sola Regione Liguria. La ricorrente promuove quest'ulteriore ad autonomo regolamento di competenza, deducendo il perdurante proprio interesse ad una pronunzia della Corte, la quale delimiti la competenza dello Stato nei confronti della sfera garantita alla Regione, e mediante annullamento rimuova i lamentati effetti dell'uno e dell'altro decreto da essa impugnati.

Altre Regioni - Campania, Emilia - Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria - sebbene non abbiano prodotto ricorso avverso il decreto del 1981, hanno in successivi scritti difensivi o nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982, precisato di tener ferma l'impugnativa del decreto del 1980 nei confronti di tutte le disposizioni non rimosse dal più recente provvedimento. Dalle suddette Regioni - va poi avvertito - si asserisce, pur di fronte alla sopravvenienza del decreto del 1981, che permane comunque la prospettata infrazione del principio di legalità, e si insiste sugli altri profili generici di legittimità già dedotti, in via pregiudiziale, nell'impugnare il previgente decreto. Le Regioni Campania e Umbria ritengono che la Corte resti investita del conflitto anche con riguardo alle disposizioni del provvedimento del 1980 caducate dal decreto del 1981, sebbene limitatamente agli effetti che l'originario decreto ha spiegato fino all'entrata in vigore del successivo provvedimento.

  1. - I ricorsi delle Regioni Campania, Emilia - Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, avverso il decreto del 1980, quello della Regione Liguria, avverso il decreto del 1981, prospettano questioni identiche o connesse. I relativi giudizi possono essere pertanto riuniti e definiti con unica sentenza.

La trattazione nel merito delle controversie rimesse alla Corte assorbe ogni ragione di provvedere in ordine alla richiesta - avanzata come si precisa in narrativa - di sospendere l'esecuzione dei provvedimenti impugnati.

  1. - In ordine logico, va anzitutto presa in esame la serie delle censure mosse sia al decreto del 1980, sia a quello successivo.

Se si considera la prospettazione dei vizi che si riscontrerebbero nel decreto originario, anche dopo le modifiche ed integrazioni intervenute con il provvedimento del 1981, il problema sollevato in questa sede é, in sostanza, il seguente:

La Corte é chiamata a stabilire se lo Stato poteva nella specie esercitare la funzione di indirizzo e coordinamento in via amministrativa, senza che ne risultasse la lamentata lesione della sfera delle attribuzioni regionali. I provvedimenti impugnati, si deduce dalle ricorrenti, dispongono di materia trasferita alla Regione, e la regolano in difformità delle norme di legge che ciascuna di esse assume di avere, nell'ambito delle proprie competenze, legittimamente prodotto. Senonché, si soggiunge, la legge regionale é limitata solo dalla legislazione statale di principio. Così, nella specie, l'atto amministrativo non sarebbe assistito da alcun titolo costituzionale per condizionare la potenzialità della fonte legislativa regionale, né per contrastare le disposizioni da essa scaturenti.

Ora, l'impugnato provvedimento del Presidente del Consiglio emana da una funzione, la quale, sebbene configurata dalla legge ordinaria, ha sicuro fondamento in Costituzione. Nelle previsioni della legge n. 382 del 1975, detta funzione abbraccia - si può dire, in via istituzionale - l'intero ambito in cui l'Ente Regione esplica i propri poteri amministrativi, che ha poi la stessa estensione dell'autonomia legislativa ad esso spettante. Occorre aggiungere che l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento implica, certo, l'insorgenza di vincoli, ai quali gli organi della Regione devono adeguarsi. Ma sono vincoli giustificati, sul piano costituzionale, in quanto indispensabili al perseguimento delle esigenze di carattere unitario, che l'intervento dello Stato garantisce. Gli organi centrali sono infatti - come la Corte ha in precedenti pronunzie precisato - investiti degli interessi che per natura o dimensione, concernono l'intera collettività nazionale, e restano necessariamente affidati al loro apprezzamento (cfr. sentenze nn. 138/1972; 140/1972; 141/1972; 142/1972; 191/1976).

Detto ciò, non si può, d'altra parte, trascurare che i vincoli in discorso, quali scaturiscono dai provvedimenti statuali, incidono pur sempre sull'esercizio di funzioni proprie della Regione, e ad essa costituzionalmente garantite: versiamo così in un'ipotesi ben diversa da quella che, per esempio, configura, nell'ultimo comma dell'art. 121 Cost., la statuizione secondo la quale "il Presidente della Giunta dirige le funzioni delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del governo centrale".

