Sentenza n. 57 del 1982
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SENTENZA N. 57

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario), in relaz. all'art. 10 comma secondo, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (legge delega), promossi dalla Corte di cassazione con due ordinanze 15 maggio 1980 e con ordinanze 12 giugno 1980 e 27 marzo 1981, sui ricorsi proposti da Micangeli Lamberto, da Ceppo Mariuccia e dalla s.n.c. Cenni, contro l'amministrazione delle finanze dello Stato e dal Ministero delle finanze contro Marchetti Lucio, rispettivamente iscritte ai nn. 692, 693 e 828 del registro ordinanze 1980 e al n. 504 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 1980 e nn. 56 e 304 del 1981.

Visti gli atti di costituzione di Micangeli Lamberto e di Ceppo Mariuccia e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1982 il Giudice relatore Francesco Saja;

uditi gli avvocati Pietro Adonnino e Giuseppe Scipione Sarlo, per Micangeli Lamberto e Ceppo Mariuccia e l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Su ricorso di Lamberto Micangeli la Commissione tributaria di primo grado di Roma dichiarava illegittima la pretesa dell'Ufficio distrettuale delle imposte dirette della stessa città, che aveva tassato con imposta di ricchezza mobile, categoria B, ai sensi dell'art. 81, ultimo comma, t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, il plusvalore ricavato dalla rivendita di un suolo edificabile; la Commissione di secondo grado respingeva l'appello dell'Ufficio, negando anch'essa l'esistenza di un'operazione speculativa.

Su ricorso principale dell'Ufficio e incidentale del contribuente, la Commissione tributaria centrale dichiarava valido l'accertamento, e, quanto al merito, riteneva la sussistenza di una plusvalenza tassabile, ravvisando un'operazione speculativa nella rivendita del terreno suddetto.

Contro questa decisione ricorreva per cassazione il Micangeli, deducendo, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, il quale prevede la competenza della Commissione tributaria centrale.

2. - Con ordinanza del 15 maggio 1980, la Corte di cassazione riteneva la questione non manifestamente infondata.

Al riguardo rilevava che, in base all'art. 10, secondo comma, n. 14 della legge delega n. 825 del 1971 sulla riforma tributaria, il legislatore delegato doveva procedere alla revisione della composizione, del funzionamento e delle competenze funzionari e territoriali delle commissioni tributarie, in modo che l'azione giudiziaria potesse essere esperita avanti la Corte d'appello, con esclusione in ogni caso delle questioni di semplice estimazione, dopo che fosse decorso il termine per il ricorso alla Commissione centrale, proponibile, quest'ultimo, in via alternativa e per soli motivi di legittimità.

Notava ancora la Cassazione come nell'art. 26 della legge delegata (d.P.R. n. 636 del 1972 cit.) era stata prevista la proponibilità del ricorso alla Commissione centrale, oltre che per violazione di legge, anche per questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. Inoltre nel successivo art. 40 il legislatore delegato aveva stabilito che, decorso inutilmente rispetto a tutte le parti il termine per ricorrere alla Commissione centrale, la decisione di secondo grado poteva essere impugnata entro novanta giorni avanti la Corte d'appello, alla quale era stata attribuita la medesima competenza (sopra ricordata) della Commissione centrale.

Ciò premesso, il giudice a quo osservava che l'attribuzione alla Commissione centrale della competenza per questioni di fatto sembrava violare i limiti della legge delega, che aveva previsto una competenza per "soli" motivi di legittimità. Aggiungeva ancora che l'attribuzione di identica competenza, secondo le disposizioni dei cit. artt. 26 e 40, alla Commissione centrale ed alla Corte d'appello, sembrava egualmente porsi in contrasto con la legge delega, che aveva previsto l'alternatività dei ricorsi a ciascuno dei due organi sul presupposto delle diversità delle competenze. La questione era anche rilevante nella causa da decidere, in quanto la controversia sull'esistenza di una operazione speculativa dava luogo ad una questione di fatto.

