Sentenza n. 78 del 1982
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SENTENZA N. 78

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 31 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, come modificato dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034 (provvedimenti straordinari per la ripresa economica) promosso con ordinanza emessa il 1 ottobre 1975 dal Tribunale di Macerata nel procedimento civile vertente tra Bigiaretti Luigi e l'INPS, iscritta al n. 617 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1976.

Visti l'atto di costituzione dell'INPS e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1981 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi l'avv. Leonardo Lironcurti per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Pretore di Macerata, con provvedimento del 13 marzo 1974, ingiungeva a Bigiaretti Luigi, quale titolare della omonima impresa industriale, il versamento di Lit. 460.191 per omissioni contributive alla Cassa Assegni familiari dal 1 agosto 1971 al 31 marzo 1972.

In sede di opposizione il Bigiaretti eccepiva di non essere tenuto al versamento perché, ai sensi dell'art. 31 D.L. 26 ottobre 1970 n. 745, convertito con modifiche nella l. 18 dicembre 1970 n. 1034, concernente provvedimenti straordinari per la ripresa economica, la propria ditta, che impiegava meno di 50 dipendenti, con capitale investito inferiore ai 500 milioni, aveva effettuato i versamenti al titolo suddetto sulla base del massimale di Lit. 3.500 giornaliere di retribuzione "pro capite", mentre il pagamento suppletivo richiesto era calcolato sulla base di Lit. 4.000 giornaliere, previsto dalla detta norma in relazione alle imprese con numero di dipendenti e capitale superiori a quello sopra indicato.

L'Istituto assicuratore (INPS) peraltro deduceva che il citato art. 31 nel disporre il massimale ridotto si riferiva espressamente alle imprese industriali già operanti alla data di entrata in vigore del decreto stesso (27 ottobre 1970), mentre l'impresa del Bigiaretti risultava costituita successivamente, e precisamente il 28 giugno 1971.

Il Pretore, con sentenza del 17 giugno 1974, respingeva il ricorso osservando che l'art. 31 in parola espressamente limitava l'applicabilità del massimale di Lit. 3.500 alle imprese che "alla data di entrata in vigore del presente decreto" avessero i cennati requisiti ed osservava, comunque, che tale limitazione trovava adeguata giustificazione nella considerazione che, mirando il decreto ad agevolare la ripresa economica, appariva coerente con tale scopo che il beneficio del massimale ridotto fosse riferito alle imprese già costituite, e ciò anche al fine di evitare l'artificioso contenimento del numero dei dipendenti da parte degli imprenditori che avessero costituito le proprie imprese in data successiva nell'intento di beneficiare della riduzione del massimale, perché, in tal caso, anziché agevolare la ripresa economica, il legislatore la avrebbe di fatto ostacolata.

Il Tribunale di Macerata, investito del giudizio in sede di appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del ripetuto art. 31, nella parte in cui esclude dal beneficio della riduzione del massimale contributivo ai fini della corresponsione degli assegni familiari le imprese con le cennate caratteristiche costituite dopo l'entrata in vigore del decreto suddetto, per assunto contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

A sostegno della censura il giudice a quo osserva, in sostanza, che la disparità di trattamento collegata all'elemento temporale sarebbe ingiustificata perché non apparirebbe conforme allo scopo di agevolare la ripresa economica.

Né potrebbe ritenersi valida la tesi secondo cui la limitazione tenderebbe ad evitare possibili artificiosi contenimenti del numero dei dipendenti e dell'ammontare dei capitali investiti, in quanto l'ottavo comma dell'articolo stesso, nell'elevare per le imprese in questione i massimali da Lit. 3.500 a 4.400 "dal periodo di paga in corso alla data del 1 gennaio 1973" non avrebbe indicato alcuna data iniziale di riferimento per la sussistenza dei detti requisiti, "talché il massimale in questione dovrà applicarsi in detto periodo a queste aziende, qualunque sia il momento della loro costituzione". Onde, secondo il giudice a quo un'azienda costituitasi dopo il 27 ottobre 1970 con le dette caratteristiche potrebbe godere comunque, a partire dal 1 gennaio 1973 del massimale previsto per le imprese similari, mentre, per il periodo precedente le verrebbe "assurdamente" applicato il massimale adottato per le imprese maggiori. Il che, sempre secondo il giudice a quo non si accorderebbe con gli asseriti intenti economici ispiratori del provvedimento.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla G.U. n. 51 del 25 febbraio 1976.

