Ordinanza n. 105 del 1982
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ORDINANZA N. 105

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (sorveglianza speciale) promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1975 dal Pretore di Firenze, nel procedimento penale a carico di Vespertino Rosario ed altro, iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 14 aprile 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 1982 il Giudice relatore Alberto Malagugini.

Ritenuto che con ordinanza dell'11 novembre 1975 il pretore di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 17 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, 3 comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui prevede che il Tribunale, nell'applicare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, prescriva tra l'altro, "di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte alle misure di prevenzione o di sicurezza".

Considerato che una questione identica, proposta in relazione ai medesimi parametri costituzionali, é stata già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 27 del 1959, rispetto alla quale l'ordinanza non propone argomentazioni o profili nuovi;

che in tale decisione si é, in particolare, precisato che la prescrizione in discorso - ispirata "alla direttiva fondamentale dell'attività di prevenzione, cioè tener lontano l'individuo sorvegliato dalle persone e dalle situazioni che rappresentano il maggior pericolo" - si informa nel suo contenuto "a un rigoroso criterio di necessità";

che inoltre, rispetto alle ipotesi estreme già in tale occasione prospettate ed ora riproposte, - "se cioè nel divieto di associarsi non sia per avventura da comprendersi ogni forma di abituale accompagnarsi ad altra persona per qualsiasi ragione di lavoro, di affetto, di cultura, di amicizia ecc....", non può che ribadirsi quanto già nella predetta sentenza si é rilevato: e cioè, da un lato, che l'indagine da effettuarsi al riguardo esula dai compiti della Corte, trattandosi di specificazioni che "importano in sostanza una determinazione dei concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale"; e, dall'altro lato, che "al giudice penale, cui l'indagine spetta, non dovrà sfuggire né il carattere eccezionale delle limitazioni di libertà in questione, che non può non riflettersi sul significato da attribuire ai termini adoperati dalla legge, né la distinzione, che certo merita di essere considerata, fra i contatti sociali che la legge specificamente indica come pericolosi e quelli che costituiscono il normale e quotidiano svolgimento dei rapporti della vita, inibito di regola soltanto a chi é sottoposto a misure detentive";

che infine, con riferimento all'ipotesi, pure prospettata nella ordinanza di rimessione, che nella previsione in discorso possa ritenersi ricompresa anche la "riunione occasionale" con persone sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, é appena il caso di ricordare che per giurisprudenza costante quello in questione é un reato a condotta plurima, sicché per la sua sussistenza é necessaria una frequenza od abitualità di incontri, contatti o rapporti e non basta, invece, l'accompagnamento occasionale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, 3 comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui prevede che il tribunale, nell'applicare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, prescriva, tra l'altro, "di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte alle misure di prevenzione o di sicurezza" sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 17 Cost., dal Pretore di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 maggio 1982.