L'ordinanza, notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 311 del 12 novembre 1980.

3. - Inoltre, la Corte di cassazione ha emesso tre ordinanze di identico contenuto, una nella stessa data 15 maggio 1980 e le altre il 12 giugno 1980 e il 27 marzo 1981, in analoghi giudizi rispettivamente proposti da Mariuccia Ceppo, dalla soc. n.c. Cenni di Peduzzi e C. e da Lucio Marchetti.

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 311 del 12 novembre 1980, n. 56 del 25 febbraio 1981 e n. 304 del 4 novembre 1981.

4. - Si sono costitutiti soltanto il Micangeli e la Ceppo, i quali sostanzialmente hanno fatto riferimento agli argomenti enunciati dalla Corte di cassazione.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale rileva che l'espressione "motivi di legittimità", contenuta nella legge delega, non equivale a "violazione di legge"; che la competenza della Commissione centrale é stata sempre estesa alle questioni di fatto, escluse soltanto quelle di semplice estimazione; che, infine, era logicamente necessario attribuire l'identica competenza alla Commissione centrale e alla Corte d'appello.

Pertanto l'interveniente chiede che sia dichiarata infondata la proposta questione di legittimità costituzionale.

5. - La difesa del Micangeli e della Ceppo ha depositato una memoria con cui sviluppa la tesi dell'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Essa, in particolare, richiama l'espressione letterale usata dal legislatore delegante, la quale in nessun caso avrebbe consentito la previsione contenuta nella legge delegata; insiste poi nel sostenere che la possibilità alternativa, di ricorrere alla Commissione centrale o di adire la Corte d'appello contro le decisioni delle commissioni di secondo grado, esigerebbe diversità di competenza; riconosce, infine, che la alternativa tra ricorso alla Commissione centrale e azione davanti al giudice ordinario é imperfetta, potendo essere adito quest'ultimo solo dopo la decorrenza del termine per ricorrere alla prima (art. 10 n. 14 cit.) e riconosce anche che l'imperfezione pone in situazione di favore la parte non totalmente vittoriosa, che preferisca ricorrere alla Commissione; ciò tuttavia non sembra alla stessa difesa sufficiente per superare l'ostacolo dell'elemento letterale.

Anche la Presidenza del Consiglio dei ministri ha depositato memoria con la quale illustra ulteriormente il contenuto dell'atto di intervento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte la medesima questione di costituzionalità e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Con esse la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge delegata, relativa alla revisione della disciplina del contenzioso tributario (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636), in riferimento all'art. 76 della Cost., per eccesso dai limiti posti dalla legge delega 9 ottobre 1971 n. 825 sulla riforma tributaria. Precisamente, si deduce che, mentre l'art. 10, secondo comma, n. 14, di detta legge prevede la possibilità di ricorso alla Commissione tributaria centrale "per soli motivi di legittimità", il denunciato art. 26 dispone che il ricorso é proponibile, oltre che per violazione di legge, anche per "questioni di fatto", escluse soltanto quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. Questa ultima norma potrebbe così dar luogo ad un contrasto con la norma posta dal menzionato art. 10, secondo comma, n. 14, in quanto essa amplierebbe illegittimamente la previsione accolta dal legislatore delegante.

3. - La questione non é fondata, dovendosi escludere il prospettato eccesso di delega.

Preliminarmente é necessario stabilire il significato della espressione "per soli motivi di legittimità", con cui nel ricordato art. 10, secondo comma, n. 14 della legge delega é indicata la competenza da attribuire da parte del legislatore delegato alla Commissione tributaria centrale.

Nelle ordinanze con le quali é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, si deduce che l'espressione "per soli motivi di legittimità" potrebbe equivalere a motivi attinenti esclusivamente a questioni di diritto. Essa corrisponderebbe, in sostanza, al disposto dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. relativo all'ambito del giudizio di cassazione, nel quale, com'é noto, non é ammesso l'esame del "fatto", sicché l'attribuzione alla Commissione tributaria centrale della cognizione anche delle "questioni di fatto", operata dalla legge delegata, trascenderebbe i limiti della delega.

