Sentenza n. 81 del 1982
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SENTENZA N. 81

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 della Convenzione di Varsavia, resa esecutiva in Italia con la legge 19 maggio 1932, n. 841 (Unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale), come modificato dall'art. 11 del Protocollo dell'Aja, reso esecutivo in Italia con la legge 3 dicembre 1962, n. 1832, e dell'art. 943 del codice della navigazione, promosso con ordinanza emessa il 27 dicembre 1978 dal Tribunale di Roma, nel procedimento civile vertente tra Coccia Ugo ed altra e la Soc. Turkish Airlines, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 154 del 6 giugno 1979.

Visti l'atto di costituzione di Coccia Ugo e della Soc. Turkish Airlines e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1982 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avv. Guido Rinaldi Baccelli, per Coccia Ugo, l'avv. Carlo Sparri, per la Soc. Turkish Airlines, e l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento civile vertente tra Coccia Ugo ed altra e la Società Turkish Airlines, il Tribunale di Roma ha promosso innanzi alla Corte l'eccezione di costituzionalità sollevata dagli attori con riferimento all'art. 22 della Convenzione di Varsavia (per l'unificazione delle regole del traffico aereo internazionale) recepita in Italia con la legge 19 maggio 1932, n. 841, e all'art. 11 del Protocollo dell'Aja, reso esecutivo in Italia con la legge 3 dicembre 1962, n. 1832, in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione. Il Tribunale ha altresì, sollevato di ufficio, la questione di costituzionalità dell'art. 943 del codice della navigazione, in relazione al medesimo parametro.

L'ordinanza di rimessone, emessa il 27 dicembre 1978, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 1979, n. 154.

2. - I coniugi Coccia avevano convenuto avanti al giudice a quo la Società Turkish Airlines per sentirla dichiarare responsabile civile del disastro avvenuto in Turchia il 20 settembre 1976, nel quale é deceduta la loro unica figlia.

Con riferimento all'eccezione sollevata dalla difesa degli attori, il Tribunale rileva che, mentre le norme da quest'ultima censurate prevedono un limite alla responsabilità e vettore aereo nei confronti del passeggero trasportato, quando tale responsabilità non sia dovuta a dolo o colpa grave, nessuna limitazione é per contro prevista nel settore dei trasporti terrestri e marittimi; inoltre l'art. 22 della Convenzione di Varsavia non terrebbe conto "della diversa capacità di reddito, in dipendenza della diversità delle condizioni economiche e sociali dei passeggeri di un aeromobile". Di qui il prospettato contrasto con l'art. 2 e con l'art. 3 della Costituzione.

Il Tribunale rileva, peraltro, che il limite previsto dal Protocollo dell'Aja é stato elevato a favore degli USA dall'Accordo di Montreal del 1966 e dal Protocollo di Guatemala del 1971, sottoscritto anche dall'Italia, ma non ancora entrato in vigore, e che in base a tali accordi il vettore rinuncia ad avvalersi dell'esonero dalla responsabilità previsto dall'art. 20 della Convenzione di Varsavia.

Per i medesimi motivi il giudice a quo solleva di ufficio la questione di costituzionalità dell'art. 943 del codice della navigazione.

3. - Si costituiscono nel presente giudizio di costituzionalità i coniugi Coccia, la cui difesa rileva che la società convenuta non ha contestato la propria responsabilità, ma ha invocato la limitazione del proprio debito; tale limitazione é fissata nella cifra di cinque milioni e duecentomilalire per passeggero dall'art. 943 c.n. e in duecentocinquantamila franchi francesi oro, costituiti da 65 milligrammi e mezzo di oro, al titolo di 900/1000 di fino, dall'art. 22 della Convenzione di Varsavia, come modificato dall'art. XI del Protocollo dell'Aja.

La difesa dei coniugi Coccia, nel sollevare la suddetta eccezione di costituzionalità, chiedeva, ai sensi degli artt. 278 e segg. del c.p.c., la condanna della convenuta al pagamento della somma richiesta come risarcimento a titolo di provvisionale.