L'esame della specie esige quindi che si enunci un criterio, grazie al quale l'esercizio in via amministrativa del potere statale di indirizzo e coordinamento possa essere delimitato nei suoi legittimi confini.

  1. - Il potere anzidetto, va ricordato, é stato introdotto nel vigente sistema istituzionale nel momento in cui veniva attuato il primo organico trasferimento delle funzioni alle Regioni a Statuto ordinario. Si tratta di uno strumento affidato allo Stato, perché serva a comporre, in conformità del disegno costituzionale del decentramento, le istanze dell'autonomia con le esigenze unitarie (cfr. sentenza n. 39/1971). Vi é dunque, in questo senso, un'imprescindibile garanzia di equilibrio, che va rispettata nel perseguire gli interessi della collettività nazionale rispetto alla sfera riservata alle competenze regionali, e che non può, ritiene la Corte, non riflettersi anche sulle modalità con le quali opera il congegno della legge istitutiva della funzione in esame. Ora, il ricorso all'atto amministrativo, come si atteggia nella specie, é giustificato solo se trova un legittimo ed apposito supporto nella legislazione statale, e concreta il disposto offerto a questo fine dalla previsione normativa, in relazione alle attività regionali che ne formano oggetto. L'inosservanza del principio di legalità, sotto il profilo testé precisato, costituisce quindi un assorbente motivo di invalidità dell'atto statale: e di qui, precisamente, discende la violazione della sfera garantita alla Regione. Tale conseguenza resta però esclusa nell'opposto caso, in cui l'adozione dell'atto amministrativo, soddisfa, come si é testé avvertito, i requisiti per il corretto esercizio dell'indirizzo e del coordinamento. In quest'ultima evenienza, il vincolo nei confronti dell'attività dell'ente autonomo risale per vero alla norma di legge, dalla quale trae specifico fondamento il provvedimento sub - legislativo che lo configura. Il sistema costituzionale, con ciò, non é leso; né, dunque, la Regione é esonerata, come deducono le ricorrenti, dall'uniformarsi al provvedimento statuale, per il semplice fatto di aver dettato norme con esso incompatibili: altrimenti verrebbero frustrate le esigenze unitarie, che la funzione di indirizzo e coordinamento deve invece garantire, anche quando - fermo restando il rispetto del principio di legalità essa si eserciti mediante atto amministrativo.
  2. - É appena il caso di precisare che a giustificare la soluzione adottata nella specie non basta la sola previsione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975. Tale norma, si é visto, contempla, fra le modalità dell'esercizio dell'indirizzo e coordinamento, anche quelle che si estrinsecano in provvedimenti amministrativi: non riguarda, né delimita per alcun verso, il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo. Ma, come la Corte ha in altra occasione affermato (sentenza n. 13/1957), "disposizioni normative in bianco non autorizzano il Governo a introdurre qualsiasi restrizione dell'autonomia amministrativa regionale". Perché il principio di legalità sia salvaguardato nella sede che qui interessa, occorre pertanto un'ulteriore disposizione legislativa: la quale, in apposita considerazione della materia, che volta a volta esige l'intervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia. La fonte legislativa deve operare - si é detto nella pronunzia testé richiamata, e va ora ribadito - in guisa che si abbia "preventiva certezza delle competenze amministrative dello Stato e della Regione". Spetta dunque al legislatore discernere le esigenze unitarie, che sollecitano l'esercizio della funzione qui considerata: e, come vuole la legge n. 382, emanare esso stesso le norme volte ad attuarle, o diversamente stabilire almeno i criteri, in base ai quali, sempre in conformità di dette esigenze, l'indirizzo ed il coordinamento - ed i connessi vincoli dell'attività amministrativa regionale - sono posti in essere mediante atti degli organi governativi. Simili estremi difettano però nel caso in esame, per le ragioni di seguito precisate.
  3. - Il testo che rimane invariato nell'uno e nell'altro decreto del Presidente del Consiglio, richiama, é vero, disposizioni della legge statale, così nel configurare i limiti di importo e durata, e le altre restrizioni afferenti agli interventi regionali nel settore del credito, come nel produrre norme di coordinamento in ordine alla disciplina dei rapporti con gli istituti e le aziende di credito, ai fini della concessione o erogazione di contributi in conto interessi. Senonché, questa disciplina non é stata predisposta in vista dell'indirizzo e del coordinamento delle funzioni trasferite alle Regioni: essa é stata a tal proposito soltanto invocata, ed utilizzata, dall'organo esecutivo, il quale ne ha però largamente e sostanzialmente innovato il contenuto, col prevedere, fra l'altro, la distinzione tra medio e breve termine nel settore del credito, la tassativa e vincolata destinazione degli interventi regionali in quest'ultima fascia temporale, l'attribuzione dei compiti sopra accennati alla Cassa delle imprese artigiane e ai relativi comitati tecnici regionali. L'atto amministrativo ha insomma instaurato un sistema di vincoli, che investe tutto un settore delle competenze regionali, senza però che questo risultato fosse prescritto, e nemmeno consentito, da alcuna disposizione legislativa dello Stato.