Tale corrispondenza non può però ritenersi sussistente.

La formula usata dalla legge delega é tradizionalmente propria del processo amministrativo nel quale, secondo un orientamento generalmente accolto, il giudice, anche quando é investito del solo sindacato di legittimità dell'atto amministrativo, ha il potere di conoscere le questioni di fatto la cui risoluzione é necessaria per verificare l'esistenza dei vizi dell'atto impugnato. Il giudice amministrativo, invero, dispone di un ampio potere di ricostruire la realtà materiale presupposta dall'atto amministrativo o sulla quale quest'ultimo deve esplicare i suoi effetti, in quanto l'erronea supposizione o conoscenza di detta realtà da parte dell'amministrazione può stare alla base dei vizi di legittimità dell'atto: il che macroscopicamente si verifica nel caso di eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Il controllo sulla ricostruzione della realtà materiale risulta di più difficile distinzione dalla valutazione di tale realtà alla stregua di precetti non giuridici (ossia dalla valutazione "di merito"), quando il giudizio verta sull'applicazione di disposizioni di legge formulate per clausole generali (quali "urgenza", "pericolosità", "grave inadempimento", "operazione speculativa") in cui il giudizio sul fatto si intreccia con giudizi di valore. Peraltro, anche gli apprezzamenti dell'amministrazione, sottratti per il loro oggetto al sindacato giurisdizionale, ben possono essere controllati dal giudice al fine di accertare la correttezza del procedimento di formazione di essi, per cui può essere necessaria la ricostruzione dei fatti posti a base della valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione.

L'espressione "per soli motivi di legittimità" non si riferisce dunque, nel suo significato letterale, ad un giudizio che verta esclusivamente su questioni di diritto, ma comprende - nel senso e nei limiti predetti - anche quello relativo alla realtà materiale.

Conseguentemente la formula, usata dall'art. 10 n. 14 della legge delega n. 825 del 1971 per delimitare la competenza della Commissione centrale, non autorizza affatto l'interprete a ritenere che essa escluda la cognizione delle questioni di fatto.

4. - Ulteriori argomenti, di carattere storico e sistematico, confortano quanto ora osservato sull'elemento letterale e inducono a dare con sicurezza soluzione negativa al dubbio prospettato.

Nel sistema del contenzioso tributario vigente all'epoca dell'approvazione della ricordata legge delega n. 825 del 1971, la Commissione centrale delle imposte aveva una competenza che, per communis opinio, si estendeva anche alle questioni di fatto, restandone escluse solo le controversie di "estimazione semplice"; si controverteva in dottrina e in giurisprudenza sull'estensione di questa ultima nozione, ma non si dubitava che le altre questioni di fatto (per esempio quelle concernenti i presupposti materiali necessari per l'imposizione tributaria ovvero richiesti per una agevolazione) rientrassero nell'ambito della competenza della Commissione centrale.

E ciò, malgrado che le diverse disposizioni di legge succedutesi nel tempo non si riferissero mai ad accertamenti o questioni di fatto, ma usassero solo espressioni varie, quali "applicazione della legge" (art. 48 l. 24 agosto 1877 n. 4201 per l'imposta sui redditi di ricchezza mobile e art. 29 l. 7 agosto 1936 n. 1639 sulla riforma degli ordinamenti tributari) o "motivi di legittimità" (art. 284 bis r.d. 14 settembre 1931 n. 1175, testo unico sulla finanza locale), espressione questa ultima su cui all'evidenza é modellata la formula usata dalla legge delega.