Il giudice a quo, nel sollevare le questioni di costituzionalità nei termini indicati, condannava la Turkish Airlines al pagamento della somma di cinque milioni a ciascuno dei due attori come provvisionale.

Quanto alla pretesa fondatezza delle questioni, la difesa degli attori sostiene che il vettore aereo gode di una situazione giuridica di privilegio, in quanto i vettori di superficie non possono limitare il proprio debito conseguente alla responsabilità per danni alle persone.

Tale presunta situazione, non più compatibile con l'attuale sviluppo del traffico aereo, andrebbe considerata come un "rudimento storico in conflitto con gli interessi della collettività"; se il numero dei passeggeri che utilizzano oggigiorno il mezzo aereo é certo inferiore a quello di coloro i quali, per esempio, fanno uso del trasporto ferroviario, bisogna però osservare che la media dei chilometri percorsi dai primi è dieci volte superiore.

Quando il sistema di limitazione della responsabilità é stato introdotto, osserva ancora la difesa degli attori, si era ai primordi dell'aviazione civile, e i passeggeri costituivano una elite consapevole dei gravi rischi che comportava allora il volo.

La suddetta limitazione era dunque inquadrata nell'ambito del regime della responsabilità allora dominante, quella per colpa.

Mentre l'art. 17 della Convenzione stabilisce la responsabilità del vettore per i danni occorsi al passeggero dal momento dell'imbarco, l'art. 20 consente l'esonero di responsabilità al vettore, il quale dimostri che egli o i suoi dipendenti hanno adottato tutte le misure atte ad evitare il danno, o che é stato impossibile adottarle.

La normativa convenzionale costituisce una scelta intermedia tra il diritto continentale per il quale la responsabilità del vettore é di tipo contrattuale e la Common law, che configura la responsabilità conseguente al danno delle persone come extra contrattuale.

Il principio accolto dalla Convenzione di Varsavia sta, peraltro, alla base di tutta la normativa interna sulla responsabilità dei vettori. Il limite dei centoventicinquemila franchi francesi oro poteva essere superato nell'ipotesi di dolo o colpa grave. In tale ipotesi, però, la norma convenzionale prevedeva il rinvio alla lex fori.

Con il Protocollo dell'Aja del 1955 é stato sancito, oltre al raddoppio del massimale, un più ristretto concetto di colpa grave, che é equiparata al dolo: il limite previsto dall'art. 22 non é quindi applicabile nei casi di atto compiuto temerariamente e con la consapevolezza che un danno "probabilmente ne risulterà".

La crisi del sistema fondato sulla Convenzione di Varsavia si é manifestata all'inizio degli anni sessanta, soprattutto per l'insufficienza del limite di risarcimento, previsto appunto dall'art. 22; negli Stati Uniti la cifra ivi stabilita é stata ritenuta del tutto inadeguata, anche nella misura prevista dal Protocollo dell'Aja.

Nel 1964 il Governo statunitense ha deciso di non ratificare il Protocollo dell'Aja, e di denunziare altresì la Convenzione di Varsavia.

L'aviazione civile era già avviata a divenire mezzo di comunicazione di massa, e la forte diminuzione del rischio di volo riduceva di molto l'ammontare dei prezzi. Il Governo statunitense ha poi ritirato la denunzia della Convenzione, ma solo a seguito della stipulazione fra il Civil Aeronautics Board e le compagnie aderenti alla IATA, del cosiddetto accordo di Montreal, con il quale le compagnie si impegnavano ad elevare il limite di responsabilità fino a 75.000 dollari, e rinunziavano altresì al mezzo di difesa previsto dall'art. 20 della Convenzione, accettando in pratica il principio della responsabilità obiettiva per i voli che interessavano il territorio degli Stati Uniti.

