Sentenza n. 135 del 1982
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SENTENZA N. 135

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 315 bis cod. proc. pen. (Ricusazione del perito) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 dicembre 1977 dal Pretore di Bressanone nel procedimento penale a carico di Seeber Gualtiero, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 del 19 aprile 1978;

2) ordinanza emessa il 25 novembre 1980 dal Giudice istruttore del tribunale di Velletri nel procedimento penale a carico di Leoni Franco, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 15 aprile 1981;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica dell'1 giugno 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

Udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel procedimento penale a carico di Seeber Gualtiero imputato del reato di lesioni personali colpose, il Pretore di Bressanone, con ordinanza del 16 dicembre 1977, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 bis c.p.p., per pretesa violazione degli artt. 3 e 108 della Costituzione.

A sostegno della censura il giudice a quo osserva che mentre la normativa in materia di ricusazione del giudice, applicabile anche alla ricusazione del perito, nominato nel processo penale, prevede (art. 66 c.p.p.) che la ricusazione deve proporsi, durante l'istruzione, prima della chiusura della stessa, e, nel giudizio, prima che siano compiute le formalità di apertura del dibattimento, l'art. 315 bis dispone invece che la dichiarazione di ricusazione del perito deve essere fatta "prima che questi cominci a prestare il suo ufficio". Tale termine limitando il diritto di difesa delle parti, in quanto il motivo di ricusazione potrebbe non essere noto al momento in cui il perito presta il suo ufficio, creerebbe una irrazionale disparità di trattamento rispetto alla più favorevole disciplina prevista dall'art. 66 c.p.p. in caso di ricusazione del giudice. il che, secondo il Pretore, oltre alla violazione del principio di eguaglianza comporterebbe altresì la violazione dell'art. 108 della Costituzione "che assicura l'indipendenza anche degli estranei all'amministrazione della giustizia".

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 109 del 19 aprile 1978.

Il Presidente del Consiglio dei ministri é ritualmente intervenuto nel giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura nega la fondatezza della censura, osservando che la tesi del giudice a quo comporterebbe l'assurda convertibilità in ogni tempo, salvo l'intangibilità del giudicato, di una causa di incompatibilità in causa di nullità, e ciò non soltanto rispetto al perito, ma anche rispetto al giudice.

Comunque le situazioni comparate sarebbero differenti, giacché il giudice decide la causa mentre il perito ha solo il compito di fornire al giudice stesso elementi di ordine tecnico, per cui non potrebbe invocarsi nella specie la necessità di una identità di disciplina.

Inoltre, prosegue l'Avvocatura, il rigore del termine posto dall'art. 315 bis c.p.p. é temperato dalla interpretazione giurisprudenziale che, nel caso in cui la ricusazione del perito non possa esercitarsi nel termine in quanto si ignori chi potrà assumere la qualità di imputato, ha riconosciuto la proponibilità della ricusazione stessa prima della chiusura dell'istruttoria, e ciò appunto in relazione al disposto dell'art. 66 c.p.p.

Sarebbe pertanto da escludere ogni violazione del principio di eguaglianza per pretesa irrazionale diversità di trattamento e sarebbe altresì da escludere la violazione dell'art. 108 Cost., poiché in nessun modo la diversità dei termini suddetti potrebbe incidere sulla "indipendenza" del perito.

Con ordinanza emessa il 25 novembre 1980 nel corso del procedimento penale a carico di Leoni Franco, imputato del delitto di omicidio preterintenzionale, il giudice istruttore presso il Tribunale di Velletri ha sollevato analoga questione richiamandosi espressamente alla sopra menzionata ordinanza.

Adempiute le prescritte notificazioni e comunicazioni, l'ordinanza é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 15 aprile 1981.

É intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, nelle deduzioni tempestivamente depositate, fa riferimento alle argomentazioni svolte nel giudizio proveniente dal Pretore di Bressanone, ed aggiunge altre osservazioni.

L'Avvocatura chiarisce anzitutto che, pur non potendosi ritenere sollevata la questione per violazione anche dell'art. 24 Cost. dato che il fugace accenno alla lesione del diritto di difesa contenuto nell'ordinanza non potrebbe interpretarsi come una denuncia in tal senso, la censura sotto tale profilo sarebbe comunque infondata, poiché data la diversità della posizione del giudice e del perito, soccorrerebbe nella specie il principio consolidato della giurisprudenza della Corte secondo cui le modalità di esercizio del diritto di difesa sono pur sempre regolate secondo le speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, sempreché venga assicurato lo scopo e la funzione del diritto stesso.