Un'avvertenza si impone solo per quel che concerne il tasso minimo di interesse a carico dei beneficiari, la cui fissazione in sede di indirizzo e coordinamento é testualmente prevista dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Così, in effetti, é stata inserita, nel medesimo contesto normativo in cui si ripartiscono le competenze tra Stato e Regione con riguardo alle agevolazioni creditizie, una norma, la quale abilita anche il Governo ad adottare la misura in essa definita. Ma proprio di questa puntuale copertura della legge l'organo deliberante non si é giovato. Quando, infatti, con riferimento alle agevolazioni del credito a medio termine, l'art. 2 del decreto stabilisce che il limite minimo di tasso é fissato dal decreto ministeriale 7 aprile 1976 in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 16 agosto 1975, n. 377, e della relativa legge di conversione (16 ottobre 1975, n. 493) esso si riferisce, non al tasso agevolato per il beneficiario, ma al tasso praticabile dagli istituti: in ordine al quale ultimo, si tratta invece, ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977, di determinare il limite massimo dell'intervento regionale. I provvedimenti impugnati mancano, parimenti, di regolare il tasso minimo di interesse a carico del beneficiario nel settore del credito a breve termine. Al riguardo, come si é detto, il testo originario del decreto vieta espressamente alla Regione di disporre agevolazioni sui tassi di interesse; il decreto del 1981 rimuove, per converso, il divieto così configurato, ma non provvede, dal canto suo, a stabilire, inadempimento del citato disposto dell'art. 109, alcun limite del tasso anzidetto. Se cosi é, l'atto amministrativo non si occupa della sola ipotesi che avrebbe ben potuto regolare, e invade d'altro lato una sfera, della quale non era abilitato a disporre. Scegliendo la via del decreto emesso dal Presidente del Consiglio, lo Stato non ha comunque osservato la riserva di legge, radicata nelle esigenze di ordine costituzionale che sorreggono la funzione statale di indirizzo e coordinamento, e ne governano l'esercizio.

  1. - Il risultato raggiunto dalla Corte é del resto avvalorato da qualche ulteriore rilievo, di cui conviene far cenno. Altri dati del vigente ordinamento depongono nel senso che i provvedimenti in esame andavano emanati sulla base di norme e criteri prestabiliti dalla fonte legislativa. L'art. 45, secondo comma, Cost. demanda, appunto, alla legge la tutela e lo sviluppo dell'artigianato: e perciò della materia, sulla quale vertono le agevolazioni del credito, assoggettate nel presente caso ai vincoli di indirizzo e coordinamento; l'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 pone un'espressa riserva della legge statale con specifico riferimento ai limiti massimi entro cui devono esplicarsi le funzioni regionali nel settore che qui si indaga: anche questa previsione, nell'ambito da essa coperto, preclude quindi il ricorso all'atto amministrativo; e là dove, infine, il regolamento della specie interferisce nell'assetto della programmazione economica - come accade in particolare con la norma di indirizzo, contenuta nell'art. 5 del decreto impugnato - si tocca un ambito, per il quale viene in rilievo - prima ancora che alcuna delle modalità procedurali, sancite a tutela delle attribuzioni regionali nell'art. 11 del d.P.R. n. 616 del 1977, e che le ricorrenti assumono lese - l'altra riserva di legge, configurata nell'art.41 della Costituzione.
  2. - In conclusione: i provvedimenti impugnati sono illegittimi, e, in quanto tali lesivi della sfera delle ricorrenti, perché, adottati in via amministrativa, emanano da un organo incompetente a dettare, nell'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, la disciplina della specie. Detti provvedimenti vanno, in conseguenza, l'uno e l'altro annullati.

La Corte é così dispensata dall'esaminare ogni residuo profilo dei giudizi, riuniti ai fini della presente decisione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

  1. A) dichiara che non spetta allo Stato esercitare i poteri di indirizzo e coordinamento degli interventi a favore del settore artigiano mediante atto amministrativo, senza che l'adozione di tale provvedimento sia consentita da un'apposita previsione legislativa statale;
  2. B) annulla di conseguenza i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 1980 e 20 marzo 1981, di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE . Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 luglio 1982.