L'Accordo di Montreal ha peraltro posto le premesse di quella radicale trasformazione del sistema convenzionale uniforme, la quale, successivamente adottata mediante il Protocollo di Guatemala dell'8 marzo 1971, si basa sui seguenti criteri:

1) Il limite di responsabilità é elevato a 1.500.000 franchi; 2) é prevista la responsabilità assoluta a carico del vettore aereo; 3) il nuovo limite non può essere in alcun caso superato; 4) le spese legali sono a carico del vettore aereo che non abbia fatto una ragionevole offerta di risarcimento; 5) il limite di responsabilità può, mediante conferenze periodiche all'uopo convocate, essere tuttavia aumentato, in misura non superiore a 187.500 franchi; 6) ogni Stato, del resto, può applicare sul proprio territorio un sistema di risarcimento complementare, in quanto compatibile con quello previsto dalla Convenzione, in caso di morte o lesione fisica del passeggero.

Il Protocollo di Guatemala non é ancora entrato in vigore, perché a tal fine é necessario che il traffico aereo, svolto dalle compagnie aeree dei cinque Stati che lo hanno ratificato, rappresenti almeno il 40% del traffico aereo internazionale regolare complessivamente svolto dalle compagnie aeree dei Paesi membri dell'OACI, e registrato nel corso dello stesso anno.

Nel frattempo, l'Accordo di Montreal é stato esteso convenzionalmente dalla maggior parte delle compagnie aeree a tutti i voli internazionali, anche estranei al territorio degli Stati Uniti.

Alla stregua di tali considerazioni andrebbe valutata la seconda censura, mossa in relazione all'art. 2 della Costituzione, che impone a tutti l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale, tra i quali va certamente ricompreso quello della tutela delle vittime.

Il codice della navigazione prevede ancor oggi un limite di cinquemilioni e duecentomilalire che sfiora addirittura l'esonero di responsabilità. Lo stesso vettore di bandiera Alitalia ha spontaneamente chiesto al Ministero dei Trasporti di modificare le proprie condizioni e tariffe per adeguarle all'Accordo di Montreal del 1966.

Tale comportamento costituirebbe sicuro indice del fatto che il limite del codice della navigazione é desueto.

4. - Il problema relativo alla Convenzione di Varsavia richiede, d'altra parte, una ulteriore precisazione. In base all'ultimo capoverso dell'art. 22 la larga maggioranza degli Stati ha provveduto a convertire la cifra ivi prevista in moneta nazionale; il legislatore italiano non ha però operato tale conversione; e in mancanza di apposita norma, la giurisprudenza é stata indotta a rapportare la predetta unità monetaria al valore dell'oro, al mercato libero. Il sistema pone così i parenti delle vittime di fronte all'incertezza dell'applicazione giurisprudenziale e alla fluttuazione del valore dell'oro, e perciò é stata introdotta, pure in materia di responsabilità civile aeronautica, la nuova unità monetaria rappresentata dai diritti speciali di prelievo.

La proposta questione investe dunque, avverte la difesa delle parti private, la legge di esecuzione del Trattato, sotto il riflesso della mancata conversione del franco-oro in moneta nazionale. Le censure in esame, sono, in conclusione, così argomentate:

a) la limitazione del risarcimento crea una situazione di privilegio a favore del vettore aereo nei confronti degli altri vettori di superficie;

b) l'industria del trasporto aereo deve oggi considerarsi industria di massa; se alcun limite dovesse ancora ammettersi, esso dovrebbe consentire il risarcimento integrale di tutti i cittadini; anche i limiti posti dall'Accordo di Montreal nel 1966 sono ormai da considerarsi del tutto inadeguati, ed é evidente che una legge, la quale si adeguasse a tali limiti., sarebbe suscettibile di un'analoga censura di incostituzionalità.

Non é comunque possibile - conclude la difesa della parte privata - imporre un limite inferiore a cento milioni di lire, sia per i trasporti internazionali, sia per quelli interni, rimanendo preclusa, in virtù degli invocati precetti costituzionali, qualsiasi discriminazione fra le due categorie di passeggeri.

