Sentenza n. 50 del 1982
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SENTENZA N. 50

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 52 della legge della Regione Sicilia 1 ottobre 1956, n. 54 ("Disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerali nella Regione"), promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 1975 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra il fallimento della Soc. Miniera Baccarato Condominio e l'Assessorato dell'Industria e del Commercio della Regione siciliana, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 29 ottobre 1975 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 46 del 25 ottobre 1975.

Visti l'atto di costituzione dell'Assessorato Industria e Commercio della Regione Sicilia e l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1981 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per l'Assessorato Industria e Commercio della Regione siciliana e per il Presidente della Regione stessa.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile instaurato dal curatore del fallimento della s.p.a. Miniera Baccarato nei confronti dell'Assessorato dell'industria e commercio della Regione siciliana e dell'Ente minerario siciliano, il Tribunale di Palermo ha impugnato - con ordinanza emessa il 16 maggio 1975 - l'art. 52, secondo comma, della legge regionale 1 ottobre 1956, n. 54, in riferimento agli artt. 42 e 117 Cost. Da un lato la norma in questione, "nella parte in cui non prevede né la possibilità d'asportazione delle pertinenze separabili senza danno né il loro indennizzo in caso di decadenza del concessionario", si risolverebbe "nell'esproprio della proprietà del concessionario senza ristoro". D'altro lato, il legislatore regionale avrebbe violato il principio generale, desumibile in tal campo dall'art. 43 del d.l. n. 1443 del 1927, per cui "la volontà unilaterale del proprietario della cosa accessoria determina la cessazione del vincolo pertinenziale".

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte, sempre per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, si é costituito l'Assessorato regionale dell'industria e commercio ed é intervenuto il Presidente della Regione siciliana.

Con unitaria difesa, entrambi hanno sostenuto la infondatezza della questione sollevata, traendo argomento dal carattere sanzionatorio (quale anche ritenuto dalla Corte di cassazione) che contraddistinguerebbe la norma impugnata, in quanto mirante a colpire l'inadempienza del concessionario. Tale ratio legis spiegherebbe, appunto, il peggior trattamento fatto al concessionario decaduto, rispetto al concessionario cessato per altra causa, e collocherebbe la norma stessa fuori dall'ambito concettuale dell'espropriazione, ponendola conseguentemente al riparo dalla prima delle predette censure.

Quanto alla seconda censura, essa risulterebbe infondata anche in base alla premessa che il limite dei "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato" sia riferibile alla legislazione esclusiva o primaria, spettante alla Regione siciliana. Per superare ogni dubbio - osserva infatti l'Avvocatura - basterebbe considerare che, nella previsione della norma denunciata, "la perdita della facoltà di far cessare il vincolo pertinenziale coincide con la perdita del diritto di proprietà sulle pertinenze", acquisite al patrimonio regionale nel caso di decadenza dal diritto di coltivazione; sicché la seconda questione di legittimità costituzionale, imperniata sul diritto del proprietario di far cessare l'obbligo pertinenziale, verrebbe del tutto a risolversi nella prima impugnativa, riguardante l'osservanza dell'art. 42 della Costituzione.

3. - Si é inoltre costituito fuori termine, depositando una memoria in data 9 giugno 1977, il curatore del fallimento della s.p.a. Miniera Baccarato per sostenere l'illegittimità della norma regionale impugnata, in relazione ad entrambi i parametri richiamati dal Tribunale di Palermo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Palermo impugna l'art. 52 della legge regionale siciliana 1 ottobre 1956, n. 54, disciplinante la ricerca e la coltivazione delle sostanze minerali: con particolare riguardo al capoverso dell'articolo medesimo, che in tema di decadenza rimanda alle disposizioni dell'art. 42, ma non alle disposizioni degli artt. 43 e 44 della legge in questione, cui fa invece richiamo il primo comma, circa la rinuncia del concessionario e la revoca della concessione mineraria. Per conseguenza di tali distinti rinvii, nei casi di rinuncia e di revoca "appartengono al concessionario cessante" - come prevede il primo comma dell'art. 43 - "gli oggetti destinati alla coltivazione che possono essere separati senza pregiudizio della miniera", salvo che l'Amministrazione regionale e il concessionario subentrante non intendano "ritenerli corrispondendone il valore"; laddove, nel caso della decadenza, vale ad ogni effetto la statuizione dell'art. 42, primo comma, in base alla quale "il concessionario deve consegnare la miniera e le sue pertinenze all'Amministrazione regionale o al nuovo concessionario".

