Sentenza n. 98 del 1982
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SENTENZA N. 98

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 630, comma secondo, del codice di procedura penale (procedimento per gli incidenti di esecuzione) promosso con ordinanza emessa il 28 ottobre 1975 dal Tribunale di Ferrara nel procedimento penale a carico di Cappelletti Alberto, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1982 il Giudice relatore Michele Rossano;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto 9 giugno 1973 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara chiese allo stesso Tribunale di revocare i benefici dei condoni delle pene di anni 2 di reclusione e L. 200.000 di multa e anni 1 di reclusione, concessi a norma dei decreti del Presidente della Repubblica 4 giugno 1966, n. 332 e 22 maggio 1970, n. 283 - a Cappelletti Alberto, condannato per i delitti di furto pluriaggravato, ricettazione, oltraggio a pubblico ufficiale. A fondamento della richiesta addusse che il Cappelletti aveva perso il diritto a quei benefici perché era stato condannato con sentenza irrevocabile 18 maggio 1971 del Tribunale di Ferrara alle pene di anni 2 di reclusione e lire 60.000 di multa per il delitto di furto pluriaggravato e di lire 12.000 di ammenda per contravvenzione al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, reati commessi il 21 marzo 1971.

Il Cappelletti, allora detenuto nelle carceri giudiziarie di Ferrara, non comparve davanti al Tribunale di Ferrara l'11 luglio 1973 per assoluta impossibilità determinata da malattia. Per lo stesso motivo, addotto dal difensore di fiducia del Cappelletti, non più detenuto, la data fissata per la decisione sull'incidente di esecuzione fu rinviata più volte.

Il medesimo difensore del Cappelletti nella camera di consiglio 22 ottobre 1975 presentò memoria, con la quale sollevò la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 13 e 24 della Costituzione.

Il Tribunale di Ferrara, con ordinanza 28 ottobre 1975,ritenne rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 cod. proc. pen. e particolarmente del comma secondo dello stesso articolo - "nella parte in cui non prevede la necessità del rinvio della trattazione dell'incidente di esecuzione e di tutti gli incidenti equiparati in caso di legittimo impedimento dell'interessato che abbia fatto domanda di comparire e di essere sentito personalmente" - in riferimento all'art. "24, comma primo, della Costituzione".

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 31 marzo 1976.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si é costituita la parte privata.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato il 10 marzo 1976, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Ferrara ha sollevato, in riferimento all'art. 24, comma primo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630, comma secondo, cod.proc. pen. "nella parte in cui non prevede la necessità del rinvio della trattazione dell'incidente di esecuzione e di tutti gli incidenti equiparati in caso di legittimo impedimento dell'interessato che abbia fatto domanda di comparire e di essere sentito personalmente". Il Tribunale ha premesso che Cappelletti Alberto, quale condannato interessato a comparire, aveva addotto, a mezzo dei difensori, il proprio legittimo impedimento ad essere presente alla trattazione dell'incidente di esecuzione perché era degente in ospedale, come risultava dai certificati esibiti. Ha richiamato la sentenza 6 maggio 1970, n. 69, con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630, comma primo, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che all'interessato nel procedimento per incidenti di esecuzione, anche se non ammesso al gratuito patrocinio, sia nominato d'ufficio un difensore, ove egli non provveda a nominarne uno di fiducia" nonché "nella parte in cui non prevede che l'avviso del giorno della deliberazione sull'incidente vada notificato anche al difensore dell'interessato". Ha rilevato che l'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen. stabilisce che i privati, i quali ne fanno domanda, se competono, devono essere sentiti personalmente o a mezzo del difensore e che il successivo comma terzo stabilisce che l'inosservanza delle disposizioni precedenti é causa di nullità. Ha considerato che tale disciplina non si concilia con la prevalente giurisprudenza, secondo la quale, in caso di impedimento assoluto dell'interessato, imputato - condannato, a comparire, é rimesso al potere discrezionale del giudice il rinvio della trattazione dell'incidente di esecuzione. Ha concluso affermando che nella fattispecie ricorre l'equiparazione del condannato all'imputato - già ritenuta da questa Corte - perché si tratta di revoca di condoni e, quindi, di materia strettamente penale, compresa nell'area dell'art. 24, comma primo, della Costituzione.

2. - Questa Corte rileva, preliminarmente, che lo specifico riferimento del Tribunale di Ferrara al comma primo dell'art. 24 della Costituzione é erroneo perché la questione riguarda non la tutela di un diritto o interesse legittimo, ma la difesa, che il comma secondo dello stesso art. 24 garantisce come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Tuttavia la questione di legittimità costituzionale non può essere dichiarata inammissibile poiché dal contenuto dell'ordinanza di rinvio risulta chiaramente che essa riguarda il comma secondo del detto art. 24 (cfr. sentenze di questa Corte n. 63del 1961; n. 40 del 1964; n. 24 del 1965; n. 153 del 1969;n. 220 del 1974; n. 98 del 1976; n. 131 del 1977).

3. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 630,comma secondo, cod. proc. pen. - considerata proposta in riferimento al comma secondo dell'art. 24 della Costituzione é fondata.

Il procedimento per incidente di esecuzione in materia penale ha carattere sicuramente giurisdizionale; quindi, pur svolgendosi con forme semplici e presentando caratteristiche notevolmente diverse da quelle del giudizio di cognizione, deve attuarsi con il rispetto delle garanzie fondamentali previste per tale giudizio sia per quanto concerne la presenza dell'interessato, imputato o condannato, sia per quanto concerne l'assistenza del difensore.