5. - La Società Turkish Airlines (Turk Hava Yollari A.O.) presentava una memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte il 22 settembre 1981, quindi largamente fuori termine.

6. - Interviene nel presente giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, la quale eccepisce l'inammissibilità della censura mossa all'art. 943 del codice della navigazione, che sarebbe inapplicabile al caso di specie, deducendo poi l'infondatezza della questione concernente le norme pattizie internazionali.

Il limite previsto dall'art. 22 trova applicazione, osserva l'Avvocatura, solo quando l'evento dannoso, non sia stato causato dal vettore o dai suoi dipendenti e preposti, da dolo o colpa grave. Spetta, secondo l'Avvocatura dello Stato, provare che questi estremi difettino allo stesso vettore.

Risulterebbe così chiara la differenza fra trasporto aereo e trasporto marittimo e terrestre, nei quali ultimi la responsabilità del vettore ha come presupposto la colpa.

D'altro lato il limite della responsabilità del vettore aereo é dovuto al diverso grado di rischio. La rilevata disparità di discipline sarebbe pertanto pienamente legittima.

In mancanza di dolo o colpa, rileva poi l'Avvocatura, non può farsi ricorso a criteri di proporzionalità del risarcimento del danno.

7. - In prossimità dell'udienza la difesa dei coniugi Coccia produce altre deduzioni, sviluppando le tesi sostenute nell'atto di costituzione. É così ribadita la presunta lesione del principio costituzionale di eguaglianza, che si assume strettamente connessa con quella dell'art. 2 del testo fondamentale: il diritto all'integrità personale, nel suo particolare ma intrinseco aspetto della pretesa di ottenere la restaurazione delle lesioni patite, si atteggerebbe come un diritto inviolabile dell'uomo, di fronte al quale deve ritenersi che ceda - in sede di comparazione dei valori costituzionalmente protetti - la confliggente istanza di tutelare il vettore aereo.

8. - Nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1982 la difesa della parte privata e l'Avvocatura dello Stato hanno insistito sulle conclusioni prese in precedenza.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Roma censura - in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione - due disposizioni, rispettivamente contenute nell'art. 22 della Convenzione conclusa a Varsavia, per l'unificazione delle regole del trasporto aereo internazionale, il 12 ottobre 1929, resa esecutiva in Italia con la legge 19 maggio 1932, n. 841, e nell'art. 943 del codice della navigazione. La prima di dette norme statuisce, per quel che interessa il presente giudizio, che, nel trasporto di persone, la responsabilità del vettore é limitata, nei confronti di ciascun passeggero, alla somma di centoventicinquemila franchi francesi (raddoppiata in forza della successiva previsione del Protocollo dell'Aja 28 settembre 1955, resa esecutiva in Italia con la legge 3 dicembre 1962, n. 1832). L'art. 943 del codice della navigazione, dal canto suo, così, al primo comma, testualmente recita: "il risarcimento dovuto dal vettore in caso di responsabilità non determinata da dolo o colpa grave sua o dei suoi dipendenti e preposti, non può superare, per ciascuna persona, le lire centosessantamila" (elevate a lire cinquemilioniduecentomila, ai sensi dell'art. 4 della legge 16 aprile 1954, n. 202). L'anzidetto giudice promuove innanzi alla Corte, assumendone la non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della Convenzione di Varsavia, che nel procedimento a quo era stata incidentalmente sollevata dalla difesa della parte attrice. Ciò sull'assunto, com'è spiegato in narrativa, che il denunziato disposto della Convenzione di Varsavia, divenuto efficace nell'ordinamento interno, contiene la responsabilità del vettore aereo nei limiti sopra ricordati, laddove analoga limitazione non é stabilita con riguardo ai sinistri derivanti dal trasporto terrestre e marittimo. La regola pattizia, si soggiunge, non tiene poi conto della differente capacità di reddito dei passeggeri dell'aeromobile, connessa con la diversità delle loro condizioni economiche e sociali. Di qui si fa discendere la prospettata disparità di trattamento tra gli aventi diritto al risarcimento del danno, con la conseguente lesione dell'art. 2 Cost., che garantirebbe la pretesa alla reintegrazione delle lesioni subite, annoverandola tra i diritti fondamentali e inviolabili dell'uomo. Per ciò stesso sarebbe altresì leso il principio costituzionale di eguaglianza.