In questa sede si é costituito l'INPS, in persona del Presidente pro tempore Fernando Montagnani, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Traverso e Leonardo Lironcurti, che hanno depositato nei termini le proprie deduzioni.

La difesa dell'Istituto nega il fondamento della questione facendo proprie le considerazioni del giudice di primo grado circa la ratio della normativa in discussione, che avrebbe considerato la diversità della situazione delle imprese già presenti al momento dell'adozione delle misure economiche di sostegno, e che erano quindi investite dalla crisi, da quella delle imprese che, invece, fossero entrate successivamente nel campo della concorrenza economica. Le scelte operate troverebbero quindi razionale giustificazione e la questione dovrebbe essere dichiarata non fondata.

Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura pone in evidenza lo scopo della norma impugnata di ridurre provvisoriamente i costi di esercizio delle imprese industriali di piccola dimensione per far fronte alle difficoltà della avversa congiuntura economica. Ciò avrebbe logicamente comportato l'esclusione di quelle imprese della stessa categoria che non fossero ancora costituite, e per le quali quindi non si era verificata quella situazione di difficoltà a cui intendevano ovviare le temporanee provvidenze stabilite dal legislatore, e che comunque avevano la possibilità di adeguare la propria organizzazione e la propria attività in modo da garantire l'economicità della gestione.

L'elemento temporale di differenziazione quindi costituirebbe valida ragione della diversità di disciplina oggetto della censura. Né tale conclusione potrebbe essere contestata mediante il richiamo a quanto disposto dall'ottavo comma dell'art. 31 in discussione, giacché tale norma ripristinando con decorrenza dal 1 gennaio 1973 un normale regime di contribuzione con massimali maggiorati da applicarsi a tutte le imprese nell'ambito delle relative categorie indipendentemente dalla data di costituzione, operava nel ragionevole presupposto che, dopo due anni, le difficoltà del momento potessero essere superate.

L'Avvocatura conclude pertanto chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte é chiamata a stabilire se l'art. 31 del D.L. 26 ottobre 1970 n. 745, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 1970 n. 1034, - limitando il beneficio della riduzione del massimale retributivo, ai fini della corresponsione degli assegni familiari, alle imprese che occupino meno di cinquanta dipendenti ed abbiano investito un capitale non superiore ai cinquecento milioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge, così escludendo le imprese con identiche caratteristiche costituite successivamente, - ponga in essere una ingiustificata discriminazione fra le dette imprese in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost..

2. - Giova premettere che, in sede di conversione in legge del D.L. 26 ottobre 1970 n. 745, concernente l'adozione di provvedimenti straordinari per la ripresa economica, venne stabilita (art. 31) una riduzione da lire quattromila a lire tremilacinquecento giornaliere del massimale retributivo, ai fini del pagamento dei contributi per gli assegni familiari, per le imprese industriali che, alla data di entrata in vigore del decreto, occupassero meno di cinquanta dipendenti ed avessero investito un capitale non superiore a cinquecento milioni.

Tale beneficio era limitato al periodo di paga tra il 1 gennaio 1971 e il 31 dicembre 1972; era altresì stabilito (art. 31 c. 8) che dal periodo di paga in corso alla data del 1 gennaio 1973 il massimale retributivo per le imprese sopra indicate veniva elevato da Lit. 3.500 a Lit. 4.400, senza alcuna distinzione tra imprese esistenti alla data di entrata in vigore del decreto e quelle successivamente costituite.