Così interpretata, coerentemente con ciò che ha ritenuto la stessa Corte di cassazione, la norma impugnata sarebbe per altro lesiva dell'art. 42 Cost., nella parte in cui si esige che a favore del proprietario espropriato per motivi d'interesse generale sia disposto un indennizzo; e si porrebbe del pari in contrasto con l'art. 117 Cost., violando in particolar modo il principio fondamentale desumibile dall'art. 43 del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, per cui il nuovo concessionario della miniera che sia stata oggetto di decadenza può ritenere anche i beni separabili senza pregiudizio della miniera medesima, "purché ne corrisponda il prezzo al concessionario precedente".

2. - La questione é infondata.

Del tutto improprio si dimostra, in primo luogo, il riferimento all'art. 117 Cost. Il limite dei "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato", relativo ad ogni singola materia attribuita alla competenza legislativa delle Regioni. ordinarie, é infatti inestensibile alla "legislazione esclusiva" della quale é dotata in materia di miniere l'Assemblea regionale siciliana, per espresso disposto dell'art. 14 lett. h) dello Statuto speciale. Né si potrebbe elevare a principio generale dell'ordinamento, per farne comunque applicazione nella specie, la pretesa regola in forza della quale sarebbe riservata al proprietario della cosa accessoria la facoltà di far cessare il vincolo pertinenziale. In tema di pertinenze in genere, e di pertinenze minerarie in particolare, vale anzi il criterio - fissato dal primo comma dell'art. 818 cod. civ. - per cui la cosa accessoria rimane assorbita nelle vicende giuridiche della cosa principale; tanto é vero che le stesse pertinenze minerarie separabili non possono venir liberamente asportate dal concessionario cessante, ma sono in ogni caso suscettibili di acquisizione da parte del nuovo concessionario, anche se questi é tenuto al pagamento del prezzo (cfr. l'art. 36 della ricordata legge mineraria del 1927).

L'ipotesi in esame rimane, d'altra parte, estranea all'ambito di operatività dell'art. 42 Cost., là dove si richiede che ogni espropriazione venga indennizzata. Vero é che nell'art. 43, primo comma, della legge mineraria siciliana si stabilisce in via di principio che le pertinenze separabili continuino ad appartenere al concessionario cessante; sicché la contraria prescrizione risultante dal combinato disposto degli artt. 52, secondo comma, e 42, primo comma, rappresenta una deroga non connaturata al regime delle pertinenze medesime, per quanto esso sia particolare. Ma la deroga si giustifica, dal momento che la decadenza non può esser pronunciata dall'Amministrazione regionale, se non quando si accerti e si contesti l'inadempimento del concessionario, nei casi puntualmente indicati dall'art. 48 della legge regionale e fatta sempre salva la forza maggiore. Resta per ciò stesso escluso che ci si trovi in presenza di una vera e propria misura espropriativa, inquadrabile nella previsione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Trattasi, al contrario, di un'ablazione avente un carattere sanzionatorio, giacché la perdita della proprietà privata o del diritto di averne corrisposto il prezzo si ricollega ad un comportamento colpevole del concessionario.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, secondo comma, della legge 1 ottobre 1956, n. 54, della Regione Sicilia, in riferimento agli artt. 42 e 117 Cost., sollevata dal Tribunale di Palermo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 3 marzo 1982.