Il giudice a quo osserva, peraltro, che la consistenza del limite posto alla responsabilità del vettore é stata, in seguito, più volte riveduta: prima, dall'Accordo di Montreal (13 maggio 1966), con riferimento ai voli effettuati, nelle ipotesi ivi definite, sull'area territoriale degli Stati Uniti; poi, in via generale, dal Protocollo del Guatemala (8 marzo 1971) sottoscritto anche dall'Italia, ma non ancora entrato in vigore (cfr. art. III). Ai sensi di quest'ultimo strumento internazionale, si aggiunge nell'ordinanza di rinvio, il vettore aereo é, nei limiti della cifra all'uopo stabilita (un milionecinquecentomila franchi), sempre e comunque tenuto al risarcimento del danno, scaturente dalla morte, o da lesione personale del passeggero: mentre l'art. 20 della Convenzione di Varsavia esonera dalla responsabilità il vettore, il quale provi che egli e i suoi preposti hanno adottato tutte le misure necessarie per evitare il danno, o che era loro impossibile adottarle.

Identica eccezione di incostituzionalità é sollevata d'ufficio, per i motivi ed in relazione ai parametri sopra indicati, con riguardo all'art. 943 del codice della navigazione.

2. - L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'irrilevanza prima facie della questione che ha per oggetto l'art. 943 del codice della navigazione. Tale norma, si rileva, non concerne la specie sottoposta all'esame del Tribunale di Roma, che é quella tipica del volo internazionale.

La Corte ritiene di dover preliminarmente osservare che nell'ordinanza di rinvio non é nemmeno individuata la norma applicabile alla controversia, di cui é investito il giudice a quo: sono infatti denunziati, sia il disposto della Convenzione, sia quello del codice della navigazione, ai quali si é fatto sopra riferimento; e si dice da un canto che la regola desunta dalla Convenzione di Varsavia é stata impugnata dalla parte attrice nel giudizio di merito, dall'altro che la società convenuta deduce l'applicazione, nella specie, della norma del codice. Ma si tratta, va subito detto, di norme diverse, che non possono essere coinvolte nella censura di incostituzionalità unicamente e indistintamente allo stesso titolo, come si fa nel provvedimento di rimessione. Ciascuna delle regole censurate pone, precisamente, un proprio precetto, ed ha un autonomo campo di operatività. Ché anzi, l'una può ricevere applicazione, nel caso in esame, solo ad esclusione dell'altra, secondo se la fattispecie sia ricondotta nella sfera in cui vengono in rilievo la Convenzione di Varsavia e le successive modifiche, (sempre in quanto, beninteso, internamente efficaci), ovvero sia sussunta sotto la generale previsione del codice della navigazione. Una simile operazione ermeneutica, indispensabile perché l'oggetto del sindacato di costituzionalità sia definito e la questione possa ritualmente salire innanzi a questa Corte, spetta, evidentemente, solo al giudice sottordinato; il Tribunale di Roma ha invece trascurato di compierla, e così ha anche mancato di delibare - come gli imponeva il vigente ordinamento - la rilevanza del problema che si prospetta in questa sede, limitandosi ad un semplice e inconferente richiamo degli opposti assunti difensivi delle parti in ordine all'individuazione della norma regolatrice della specie. La questione deve essere quindi dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della Convenzione di Varsavia (resa esecutiva in Italia con la legge 19 maggio 1932, n. 841) come modificato dall'art. XI del Protocollo dell'Aja (reso esecutivo in Italia con la legge 3 dicembre 1962, n. 1832) e dell'art. 943 del codice della navigazione, sollevata dal Tribunale di Roma in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1982.