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 108 Cost. l'Avvocatura osserva che l'indipendenza del giudice e di coloro che partecipano all'amministrazione della giustizia comporta un'attività immune da vincoli da cui possa conseguire una loro soggezione formale o sostanziale ad altri organi, nonché la libertà da prevenzioni, influenze, timori relativi al giudizio. Ciò sarebbe garantito dal meccanismo della ricusazione per il giudice e, a maggior ragione lo sarebbe per il perito, che partecipa all'amministrazione della giustizia con minore incidenza dell'organo giudicante.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di rimessione del Pretore di Bressanone e del giudice istruttore presso il Tribunale di Velletri sollevano questioni identiche e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La Corte é chiamata anzitutto a decidere se l'art. 315 bis c.p.p, introdotto con l'art. 16 della legge 18 giugno 1955 n. 517, disponendo che la ricusazione del perito deve avvenire prima che egli cominci a prestare il suo ufficio, induca una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata dall'art. 66 dello stesso codice per la ricusazione del giudice, la quale può avvenire, invece, durante l'istruzione, prima della chiusura della stessa e, nel giudizio, prima che siano compiute le formalità di apertura del dibattimento.

Nella motivazione delle ordinanze i giudici a quibus, riferendosi alla censurata disparità di trattamento, richiamano anche la necessità di assicurare la parità del diritto di difesa in entrambe le ipotesi di ricusazione raffrontate. Ma ciò, é da - ritenere, al solo scopo di rafforzare la censura sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. come risulta dal tenore pur estremamente conciso delle motivazioni sul punto, che contengono al riguardo una connessione logico - argomentativa interpretabile compiutamente solo nel senso delineato. E suffraga tale conclusione il formale riferimento ai parametri costituzionali di raffronto che sono espressamente individuati nei soli artt. 3 e 108 Cost. Deve escludersi, pertanto, che la censura mossa sulla base della lamentata disparità di trattamento si estenda anche alla pretesa violazione dell'art. 24 Cost., come sia pure dubitativamente prospetta l'Avvocatura, e l'esame della doglianza va quindi in tal senso delimitato.

3. - La questione non é fondata.

Secondo i giudici a quibus, la lesione del principio di eguaglianza deriverebbe dalla irrazionalità del termine stabilito per la ricusazione del perito rispetto a quello previsto per la ricusazione del giudice, nel presupposto che trattisi di situazioni comparabili. Ma proprio tale presupposto é inesistente giacché le posizioni del giudice e del perito nel processo penale si differenziano radicalmente, restando attribuita al primo la definizione del giudizio e al secondo la sola funzione di portare a conoscenza del giudice stesso elementi tecnici utili ai fini della decisione. Tale differenza sostanziale evidenzia di per sé la legittimità costituzionale della diversa disciplina dei relativi procedimenti di ricusazione, in conformità della costante giurisprudenza di questa Corte, che ha sempre affermato il principio secondo cui l'operatività della garanzia di eguaglianza é condizionata dalla omogeneità delle situazioni poste a raffronto.

Comunque, come la giurisprudenza ordinaria non ha mancato di porre in evidenza, il termine per la ricusazione tende unicamente a disciplinarne il concreto svolgimento, evitando che essa si risolva in un pretestuoso strumento di ostruzionistico ritardo del corso del processo; e la specificazione in concreto del termine stesso rientra indubbiamente nella sfera di discrezionalità del legislatore, limitata soltanto dal rispetto del criterio della ragionevolezza.

