Sentenza n. 77 del 1982
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 77

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 51 cod. proc. pen. (casi di conflitto) promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1975 dal Tribunale di Belluno, nel procedimento penale a carico di Gennari Albino, iscritta al n. 366 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1981 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Gennari Albino venne chiamato a rispondere avanti al Tribunale di Belluno di omicidio colposo in danno di Baccarini Domenico e di lesioni personali con postumi permanenti in danno di Mauri Adriano per avere, durante l'espletamento del servizio militare, provocato gli eventi suddetti guidando con imperizia ed imprudenza un'auto campagnola appartenente all'Esercito, sulla quale i predetti suoi commilitoni erano trasportati.

Il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 23 giugno 1975, dato atto che, con sentenza passata in giudicato il 18 aprile 1972, il Tribunale Militare di Verona in relazione ai predetti fatti aveva condannato il Baccarini ed il Mauri per concorso nei reati di violata consegna e di furto d'uso dell'auto suddetta rispettivamente previsti e puniti dagli artt. 120 e 133 C.P.M.P. ed osservava che, con ciò, non si era tenuto conto della connessione esistente a mente dell'art. 264 C.P.M.P. fra i detti reati militari e quelli per i quali esso Tribunale era chiamato a giudicare, connessione dalla quale sarebbe derivata, ai sensi del citato art. 264, l'attribuzione all'Autorità giudiziaria ordinaria della giurisdizione su tutti i reati contestati.

Con ciò, afferma il Tribunale, si sarebbe verificata nella specie una lesione dei diritti della parte civile, regolarmente costituita, la quale, per effetto del giudicato del Tribunale militare, vedrebbe escluso l'obbligo di risarcimento del danno dal Ministero della Difesa, citato in giudizio quale responsabile civile.

In tale situazione, opina il Tribunale, l'art. 51 c.p.p. che regola i conflitti di giurisdizione non costituirebbe un utile rimedio, difettando l'elemento della contemporaneità della affermazione positiva o negativa di giurisdizione prevista appunto dalla norma suddetta per l'elevazione del conflitto. Ma tale elemento, prosegue il Tribunale, in un caso come quello in esame si appaleserebbe come "pleonasmo normativo" e "causa generatrice di irreparabile pregiudizio per la parte civile e per l'accertamento erga omnes dei fatti processuali", ed emergerebbe pertanto il contrasto dell'articolo citato, in relazione all'art. 185 c.p.p., con gli artt. 3 e 24 Cost., che sanciscono l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la tutela in giudizio dei diritti soggettivi.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla G.U. n. 268 dell'8 ottobre 1975.

In questa sede si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che il presupposto per l'elevazione del conflitto di giurisdizione costituito dalla consistenza di due o più procedimenti deriva logicamente dal concetto e dalla natura stessa del conflitto ed afferma che tale presupposto evidentemente difetta quando uno dei giudici che si pretendono in conflitto abbia definito, irrevocabilmente il procedimento pendente avanti a lui.

Comunque, soggiunge l'Avvocatura, l'impossibilità di sollevare conflitto di giurisdizione in un caso in cui, come nella specie, un giudice abbia pronunciato nel merito con sentenza divenuta irrevocabile deriverebbe anche dai principi generali in materia di giudicato penale e dei suoi effetti, quali sono precisati dall'art. 90 c.p.p., per il quale l'imputato condannato o prosciolto con sentenza divenuta irrevocabile non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto. Nuovo giudizio che invece si imporrebbe accogliendo le tesi del Tribunale che tendono appunto a sottoporre nuovamente a processo penale il Gennari ed il Mauri per i medesimi reati sui quali é intervenuta la sentenza irrevocabile del Tribunale Militare di Verona.

L'Avvocatura conclude pertanto chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione - dopo aver rilevato che la sentenza del Tribunale militare é stata emessa in violazione dell'art. 264 C.P.M.P., che attribuisce al giudice ordinario la cognizione di tutti i reati in caso di connessione tra procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e procedimenti di competenza del giudice militare - osserva che l'intangibilità del giudicato costituitosi a seguito dell'anzidetta sentenza preclude la applicabilità dell'art. 51 c.p.p. e la conseguente possibilità di denuncia del conflitto, difettando la contemporaneità dei procedimenti. Ritiene, peraltro, che tale situazione é causa di "irreparabile pregiudizio sostanziale e processuale per una delle parti del processo (la parte civile)" e ravvisa per tale ragione un contrasto tra la norma dell'art. 51 c.p.p. e gli artt. 3 e 24 Cost., che "sanciscono l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la tutela in giudizio dei diritti e degli interessi legittimi".

2. - Il dubbio di costituzionalità, nei termini in cui la questione é stata proposta, é privo di fondamento.

L'ordinanza riconosce che condizione necessaria per sollevare un conflitto di giurisdizione o di competenza é la contemporanea pendenza di più procedimenti innanzi a giudici diversi e ritiene coerentemente che la denuncia del conflitto fosse nella specie preclusa per difetto delle cennate condizioni. Ma ravvisa in ciò un dubbio di costituzionalità per i pregiudizi di varia natura che possono derivarne a danno di una delle parti del processo.

É palese l'infondatezza di tale assunto non essendo utilizzabile lo strumento giuridico cui l'ordinanza ritiene possa farsi ricorso, per il riconosciuto difetto della contemporanea pendenza dei procedimenti connessi.

Né a diversa conclusione può pervenirsi per effetto della mancata applicazione dell'art. 264 C.P.M.P. e la conseguente mancata riunione presso il giudice ordinario dei procedimenti connessi per essere definiti con unica sentenza.

Il risultato cui condurrebbe la tesi sostenuta dal giudice a quo sarebbe la sottoposizione a nuovo giudizio delle persone già giudicate dal tribunale militare con sentenza oramai irrevocabile. E ciò violerebbe gli effetti del giudicato, che impediscono di sottoporre a nuovo procedimento penale per il medesimo fatto chiunque sia stato condannato o prosciolto con sentenza divenuta irrevocabile. Trattasi di uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento, che non può subire deroghe se non nei casi espressamente previsti dalla legge.

3. - La proposta questione va, pertanto, dichiarata non fondata, non potendo ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza per la peculiarità della situazione processuale determinatasi per effetto della sentenza del tribunale militare né violazione del diritto di difesa, che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, va esercitato secondo le regole proprie del procedimento cui inerisce.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 del Codice di procedura penale sollevata dal Tribunale di Belluno con l'ordinanza in epigrafe, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1982.