Le norme di cui agli artt. 630 e 631 cod. proc. pen. sono dirette ad assicurare le esigenze proprie della difesa.

Invero il primo di tali articoli, nei commi primo e secondo, considera normale l'intervento diretto delle parti, riconoscendo così la funzione eminentemente difensiva dell'audizione personale dell'interessato da parte del giudice dell'esecuzione, ed assicura un contraddittorio perché: impone la comunicazione del giorno stabilito per la trattazione dell'incidente al Pubblico Ministero ed a tutti gli interessati almeno cinque giorni prima; attribuisce ai privati, che ne hanno fatto domanda, il diritto di intervenire ed essere uditi, personalmente o a mezzo dei difensori, in camera di consiglio e di presentare memorie direttamente o a mezzo dei difensori. il comma terzo dello stesso articolo prescrive che l'inosservanza delle disposizioni precedenti é causa di nullità.

Questa Corte proprio con riferimento al procedimento per incidente di esecuzione, con la sentenza n. 69 del 1970, ha ampliato le garanzie previste dal citato art. 630 cod. proc. pen. affermando che il diritto di difesa non solo comprende in sé la facoltà del cittadino di difendersi personalmente, ma comporta anche l'obbligo per lo Stato di provvedere d'ufficio alla nomina di un difensore, ove a questo non abbia provveduto lo stesso interessato, nomina non contemplata dal suddetto articolo. E, con riferimento al processo di cognizione, ha precisato, con la sentenza n. 125 del 1919, che la possibilità di una piena difesa personale é riconosciuta all'imputato in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso. Infine, con la sentenza n. 9 del 1982 ha rilevato che la presenza dell'imputato al dibattimento e la libertà ed autonomia di ogni sua scelta in proposito sono insostituibili e che l'esclusione aprioristica dell'imputato dal prosieguo del dibattimento contro la sua volontà, in ragione della impossibilità assoluta in cui egli si trova, per legittimo impedimento, di presenziare ad una udienza determinata, comporta una compressione del diritto di difesa che non può ritenersi giustificata dall'esigenza che il processo - al fine di garantire un'ordinata amministrazione della giustizia - possa progredire verso la decisione finale e se ne impedisca l'indefinito protrarsi. Deve ritenersi egualmente priva di giustificazione la mancata previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente di esecuzione nella ipotesi di legittimo impedimento a comparire dell'imputato o condannato, che ne abbia fatto domanda.

Invero la possibilità di contraddittorio attraverso la presenza delle parti interessate, garantita dal menzionato art. 630 cod. proc. pen., comporta la necessaria conseguenza che deve tenersi conto di quelle situazioni che rendono impossibile tale presenza, senza, tuttavia, fare richiamo alle disposizioni sulla contumacia, istituto disciplinato in base a situazioni ed esigenze tipiche del processo di cognizione. Ne deriva che l'imputato o il condannato, che ha diritto ad essere udito personalmente a seguito di sua domanda, può provare che l'assenza é dovuta all'assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, e il giudice dell'esecuzione, riconosciuta la sussistenza dell'impedimento, deve sospendere o rinviare il procedimento. Solo in tal modo si consente l'esplicazione efficace del diritto di autodifesa da parte dell'imputato o condannato, che deve avere la possibilità di rappresentare le proprie ragioni direttamente al giudice dell'esecuzione, al quale spetta di decidere questioni la cui soluzione determina immediate, gravi conseguenze sulla sua libertà personale, come nel caso di specie, in cui l'accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero comporterebbe l'espiazione della pena di complessivi tre anni di reclusione.

La non indispensabilità della presenza dell'interessato troverebbe giustificazione, seconda la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, nell'oggetto degli incidenti di esecuzione, nei quali si esaminerebbero ordinariamente questioni di solo diritto e sarebbe escluso l'accertamento inerente a questioni di fatto, che solo potrebbe richiedere l'intervento personale dell'interessato, imputato o condannato.

Al riguardo si osserva che, come ha precisato autorevole dottrina, sussistono varie ipotesi di incidenti di esecuzione nei quali sono prese in esame questioni di fatto. Si indicano le ipotesi previste dagli artt. 590, 601, 655 cod. proc. pen.: revoca della sospensione condizionale della pena o della libertà condizionale per trasgressione degli obblighi imposti dagli articoli 165 e 177 cod. pen.; accertamento delle prove effettive e costanti di buona condotta richieste per la riabilitazione. In tali ipotesi la decisione del giudice dell'esecuzione dipende dall'accertamento di questioni di fatto concernenti la condotta dell'interessato e, quindi, si impone la diretta audizione del medesimo affinché il giudice stesso possa formarsi il convincimento nel modo più diretto e completo.

La previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente di esecuzione, nella ipotesi di legittimo impedimento di chi abbia fatto domanda di comparire e di essere sentito personalmente, deve essere ristretta all'imputato o al condannato, dato che non sussiste la esigenza di garantire l'esercizio del diritto di autodifesa anche a tutti gli altri interessati cui fa riferimento lo stesso articolo. In questi limiti va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen., in riferimento all 'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede il rinvio della trattazione dell'incidente di esecuzione, ove l'imputato o il condannato, che abbia fatto domanda di essere udito personalmente, non compaia per legittimo impedimento.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

 Depositata in cancelleria il 20 maggio 1982.