Nella specie tale criterio non appare certamente violato. L'istituto della ricusazione, invero, adempie alla funzione di impedire il compimento di atti pregiudizievoli per il ricusante ed é concettualmente configurabile, quindi, solo con riferimento ad un'attività ancora da compiere; per quanto riguarda in particolare la ricusazione del perito, il riferimento al momento in cui egli inizia la prestazione del suo ufficio individua razionalmente il termine ultimo dell'esercizio della facoltà in esame, in vista appunto della funzione preventiva della ricusazione. Né a contraria conclusione può condurre la diversità evidenziata nella ordinanza di rinvio in relazione alla ricusazione del giudice durante l'istruzione, che può esercitarsi fino alla chiusura della stessa, essendo evidente che il legislatore ha razionalmente tenuto presente la particolare struttura e funzione del procedimento istruttorio, il cui ambito di svolgimento prospetta potenziali acquisizioni e sviluppi in fatto e in diritto tali da giustificare l'ampio termine indicato dall'art. 66, mentre altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività del perito, limitata ad operazioni di carattere tecnico in ordine ai quesiti che il giudice propone e che ne definiscono il compito in modo ben più restrittivo.

Sul piano pratico può effettivamente accadere che, come si accenna nelle ordinanze di rinvio, la conoscenza dei motivi di ricusazione avvenga in un momento successivo alla scadenza del termine, ma tale inconveniente non deriva dal sistema normativo e si risolve in una circostanza di mero fatto, non idonea a configurare un motivo di illegittimità costituzionale.

Aggiungasi, comunque, che la giurisprudenza, interpretando la normativa in esame, ha adottato criteri tendenti ad attenuare le conseguenze di una troppo rigida operatività del termine, stabilendo che la ricusazione dei periti, qualora non possa esercitarsi nel tempo previsto in quanto in quel momento si ignori chi potrà assumere la qualità di imputato, può essere proposta fino alla chiusura della istruzione, in applicazione dell'art. 315 bis, secondo comma, c.p.p. che prescrive di osservare, in quanto applicabili, le norme sulla ricusazione del giudice.

4. - La Corte é altresì chiamata a decidere se la denunziata disparità di trattamento concreti una violazione della garanzia di indipendenza che l'art. 108 Cost. sancisce anche a favore degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.

I motivi sopra esposti, in base ai quali deve escludersi la sussistenza della lamentata irrazionale discriminazione e l'ovvia considerazione che la prefissione di termini diversi per esercitare la ricusazione non può essere causa di menomazione dell'indipendenza del perito, varrebbero di per sé a negare fondamento alla censura.

Tuttavia é il caso di osservare che l'art. 108 Cost. si limita ad estendere la garanzia del requisito essenziale della funzione giurisdizionale, cioè l'indipendenza del giudice, già posta espressamente con gli artt. 101 e 104 precedenti per il giudice ordinario, anche a favore dei "giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia". Al fine di individuare l'ambito di operatività di tale ultima disposizione occorre inquadrarla nel sistema di garanzie di cui, come si é detto, fa parte, e che é ispirato all'esigenza di sottrarre l'attività del giudice, quale organo giurisdizionale, a qualsiasi vincolo che possa comportare la sua soggezione formale o sostanziale ad altri soggetti in modo da garantire che egli si pronunci secondo quanto gli dettano scienza e coscienza.

L'invocata disposizione deve cioè intendersi come intesa a tutelare l'indipendenza di chiunque partecipi all'amministrazione della giustizia con poteri e funzioni di natura giurisdizionale. E tale interpretazione é suffragata dall'esame degli atti preparatori, e particolarmente dalla relazione del Comitato di coordinamento, ove si trova conferma che secondo l'intendimento del legislatore costituente, la garanzia costituzionale é volta a tutelare non solo l'indipendenza dei giudici togati ma anche di "chiunque estraneo al personale della magistratura partecipi all'amministrazione della giustizia nelle sezioni specializzate, nella giuria etc.".

Esula conseguentemente dall'ambito dei soggetti tutelati dalla norma il perito che, come é pacifico, non é certamente chiamato a svolgere funzioni di natura giurisdizionale.

Né il fatto che egli sia oggetto a ricusazione come il giudice può fornire argomenti per assimilarlo a quest'ultimo ai fini della tutela costituzionale, apprestata, giova ripetere, in funzione della esigenza di garantire l'indipendenza della attività giurisdizionale, in relazione alla quale il perito svolge invece solo una attività ausiliaria, il cui regolare svolgimento il legislatore ordinario ha inteso garantire con lo strumento della ricusazione indipendentemente dalla esigenza costituzionale sopra ricordata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 315 bis, cod. proc. penale, sollevate dal Pretore di Bressanone e dal giudice istruttore presso il Tribunale di

Velletri con le ordinanze indicate in epigrafe, in relazione agli artt. 3 e 108 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1982.