3. - L'ordinanza di rimessione, dopo aver ritenuto che l'applicazione della norma agevolatrice era limitata alle imprese esistenti alla data di entrata in vigore del decreto, disattendendo così la contraria interpretazione della parte privata, ha ravvisato un dubbio di costituzionalità, per contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), nel trattamento differenziato di imprese di identiche caratteristiche, non apparendo razionale, per giustificare la diversa disciplina, il riferimento alla data della loro costituzione e non essendo la normativa neppure coerente con gli scopi della legge, espressamente diretta ad agevolare la ripresa economica.

L'ordinanza osserva, inoltre, che il trattamento differenziato non potrebbe neppure giustificarsi con il proposito di salvaguardare il livello occupazionale di fronte a possibili contenimenti artificiosi della mano d'opera e del capitale investito, in quanto - in base al comma 8 dello stesso art. 31 - a decorrere dal 1 gennaio 1973 il trattamento delle imprese aventi le dimensioni anzidette era stato unificato, senza alcun riferimento alla data della loro costituzione, sicché le imprese sorte dopo l'entrata in vigore del decreto avrebbero goduto, a partire dal 1 gennaio 1973, dello stesso trattamento riservato a quelle già esistenti mentre per il periodo antecedente erano sottoposte ad un maggior onere senza adeguata ragione.

4. - La proposta questione non appare fondata.

La normativa di cui si tratta é espressamente rivolta ad agevolare, attraverso provvedimenti straordinari, la ripresa economica; in tale quadro va inserito il contenimento del massimale, ai fini degli assegni familiari per le piccole e medie industrie, che sono state distinte per tale aspetto dalle grandi imprese.

L'intento era palesemente quello di ridurre il costo di esercizio di tali imprese, maggiormente soggette per le loro modeste dimensioni alla sfavorevole congiuntura economica e consentirne, quindi, la ripresa.

Essendo questo l'intento perseguito dal legislatore, non appare irragionevole la limitazione delle provvidenze, eccezionali e transitorie, alle imprese già operanti perché alle particolari esigenze di esse occorreva provvedere.

Le imprese non ancora costituite alla data di adozione di quei provvedimenti versavano in situazione ovviamente diversa da quella delle imprese già in esercizio perché non avevano subito gli effetti dannosi della sfavorevole congiuntura economica ed anche perché i nuovi imprenditori, dando inizio alla loro attività in quel particolare momento, potevano ad esso adeguare le loro scelte al fine di garantire la utilità economica delle iniziative.

Trattasi, pertanto, di situazioni del tutto diverse, tra loro non comparabili, e perciò il trattamento differenziato non é ingiustificato.

Né appare conferente in contrario il riferimento al comma 8 del citato art. 31 - che, a decorrere dal 1 gennaio 1973 ha elevato la misura del massimale retributivo per le imprese di cui si tratta senza distinguere tra quelle sorte prima o dopo l'entrata in vigore del decreto - in quanto la differenziazione operata dal comma 1 del richiamato art. 31 era limitata nel tempo (dal 1 gennaio 1971 al 31 dicembre 1972) nella previsione della possibilità, dopo tale periodo, del ritorno alla normalità e di conseguenza appare giustificato il ripristino dell'ordinaria disciplina contributiva.

Va, invero, ricordato che rientra nel potere del legislatore la valutazione della situazione economica, sia sul piano generale che per settori determinati, al fine di stabilire la necessità ed opportunità di pubblici interventi nonché la natura e la misura di essi; e ciò tanto più quando si tratta di scelte legislative, dettate, come nella specie, dalla urgenza di adottare provvedimenti a favore di determinati settori produttivi, in relazione alle vicende della complessa e mutevole realtà economica.

La proposta questione va, pertanto, dichiarata non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 D.L. 26 ottobre 1970 n. 745, come modificato dalla legge 18 dicembre 1970 n. 1034, sollevata dal Tribunale di Macerata con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1982.