Dato ciò, si deve ritenere che se il legislatore del 1971 avesse voluto innovare, escludendo dall'ambito della competenza della Commissione centrale qualsiasi questione relativa alla realtà materiale, non avrebbe adoperato, nell'indicare la possibilità di ricorso, la espressione "per soli motivi di legittimità", la quale, come ora si é accennato, nella comune accezione in materia tributaria, non escludeva l'esame delle questioni di fatto.

Peraltro, se il legislatore, pur adoperando una locuzione analoga o addirittura eguale a quella usata in leggi precedenti, avesse voluto mutarne il significato, avrebbe dato sicuramente esplicite indicazioni nel corso dei lavori preparatori, opportunamente enunciando le ragioni che lo avevano indotto a distaccarsi dai criteri del precedente sistema. Tali lavori, per contro, nulla dicono al riguardo e il silenzio non può non risultare significativo e chiaramente rivelatore della volontà diretta a non introdurre sul punto alcuna innovazione.

5. - Sotto diverso profilo, va osservato che l'art. 10, secondo comma, n. 14 cit. dispone l'alternatività tra il ricorso alla Commissione centrale e l'impugnazione avanti la Corte d'appello, ma questa può essere proposta soltanto dopo che sia decorso inutilmente il termine per il ricorso alla Commissione centrale.

Si tratta, com'è evidente, di un'alternatività imperfetta, in quanto il legislatore delegato dà la preferenza al ricorso avanti la Commissione tributaria centrale (perché più agevole ed economico), condizionando alla mancata proposizione di esso l'impugnazione alla Corte d'appello. Ora, poiché questa ha istituzionalmente competenza anche sulle questioni di fatto, il che è ribadito dall'art. 40 del cit. decreto delegato, sarebbe veramente assurdo, oltre che palesemente in contrasto con i precetti costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), che una parte fosse arbitra, ricorrendo alla Commissione tributaria centrale, di limitare la difesa del proprio contraddittore impedendo il riesame sulle questioni di fatto.

L'inaccettabile conseguenza ora rilevata esclude la possibilità che il legislatore delegante abbia potuto volere una competenza differenziata tra i due organi (Commissione tributaria centrale e Corte d'appello) e impone di ritenere, invece, che l'ambito del giudizio sia lo stesso nei due casi, così che egualmente la decisione della Commissione di secondo grado possa essere impugnata per violazione di legge e per questioni di fatto (escluse, ben s'intende, quelle relative a valutazioni estimative ed alla misura delle pene pecuniarie). L'identità di competenza costituisce perciò un'imprescindibile esigenza logica e giuridica e quindi, contrariamente a quanto si adombra nelle ordinanze di remissione e si afferma dalla difesa delle parti private, non può essere adottata per sostenere l'illegittimità costituzionale della norma denunciata.

6. - Non è da trascurare infine che al testo dell'art. 26 cit. d.P.R. il legislatore delegato pervenne consapevolmente, osservando in proposito, nella relazione allo schema di detto decreto, da sottoporre al parere della Commissione parlamentare istituita ai sensi dell'art. 17 della legge delega, che dal sistema voluto dalla legge ora menzionata doveva dedursi come il legislatore delegante avesse inteso parificare la competenza della Commissione tributaria centrale a quella della Corte d'appello. E la Commissione parlamentare diede la sua adesione, condividendo l'opportunità di chiarire espressamente, nella norma delegata, che alla Commissione centrale erano devolute, oltre alle questioni di diritto, anche quelle di fatto non estimative. Il significato dell'art. 10 n. 14 della legge delega nel senso accolto dal legislatore delegato risulta dunque anche confortato da un organo, come la ricordata Commissione parlamentare, particolarmente idoneo per sua natura a ricostruire la volontà del legislatore delegante.

Per le suesposte considerazioni, si deve concludere che tutto concorre a fare ritenere infondata la proposta questione di costituzionalità.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi nn. 692, 693 e 828 Reg. ord. 1980 e 504 Reg. ord. 1981,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento all'art. 76 Cost., sollevata dalla Corte di cassazione con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE -Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25 marzo 1982.